In primo
luogo, non sussiste il nesso causale tra le informazioni
errate fornite dal Comune al S. il 12 ottobre 1993 e le
sue successive dimissioni volontarie dall'Enasarco -
presentate senza aver maturato il
diritto a pensione
- dovendosi ricondurre tale scelta ad una decisione
autonoma del
lavoratore.
Infatti, il S. si era dimesso dal Comune in data 22
ottobre 1973 e il successivo 23 ottobre aveva iniziato
il servizio all'ENASARCO. In data 8 marzo 1974 il Comune
gli aveva notificato la delibera di accettazione delle
dimissioni, decorrenti dal 22 ottobre 1973.
Conseguentemente, nel dicembre 1973 non poteva
continuare a percepire i contributi previdenziali del
Comune (come risultava dalla comunicazione errata
fornita dal Comune nel 1993); avendo precisa cognizione
della successione temporale dei due rapporti di lavoro,
e, a fronte dell'erronea
comunicazione del Comune, avrebbe potuto verificare la
propria posizione contributiva presso l'INPDAP. In
secondo luogo, non è ravvisabile un comportamento
colposo in capo al Comune, non sussistendo un obbligo
giuridico di comunicare la posizione contributiva dei
propri dipendenti; obbligo che, invece, sussiste, sulla
base della L. n. 88 del 1989, in capo agli enti
previdenziali in caso di richiesta dell'interessato.
2. I primi tre motivi di ricorso proposto dal S.
concernono l'eccezione di inammissibilità dell'appello
proposto dal Comune rispetto al D.B., avanzata dal S. in
quella sede e ritenuta superata dalla Corte di merito;
possono essere trattati congiuntamente per la loro
stretta connessione. Con il primo si deduce omessa
motivazione nella parte in cui la sentenza non
spiegherebbe perchè: prima la Corte ha disposto la
rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ.; poi - a fronte
della richiesta del Comune di nuovo termine per la
rinnovazione - ha rinviato per la precisazione delle
conclusioni; quindi ha ritenuto sussistente una
precedente rituale notifica al D.B. Con il secondo si
deduce la violazione dell'art. 291 cod. proc. civ., per
avere la Corte ritenuto valida la precedente notifica,
effettuata al D.B. ai sensi dell'art. 139 cod. proc.
civ., dopo che, disponendo la rinnovazione della stessa
ex art. 291 cod. proc. civ., aveva ritenuto l'irregolare
costituzione del contraddittorio. Con il terzo si deduce
la violazione dell'art. 139 cod. proc. civ., per avere
la Corte ritenuto rituale la notifica in assenza della
cartolina attestante la ricezione da parte del D.B.
della raccomandata, spedita dall'ufficiale giudiziario
per avvisare il destinatario della consegna dell'atto al
vicino; in assenza di costituzione dell'appellato; in
assenza di rinnovo della notifica....
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 21 luglio 2011, n. 15992
Svolgimento del processo
1. S.P. - prima dipendente del
Comune di Roma, poi, dopo le dimissioni volontarie dal
Comune, dipendente ENASARCO - conveniva in giudizio (nel
1998) il Comune, e i funzionari B. B. e D.B.S., per
sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni
subiti per effetto delle dimissioni dall'impiego presso
l'ENASARCO, prima di maturare il diritto alla pensione
di invalidità; dimissioni alle quali si era determinato
sulla base di errate informazioni rilasciategli
dall'amministrazione comunale.
Il Tribunale, nel contraddittorio
con il Comune e il B., condannava in solido il Comune e
il D.B. (circa Euro 85.000,00) e rigettava la domanda
nei confronti del B.
2. La Corte di appello di Roma,
adita dal Comune, rigettava la domanda di risarcimento
del danno del S., nella contumacia di B. e D.B.S.
(sentenza dei 21 aprile 2008).
3. Avverso la suddetta sentenza
propone ricorso per cassazione il S., con sei motivi,
corredati da quesiti ed esplicati da memoria. Resiste
con controricorso il Comune. B. e D. B., ritualmente
intimati, non si sono difesi.
Motivi della decisione
1. La decisione impugnata si fonda
sulle seguenti essenziali argomentazioni.
1.1. L'eccezione di inammissibilità
dell'appello proposto dal Comune -sollevata dal S.,
sostenendo l'omessa rinnovazione da parte del Comune
della notifica dell'atto di appello nei confronti del D.
