Svolgimento del processo
La s.n.c. La P. di I. & C. convenne
dinanzi al Tribunale di Parma la L s.p.a. esponendo di
avere stipulato, in data 19 gennaio 1999, un contratto
di leasing in forza del quale la L si era impegnata ad
acquistare dalla ditta B, concessionaria della società
costruttrice Man, un veicolo da allestire con una gru e
di concederlo in godimento alla società La P. dietro il
pagamento dell'importo di lire 18.550.000 al momento
della firma dell'atto ed il versamento di 47 canoni
mensili di lire 3.974.000 cadauno: che la L aveva
versato il prezzo pattuito alla B ma ricevuto, anziché
l'originale, una copia poi accertata falsa del
certificato di conformità dello stesso; che la Man,
effettiva proprietaria del mezzo, aveva revocato ogni
incarico al concessionario B e si era rifiutata di
consegnare i documenti necessari per l'immatricolazione
dell'automezzo. Tanto esposto, chiese che fosse
accertato il mancato perfezionamento del contratto di
leasing ovvero che ne fosse disposta la risoluzione per
inadempimento della convenuta, con sua condanna alla
restituzione degli importi versati.
Nel contempo la L s.p.a. propose al
Presidente del Tribunale di Milano ricorso per decreto
ingiuntivo per ottenere dalla società La P. e dai
consorti I., in qualità di soci fideiussori, il
pagamento dei canoni non corrisposti previsti dal
medesimo contratto di leasing. Proposta opposizione da
parte di tutti gli intimati, il Tribunale di Milano
annullò il decreto ingiuntivo per difetto di competenza
territoriale in favore del Tribunale di Parma, dinanzi
al quale la causa fu riassunta e riunita a quella
introdotta dalla società La P..
In esito del giudizio, il Tribunale
di Parma dispose la risoluzione del contratto di leasing
per inadempimento della società L, che condannò alla
restituzione delle somme ricevute in esecuzione dello
stesso. Interposto gravame, con sentenza n. 586 del 25
maggio 2005 la Corte di appello di Bologna confermò la
decisione di primo grado, assumendo che la L doveva
considerarsi inadempiente in quanto non aveva acquistato
il veicolo oggetto del contratto di leasing, atteso che
la proprietà dello stesso risultava intestata a persona
diversa dal suo dante causa B, vale a dire alla società
costruttrice Man, che aveva conservato presso di sé il
certificato di conformità del mezzo, sicché non poteva
considerarsi realizzato il trasferimento del godimento
del bene in favore dell’utilizzatore; aggiunse, inoltre,
che la circostanza che La P. avesse sottoscritto la
dichiarazione di avvenuta consegna del bene non
comportava a carico di essa nessuna responsabilità in
ordine al mancato acquisto da parte della L né
quest'ultima poteva invocare a suo favore la clausola di
esonero della responsabilità prevista dal contratto, che
escludeva a carico della concedente la colpa per
eventuali ritardi nella consegna dei documenti di
circolazione del bene ed accollava all'utilizzatore
l'impegno di verificare che il veicolo fosse dotato dei
documenti necessari per la sua omologazione, tenuto
conto che il mancato acquisto era dipeso dal
comportamento della stessa concedente L, che non aveva
accertato che il suo dante causa B fosse il reale
proprietario del bene, nonché dell'ulteriore circostanza
che il verbale di consegna del mezzo venne fatto
sottoscrivere alla società La P. anticipatamente in
bianco, su moduli predisposti dalla L medesima, senza
indicazione della data della consegna e del collaudo, in
effetti mai avvenuto. Con atto notificato il 28 novembre
2005, la società L ricorre per la cassazione di questa
decisione, affidandosi a quattro motivi. La società La
P. ed i consorti I resistono con controricorso. La
s.p.a. Unicredit Leasing, già L per atto di variazione
della denominazione sociale, e i controricorrenti hanno
depositato memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso, che
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
815, 818, 1153, 1156 e 1376 cod. civ. ed omessa,
insufficiente o comunque contraddittoria motivazione,
censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha
affermato che non vi era agli atti la prova
dell'acquisto del veicolo oggetto del contratto di
leasing da parte della L ed ha anzi escluso il relativo
trasferimento in forza della mera circostanza che la
società costruttrice Man aveva trattenuto presso di sé
il certificato di conformità. Tale affermazione, ad
avviso della ricorrente, è totalmente errata, per avere
il giudice territoriale ignoralo e quindi disapplicato
il principio consensualistico che regge il contratto di
compravendita, il quale si forma ed è efficace in forza
della manifestazione del mero consenso delle parti,
rientrando invece la consegna dei documenti inerenti al
bene e le eventuale trascrizione del trasferimento in
pubblici registri tra gli adempimenti successivi alla
conclusione del contratto. Nel caso di specie, si
aggiunge, è pacifico ed incontestato che la tra Locai e
la B intercorse un accordo per la vendita
dell'automezzo. Il mezzo è infondato.
