Staiano Rocchina
Previdenza sociale – Contribuzione
figurativa – Sospensione rapporto di lavoro – Indennità
di disoccupazione.
Massima
In tema di licenziamento, nel
concetto di "giustificato motivo obiettivo" ex art. 3,
legge n. 604/1986 rientra anche l'ipotesi di riassetti
organizzativi attuati per la più economica gestione
dell'azienda, purché non pretestuosi e strumentali,
bensì volti a fronteggiare situazioni sfavorevoli non
contingenti che influiscano decisamente sulla normale
attività produttiva imponendo un'effettiva necessità dei
riduzione dei costi.
L'art. 37 del d.P.R. 818 del 26
aprile 1957, che disciplina la c.d. neutralizzazione dei
contributi dispone, per quel che rileva nella presente
sede, che i periodi riconosciuti come periodi di
contribuzione a norma dei precedenti articoli 10 e 12
sono esclusi dal computo del quinquennio per
l'accertamento dei requisiti contributivi stabiliti
dall'art. 5 della legge 4 aprile 1952 n. 218, per
l'ammissione al versamento dei contributi volontari o,
successivamente, ai fini dell'applicazione dei primi due
commi dell'art. 15 del presente decreto.
Allo stesso modo vanno considerati:
A) i periodi di assenza facoltativa
dal lavoro dopo il parto previsti dal secondo comma
dell'art. 6 della legge 26 agosto
1950 n. 860, nel testo modificato dalla legge 23 maggio
1951 n. 394;
B) i periodi di lavoro subordinato
all'estero che non sono protetti agli effetti delle
assicurazioni interessate in base a convenzioni od
accordi internazionali;
C) i periodi di servizio militare
eccedenti il periodo corrispondente al servizio di leva;
D) i periodi di malattia,
comprovati con certificato riconosciuto da un ente
previdenziale o da una pubblica amministrazione
ospedaliera che eccedano i limiti stabiliti dall'art.
56, lett. a) punto 2 del regio decreto legge 4 ottobre
1935 n. 1827.
La giurisprudenza di legittimità
rileva che tale norma - lungi dall'avere carattere
speciale - detta regole di portata generale, sebbene
derogatorie rispetto alle ipotesi normali in cui si
richiede una perfetta corrispettività fra versamenti
contributivi e prestazione previdenziale erogata
all'assicurato.
Essa è infatti proprio diretta a
spezzare il predetto nesso di sinallagmaticità, che, ove
operasse - indiscriminatamente - nella sua pienezza,
sarebbe improprio in un sistema previdenziale basato
sulla tutela del lavoratore a fronte di eventi che ne
riducano o eliminino le capacità reddituali: comportando
la perdita della prestazione previdenziale anche quando
il versamento contributivo non avvenga per ragioni non
imputabili al lavoratore assicurato. giurisprudenza di
legittimità (1) ha rilevato in altre decisioni attinenti
alla c.d. neutralizzazione del periodo contributivo
utile per ottenere la prestazione previdenziale, la
norma è espressione di un principio generale del sistema
previdenziale inteso ad impedire che il lavoratore perda
la prestazione stessa allorché il versamento
contributivo sia carente per ragioni non a lui
imputabili.
Non può, pertanto, limitarsi
l'incidenza del meccanismo di neutralizzazione, come
pretende l'INPS, alle sole ipotesi in cui la carenza
contributiva intervenga nel corso di un rapporto di
lavoro che rimane sospeso per uno degli eventi tipici
prima indicati.
Le ipotesi esaminate rappresentano,
appunto, solo, una tipicizzazione delle cause
incolpevoli che non consentono il versamento
contributivo nel quinquennio utile per l'attribuzione
della prestazione previdenziale, nell'ambito del
principio di irrilevanza delle carenze contributive non
imputabili al lavoratore assicurato.
Per il quale - affinché trovi
applicazione il principio stesso - è sufficiente che
esista solo una posizione assicurativa.
