Cassazione, sez. Lav., 18 gennaio
2011, n. 1072: "Ed invero il danno biologico,
consistente nel danno non patrimoniale da lesione della
salute, costituisce una categoria ampia ed
ornnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve
tenere conto di tutti i pregiudizi alla salute
concretamente patiti dal soggetto, ma senza duplicare il
risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a
pregiudizi identici."
(Pres. Vidiri – Rel. Zapia)
Fatto Con ricorso al Tribunale,
giudice del lavoro, di Crotone, ritualmente notificato,
P.A.M., in proprio e nella qualità di erede legittima di
B.S., dipendente della società "Graziani Francesco e C.
s.a.s.", deceduto il 6.7.1991 a seguito di infortunio
sul lavoro verificatosi il 2.7.1991 (nel quale aveva
trovato la morte anche l'altro dipendente G.P.) nel
corso della effettuazione, presso la stabilimento
industriale "Nuovo Pastificio S. Antonio Biagio Lecce
s.p.a.", di un ponte elettrico di collegamento tra due
serbatoi, a causa dell'esplosione dell'olio combustibile
contenuto in uno dei serbatoi predetti, chiedeva la
condanna della società datoriale, ai sensi dell'art.
2087 c.c., al risarcimento di tutti i danni conseguenti
all'evento verificatosi, la liquidarsi iure proprio e
iure successionis.
Disposta la chiamata in garanzia,
su istanza della società convenuta, della compagnia
Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., con sentenza in data
18.10.2006 il Tribunale adito condannava la Graziani
s.a.s. e la terza chiamata, quest'ultima nei limiti del
massimale assicurativo, al pagamento, in favore di P.G.,
nella qualità di erede di P.A.M., deceduta nelle more
dell'espletamento del giudizio, della somma di Euro
158.200,00 a titolo di danno non patrimoniale iure
proprio, Euro 164,00 a titolo di danno da invalidità
temporanea iure successionis, Euro 693.020,00 a titolo
di danno biologico iure successionis, Euro 175.269,00 a
titolo di danno morale iure successionis, oltre agli
interessi legali dalla data dell'evento sul capitale
devalutato ed annualmente rivalutato in base agli indici
Istat.
Avverso tale sentenza proponeva
appello la società Graziani Francesco e C. s.a.s.
lamentandone la erroneità sotto diversi profili e
chiedendo il rigetto delle domande proposte da
controparte con il ricorso introduttivo.
Proponeva altresì appello
incidentale la Società Reale Mutua Assicurazioni
riproponendo le censure mosse dalla società datoriale e
sollevando autonoma censura in relazione alla
statuizione con la quale, sebbene condannata al
risarcimento nei limiti del massimale di polizza, era
stata condannata altresì al pagamento degli interessi,
oltre tale limite.
E proponeva infine appello
incidentale P.G., nella predetta qualità di erede di
P.A.M., chiedendo la condanna di controparte al
risarcimento del danno patrimoniale iure proprio e del
danno esistenziale derivante dalla lesione del diritto
costituzionalmente garantito alla integrità dei rapporti
familiari.
La Corte di Appello di Catanzaro,
con sentenza in data 10.7.2008, rigettava gli appelli
proposti dalla società datoriale e dalla compagnia di
assicurazioni e, in parziale accoglimento dell'appello
proposto dalla P., condannava le controparti al
pagamento della ulteriore somma di Euro 100.000,00 a
titolo di danno esistenziale, oltre agli interessi
legali.
Avverso questa sentenza propone
ricorso per cassazione la Graziani Francesco s.r.l. (già
Graziani Francesco e C. s.a.s.) con nove motivi di
impugnazione.
Resiste con controricorso la P..
La Compagnia di assicurazione non
ha svolto alcuna attività difensiva.
La società ricorrente ha depositato
memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto Col primo motivo di ricorso
la società lamenta violazione o falsa applicazione
dell'art. 2087 c.c. anche in relazione all'art. 2697
c.c..