Le censure sollevate dal ricorso
non hanno pregio in quanto non investono l’effettiva
ratio della decisione impugnata, la quale ha escluso la
validità ed efficacia dell'acquisto dell'automezzo ad
opera della società L non già in ragione della mancata
consegna dei documenti inerenti al mezzo ma in quanto la
cessione era stata stipulata da persona, la ditta B, che
risultava non essere l'effettiva proprietaria del bene
venduto né di avere mai concluso con la costruttrice
società Man un valido contratto di acquisto. La sentenza
si sottrae, pertanto, alle censure di violazione di
legge, avendo giustificato la soluzione in ordine alla
inefficacia dell'acquisto non per ragioni inerenti al
procedimento di formazione del contratto o
all'adempimento di obblighi accessori, ma in ragione
della mancata titolarità della proprietà del bene in
capo alla parte venditrice. Il secondo motivo di ricorso
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
815, 818, 1140, 1147, 1153 e 1156 cod. civ. ed omessa,
insufficiente o comunque contraddittoria motivazione,
lamentando che la Corte di merito non abbia riconosciuto
che comunque la L era diventata proprietaria del veicolo
in virtù delle disposizioni in materia di acquisto a non
domino di beni mobili, atteso il principio
giurisprudenziale secondo cui il bene mobile che, pur
dovendo essere iscritto nei pubblici registri, non sia
stato ancora iscritto, è oggetto di acquisto da parte
del possessore di buona fede secondo le modalità di cui
all’art. 1153 cod. civ. L'affermazione della sentenza
secondo cui la L non avrebbe nemmeno allegato
circostanze idonee ad affermare un suo valido acquisto a
non domino appare il risultato di un grave errore nella
valutazione delle risultanze degli atti, atteso che i
requisiti sia soggettivi che oggettivi dell'acquisto a
non domino erano insiti nella stessa dinamica dei fatti
in discussione, una volta tenuto conto che la L era
stata immessa nel possesso del veicolo mediante la sua
consegna alla società La P. e che essa, nel momento
dell'acquisto, era chiaramente in buona fede, ignorando
che lo stesso era di proprietà di altri. Il motivo
appare inammissibile.
Né dalla lettura del ricorso né
dalla visione della sentenza impugnata emerge che nel
corso del giudizio di merito la società L abbia mai
invocato, a sostegno del suo asserito acquisto della
proprietà del bene da concedere in leasing, la regola
del possesso vale titolo dettata dall'art. 1153 cod.
civ. in favore dell'acquirente a non domino in buona
fede. Costituisce diritto vivente di questa Corte il
principio che qualora una determinata questione
giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non
risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata,
il ricorrente che riproponga la questione in sede di
legittimità, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità, ha l'onere sia di allegare l'avvenuta
deduzione della questione innanzi al giudice di merito,
sia di indicare in quale scritto difensivo o atto del
giudizio precedente lo abbia fatto (Cass. n. 5070 del
2009; Cass. n. 25546 del 2006). La censura che contesta
la mancata applicazione della disposizione di cui
all'art. 1153 cod. civ. è quindi inammissibile, per
novità della questione proposta.