Da ciò si ricava che la
neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto
assicurativo previdenziale obbligatorio, che derivino da
alcune obiettive situazioni impeditive (quali
l'astensione facoltativa dal lavoro per maternità, la
prestazione di lavoro all'estero, la malattia di una
certa durata e altre) - prevista dal d.P.R. n. 818 del
1957, art. 37 ai fini
dell'esclusione dei periodi medesimi in sede di verifica
dei requisiti contributivi e, in particolare, del
requisito del prescritto numero di contributi
nell'ultimo quinquennio ai fini del diritto alla
pensione di invalidità - è espressione di un principio
generale del sistema previdenziale, diretto ad impedire
che il lavoratore perda il diritto alla prestazione
previdenziale allorchè il versamento contributivo sia
carente per ragioni a lui non imputabili, con la
conseguenza che non è necessario che la causa impeditiva
operi nel corso di un rapporto di lavoro, in atto
sospeso, e che, in caso di mancata maturazione del
requisito contributivo specifico, consistente nella
contribuzione versata nell'ultimo quinquennio precedente
la domanda per il pensionamento di invalidità imputabile
ad infermità dell'assicurato, deve ritenersi sufficiente
il requisito contributivo cosiddetto generico (2).
______
(1) Cass. civ., 15 settembre 1970,
n. 1507; Cass. civ., 24 gennaio 1992, n. 765.
(2) Cass. civ., Sez. lav., 8
gennaio 2009, n. 166.
orte di Cassazione Civile n.
17739/2011, sez. lavoro del 29/8/2011
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Ritenuto in fatto
Con la sentenza indicata in
epigrafe la Corte d’appello di Genova, confermando la
decisone di primo grado, ha affermato il diritto di (…)
a percepire l’indennità di disoccupazione dal 1° gennaio
2006 al 30 aprile 2006, ritenendo che il biennio
antecedente l’inizio dello stato di disoccupazione
(biennio nel quale deve realizzarsi il requisito
dell’anno di contribuzione richiesto per l’attribuzione
del suddetto trattamento previdenziale), dovesse essere,
nella specie, ampliato facendo applicazione
dell’istituto della c.d. “neutralizzazione” in relazione
a un periodo (5 mesi) corrispondente a quello di
astensione obbligatoria per maternità, fruito dall’(…)
al di fuori del rapporto di lavoro, ma indennizzato e
coperto da contribuzione figurativa.
L’INPS chiede la cassazione di
questa sentenza con ricorso fondato su un unico motivo.
La parte privata non ha svolto attività difensiva.
Considerato in diritto
Nell’unico motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione degli art. 12 e 37 del
DPR_818_1957 in riferimento all’art. 19 r.d.l. 636 del
1939, l’Inps sostiene che le conclusioni della sentenza
impugnata muovono da un’incompleta disamina delle norme
che disciplinano la materia posto che i periodi di
maternità corrispondenti a quelli dell’astensione
obbligatoria dal lavoro, ma non interni ad un rapporto
di lavoro, non danno luogo
a contribuzione figurativa utile ai
fini della tutela contro la disoccupazione, né possono
essere “neutralizzati” ai fini del computo del biennio,
nel quale, ai sensi dell’art. 19 citato r.d.l. 636 del
1939, deve realizzarsi l’anno di contribuzione
prescritto per il conseguimento del suddetto trattamento
previdenziale. Tanto, sottolinea l’Istituto ricorrente,
è reso evidente in particolare dalla disciplina
dell’art. 37 d.p.r. 818 del 1957 ed appare
successivamente ribadito dal legislatore nell’art. 25
del decreto_legislativo_151_2001.
Il ricorso è fondato.
Prima di procedere all’esame delle
disposizioni di legge che vengono in rilievo nella
fattispecie controversa, ritiene la Corte necessaria una
premessa di carattere generale.
I contributi figurativi sono
espressione della partecipazione finanziaria dello Stato
al sistema di sicurezza sociale: in presenza di
particolari eventi che possono pregiudicare, per il
lavoratore, il futuro godimento delle prestazioni
previdenziali e che la legge, di volta in volta,
qualifica come meritevoli di tutela attraverso
l’intervento della solidarietà generale, il
finanziamento pubblico si sostituisce (sotto forma,
appunto, di contribuzione fittizia) alla contribuzione
dei datori e dei prestatori di lavoro.
