Svolgimento del processo
La s.a.s. N, proprietaria di un
immobile nello stabile condominiale di via (omissis),
impugnava in più parti (servizio di portineria,
installazione di citofono esterno, fornitura ed
installazione di cassette da lettere) la delibera
condominiale 7/3/2000 sostenendone l'invalidità o
l'inefficacia.
Il condominio convenuto,
costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda
dell'attrice e, in via riconvenzionale, l'eliminazione
di opere abusive realizzate dalla N occupando spazi
condominiali.
Nel corso del processo, alla
prosecuzione dell'udienza ex articolo 183 c.p.c.,
intervenivano in giudizio i condomini s.a.s. Centro
Tecnico Ortopedico (CTO), S.A. e M.L. i quali, oltre a
riportarsi alle richieste formulate dal condominio in
sede di comparsa di risposta, chiedevano la
dichiarazione di nullità di due nuove delibere
condominiali 3/4/2001 e 20/7/2000 con le quali era stato
approvato (a maggioranza) l'accordo transattivo per la
definizione del giudizio con la N.
Con sentenza 5/3/2002 l'adito
tribunale di Torino dichiarava cessata la materia del
contendere tra parte attrice e parte convenuta e,
ritenuto ammissibile l'intervento dei tre condomini,
dichiarava nei confronti degli stessi la nullità della
delibera condominiale 3/4/2001 e, conseguentemente,
dichiarava l'inefficacia nei confronti dei detti
condomini dell'accordo transattivo raggiunto dalle parti
originarie del giudizio.
Avverso la detta sentenza la
società N proponeva appello al quale resistevano i tre
condomini, intervenuti nel giudizio di primo grado,
spiegando appello incidentale. Il condominio si
costituiva svolgendo difese analoghe a quelle della
società appellante principale.
Con sentenza 4/2/2004 la corte di
appello di Torino in parziale riforma della decisione
impugnata: a) dichiarava inammissibile la domanda
proposta dai condomini in via di intervento principale
relativa alla declaratoria di nullità delle delibere
20/7/2000 e 3/4/2001 concernenti l'approvazione
dell'accordo transattivo; b) dichiarava cessata la
materia del contendere tra parte appellante e parte
appellata in relazione alla domanda proposta in via di
intervento litisconsortile quanto al rigetto della
domanda attorea ed all'accoglimento di quella
riconvenzionale; c) confermava nel resto l'impugnata
sentenza; d) condannava gli appellanti principali al
pagamento in favore del condominio e della N della metà
delle spese del doppio grado del giudizio. La corte di
appello osservava: che era coperta da giudicato, in
quanto non oggetto di impugnazione, la qualificazione
data dal tribunale all'intervento come principale, in
relazione alla domanda di nullità delle delibere
3/4/2001 e 20/7/2000 con riferimento all'accordo
transattivo, ed in parte come litisconsortile quanto al
rigetto della domanda della società attrice ed
all'accoglimento della domanda riconvenzionale; che, in
base ad una corretta e razionale interpretazione (nel
rispetto anche del principio del giusto processo di cui
all'articolo 111 Costituzione) di quanto disposto dagli
articoli 268, 105, 183 c.p.c., l'oggetto dell'intervento
principale doveva ritenersi possibile ed utile per
l'interveniente solo fino al momento della maturazione
delle preclusioni per le attività assertive delle parti
originarie; che le domande originarie di parte attrice e
quelle successive degli intervenuti avevano oggetto
radicalmente diverso avuto riguardo al petitum
sostanziale desunto sia dalla formulazione
originariamente proposta, sia dai motivi di impugnazione
delle varie delibere condominiali, sia dal contenuto di
tali delibere; che la domanda iniziale della società N
mirava alla eliminazione delle delibere impugnate,
mentre la domanda degli interventori era volta alla
eliminazione degli effetti della transazione, fatto
posteriore e diverso rispetto alle delibere impugnate
dalla società; che si trattava quindi di cause aventi
oggetti diversi che non richiedevano il "simultaneus
processus", sicché sotto tale profilo mancava un
elemento strutturale proprio dell'intervento principale;
che l'intervento era avvenuto mentre erano in corso le
udienze di cui al quinto comma dell'articolo 183 c.p.c.