In particolare osserva la
ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva
ritenuto la responsabilità della società datoriale per
l'evento verificatosi sotto il profilo che l'assunto
della stessa, secondo cui non sarebbe stata a conoscenza
della presenza di olio combustibile all'interno del
serbatoio nel quale si era verificata l'esplosione, si
appalesava non sostenibile atteso che la presenza di
tale olio costituiva un dato fattuale senz'altro noto,
essendo il serbatoio comunque utilizzato dal pastificio
Lecce per l'attività produttiva, ed anche necessario ai
fini della verifica della corretta realizzazione del
ponte di collegamento fra i due serbatoi; e pertanto la
condotta della società integrava la violazione della
norma di cui all'art. 2087 c.c. non risultando che la
stessa avesse predisposto le opportune cautele
nell'esecuzione dell'attività, sino al limite della
sospensione della prestazione per mancanza delle
previste condizioni di sicurezza.
Rileva per contro la ricorrente che
dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro
dall'art. 2087 c.c. non può desumersi la prescrizione di
un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile
ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno,
occorrendo che l'evento sia sempre riferibile a sua
colpa, per violazione di obblighi di comportamento
imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla
tecnica, ma concretamente individuati; di talchè incombe
al lavoratore l'onere di fornire la prova della concreta
conoscenza, o quanto meno conoscibilità, da parte del
datore di lavoro, del fatto o della situazione da cui
l'evento dannoso trae origine, al fine di verificare che
lo stesso rientri nell'ambito nella sfera di controllo
del datore predetto, altrimenti verrebbe a configurarsi
una sorta di responsabilità oggettiva ricomprendendo
nella previsione dell'art. 2087 c.c. la prevenzione di
rischi del tutto ignoti o affatto ipotetici.
Col secondo motivo di ricorso la
società lamenta carenza o contraddittorietà della
motivazione su un fatto controverso e decisivo,
costituito dall'accertamento in ordine alla concreta
conoscenza, o prevedibilità, in capo al datore, del
fatto da cui origina l'evento dannoso nonchè
dall'accertamento in ordine alla circostanza se la causa
scatenante l'evento rientrasse o meno nella sfera di
controllo e di concreta prevedibilità del datore di
lavoro.
In particolare la ricorrente,
premesso che la presenza di olio combustibile nel
serbatoio in questione costituiva un fatto decisivo e
controverso ai fini dell'accertamento della
responsabilità del datore di lavoro, ha rilevato
l'esistenza di un salto logico nella motivazione dei
giudice di appello tra la premessa (il fatto che il
serbatoio sarebbe stato utilizzato dal pastificio Lecce
per l'attività produttiva) e la conseguenza (il fatto
che la società ricorrente sapesse, o dovesse sapere,
della presenza dell'olio combustibile nel serbatoio da
collegare a quello di nuova istallazione).
Col terzo motivo di ricorso la
società lamenta violazione o falsa applicazione degli
artt. 2043, 2059, 2087 e 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. in
tema di successione e quantificazione del danno
biologico e morale terminale in un caso di evento letale
susseguito a breve distanza dall'infortunio.
In particolare rileva la ricorrente
che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto di
quantificare il risarcimento della danno biologico iure
successionis nell'importo spropositato di Euro
693.020,00, disattendendo il principio posto dalla
Suprema Corte secondo cui ai fini del risarcimento del
danno biologico in caso di infortunio seguito da morte
assume preminente rilievo il trascorrere di un lasso di
tempo apprezzabile fra il sinistro e l'evento letale,
dando per contro rilievo alla situazione di massima
sofferenza fisica e psichica in cui il B. era venuto a
trovarsi nei pochi giorni (dal 2 luglio al 7 luglio
1991) intercorsi fra l'incidente e la morte, così
pervenendo al risarcimento del suddetto danno biologico
per intero, nella misura del 100%, come se il lavoratore
fosse sopravvissuto alle lesioni per il tempo
corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita.
Col quarto motivo di ricorso la
società lamenta carenza di motivazione su un fatto
controverso e decisivo, rappresentato dalla rilevanza ai
fini della determinazione dell'entità del danno
biologico terminale da risarcire dell'arco temporale
intercorrente tra fatto lesivo ed evento letale.
