La Corte di Cassazione in sede
civile torna a pronunciarsi in materia di risarcimento
del danno non patrimoniale.
Nel caso di specie, la ricorrente
conveniva il marito chiedendone la condanna al
risarcimento dei danni (biologico ed esistenziale)
causatile dalla violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio e, in particolare, dall’obbligo di fedeltà.
Il marito da parte sua eccepiva l’infondatezza della
domanda trovando la violazione dei doveri coniugali
tutela unicamente attraverso il procedimento di
separazione personale.
Tra i motivi del ricorso la
violazione degli articoli 2043, 2059 e 151 del Codice
Civile, e l’illogicità e contraddittorietà della
motivazione della sentenza della Corte d’Appello di
Genova, nella parte in cui si afferma che nel caso di
specie mancherebbe il presupposto per il diritto al
risarcimento. Tale mancanza emergerebbe dall'avere la
ricorrente in un primo tempo proposto domanda di
separazione con addebito, successivamente abbandonando
la procedura per addivenire alla separazione
consensuale. La ricorrente chiede espressamente con
apposito quesito alla Corte di affermare il principio
secondo cui la mancanza di addebito in sede di
separazione per mutuo consenso non è preclusiva di
separata azione per il risarcimento dei danni prodotti
dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e
riguardanti diritti costituzionalmente protetti.
La Corte statuisce che nel caso di
violazione degli obblighi matrimoniali “il comportamento
di un coniuge non soltanto può costituire causa di
separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne
sussistano tutti i presupposti secondo le regole
generali, integrare gli estremi di un illecito civile”,
“fermo restando che la mera violazione dei doveri
matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della
separazione, non possono di per sé ed automaticamente
integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in
particolare, quanto ai danni non patrimoniali,
riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i
presupposti ai quali l'art. 2059 cod. civ. riconnette
detta responsabilità, secondo i principi da ultimo
affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972
delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la
categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali
tutti i danni risarcibili non aventi contenuto
economico”.
Il danno non patrimoniale, precisa
la Corte, ricorre:
“a) quando il fatto illecito sia
astrattamente configurabile come reato: in tal caso la
vittima avrà diritto al risarcimento del danno non
patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi
interesse della persona tutelato dall’ordinamento,
ancorché privo di rilevanza costituzionale;
b) quando ricorra una delle
fattispecie in cui la legge espressamente consente il
ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di
una ipotesi di reato: in tal caso la vittima avrà
diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
scaturente dalla lesione dei soli interessi della
persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso
la norma attributiva del diritto al risarcimento;
c) quando, al di fuori delle due
ipotesi precedenti, il fatto illecito abbia violato in
modo grave diritti inviolabili della persona, come tali
oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima
avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al
contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati
"ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati
caso per caso dal giudice. In tale ultima ipotesi il
danno non patrimoniale sarà risarcibile ove ricorrano
contestualmente le seguenti condizioni: a) che
l‘interesse leso (e non il pregiudizio sofferto) abbia
rilevanza costituzionale; b) che la lesione
dell'interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi
una soglia minima di tollerabilità, come impone il
dovere di solidarietà di cui all' art. 2 Cost. c) che il
danno non sia futile, ma abbia una consistenza che possa
considerarsi giuridicamente rilevante. ”.
Pertanto, nello specifico, la
violazione dell’obbligo di fedeltà può essere fonte di
responsabilità risarcitoria “ove si dimostri che
l’infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla
specificità della fattispecie, abbia dato luogo a
lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà
essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di
causalità). Ovvero ove l'infedeltà per le sue modalità
abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i
limiti dell’offesa di per se insita nella violazione
dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in
atti specificamente lesivi della dignità della persona,
costituente bene costituzionalmente protetto”.
Non essendo rinvenibile una norma
di diritto positivo, né essendo rinvenibili ragioni di
ordine sistematico che rendano la pronuncia
sull'addebito (inidonea di per se a dare fondamento
all’azione di risarcimento) pregiudiziale rispetto alla
domanda di risarcimento, la Corte cassa la sentenza con
rinvio alla Corte d’Appello di Genova in diversa
composizione che dovrà fare applicazione del principio
secondo il quale: “I doveri che derivano ai coniugi dal
matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione
non trova necessariamente sanzione unicamente nelle
misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale
l’addebito della separazione, discendendo dalla natura
giuridica degli obblighi su detti che la relativa
violazione, ove cagioni la lesione di diritti
costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi
dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei
danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ.
senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede
di separazione sia preclusiva dell’azione di
risarcimento relativa a detti danni".
[Andrea Brannetti]
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