B., autorizzata dalla Corte, - è "superata", stante "la
prova" della preesistente rituale notifica in data 4
febbraio 2004, mediante consegna del plico al vicino di
casa, che ha sottoscritto la relata, e successiva
comunicazione al destinatario mediante lettera
raccomandata attestata dall'ufficiale giudiziario.
1.2. Nel merito, la domanda va
rigettata.
In primo luogo, non sussiste il
nesso causale tra le informazioni errate fornite dal
Comune al S. il 12 ottobre 1993 e le sue successive
dimissioni volontarie dall'Enasarco - presentate senza
aver maturato il diritto a pensione - dovendosi
ricondurre tale scelta ad una decisione autonoma del
lavoratore. Infatti, il S. si era dimesso dal Comune in
data 22 ottobre 1973 e il successivo 23 ottobre aveva
iniziato il servizio all'ENASARCO. In data 8 marzo 1974
il Comune gli aveva notificato la delibera di
accettazione delle dimissioni, decorrenti dal 22 ottobre
1973.
Conseguentemente, nel dicembre 1973
non poteva continuare a percepire i contributi
previdenziali del Comune (come risultava dalla
comunicazione errata fornita dal Comune nel 1993);
avendo precisa cognizione della successione temporale
dei due rapporti di lavoro, e, a fronte dell'erronea
comunicazione del Comune, avrebbe potuto verificare la
propria posizione contributiva presso l'INPDAP. In
secondo luogo, non è ravvisabile un comportamento
colposo in capo al Comune, non sussistendo un obbligo
giuridico di comunicare la posizione contributiva dei
propri dipendenti; obbligo che, invece, sussiste, sulla
base della L. n. 88 del 1989, in capo agli enti
previdenziali in caso di richiesta dell'interessato.
2. I primi tre motivi di ricorso
proposto dal S. concernono l'eccezione di
inammissibilità dell'appello proposto dal Comune
rispetto al D.B., avanzata dal S. in quella sede e
ritenuta superata dalla Corte di merito; possono essere
trattati congiuntamente per la loro stretta connessione.
Con il primo si deduce omessa
motivazione nella parte in cui la sentenza non
spiegherebbe perchè: prima la Corte ha disposto la
rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ.; poi - a fronte
della richiesta del Comune di nuovo termine per la
rinnovazione - ha rinviato per la precisazione delle
conclusioni; quindi ha ritenuto sussistente una
precedente rituale notifica al D.B.
Con il secondo si deduce la
violazione dell'art. 291 cod. proc. civ., per avere la
Corte ritenuto valida la precedente notifica, effettuata
al D.B. ai sensi dell'art. 139 cod. proc. civ., dopo
che, disponendo la rinnovazione della stessa ex art. 291
cod. proc. civ., aveva ritenuto l'irregolare
costituzione del contraddittorio.
Con il terzo si deduce la
violazione dell'art. 139 cod. proc. civ., per avere la
Corte ritenuto rituale la notifica in assenza della
cartolina attestante la ricezione da parte del D.B.
della raccomandata, spedita dall'ufficiale giudiziario
per avvisare il destinatario della consegna dell'atto al
vicino; in assenza di costituzione dell'appellato; in
assenza di rinnovo della notifica.
2.1. Tutti i motivi, concernenti
l'unica questione della ritualità della citazione in
appello del D.B., sono inammissibili per carenza di
interesse.
Trattandosi di obbligazioni
solidali, con conseguente litisconsorzio facoltativo e
scindibilità delle cause, gli ipotizzati vizi della
notificazione dell'atto di appello, proposto da un
condannato in solido (il Comune) rispetto all'altro
condannato obbligato in solido (il D.B.), nei confronti
del quale non era stata esercitata nel processo alcuna
domanda attinente ai rapporti interni, non inficiano la
rituale proposizione dell'appello nei confronti del
danneggiato (il S.). Con seguente mente, il S. non ha
alcun interesse a far valere tali pretesi vizi. Vizi, di
cui si sarebbe potuto dolere il D.B., che, invece,
ritualmente intimato nel presente giudizio, non ha
svolto difese. 3. Con il quarto motivo si deduce la
violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. e art. 2727
cod. civ., nella parte in cui il giudice deduce
presuntivamente dalla comunicazione della delibera di
accettazione delle dimissioni dal Comune, con la
relativa decorrenza, la conoscenza del S. della propria
posizione contributiva.