Rileva in particolare che
erroneamente la Corte territoriale, pur ritenendo che il
criterio del lasso di tempo apprezzabilmente decorso tra
il sinistro e l'evento letale si appalesa in astratto
condivisibile, ha peraltro disatteso siffatto criterio
pervenendo al diverso risultato del risarcimento per
intero del danno biologico solo sulla base dell'asserita
intensità delle sofferenze patite dal lavoratore nel pur
breve periodo di quattro giorni; di talchè sul punto la
motivazione della sentenza si appalesava quanto meno
carente.
Col quinto motivo di ricorso la
società lamenta violazione o falsa applicazione degli
artt. 2043 e 2059 c.c., anche in relazione all'art. 1223
c.c..
In particolare rileva che
erroneamente la Corte territoriale, dopo aver liquidato
il danno biologico di natura psichica come un danno
consolidato, aveva proceduto altresì alla liquidazione
del danno morale, sul presupposto della accentuata ed
intensa sofferenza psichica patita dal B. derivante
dalla consapevolezza della sua condizione, operando in
tal modo una duplicazione dello stesso risarcimento,
mentre per contro siffatta sofferenza psichica doveva
ritenersi siccome rientrante nell'area del danno
biologico.
Col sesto motivo di ricorso la
società lamenta carenza di motivazione in ordine ad un
fatto controverso e decisivo, costituito dalla rilevanza
del contemporaneo riconoscimento del risarcimento del
danno biologico iure successionis in sede ed ai fini
della liquidazione del danno morale iure successionis.
In particolare rileva che la Corte
territoriale aveva omesso ogni motivazione in ordine
alla possibilità di cumulare le predette voci
risarcitorie.
Col settimo motivo di ricorso la
società lamenta violazione o falsa applicazione degli
artt. 1223, 2043, 2059 e 2697 c.c..
Rileva in particolare la ricorrente
che erroneamente la Corte territoriale, in accoglimento
dell'appello incidentale proposto dalla P., aveva
liquidato in favore della stessa il danno esistenziale,
quantificato nella misura di Euro 100.000,00, sotto il
profilo che la lesione incideva su interessi di livello
costituzionale, conseguenti alla perdita del rapporto
parentale, atteso che il decesso del figlio aveva fatto
venir meno, nei confronti della stessa, l'intangibilità
degli affetti familiari, la solidarietà nell'ambito
della famiglia, la possibilità di esplicazione della
persona umana nella società familiare. In tal modo
peraltro la Corte territoriale aveva proceduto ad una
duplicazione del danno non patrimoniale, avendo il
Tribunale già riconosciuto in favore della P. il
risarcimento del danno morale ex art. 2059 c.c. (danno
morale soggettivo) inteso come prezzo per il patema
d'animo transeunte, considerato che il B. era l'unico
figlio convivente della predetta. Ciò comportava, alla
stregua dell'insegnamento delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione di cui alla sentenza n. 26972/08,
una violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e
2059 c.c., stante l'attribuzione di autonoma dignità
risarcitoria al danno esistenziale congiuntamente al
danno morale soggettivo iure proprio in favore del
congiunto della vittima.
Con l'ottavo motivo di ricorso la
società lamenta carenza o contraddittorietà della
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, costituito dalle circostanze in ipotesi
rilevanti ai fini del riconoscimento, in favore del
congiunto della vittima di un fatto illecito con effetti
letali, che già aveva ottenuto in primo grado il
riconoscimento del danno morale soggettivo, di
un'ulteriore posta risarcitoria relativa a profili di
asserito danno esistenziale.
Ciò in quanto si appalesa
contraddicono assumere uno stesso referente fattuale -
la condizione del B. di unico figlio della P. - per
riconoscere due distinte poste risarcitorie, tanto più
nella prospettiva della necessaria unitarietà del
riconoscimento e del risarcimento del danno alla
persona; dovendosi ritenere altresì una vistosa carenza
di motivazione sotto il profilo degli elementi di prova
del predetto danno, che non possono essere individuati e
negli stessi termini apprezzati ai fini di una distinta
posta risarcitoria.
Col nono motivo di ricorso la
società lamenta violazione e falsa applicazione degli
artt. 1277, 1282 e 1284 c.c..