per cui era spirato il termine ( di cui al quarto comma
del citato articolo ) per parte attrice di proporre
domande nuove dipendenti dalle difese di parte
convenuta; che pertanto, a norma del secondo comma
dell'articolo 268 cpc, anche per gli intervenuti valeva
la detta preclusione con conseguente inammissibilità
della domanda proposta in via di intervento principale
trattandosi di domanda nuova mai formulata in precedenza
nel processo e del tutto priva di riferimento
all'oggetto del processo originario; che in conclusione
andava dichiarata inammissibile la domanda proposta
dalle parti appellate intervenute in via principale
concernente la declaratoria di nullità delle delibere
20/7/2000 e 3/4/2001 relative alla transazione
deliberata; che restava da considerare l'intervento
litisconsortile relativo al rigetto della domanda
originaria della società attrice ed all'accoglimento di
quella riconvenzionale formulata dal condominio; che
tale ultima domanda era venuta meno per la raggiunta
transazione; che essendo inammissibile la domanda degli
intervenuti in via principale circa la transazione ed
essendo quindi tale transazione loro opponibile, la
materia del contendere circa la domanda proposta in via
litisconsortile era del pari cessata in ragione della
delibera 3/4/2001 implicante la revoca della delibera
7/3/2000 sul cui fondamento il condominio aveva proposto
la domanda riconvenzionale; che pertanto la medesima
pronuncia della cessazione della materia del contendere
adottata tra le parti originarie valeva pure nei
confronti degli appellati intervenuti; che erano
assorbite le diverse eccezioni e doglianze; che
sussistevano giusti motivi per la parziale compensazione
tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio;
che la residua metà di tali spese andava posta a carico
degli appellanti incidentali.
La cassazione della sentenza della
corte di appello di Torino è stata chiesta dalla società
CTO, da S.A. e da M.L. con ricorso affidato a sei
motivi. La società N ha resistito con controricorso.
All'udienza del 9/3/2010 questa Corte ha disposto la
rinotifica del ricorso al condominio. A tale ordinanza
non è stata data esecuzione per cui - dopo l'invio degli
atti al P.G. il quale ha chiesto la pronuncia di
inammissibilità del ricorso - è stata disposta la
trattazione in camera di consiglio. I ricorrenti hanno
depositato memoria sostenendo l'insussistenza
dell'ipotesi prevista dall'articolo 375 c.p.c. e
chiedendo la trattazione in pubblica udienza. A seguito
dell'ordinanza di questa Corte, pronunciata all'esito
dell'udienza camerale del 14 dicembre 2010, è stata
disposta la discussione in pubblica udienza.
Motivi della decisione
Innanzitutto va rilavato che il
ricorso è stato ritualmente e tempestivamente notificato
al condominio di via (omissis) come risulta dalla relata
di notifica depositata unitamente al ricorso. Deve
quindi essere revocata l'ordinanza con la quale questa
Corte, all'udienza del 9/3/2010, ha disposto la
rinotifica al detto condominio.
Ciò posto, sempre in via
preliminare, va rilevata l'infondatezza dell'eccezione
sollevata dalla società resistente relativa alla
inammissibilità del ricorso per irritualità della
procura, rilasciata al difensore in calce all'atto, in
quanto priva del requisito della specialità.