Con il quinto motivo si deduce la
violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. e art. 2727
cod. civ., in riferimento al documento del Comune (del
12 ottobre 1993, rilasciato a richiesta
dell'interessato) contenente le attestazioni,
riconosciute erronee anche dal Comune, attinenti alla
posizione contributiva, ritenuto dalla Corte di merito
neutrale, rispetto alla determinazione del S. di
presentare le dimissioni dall'Enasarco nella certezza di
aver raggiunto i requisiti previdenziali richiesti per
la pensione, nonostante la riconosciuta erroneità,
ammessa anche dal Comune, con conseguente insufficienza
e contraddittorietà nella motivazione.
Con il sesto motivo si deduce la
violazione degli artt. 1175 e 1176 cod. civ. e della L.
n. 241 del 1990, art. 1, laddove il giudice di merito
ritiene l'assenza di colpa in capo al Comune in mancanza
di uno specifico obbligo giuridico di fornire
informazioni sulla posizione previdenziale. In
particolare deduce la responsabilità da contatto
sociale, particolarmente qualificata in capo
all'amministrazione.
4. I motivi, strettamene connessi,
vanno esaminati unitariamente e meritano di essere
accolti.
4.1. Nessun pregio ha l'eccezione,
sollevata nel controricorso dal Comune, secondo la quale
sarebbe inammissibile il sesto motivo, in quanto
prospettante una questione nuova. Nel giudizio di
merito, come riconosce lo stesso controricorrente, si è
discusso di responsabilità contrattuale e
extracontrattuale del Comune e, comunque, sempre in
riferimento agli stessi fatti. Non può, quindi,
ritenersi nuova la deduzione, per la prima volta in
cassazione, della responsabilità da contatto sociale.
4.2. Per meglio comprendere i vizi
in cui è incorsa la sentenza impugnata è opportuna una
breve premessa sulla successione degli eventi e della
relativa documentazione; dati pacifici tra le parti.
Il S. si dimise dall'impiego
comunale in data 22 ottobre 1973 e iniziò il rapporto di
lavoro con l'ENASARCO il successivo 23 ottobre. In data
8 marzo 1974 il Comune gli notificò la Delib. 20
dicembre 1973 con la quale venivano accettate le
dimissioni, con decorrenza dal 22 ottobre 1973.
Nel settembre 1993 il S. chiese al
Comune di conoscere la propria posizione contributiva in
riferimento al periodo in cui aveva prestato servizio
presso l'ente.
Con la certificazione rilasciata il
12 ottobre successivo, il Comune, dopo aver ripercorso i
diversi periodi di servizio prestati con diverse
qualifiche, individua la data delle dimissioni
volontarie in quella della delibera di accettazione
delle stesse (20 dicembre 1973) invece di quella reale
(il 22 ottobre 1973), da cui le dimissioni erano
decorse, secondo quanto attestato dalla suddetta
delibera.
Inoltre, certifica che al medesimo
S. era stato riconosciuto, ai soli fini previdenziali,
il servizio prestato dal 10 novembre 1965 (invece che
dal 19 novembre 1965) al 31 dicembre 1965; contributi
figurativi antecedenti al rapporto di lavoro, iniziato,
secondo quanto risulta dal certificato, il 1 gennaio
1966.
Con decorrenza dal 1 settembre
1995, il S. si dimetteva dall'ENASARCO. La domanda di
pensione veniva respinta dall'INPDAP -al quale aveva
presentato domanda di ricongiungimento dei contributi -
per aver il S. prestato servizio presso il Comune per un
periodo inferiore agli otto anni richiesti dalla L. n.
274 del 1991, art. 9. 5. La sentenza impugnata è viziata
nella parte in cui nega il nesso causale tra le errate
informazioni fornite dal Comune al S. e le dimissioni
del S. dall'ENASARCO; dimissioni presentate, secondo la
prospettazione attorea, nella convinzione di essere in
possesso degli otto anni di servizio presso il Comune,
necessari ai fini del ricongiungimento dei contributi e
del diritto a pensione.
Infatti, la Corte di merito trae
dalla avvenuta comunicazione della delibera comunale
contenente l'accettazione delle dimissioni dal Comune la
conoscenza da parte del S. della esatta data delle
dimissioni, con conseguente assenza di posizione
contributiva in assenza di posizione lavorativa e
conseguente irrilevanza della circostanza che nel
certificato rilasciato dal Comune nel 1993 tale data
fosse errata, perchè successiva a quella reale.