In particolare rileva che
erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso la
censura relativa al computo degli interessi, atteso che
gli interessi su una somma attribuita a titolo di
risarcimento dei danni da fatto illecito non possono
essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma
liquidata per capitale e rivalutata sino al momento
della decisione, posto che in tal modo si finirebbe per
attribuire al creditore un valore cui non ha diritto;
ciò in quanto gli interessi non costituiscono un debito
di valore, ma un criterio di commisurazione del danno da
ritardo nel conseguimento di una somma di denaro che,
all'epoca del fatto, non era quella rivalutata e solo
progressivamente aveva raggiunto l'ammontare liquidato
dalla sentenza di condanna, dovendo pertanto gli
interessi essere riconosciuti dalla data di
pubblicazione della sentenza e non da quella dell'evento
letale.
l primi due motivi del ricorso, che
il Collegio ritiene di dover esaminare unitariamente in
quanto strettamente connessi, non sono fondati.
Osserva il Collegio che la
responsabilità del datore di lavoro in materia di
infortuni è fondata sul disposto dell'art. 2087 c.c., in
base al quale l'imprenditore è tenuto ad adottare,
nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro; la norma
suddetta impone pertanto al datore di lavoro un obbligo
generale di diligenza; nel sistema della tutela delle
condizioni di lavoro prevista dal legislatore, la
disposizione di cui all'art. 2087 c.c. ha una funzione
integratrice della normativa che prevede le singole
misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro,
ponendo a carico del datore di datore un obbligo
generale di garanzia delle condizioni di sicurezza del
lavoro. Ciò non determina l'insorgere di una ipotesi di
responsabilità oggettiva, tuttavia non è circoscritta
alla violazione di specifiche regole di esperienza o di
regole tecniche, ma deve ritenersi volta a sanzionare,
anche alla luce delle garanzie costituzionali del
lavoratore, l'omessa predisposizione di tutte quelle
misure e cautele atte a preservare, in relazione alle
effettive modalità e condizioni di lavoro, l'integrità
psicofisica del lavoratore, in considerazione altresì
della possibilità di conoscenza di tutti quegli elementi
che, in relazione alla fattispecie concreta, possono
incidere sulla sicurezza del lavoratore.
Alla stregua di quanto sopra non
può dubitarsi che la Corte territoriale abbia
correttamente ritenuto la violazione del predetto art.
2087 c.c. ed abbia coerentemente e compiutamente
motivato in ordine alla responsabilità della società
datoriale, avendo rilevato come la presenza di olio
combustibile nel serbatoio già in uso costituiva un dato
fattuale assolutamente noto, essendo il detto serbatoio
comunque utilizzato dal pastificio Lecce per l'attività
produttiva, ed anche necessario, al fine di verificare
la corretta realizzazione del ponte di collegamento fra
il serbatoio già in uso e quello di nuova istallazione.
E pertanto correttamente ha ritenuto che non potesse
dubitarsi della piena conoscenza e consapevolezza da
parte della società della presenza in uno dei due
serbatoi, e precisamente in quello già in uso al
pastificio Lecce, di olio di combustibile; donde la
responsabilità per violazione della disposizione di cui
all'art. 2087 c.c. per non avere la società predetta,
nonostante siffatta conoscenza e consapevolezza,
provveduto a rendere edotti i lavoratori addetti alla
saldatura del ponte fra i due serbatoi, delle
particolari cautele da osservare nell'esecuzione
dell'attività fornendoli di attrezzature adeguate allo
scopo e predisponendo sul luogo quanto necessario per
eventuali emergenze, sino al limite della sospensione
della prestazione in mancanza delle necessarie
condizioni di sicurezza.
Di conseguenza nessuna violazione o
falsa applicazione di norme può ravvisarsi nella
fattispecie, nè alcun salto logico di motivazione.
I suddetti motivi del ricorso non
possono pertanto trovare accoglimento.
Del pari infondati si appalesano il
terzo e quarto motivo del ricorso che il Collegio
ritiene, parimenti, di dover trattare in maniera
unitaria.