Al riguardo è appena il caso di
osservare che è ormai consolidato nella giurisprudenza
di legittimità il principio secondo cui il requisito
della specialità della procura previsto dall'articolo
365 c.p.c. può essere ravvisato, indipendentemente dal
tenore delle espressioni usate nella redazione
dell'atto, per il solo fatto che - come nella specie -
la procura sia apposta a margine o in calce al ricorso
venendo in tal caso a costituire un corpo unico ed
inscindibile con il ricorso stesso, escludendosi perciò
ogni dubbio sulla volontà della parte. Peraltro la
procura al difensore apposta con espressioni generi-che,
che tuttavia non escludono univocamente la volontà della
parte di proporre ricorso per cassazione, deve ritenersi
in dubbio speciale e non generica, in applicazione del
principio interpretativo di conservazione dell'atto
giuridico (articolo 1367 c.c.) di cui è espressione
l'articolo 159 c.p.c. per gli atti processuali. Inoltre
a nulla rilevano eventuali riferimenti "al presente
procedimento" o alla facoltà concessa al difensore di
"transigere, conciliare o transigere", trattandosi di
espressioni superflue che non eliminano il collegamento
tra procura e ricorso per cassazione, specie quando vi
siano elementi favorevoli come l'elezione di domicilio
in Roma, ove ha appunto sede la Corte di cassazione.
Con il primo motivo di ricorso la
società CTO, S.A. e M.L. denunciano violazione degli
articoli 105 e 268 c.p.c., nonché vizi di motivazione,
deducendo che la corte di appello non ha motivato dove e
perché la domanda proposta da essi interventori -
ricorrenti non è connessa e fondata sulla medesima causa
pretendi dedotta nel giudizio in primo grado che invece
- come rilevato dal tribunale - riguarda proprio il
regolamento di condominio e le limitazioni che possono
essere imposte ai condomini tramite questo. Al riguardo
la corte di merito si è soffermata solo sulla domanda
della società attrice senza considerare quelle
originariamente proposte dal condominio convenuto ed
intrinsecamente legate a quelle oggetto dell'intervento
principale.
Con il secondo motivo i ricorrenti
denunciano violazione degli articoli 105 e 268 c.p.c.,
nonché vizi di motivazione, sostenendo che - come
rilevato dalla stessa corte di appello - l'intervento
nel giudizio di primo grado è avvenuto prima
dell'udienza di precisazione delle conclusioni in
conformità a quanto previsto dal citato articolo 268
c.p.c.. L'istanza di pronuncia di cessazione della
materia del contendere è stata formulata dalle parti
originarie dopo l'intervento di essi ricorrenti ritenuto
ammissibile dalla stessa corte di appello e qualificato
come principale - con riferimento alla richiesta di
nullità della nuova delibera - e adesivo autonomo in
relazione al rigetto della domanda della società attrice
ed all'accoglimento della riconvenzionale del
condominio. La corte di merito ha però
contraddittoriamente ritenuto inammissibile la domanda
litisconsortile disgiuntamente da quella principale sul
rilievo dell'opponibilita ad essi interventori della
transazione approvata però con delibera da adottare
all'unanimità e, quindi, inefficace nei confronti di
essi dissenzienti interventori.
Con il terzo motivo i ricorrenti
denunciano violazione degli articoli 105 e 268 c.p.c.,
nonché vizi di motivazione, deducendo che la corte di
appello ha vietato ad essi interventori la possibilità
di attività istruttoria - in quanto già preclusa alle
parti originarie - così finendo per escludere la stessa
tempestività dell'intervento. La corte di merito non ha
considerato che l'intervento è avvenuto in piena udienza
di trattazione laddove l'intervento adesivo autonomo e
litisconsortile è da escludere solo dopo la detta
udienza e non durante, ossia in una fase nella quale
tutte le parti possono chiedere i termini i-struttori ed
i terzi possono proporre domande fondate sul materiale
istrutto-rio acquisito e/o non precluso. Inoltre,
essendo le parti ancora nella fase concernente il
tentativo di conciliazione, è errata l'affermazione
della corte di appello circa la decadenza di parte
attrice di proporre domande nuove dipendenti dalle
difese di parte convenuta. Infine essi ricorrenti,
intervenuti quali condomini nel giudizio promosso da
altro condomino nei confronti del condominio, ben
potevano proporre domande nuove non essendo la loro
attività processuale legata a quella della parte che
aveva iniziato il giudizio stante l'autonomia del
diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte.