Sul punto giova sottolineare che
l'applicazione della regola possesso vale titolo
nell'ambito degli acquisti a non domino - estensibile,
per giurisprudenza costante di questa Corte, anche ai
casi di beni mobili da iscriversi in pubblici registri
nel caso in cui tale situazione si verifichi prima della
registrazione (Cass. n. 15810 del 2002) - necessita, per
poter essere dichiarata, di una domanda specifica della
parte che la invochi, rientrando nella disponibilità
della stessa avvalersene o meno, e richiede da parte del
giudice di merito un accertamento di fatto che
verifichi, nel concreto, la sussistenza delle condizioni
richieste dalla legge, consistenti nell'esistenza di un
titolo idoneo al trasferimento della proprietà,
nell'avvenuta consegna del bene e nello stato di buona
fede dell'acquirente. La sua dichiarazione da parte del
giudice si pone, pertanto, al di là della mera attività
di individuazione delle norme giuridiche applicabili
alta fattispecie concreta dedotta in giudizio, essendo
sempre necessaria una domanda specifica della parte, che
nella specie è mancata. È noto inoltre che, nel giudizio
di legittimità, che ha natura di impugna/ione
rescindente, non sono ammesse domande nuove né nuovi
accertamenti di fatto, nella specie indispensabili al
fine di riscontrare la ricorrenza delle condizioni
richieste dall'art. 1153 cod. civ., che questa Corte,
quale giudice di legittimità, non può compiere.
Il terzo motivo di ricorso, che
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
1322, 1372, 1375 e 1453 cod. civ. ed omessa,
insufficiente o comunque contraddittoria motivazione,
censura la sentenza impugnata per avere ritenuto
inoperante la clausola contrattuale che esonerava la
concedente da "qualsiasi responsabilità per eventuali
ritardi o inadempienze del fornitore, ivi compresa la
mancata consegna totale o parziale del veicolo",
stabilendo altresì che "anche qualora esso non fosse in
grado di utilizzare il veicolo alla data di decorrenza
del contratto per qualsiasi ragione non direttamente
imputabile al concedente, l'utilizzatore non avrà
diritto di chiedere indennizzi o altri risarcimenti al
concedente o di non corrispondere il canone". La
statuizione impugnata, prosegue il ricorso, ha
dichiarato l'inefficacia di tali clausole richiamando a
sostegno l'orientamento della Corte di cassazione
inaugurato con la sentenza n. 10926 del 1998, ma senza
considerare che nel caso di specie la consegna è stata
solo parziale ed incompleta e che i vizi erano emersi
solo in un momento successivo alla dazione del bene. In
tale ipotesi la clausola di esonero della responsabilità
del concedente dovrebbe infatti considerarsi valida,
tenuto conto che il contratto di leasing ha una causa
prevalentemente finanziaria e che il concedente non può
estendere il suo controllo alla qualità e funzionalità
dei beni forniti all'utilizzatore, essendo a) contrario
a carico di quest'ultimo l'onere di verificare, al
momento della consegna, il bene ed i documenti che lo
accompagnano. Il mezzo è infondato.
La decisione impugnata, che ha
disapplicato la clausola negoziale di esonero della
responsabilità del concedente, appare conforme al
costante indirizzo di questa Corte, che, muovendo dalla
premessa che l'operazione di leasing finanziario non da
luogo ad un unico contratto plurilaterale, ma realizza
una figura di collegamento negoziale tra contratto di
leasing e contratto di fornitura, ha affermato che
l'eccezione dell'utilizzatore di inadempimento
dell’obbligazione di consegna non può trovare ostacolo
nel fatto che il contratto di leasing contenga una
clausola che riversa sull'utilizzatore il rischio della
mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte
clausole, in quanto contrastanti con l’obbligazione del
concedente di procurare all'altra parte il godimento del
bene (Cass. n. 10926 del 1998; nello stesso senso: Cass.
n. 11669 del 1998; Cass. n. 10032 del 2004; Cass. n.