Innanzi tutto osserva il Collegio
che l'evento morte non rileva di per sè ai fini del
risarcimento, atteso che la morte (e cioè: la perdita
della vita) è fuori dal danno biologico, poichè il danno
alla salute presuppone pur sempre un soggetto in vita;
ma è altrettanto vero che nessun danno alla salute è più
grave, per entità ed intensità, di quello che, trovando
causa nelle lesioni che esitano nella morte,
temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il
danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura
del 100%, con l'ulteriore fattore "aggravante", rispetto
al danno da inabilità temporanea assoluta, che il danno
biologico terminale è più intenso perchè l'aggressione
subita dalla salute dell'individuo incide anche sulla
possibilità di essa di recuperare (in tutto o in parte)
le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi
sulla perdita funzionale già subita, atteso che anche
questa capacità recuperatoria o, quanto meno
stabilizzatrice, della salute risulta irreversibilmente
compromessa. La salute danneggiata non solo non recupera
(cioè non "migliora") nè si stabilizza, ma degrada verso
la morte; quest'ultimo evento rimane fuori dal danno
alla salute, per i motivi sopra detti, ma non la
"progressione" verso di esso, poichè durante detto
periodo il soggetto leso era ancora in vita (in tal
senso, Cass. sez. 3^, 23.6.2006 n. 3766).
Posto ciò ritiene il Collegio di
dover aderire al principio secondo cui, in caso di
lesione che abbia portato a breve distanza di tempo ad
esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia
percepito lucidamente l'approssimarsi della morte, un
danno biologico di natura psichica, la cui entità non
dipende dalla durata dell'intervallo tra lesione e
morte, bensì dell'intensità della sofferenza provata
dalla vittima dell'illecito ed il cui risarcimento può
essere reclamato dagli eredi della vittima (Cass. sez.
3^, 14.2.2007 n. 3260; Cass. sez. 3^, 2.4.2001 n. 4783,
che in maniera incisiva fa riferimento alla "presenza di
un danno "catastrofico" per intensità a carico della
psiche del soggetto che attende lucidamente l'estinzione
della propria vita").
Ritenuta pertanto l'irrilevanza del
lasso di tempo intercorrente fra il sinistro e l'evento
letale, osserva il Collegio che la giurisprudenza di
questa Corte ha posto in rilievo che il giudice, nel
caso ritenga di applicare i criteri di liquidazione
tabellare o a punto, deve procedere necessariamente alla
cd. "personalizzazione" degli stessi, costituita
dall'adeguamento al caso concreto atteso che, siccome
più volte ribadito da questa Corte, la legittimità
dell'utilizzazione di detti ultimi sistemi liquidatori è
pur sempre fondata sul potere di liquidazione equitativa
del giudice.
E la liquidazione del quantum, se
supportata da una motivazione congrua e coerente sul
piano logico, e rispettosa dei principi giuridici
applicabili alla materia, è sottratta a qualsiasi
censura in sede di legittimità.
Orbene, nel caso di specie la Corte
territoriale, nel confermare la statuizione sul punto
del primo giudice, ha rilevato, riportandosi agli esiti
della consulenza medico legale effettuata, che il B.,
nei quattro giorni precedenti il decesso, aveva "subito
un danno psichico totale per la presenza di una
sofferenza e di una disperazione esistenziale di tale
intensità da determinare nella percezione del defunto un
danno catastrofico", in una situazione di "attesa lucida
e disperata dell'estinzione della vita".
Alla stregua di quanto sopra i
suddetti motivi di gravame non possono trovare
accoglimento.
Sono per contro fondati il quinto
ed il sesto motivo di gravame.
Ed invero il danno biologico,
consistente nel danno non patrimoniale da lesione della
salute, costituisce una categoria ampia ed
ornnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve
tenere conto di tutti i pregiudizi alla salute
concretamente patiti dal soggetto, ma senza duplicare il
risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a
pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile,
perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la
congiunta attribuzione al soggetto del risarcimento sia
per il danno biologico, inteso per come detto quale
danno alla salute, che per il danno morale, inteso, nel
caso di specie, quale intensa sofferenza psichica. Non
può invero dubitarsi che quest'ultima fattispecie di
danno costituisce necessariamente una componente del
primo, atteso che qualsiasi lesione della salute implica
necessariamente una sofferenza psichica. E quindi, ove
siano dedotte sofferenze di natura psichica, si rientra
nell'ambito del danno biologico, del quale ogni
sofferenza, fisica o psichica, per sua natura
intrinseca, costituisce componente (Cass. SS.UU.,
11.11.2008 n. 26972).
