Confermando le sentenze dei
precedenti gradi di giudizio, la Corte ha condannato un
geometra comunale per il delitto di peculato a seguito
dell’illecita appropriazione del denaro dovuto e versato
dai cittadini per la definizione di pratiche edilizie e
del delitto di truffa nelle altre ipotesi in cui
l’appropriazione riguardava somme versate, ma in realtà
non dovute all’ente pubblico.
Nel rigettare il ricorso presentato
dalla difesa del geometra, la Corte chiarisce che
l’eventuale agire in violazione delle norme interne del
comune sulla modalità di riscossione dei crediti non
esclude i presupposti del reato, potendo la violazione
di norme interne costituire un illecito disciplinare che
si aggiunge al reato. Pertanto, per la consumazione del
reato “è irrilevante … che l’appropriazione del denaro
derivi da un corretto e legittimo esercizio delle
funzioni esercitate da parte dell’agente o
dall’esercizio di fatto e arbitrario di tali funzioni;
dovendosi escludere il peculato solo quando il possesso
sia meramente occasionale”, ovvero solo ove il possesso
delle somme dipenda da evento fortuito o legato al caso,
non anche quando l’affidamento riposto dai cittadini
nella qualifica pubblica dell’agente ha favorito
l’insorgere del presupposto del reato, ovvero del
possesso delle somme.
In conclusione, il peculato si
verifica “tanto se il pubblico ufficiale o l’incaricato
di pubblico servizio abbia la disponibilità giuridica
quanto semplicemente quella materiale del denaro
altrui”. Trattandosi nel caso di specie di prestazioni
(versamenti) che i privati dovevano effettuare a favore
dell’ente, le somme già appartenevano alla PA, “a nulla
rilevando le modalità di riscossione e la eventuale
irritualità dei mezzi di pagamento … Dunque il possesso
del denaro da parte del ricorrente non era conseguenza
di una truffa, ma si ricollegava direttamente
all’illecito storno di somme da esigere per conto della
PA”.
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