20592 del 2007). Parte ricorrente non contesta tale
principio, ma evidenzia che la fattispecie concreta
diverge da quella tipica di mancata consegna del bene,
in quanto l'irregolarità era solo parziale e si era
manifestata dopo la consegna del veicolo. L'argomento
non ha pregio. Ed invero la sentenza impugnata, in
ordine alla gravità dell'inadempimento, ha affermato,
anche qui con accertamento di fatto, che la mancata
consegna dei documenti necessari per l'immatricolazione
del mezzo - circostanza questa del tutto pacifica -
impediva la sua utilizzazione, sicché era specifico
obbligo del concedente procurarli, al fine di adempiere
alla sua obbligazione. La valutazione operata dal
giudice di merito circa la gravità dell'inadempimento
imputabile al concedente smentisce pertanto la premessa
di fatto dedotta dalla ricorrente a sostegno del motivo,
in ordine alla scarsa importanza della mancata consegna
dei documenti in questione. Il quarto motivo di ricorso,
che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
1227. 1375, 1453, 2697, 2702, 2704 e 2722 cod. civ. ed
omessa, insufficiente o comunque contraddittoria
motivazione, censura la sentenza impugnata per avere
disatteso l'argomentazione della appellante secondo cui
la sottoscrizione del verbale di consegna del bene senza
riserve da parte della P., con la conseguente
accettazione dello stesso, costituiva circostanza tale
da far sorgere in capo alla concedente la convinzione
della regolarità e validità dell'acquisto, con l'effetto
che, per il principio di autoresponsabilità
contrattuale, i successivi inconvenienti sorti a seguito
del rifiuto della Man di consegnare i documenti
necessari per la immatricolazione non potevano essere
addebitati alla concedente, che aveva confidato senza
colpa sulla dichiarazione dell'utilizzatole. La Corte di
merito, invero, ha riconosciuto la validità in astratto
di tale argomentazione, ma contraddittoriamente, non ha
ritenuto di accoglierla, sostenendo, del tutto
arbitrariamente, che tali circostanze non erano idonee
"ad elidere la responsabilità della L, che non ha
accertato in alcun modo che il Baccini fosse il vero
proprietario, precludendo per tale via in ogni caso
all'utilizzatore di poter godere del bene" e che
comunque il verbale di consegna non aveva valore, in
quanto la L lo aveva fatto firmare alla P. in bianco "in
via anticipata e senza quindi l'apposizione della data
dell'avvenuta consegna e collaudo che per l'appunto non
era mai avvenuto".
Ad avviso del ricorso si tratta
però di affermazioni arbitrarie ed errate sia in fatto
che in diritto, tenuto conto che la data non costituisce
elemento essenziale della scrittura privata e, in fatto,
l'avvenuta consegna del bene non è in discussione e che
di essa la ricorrente ebbe conferma per il fatto che il
veicolo era stato mandato all'officina per
l'istallazione, sicché a fronte della dichiarazione
della P. di avere ricevuto in consegna il bene e tutta
la documentazione necessaria non vi era motivo per
addebitare alla L la responsabilità dei fatti per cui è
causa, essendo stata la sua condotta sempre improntata
alla massima correttezza e buona fede. Anche
quest'ultimo motivo è infondato.
Assorbente rispetto alle censure
sollevate è l'accertamento con cui il giudice di merito
ha dichiarato l'inefficacia del verbale di consegna del
bene, in quanto fatto sottoscrivere alla società La P.
anticipatamente e in bianco su moduli predisposti dalla
stessa concedente L, senza indicazione della data di
consegna e del collaudo. Tale accertamento di fatto
nemmeno è contestato dalla ricorrente, la quale anzi
ammette che è prassi delle società di leasing far
sottoscrivere poco prima della formalizzazione del
contratto il verbale di consegna, su moduli già
predisposti dalla concedente (pagg. 39 e 41 del
ricorso). La salutazione della Corte di appello, che ha
escluso che dalla sottoscrizione del predetto documento,
viste le condizioni in cui essa era avvenuta, la
concedente potesse trarre legittimo affidamento in
ordine alla effettiva e regolare consegna del bene,
accollando alla controparte l'insuccesso
dell'operazione, appare quindi giuridicamente corretta
ed adeguatamente motivata.
Il ricorso deve essere pertanto
respinto.
Le spese di giudizio, liquidate
come in dispositivo, vanno poste a carico della parte
soccombente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la
società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio,
che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi,
oltre spese generali ed accessori di legge.
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