Con il quarto motivo i ricorrenti
denunciano violazione degli articoli 105 c.p.c. e 1372,
1420, 1423, 1123, 1136, 1138 e 1120 c.c., nonché vizi di
motivazione, sostenendo che - al contrario di quanto
affermato dalla corte di appello - la transazione non è
opponibile ad essi interventori posto che la delibera di
approvazione della transazione non può essere ritenuta
vincolante in quanto priva del requisito della
unanimità, requisito necessario trattandosi di modifica
di tabelle millesimali. La giurisprudenza di legittimità
in proposito ha affermato che nel giudizio instaurato da
altri contro il condominio, per l'impugnazione di una
delibera contraria al regolamento condominiale
contrattuale, ciascun condomino ha un autonomo interesse
ad intervenire al fine di ottenere una pronuncia sulla
domanda indipendentemente dalla eventuale transazione
tra le parti originarie.
Con il quinto motivo i ricorrenti
denunciano violazione dell'articolo 105 c.p.c., nonché
vizi di motivazione, deducendo che - come già
evidenziato -la decisione della corte di appello di
considerare la domanda proposta in via di intervento
principale diversa ed autonoma, rispetto alla domanda di
parte attrice, è errata ed affetta da vizio logico oltre
che adottata senza considerare le domande di parte
convenuta e senza tener conto che la domanda di
intervento principale è per sua natura autonoma in
quanto proposta nei confronti di tutte le parti in
causa. Del pari errato è il riferimento alla celerità
del processo al fine di giustificare l'ammissibilità
dell'intervento in quanto in tal modo la corte di
appello ha contradditoriamente rimandato i condomini
dissenzienti ad una nuova decisione a seguito di un
nuovo giudizio di nullità della delibera impugnata
affetta da nullità. La corte di merito, inoltre, non ha
tenuto presente il principio giurisprudenziale secondo
cui il condomino che interviene personalmente nel
processo promosso dall'amministratore per far valere
diritti della collettività condominiale non è terzo, ma
è una delle parti originarie intenzionata a far valere
direttamente le proprie ragioni.
La Corte rileva la fondatezza - nei
sensi di seguito precisati - delle dette censure che,
per evidenti ragioni di ordine logico, possono essere
esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione
ed interdipendenza riguardando le stesse questioni - sia
pur sotto aspetti e profili diversi - o questioni
connesse e consequenziali.
Occorre innanzitutto osservare che
- come sopra riportato nella parte narrativa che precede
e come puntualizzato nella stessa sentenza impugnata le
domande proposte dalle parti originarie del processo e
dagli interventori sono le seguenti:
- per la parte attrice
l'impugnativa della delibera condominiale del 7/3/2000
con riferimento al punto 2;
- per il condominio convenuto il
rigetto delle domande dell'attrice e l'accoglimento
della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la
rimozione di opere eseguite dalla N occupando spazi
comuni;
- per gli interventori il rigetto
della domande dell'attrice, l'accoglimento della domanda
riconvenzionale del convenuto e la nullità del punto 2
della delibera condominiale 3/4/2001 con cui era stato
approvato l'accordo transattivo tra la N ed il
condominio per la definizione del giudizio pendente tra
le parti.
Va aggiunto che la corte di appello
ha ritenuto coperta da giudicato la parte dei la
sentenza di primo grado con la quale l'intervento in
causa era stato qualificato come principale in relazione
alla domanda di nullità delle delibere 3/4/2001 e
20/7/2000 concernenti l'accordo transattivo e
litisconsortile con riferimento alla richiesta di
rigetto della domanda principale dell'attrice e di
accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto
condominio.