E parimenti fondati si appalesano
il settimo ed ottavo motivo del ricorso.
Ed invero, alla stregua del
suddetto principio della inammissibilità della
duplicazione delle poste risarcitorie, rileva il
Collegio che, una volta riconosciuto alla P., iure
proprio, il risarcimento del danno morale, per la
perdita dell'unico figlio convivente della stessa,
appare di tutta evidenza che la liquidazione di una
ulteriore somma a titolo di danno esistenziale per il
venir meno del rapporto parentale, avente incidenza su
interessi di rilievo costituzionale, costituisce una
duplicazione del predetto danno morale soggettivo
riconosciuto alla madre sostanzialmente con la medesima
motivazione.
Infatti, per come rilevato dalle
Sezioni Unite di questa Corte con la predetta sentenza
n. 26972/08, "determina duplicazione di risarcimento la
congiunta attribuzione del danno morale, nella sua
rinnovata configurazione, e del danno da perdita del
rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel
momento in cui la perdita è percepita e quella che
accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita
altro non sono che componenti del complesso pregiudizio,
che va integralmente ed unitariamente ristorato".
E' infine infondato l'ultimo motivo
del ricorso.
Ed invero il risarcimento dei danni
da fatto illecito si configura quale debito di valore
non avendo ad oggetto sin dall'origine una somma di
denaro. Correttamente pertanto la Corte territoriale,
dopo aver quantificato il danno alla data della
decisione, ha proceduto alla determinazione degli
interessi legali a decorrere dalla data della
verificazione del fatto lesivo, ma procedendo alla
"devalutazione" a tale data del capitale, per poi
rivalutarlo annualmente secondo gli indici Istat,
applicando quindi gli interessi dalla data di
verificazione dell'evento sul predetto capitale
"devalutato", con le successive rivalutazioni annuali;
deve escludersi pertanto che si sia verificata alcuna
duplicazione degli interessi medesimi.
In conclusione il ricorso della
società deve essere parzialmente accolto, limitatamente
al quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di gravame;
di conseguenza, in relazione ai suddetti motivi, deve
cassarsi la sentenza impugnata e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito con il rigetto della domanda di P.G.
volta al pagamento del danno esistenziale, quantificato
nell'impugnata sentenza, nella misura di Euro
100.000,00, e del danno morale iure successionis,
quantificato in sentenza nella misura di Euro
175.296,00; va nel resto confermata l'impugnata
sentenza.
Ricorrono giusti motivi, avuto
riguardo al solo parziale accoglimento del ricorso
proposto dalla società Graziani s.r.l., per dichiarare
interamente compensate tra la stessa e la resistente P.
G., le spese relative al presente giudizio di
cassazione, ferme restando le statuizioni sulle spese
relative a giudizio di merito. Nessuna statuizione in
ordine alle spese del presente giudizio di cassazione va
per contro operata nei confronti della Società Reale
Mutua di Assicurazioni, non avendo la stessa svolto
alcuna attività difensiva, dovendosi anche nei confronti
della predetta confermare la liquidazione delle spese
relative ai giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto, sesto,
settimo ed ottavo motivo di ricorso; cassa parzialmente
la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta
la domanda di P.G. volta al pagamento del danno
esistenziale, quantificato nell'impugnata sentenza nei a
misura di Euro 100.000,00, e del danno morale iure
successionis, quantificato in sentenza nella misura di
Euro 175.296,00; conferma nel resto l'impugnata
sentenza. Compensa tra la società ricorrente e la
resistente P.G. le spese relative al presente giudizio
di cassazione; nulla per le spese relative al suddetto
giudizio nei confronti della Società Reale Mutua di
Assicurazioni;
conferma le statuizioni sulle spese
relative al giudizio di merito.
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