Invece, il lungo tempo trascorso
tra le dimissioni dal Comune (avvenute nel 1973, con
accettazione comunicata nel 1974) e il certificato
contenente la data errata (rilasciato nel 1993) non
legittimano tale presunzione di esatta conoscenza da
parte dell'uomo medio; tanto più se si considera il
breve scarto temporale tra la data reale e la data
indicata nel certificato (22 ottobre e non 20 dicembre
dello stesso anno).
Inoltre, la Corte di merito presume
la conoscenza della esatta posizione contributiva da
parte del S. desumendola dalla circostanza che si
trattava del suo rapporto di lavoro, con conseguente
irrilevanza della erronea ricostruzione nel certificato
rilasciato dal Comune. Non considera, però, il contenuto
del certificato nella parte in cui attesta
(erroneamente) il periodo di contribuzione figurativa.
Anche ad ammettere che sia
legittimo presumere che la parte interessata sappia se
un periodo del proprio rapporto di lavoro gode della
contribuzione figurativa, certo non può presumersi che
sia a conoscenza delle date esatte di decorrenza di tale
contribuzione;
tanto più quando, come nella
specie, il certificato attesti una contribuzione
figurativa differente per pochi giorni da quella reale
(10 novembre 1965 invece di 19 novembre 1965).
Nè tali conclusioni sono messe in
discussione dalla circostanza che il S. avrebbe potuto
chiedere la verifica della propria posizione
contributiva presso l'INPDAP prima di presentare le
dimissioni, come rileva il giudice del merito, il quale
presuppone che il S. avrebbe potuto accorgersi
dell'errore contenuto nel certificato trattandosi di
questioni relative al proprio rapporto di lavoro che
avrebbe dovuto sapere. Per quanto chiarito sopra, tale
presunzione di conoscenza in capo al S. non può
ritenersi configurata.
5.1. Premesso che è pacifica la
sussistenza dei suddetti errori nel certificato
rilasciato dal Comune e che è evidente la rilevanza
degli stessi nel far apparire esistente un periodo più
lungo di servizio, così come non è in discussione la
rilevanza dell'apparente maggiore periodo rispetto al
godimento della pensione chiesta dal S. (dopo aver
presentato le dimissioni dall'ENASARCO), deve
riconoscersi l'esistenza del nesso causale tra l'erroneo
certificato rilasciato dal Comune e le dimissioni del S.
dall'ENASARCO; dimissioni che non gli hanno consentito
di godere della pensione nel periodo immediatamente
successivo.
Secondo la regola l'id quod
plerumque accidit, non può dubitarsi del nesso causale
tra quanto affermato dal Comune nel certificato e il
conseguente comportamento del S. che, facendo
affidamento sulla pensione anticipata in presenza di un
periodo contributivo di otto anni presso il Comune,
presentò le dimissioni dall'ENASARCO. Nè può ipotizzarsi
una concorrenza causale del danneggiato, non rilevando,
alla luce del consolidato criterio della cosiddetta
causalità adeguata - secondo il quale, all'interno della
serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi
che non appaiono, secondo una valutazione ex ante, del
tutto inverosimili - l'omessa richiesta di verifica
all'INPDAP. Infatti, sarebbe inverosimile ipotizzare
che, in presenza di un certificato proveniente dal
proprio (ex nella specie) datore di lavoro il
comportamento dell'uomo medio, avrebbe potuto essere più
accorto e richiedere la verifica.
6. Si tratta ora di stabilire a che
titolo il S. chiede il risarcimento del danno subito in
conseguenza dell'errore compiuto dall'amministrazione
Comunale.
6.1. Correttamente, la Corte di
merito ha escluso che l'obbligo di fornire le
informazioni previdenziali derivi dalla L. 9 marzo 1989,
n. 88.
In effetti, secondo la consolidata
giurisprudenza della Corte, nell'ipotesi in cui l'INPS
abbia fornito all'assicurato un'indicazione erronea in
ordine al numero dei contributi versati, il danno subito
dal lavoratore è riconducibile a responsabilità
contrattuale dell'istituto, in quanto derivante dalla
inosservanza del generale obbligo dell'ente
previdenziale, L. n. 88 del 1989, ex art. 54 di
informare l'interessato sulla sua posizione assicurativa
e pensionistica, ove questi ne faccia richiesta (Cass.