La corte di merito ha poi ritenuto
inammissibile la domanda proposta degli interventori in
via di intervento principale sotto un duplice profilo e,
cioè, sia perché domanda nuova - avente oggetto diverso
da quello delle domande originarie di parte attrice
avuto riguardo al petitum sostanziale volto per la
domanda principale alla eliminazione di delibere
assembleari e per la domanda degli interventori alla
eliminazione degli effetti della transazione, ossia di
un fatto posteriore e diverso - sia perché proposta dopo
la scadenza del termine previsto per parte attrice per
la proposizione di domande nuove dipendenti dalle difese
di parte convenuta.
La decisione della corte
territoriale di ritenere inammissibile la domanda
proposta dagli interventori in via principale è errata
sotto entrambi i riportati profili.
Con riferimento al primo dei detti
profili, vanno segnalati i seguenti principi che questa
Corte ha avuto modo di affermare in tema di intervento
di terzo, principi che il Collegio condivide e fa
propri:
- il diritto che, a norma dell'art.
105, comma 1, c.p.c., il terzo può far valere in un
processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse
(ipotesi nella quale si configura un intervento
principale) o solo con alcune di esse (ipotesi di
intervento litisconsortile o adesivo autonomo),
legittimante l'autonoma impugnazione della sentenza che
abbia statuito in senso sfavorevole alla parte adiuvata,
a differenza dell'intervento meramente adesivo,
escludente tale legittimazione, - deve essere relativo
all'oggetto, ovvero dipendente dal titolo, e, quindi,
individuabile rispettivamente con riferimento al
"petitum", o alla "causa petendi" (sentenze 1/6/2004 n
10530; 22/10/2002 n. 14901);
- ai fini dell'intervento
principale o dell'intervento litisconsortile nel
processo, anche se l'art. 105 c.p.c. esige che il
diritto vantato dall'interveniente non sia limitato ad
una meramente generica comunanza di riferimento al bene
materiale in relazione al quale si fanno valere le
antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle
azioni esercitate, rispettivamente, dall'attore in via
principale e dal convenuto in via riconvenzionale
rispetto a quella esercitata dall'interveniente, o la
diversità dei rapporti giuridici con le une e con
l'altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi
decisivi per escludere l'ammissibilità dell'intervento,
essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la
circostanza che la domanda dell'interveniente presenti
una connessione od un collegamento con quella di altre
parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da
giustificare un simultaneo processo, particolarmente
allorché la tutela del diritto vantato
dall'interveniente sia incompatibile con quella vantata
dall'una e/o dall'altra delle parti originarie (sentenze
27/6/2007 n. 14844; 12/6/2006 n. 13557; 3/11/2004 n.
21060);
- per l'ammissibilità
dell'intervento di un terzo in un giudizio pendente tra
altre parti è sufficiente che la domanda
dell'interveniente presenti una connessione od un
collegamento che giustifichi un simultaneus processus
(sentenza 15/5/2002 n. 7055).
Alla luce dei detti principi
giurisprudenziali risulta evidente che nel caso in esame
- al contrario di quanto affermato dalla corte di
appello - è ravvisabile uno stretto collegamento logico
e una palese connessione tra le domande inizialmente
proposte dalle parti originarie del processo e le
domande avanzate dagli interventori in via di intervento
principale. 11 diritto fatto valere dagli interventori
(impugnativa della delibera di approvazione della
transazione del giudizio pendente tra condominio e N) è
connesso e collegato all'oggetto sostanziale
dell'originaria controversia (oggetto da individuare con
riferimento al petitum ed alla causa pretendi) e
dipendente dal titolo dedotto nel processo dall'attrice
e dal convenuto a fondamento delle opposte domande
originariamente formulate: la domanda degli interventori
presenta un legame con le domande dell'attrice e del
convenuto ed ha un oggetto sostanziale tale da
giustificare un simultaneus processus. Il diritto fatto
valere dagli interventori rientra nella struttura del
rapporto giuridico già dedotto in causa ed è generato da
detto rapporto oltre ad essere incompatibile con il
diritto vantato dalla società attrice con l'atto
introduttivo del giudizio di primo grado.
