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Cassazione Civile: risarcimento danno non patrimoniale per violazione fedeltà matrimoniale-(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 15 settembre 2011, n.18853)-Filodiritto.it

 

 

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La Corte di Cassazione in sede civile torna a pronunciarsi in materia di risarcimento del danno non patrimoniale.

 

Nel caso di specie, la ricorrente conveniva il marito chiedendone la condanna al risarcimento dei danni (biologico ed esistenziale) causatile dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e, in particolare, dall’obbligo di fedeltà. Il marito da parte sua eccepiva l’infondatezza della domanda trovando la violazione dei doveri coniugali tutela unicamente attraverso il procedimento di separazione personale.

 

Tra i motivi del ricorso la violazione degli articoli 2043, 2059 e 151 del Codice Civile, e l’illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Genova, nella parte in cui si afferma che nel caso di specie mancherebbe il presupposto per il diritto al risarcimento. Tale mancanza emergerebbe dall'avere la ricorrente in un primo tempo proposto domanda di separazione con addebito, successivamente abbandonando la procedura per addivenire alla separazione consensuale. La ricorrente chiede espressamente con apposito quesito alla Corte di affermare il principio secondo cui la mancanza di addebito in sede di separazione per mutuo consenso non è preclusiva di separata azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti.

 

La Corte statuisce che nel caso di violazione degli obblighi matrimoniali “il comportamento di un coniuge non soltanto può costituire causa di separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile”, “fermo restando che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l'art. 2059 cod. civ. riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico”.

 

Il danno non patrimoniale, precisa la Corte, ricorre:

 

“a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale;

 

b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento;

 

c) quando, al di fuori delle due ipotesi precedenti, il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. In tale ultima ipotesi il danno non patrimoniale sarà risarcibile ove ricorrano contestualmente le seguenti condizioni: a) che l‘interesse leso (e non il pregiudizio sofferto) abbia rilevanza costituzionale; b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità, come impone il dovere di solidarietà di cui all' art. 2 Cost. c) che il danno non sia futile, ma abbia una consistenza che possa considerarsi giuridicamente rilevante. ”.

 

Pertanto, nello specifico, la violazione dell’obbligo di fedeltà può essere fonte di responsabilità risarcitoria “ove si dimostri che l’infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità). Ovvero ove l'infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa di per se insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto”.

 

Non essendo rinvenibile una norma di diritto positivo, né essendo rinvenibili ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull'addebito (inidonea di per se a dare fondamento all’azione di risarcimento) pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento, la Corte cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione che dovrà fare applicazione del principio secondo il quale: “I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi su detti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento relativa a detti danni".

 

[Andrea Brannetti]

 

 

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