10 novembre 2008, n. 26925; Cass. 8 aprile 2002, n.
5002). Obbligo, cui corrisponde un diritto
dell'assicurato alla corretta informazione circa la
consistenza del credito contributivo in corso, con
riconoscimento, anche a prescindere dal pensionamento
(Cass. 21 giugno 2002, n. 9125). Obbligo, derivante
dalla legge solo a carico di INPS e INAIL, ed
espressamente escluso rispetto ad altri enti
previdenziali (Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).
6.2. Naturalmente, non può
ipotizzarsi la responsabilità contrattuale derivante dal
rapporto di lavoro con il Comune, visto che, nella
specie, la richiesta di informazioni sul proprio stato
contributivo proveniva da un ex dipendente (per
un'ipotesi di responsabilità contrattuale dell'ente
pubblico per aver indotto in errore il dipendente, e per
il rilievo dell'affidamento in esso riposto
dall'amministrato, Cass. 14 novembre 2008, n. 27154; la
specificazione della responsabilità contrattuale si
trova in motivazione).
6.2.1. Alla luce degli approdi
della giurisprudenza e della dottrina in ordine ai
rapporti tra cittadino e amministrazione, potrebbe
ipotizzarsi, invece, la generale responsabilità
extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ.
Tuttavia, ritiene il Collegio, che
prima ancora del generale principio del neminem ledere,
valevole per tutti i cittadini nei confronti
dell'amministrazione pubblica, rilevi quella
responsabilità che giurisprudenza e dottrina qualificano
da "contatto sociale", venendo in rilievo una richiesta
di informazioni che, in quanto rivolta da un ex
dipendente ad un ex datore di lavoro, si connota per una
vicinanza qualificata giuridicamente da obblighi e
aspettative che trovano la loro origine nel pregresso
vincolo contrattuale.
6.3. La responsabilità da contatto
sociale - elaborata sul terreno civilistico dalla
dottrina, sulla scorta di quella tedesca, e fatta
propria da oltre un decennio dalla giurisprudenza di
legittimità - si caratterizza come responsabilità per
inadempimento senza obblighi di prestazione
contrattualmente assunti, in fattispecie di danno di
difficile inquadramento sistematico, "ai confini tra
contratto e torto". Vengono ricondotte ipotesi in cui la
responsabilità extracontrattuale appare insufficiente,
in quanto generica responsabilità del "chiunque", e
nelle quali manca il fulcro del rapporto obbligatorio,
costituito dalla prestazione vincolante. Fonte della
prestazione risarcitoria non è nè la violazione del
principio del neminem ledere, nè l'inadempimento della
prestazione contrattualmente assunta, ma la lesione di
obblighi di protezione, di comportamento, diretti a
garantire che siano tutelati gli interessi esposti a
pericolo in occasione del contatto stesso. Il rapporto
che scaturisce dal "contatto" è ricondotto allo schema
della obbligazione da contratto.
6.3.1. La giurisprudenza di
legittimità ha ravvisato responsabilità da contatto
sociale: in capo al medico, dipendente da struttura
sanitaria, nei confronti del paziente; nel caso
dell'insegnante, dipendente dall'istituto scolastico,
nei confronti dello studente, per il danno cagionato
dall'alunno a se stesso. Il dato caratterizzante, comune
alle due fattispecie, (rispetto alle quali
l'applicazione del principio è costante, a partire,
rispettivamente, da Cass. 22 gennaio 1999, n. 589 e da
Sez, Un. 27 giugno 2002, n. 9346) è, oltre all'assenza
di un contratto tra presunto danneggiante e danneggiato,
la particolare "qualità dell'attività" svolta dal
possibile danneggiante; potrebbe dirsi, proprio per gli
echi pubblicistici legati alla destinazione
dell'attività, la "qualità della funzione" svolta dal
danneggiate, alla quale l'ordinamento giuridico collega
obblighi di comportamento, anche a tutela di valori
costituzionali (artt. 32, 33 e 34 Cost.). Da un lato,
l'esercizio di una professione cosiddetta protetta, per
aver bisogno di una speciale abilitazione all'esercizio,
con obblighi di comportamento nei confronti di chi su
tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in
contatto con lui. Dall'altro, il complessivo obbligo di
istruire ed educare dell'insegnante, cui si collega lo
specifico obbligo di protezione e vigilanza del discente
per evitare che si procuri da solo un danno alla
persona.