Del pari la dichiarazione della
corte di appello di inammissibilità della domanda
proposta dagli interventori in via principale, sotto il
secondo profilo sopra precisato, è errata ponendosi in
netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi
affermati nella giurisprudenza di legittimità e che
ormai, dopo alcune lontane pronunzie di segno contrario,
possono ritenersi consolidati:
- posto che la formulazione della
domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento
principale e litisconsortile ai sensi dell'art. 105
comma 1, c.p.c. deve escludersi che l'autonoma domanda
proposta dall'interventore volontario possa essere
equiparata alla domanda riconvenzionale del convenuto e
che, ad essa, possano di conseguenza applicarsi le
preclusioni poste per quest'ultima dal codice di rito
(art. 167 e 183 c.p.c.), restando solo inibito
all'interventore stesso di svolgere le attività
istruttorie già precluse alle originarie parti del
giudizio (sentenza 3/11/2004 n. 21060);
- la formulazione della domanda
costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale
e litisconsortile, sicché la preclusione sancita
dall'art. 268 c.p.c. non si estende all'attività
assertiva del volontario interveniente, nei cui
confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre
domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino
all'udienza di precisazione delle conclusioni",
configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso
ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di
accettare lo stato del processo in relazione alle
preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti
originarie (sentenza 28/7/2005 n. 15787);
- la preclusione sancita dall'art.
268 c.p.c., nel nuovo testo introdotto dalla l. 26
novembre 1990 n. 353, non si estende all'attività
assertiva del volontario interveniente, nei cui
confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre
domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino
all'udienza di precisazione delle conclusioni",
configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso
ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di
accettare lo stato del processo in relazione alle
preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti
originarie (sentenza 14/2/2006 n. 3186);
- chi interviene volontariamente in
un processo già pendente ha sempre la facoltà di
formulare domande nei confronti delle altre parti,
quand'anche sia ormai spirato il termine di cui all'art.
183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum; né
tale interpretazione dell'art. 268 c.p.c. viola il
principio di ragionevole durata del processo od il
diritto di difesa delle parti originarie del giudizio:
infatti l'interveniente, dovendo accettare il processo
nello stato in cui si trova, non può dedurre - ove sia
già intervenuta la relativa preclusione - nuove prove e,
di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura
dell'istruzione, né quello che la causa possa essere
decisa sulla base di fonti di prova che le parti
originarie non abbiano potuto debitamente contrastare
(sentenza 16/10/2008 n. 25264).
Nel caso in esame è pacifico -
oltre che risultante dalla lettura della stessa sentenza
- che la domanda degli interventori è stata formulata
ben prima della precisazione delle conclusioni.
In definitiva devono essere accolti
i primi cinque motivi di ricorso con assorbimento del
sesto relativo al governo delle spese posto che di tale
questione si dovrà occupare il giudice del rinvio.
La sentenza impugnata va quindi
cassata in relazione ai motivi accolti e la causa
rinviata ad altra sezione della corte di appello di
Torino che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei
rilievi sopra svolti e dei principi sopra enunciati con
riferimento in particolare alla ammissibilità delle
domande proposte dagli interventori in via di intervento
principale. Il giudice del rinvio dovrà inoltre
esaminare tutte le altre eccezioni e doglianze mosse
dalla società N nell'atto di appello e ritenute
assorbite dalla corte di appello a seguito
dell'accoglimento del secondo motivo di gravame
concernente l'inammissibilità delle domande proposte
dagli interventori.
Al designato giudice del rinvio va
rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
la Corte accoglie i primi cinque
motivi di ricorso, assorbito il sesto, cassa la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche
per le spese del giudizio di cassazione, ad altra
sezione della corte di appello di Torino.
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