Peraltro, proprio perché si tratta
di interventi che vanno ad incidere sull’intera
collettività, la legge stabilisce, in modo
particolareggiato, le prestazioni che ne costituiscono
oggetto e quali ne sono le
modalità e i limiti. Si tratta
quindi, per ogni situazione regolamentata, di una
disciplina speciale che non può essere “esportata” ad
altre e diverse situazioni in nome di un “principio
generale” di sistema che, per le considerazioni appena
esposte, non ha ragion d’essere quando si tratti di
sostituire all’apporto finanziario da parte delle
categorie interessate quello dello Stato.
Non può, conseguentemente,
condividersi la sentenza impugnata, laddove, richiamando
la sentenza di questa Corte n. 8895 del 2003
(quest’ultima riferita ai periodi di contribuzione
necessari ai fini del diritto alla pensione di
invalidità) e facendone propria la tesi, afferma
l’esistenza, nel sistema previdenziale, di un principio
generale di “neutralizzazione” dei periodi di
contribuzione figurativa, applicabile, dunque, per tutte
le prestazioni previdenziali; né tantomeno può
considerarsi conforme a diritto l’affermazione secondo
cui il principio in questione sarebbe argomentabile
dalle disposizioni dettate dall’art.37 del d.p.r. 26
aprile 1957 n. 818.
Deve, infatti, osservare la Corte
l’art. 37 del d.p.r. n. 818 del 1957, nel suo secondo
comma, considera rilevanti, ai fini della loro
esclusione (c.d. neutralizzazione) dal computo del
periodo contributivo necessario per l’acquisizione del
diritto alle varie prestazioni nello stesso comma
nominativamente indicate (e, tra queste, le indennità di
disoccupazione) “I periodi indicati
nel comma precedente .. ” ossia
(primo comma) “I periodi riconosciuti come periodi di
contribuzione a norma dei precedenti articoli 10 e 12 …”
(prima alinea del primo comma), nonché quelli
considerati nelle successive lettere a), b), c) e d)
dello stesso primo comma. Non, dunque, tutti i periodi
coperti da contribuzione figurativa ma solamente quelli
specificamente indicati nell’art. 37. E tali sono - per
quanto riguarda i periodi di maternità (i soli che
vengono in questione nel caso controverso) - ” i periodi
di interruzione obbligatoria del lavoro durante lo stato
di gravidanza e puerperio ..” sempre che si verifichino
nel corso di una prestazione d’opera determinante
l’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione
(art. 12, commi secondo e terzo), cui si aggiungono (ai
sensi dell’art. 37, primo comma, letta) “i periodi di
assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto previsti
dal secondo comma dell’arto della legge 26 agosto 1950
n. 860, nel testo modificato dalla legge 23 maggio 1951
n. 394″ (dunque i
periodi di assenza, ma sempre interni al rapporto di
lavoro, dei quali ha facoltà di fruire la lavoratrice
madre).
In sostanza, giusta le dettagliate
indicazioni risultanti dal combinato disposto degli
artt. 12 e 37 del d.p.r. n. 818 del 1957, sono esclusi
dal computo del biennio previsto dall’art. 19 del citato
r.d.l. n. 636 del 1939 solamente i periodi di astensione
obbligatoria per maternità e di assenza facoltativa dopo
il parto fruiti nel corso di un rapporto di lavoro che
viene interrotto per il verificarsi dell’evento
tutelato.
Questa conclusione non è
contraddetta dalle norme di legge successivamente
intervenute e che hanno dato tutela, attraverso la
contribuzione figurativa, anche ai periodi di maternità
verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro.
Il d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503
(recante “Norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici) che,
appresta, per la prima volta, tale tutela, prevede,
infatti, nell’art. 14 (primo comma) la facoltà di
riscattare, a domanda, i” periodi corrispondenti a
quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza
e puerperio”; mentre, sempre nell’art. 14 (terzo comma),
considera coperti da contribuzione figurativa i periodi
per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dal
lavoro per gravidanza e puerperio” ancorché intervenuti
al di fuori del rapporto di lavoro”. Si tratta,
tuttavia, di contribuzione da accreditare secondo le
disposizioni di cui all’art. 8 della legge 23 aprile
1981 n. 155 (ultima alinea del terzo comma) e, dunque,
unicamente agli effetti
dell’acquisizione del diritto a pensione.