6.4. Nel caso di danno conseguente
a inesatte informazioni (nella specie previdenziali),
attinenti al rapporto di lavoro, fornite, a richiesta,
dall'ex datore di lavoro al lavoratore, è assente il
vincolo contrattuale attuale. E' presente, però, la
particolare funzione qualificata svolta dal datore di
lavoro, naturalmente riferibile ai propri dipendenti e
non alla generalità, rispetto a informazioni in suo
possesso attinenti al rapporto di lavoro che non sia più
attuale. L'obbligo di comportamento trova il proprio
fondamento nel pregresso rapporto contrattuale ed è a
tutela dell'affidamento che l'ex dipendente ripone
nell'ex datore di lavoro, quale detentore qualificato
delle informazioni relative ad un rapporto contrattuale
ormai concluso, in un contesto che ha sullo sfondo la
tutela costituzionale apprestata al lavoro (art. 35
Cost.).
E' ravvisatole, quindi, la
responsabilità da contatto, con il conseguente regime
probatorio desumibile dall'art. 1218 cod. civ., secondo
il quale, mentre l'attore deve provare che il danno si è
verificato per effetto del contatto, sull'altra parte
incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è
stato determinato da causa a sè non imputabile.
6.5. Resta da spiegare perchè non
si sia percorsa la strada, pure astrattamente
ipotizzabile nella specie, nella quale l'ex datore di
lavoro è un'amministrazione pubblica, della
risarcibilità del danno ai sensi dell'art. 2043 cod.
civ., ed, in particolare, della responsabilità
dell'amministrazione per informazioni errate.
Infatti, mentre è rimasta
inesplorata (perchè mai concretamente applicata dalla
Corte di legittimità) l'ipotizzata responsabilità da
contatto dell'amministrazione nei confronti del
cittadino, per effetto degli obblighi procedi menta li
(legge 7 agosto 1990, n. 241), che hanno reso specifico
e differenziato tale rapporto (Cass. 10 gennaio 2003, n.
157; Cass. 26 settembre 2003, n. 14333) - tesi parallela
a decisioni della giurisprudenza amministrativa che
ravvisavano o ipotizzavano il cosiddetto "contatto
procedimentale" - molto nutrito è, invece, il filone
giurisprudenziale che si è snodato sul piano della
responsabilità extracontrattuale, a partire da Sez. Un.
22 luglio 1999, n. 500, con il riconoscimento della
risarcibilita anche dei cosiddetti interessi legittimi.
Al di là delle innumerevole applicazioni, rispetto al
caso di specie, rilevano quelle decisioni secondo le
quali la responsabilità della P.A. per illecito
extracontrattuale è astrattamente configurabile anche
nella diffusione di informazioni inesatte, in quanto
lesive della posizione (meritevole di tutela) del
privato di affidamento nella stessa, tenuto conto che
questa deve ispirare la propria azione a regole di
correttezza, imparzialità e buon andamento ai sensi
dell'art. 97 Cost. (Cass. 9 febbraio 2004, n. 2424;
Cass. 5 giugno 2007, n. 13061).
6.5.1. La suddetta tutela del
singolo nei confronti dell'amministrazione, proprio
perchè accordata nell'ambito della responsabilità
generale ex art. 2043 cod. civ., presuppone che tra
danneggiate e danneggiato non preesista un rapporto
giuridico o che, comunque, la pretesa risarcitoria sia
formulata indipendentemente da tale rapporto (mentre,
come si è visto prima, non è stata mai concretamente
percorsa la strada di ravvisare una responsabilità "da
contatto" dell'amministrazione nei confronti del
cittadino).
Invece, nella specie all'attenzione
della Corte, esisteva nei confronti de danneggiante un
vero e proprio vincolo contrattuale e, cessato quello,
obblighi di comportamento che nel primo trovano origine,
connotando un contatto qualificato basato
sull'affidamento, fonte di responsabilità. Tuttavia, è
indubbio che la qualità pubblica del soggetto
danneggiate è idonea a rafforzare tale affidamento.
6.6. In conclusione, il quarto, il
quinto e il sesto motivo del ricorso sono accolti e la
causa va rinviata alla Corte di merito, che deciderà la
domanda applicando i suddetti principi di diritto (p.
5.1 e 6,4.) e liquiderà anche le spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il
quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso; che
rigetta nel resto cassa in relazione la sentenza
impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in
diversa composizione, anche per le spese processuali del
giudizio di cassazione.
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