Anna Teresa Paciotti
Se volete insultare il capo fatelo
in sordina. Stampare e lasciare nella stampante
dell’ufficio, quindi esposto alla letture degli altri
componenti dell’ufficio stesso, uno scritto contenente
frasi di insulto dirette al capo dell’ufficio, costa
caro. Licenziamento. Infatti, lo scritto lasciato nella
stampante è indice dell’intento di pubblicizzarne il
contenuto e, il contenuto denigratorio nei confronti del
capoufficio, peraltro espresso con insulti pesanti, è
sufficiente a inficiare il rapporto di fiducia tra
dipendente e datore di lavoro. Adeguata la sanzione del
licenziamento.
Così la Cassazione, con la Sentenza
n. 18655/2011. Il caso in esame riguarda un lavoratore
licenziato per giusta causa, a seguito del rinvenimento,
nella stampante dell’ufficio, in uso al medesimo
lavoratore e agli altri dipendenti dell’ufficio, di uno
scritto in cui il suddetto lavoratore lanciava insulti
gratuiti rivolti alla responsabile del reparto.
Espressioni irripetibili. Il lavoratore impugna il
licenziamento e la precedente sanzione disciplinare di
quattro giorni di sospensione, chiedendo anche il
risarcimento dei danni. Il Tribunale di Torino rigetta
il ricorso. Perdente anche in sede di appello, il
lavoratore gioca l’ultima carta, il ricorso per
Cassazione. Il ricorrente lamenta che i fatti oggetto
della contestazione disciplinare, aver stampato il
documento contenente i giudizi denigratori, averlo
lasciato nella stampante di gruppo del proprio ufficio
con l’evidente deliberato proposito di portarlo a
conoscenza degli altri componenti dell’ufficio stesso,
avrebbero dovuto costituire oggetto di specifica e
rigorosa prova da parte del datore di lavoro, in quanto
il ricorrente non contestava di essere l’autore del
documento, che consisteva nell’allegato a una missiva
trasmessa giorni prima al proprio difensore. Il giudice
di appello si è basato su presunzioni. Non è provata
l’identità del soggetto che diede l’ordine di stampa. Le
censure non reggono. In materia di presunzioni, è
riservata al giudice di merito la valutazione
discrezionale sia in punto di opportunità di fondare la
decisione su tale mezzo di prova, che di sussistenza dei
presupposti che allo stesso consentono il ricorso,
fissando i requisiti di precisione, gravità e
concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli
elementi di fatto quali fonti di presunzione. Sulla base
della ricostruzione fattuale, il giudice ha ritenuto
provato che il ricorrente aveva lasciato nella stampante
il documento volontariamente, così rendendolo pubblico.
In tema di verifica giudiziale della correttezza del
procedimento disciplinare, il giudizio di
proporzionalità tra violazione contestata e
provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione
della gravità dell’inadempimento del lavoratore e
dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di
merito che ove risolte dal giudice di appello con
apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con
motivazione esauriente e completa si sottraggono al
riesame in sede di legittimità.
Anna Teresa Paciotti |