Statuizione, quest’ultima
convalidata dall’ art. 2, quarto comma, del d.lgs. 16
settembre 1996 n. 564, il quale, anch’esso, dispone che
i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal
lavoro di cui agli articoli 4 e 5 della legge 30
dicembre 1971 n. 1204 (e successive modificazioni ed
integrazioni) verificatisi al di fuori del rapporto di
lavoro ” sono considerati utili ai fini pensionistici”,
indipendentemente dal loro verificarsi precedentemente o
successivamente al 1° gennaio 1994 (data quest’ultima
cui faceva, invece, riferimento l’art. 14 del citato
d.lgs n. 503 del 1992).
II.contenuto della norma di legge
appena decritto è stato, a sua volta, sostanzialmente
recepito nell’art. 25, secondo comma, del decreto
legislativo 26 marzo 2001 n.151 (che raccoglie, in forma
di testo unico, le disposizioni legislative in materia
di tutela della maternità e della paternità), il quale
stabilisce, ancora una volta, che i periodi
corrispondenti al congedo di maternità di cui ai
(precedenti) articoli 16 e 17 (ossia i periodi di
astensione obbligatoria e quelli in cui il divieto di
adibizione al lavoro della donna in gravidanza è
anticipato per disposizione del servizio ispettivo del
Ministero del lavoro) “verificatisi al di fuori del
rapporto di lavoro ono considerati utili ai fini
pensionistici …”.
Come rende evidente il loro dato
testuale, le disposizioni normative appena analizzate
riconoscono come periodi di contribuzione i periodi
corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria per
maternità verificatisi al di fuori del rapporto di
lavoro, ma unicamente a fini pensionistici. Nessuna di
esse menziona, invero, l’indennità di disoccupazione, né
al fine di integrare, attraverso la contribuzione
figurativa, il requisito contributivo necessario
all’acquisizione del relativo diritto, né al fine di
escludere (ovvero di “neutralizzare”) i sopra indicati
periodi dal computo del biennio nel quale deve
realizzarsi l’esistenza del requisito in parola.
Ne deriva, con riferimento alla
presente controversia, che dal biennio previsto
dall’art. 19 del r.d.l. n. 636 del 1939, ai fini
dell’accertamento del requisito contributivo necessario
al riconoscimento del diritto alla indennità di
disoccupazione richiesta dalla lavoratrice odierna
intimata, non poteva essere escluso (”neutralizzato”) il
periodo (cinque mesi) corrispondente a quello di
astensione obbligatoria per maternità, ma da essa fruito
al di fuori del rapporto di lavoro, benché “coperto” da
contribuzione figurativa; con l’ulteriore conseguenza
che, essendo l’ampliamento del biennio in questione
determinante ai fini del perfezionamento del ripetuto
requisito contributivo,la sentenza impugnata
(contrariamente a quanto dalla stessa ritenuto) doveva
affermarne l’insussistenza.
Le
considerazioni che precedono
possono sintetizzarsi nel seguente principio di diritto:
“I periodi corrispondenti a quelli per i quali sia
prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro in
relazione all’evento maternità, ma che si collochino al
di fuori del rapporto di lavoro, seppure riconosciuti
come periodi contributivi attraverso la contribuzione
figurativa (come previsto, nel tempo, dall’art. 14,
commi 3, del dlgs. n. 503 del 1992; poi, dall’art. 2,
comma 4, del dlgs. n. 564 del 1996; infine, dall’art.
25, comma 2, del dlgs. n. 151 del 2001), non sono utili
ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di
disoccupazione e neppure possono essere esclusi
(”neutralizzati”) dal computo del biennio previsto
dall’art. 19 del r.d.l. n. 636 del 1939 per
l’accertamento del requisito contributivo necessario per
il diritto in questione”.
In conclusione il ricorso dell’INPS
va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa,
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è
decisa direttamente nel merito da questa Corte (art.384
c.p.c.) nel senso del rigetto della domanda di (…).
Stante la particolarità della
questione, per la prima volta all’esame di questa Corte,
si compensano tra le parti le spese dell’intero
processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la
sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda. Compensa fra le parti le spese dell’intero
processo.
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