E’ stata appena sfornata la
sentenza con cui la Cassazione ha affermato un chiaro
principio in materia di rapporti tra addebito della
separazione per l’infedeltà del coniuge e risarcimento
dei danni conseguenti.
Questo, in estrema sintesi, il
principio affermato: l’addebito della separazione ha i
suoi presupposti e produce determinate conseguenze. Il
risarcimento del danno per violazione del dovere di
fedeltà segue altre regole e si fonda su requisiti
diversi. Non c’è dunque collegamento necessario tra
addebito e risarcimento e, se anche il coniuge tradito
rinuncia alla domanda di addebito, non per questo può
essergli impedito di coltivare la domanda risarcitoria.
Il principio in realtà era stato
già affermato più volte dai giudici di merito (ricordo
per esempio la bellissima pronuncia veneziana del 3
luglio 2006) e, anzi, si deve proprio alla
giurisprudenza di prossimità la pugnace opera di
interpretazione estensiva. Un tempo, infatti, e fino
agli anni 2000 era quasi un assurdo ipotizzare un’azione
risarcitoria tra coniugi; e ciò per ragioni che
affondano le radici in una anacronistica concezione del
diritto di famiglia.
La stessa Cassazione era in realtà
già intervenuta ad affermare l’ammissibilità dell’azione
di responsabilità civile tra marito e moglie, ma
quest’ultima pronuncia è destinata ad avere grande eco
soprattutto perché si è soffermata sulla fattispecie che
più di altre aveva sollevato dubbi: quella , appunto,
del danno da adulterio.
Attenzione, però, che anche questo
deve essere chiaro ed è stato qui ribadito: non è la
semplice infedeltà a fondare la pretesa risarcitoria, ma
le modalità con cui la stessa è stata consumata, andando
a ledere la dignità o la salute del coniuge vittima. E’
stata appena sfornata la sentenza con cui la Cassazione
ha affermato un chiaro principio in materia di rapporti
tra addebito della separazione per l’infedeltà del
coniuge e risarcimento dei danni conseguenti.
Questo, in estrema sintesi, il
principio affermato: l’addebito della separazione ha i
suoi presupposti e produce determinate conseguenze. Il
risarcimento del danno per violazione del dovere di
fedeltà segue altre regole e si fonda su requisiti
diversi. Non c’è dunque collegamento necessario tra
addebito e risarcimento e, se anche il coniuge tradito
rinuncia alla domanda di addebito, non per questo può
essergli impedito di coltivare la domanda risarcitoria.
Il principio in realtà era stato
già affermato più volte dai giudici di merito (ricordo
per esempio la bellissima pronuncia veneziana del 3
luglio 2006) e, anzi, si deve proprio alla
giurisprudenza di prossimità la pugnace opera di
interpretazione estensiva. Un tempo, infatti, e fino
agli anni 2000 era quasi un assurdo ipotizzare un’azione
risarcitoria tra coniugi; e ciò per ragioni che
affondano le radici in una anacronistica concezione del
diritto di famiglia.
La stessa Cassazione era in realtà
già intervenuta ad affermare l’ammissibilità dell’azione
di responsabilità civile tra marito e moglie, ma
quest’ultima pronuncia è destinata ad avere grande eco
soprattutto perché si è soffermata sulla fattispecie che
più di altre aveva sollevato dubbi: quella , appunto,
del danno da adulterio.
Attenzione, però, che anche questo
deve essere chiaro ed è stato qui ribadito: non è la
semplice infedeltà a fondare la pretesa risarcitoria, ma
le modalità con cui la stessa è stata consumata, andando
a ledere la dignità o la salute del coniuge vittima.
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