1. Il delitto di cui all'art. 380
c.p. non è integrato dalla sola infedeltà ai doveri
professionali imposti al difensore, ma occorre la
verificazione di un "nocumento" agli interessi della
parte, che, quale conseguenza della violazione dei
doveri professionali, rappresenta l'evento del reato. In
altri termini si tratta di un reato di evento, in cui si
richiede che alla condotta del patrocinatore consegua,
appunto, un nocumento, che non deve essere inteso
soltanto come un vero e proprio danno patrimoniale, ma
anche riferito al mancato conseguimento di benefici di
natura morale che la parte avrebbe tratto qualora il
patrocinatore si fosse comportato lealmente.
2. Il nocumento deve essere
conseguenza diretta del comportamento infedele e a sua
volta la infedeltà deve essere valutata con riferimento
non al mandato ricevuto, quanto piuttosto ai doveri di
correttezza professionale che costituiscono il
retroterra deontologico del patrocinatore. L'infedeltà
di cui parla l'art. 380 c.p. è, quindi, un concetto
normativo, i cui parametri e criteri valutativi devono
essere ricercati nella normativa extrapenale di
riferimento, cioè nel codici deontologici, nei codici di
comportamento delle associazioni professionali, nonché
nelle stesse prassi professionali.
Cassazione, sez. VI, 25 luglio
2011, n. 29653
(Pres. Di Virginio – Rel. Fidelbo)
Svolgimento del processo
1. - Con la decisione in epigrafe
indicata la Corte d'appello di Perugia ha confermato la
sentenza del 2 ottobre 2007 con cui il Tribunale di
Spoleto aveva condannato (...) ad otto mesi di
reclusione, con sospensione della pena, oltre al
risarcimento dei danni in favore della parte civile, per
il reato di patrocinio infedele di cui all'art. 380 c.p..
Il (...) aveva ricevuto il mandato
difensivo da (...), indagato per violazione della
normativa urbanistica e dopo avere ricevuto da
quest'ultimo una somma di denaro come anticipo sulla
propria parcella (6.400,00) e per le spese del
procedimento (€ 900,00), aveva fatto perdere le sue
tracce senza esplicare alcuna attività difensiva,
sostanzialmente abbandonato la difesa del cliente,
costretto a nominare un altro avvocato.
2. - Ricorre per cassazione
l'imputato, tramite il proprio difensore di fiducia,
deducendo l'erronea applicazione dell'art. 380 c.p. e il
connesso vizio di motivazione. Assume, infatti, che
nella specie il reato di patrocinio infedele non
sussista in quanto non si sarebbe verificato alcun
nocumento agli interessi della parte assistita; non vi
sarebbe stato alcun abbandono della difesa, ma la revoca
dell'incarico difensivo da parte del (...), che
nell'ottobre 2003 nominava un altro avvocato, di fatto
impedendo al ricorrente di portare a compimento
l'attività difensiva presentando, come aveva
preannunciato, la richiesta di un giudizio speciale.
Con un diverso motivo il ricorrente
ripropone l'eccezione sulla inammissibilità della
costituzione di parte civile, in quanto formalizzata in
violazione dell'art. 78 comma 1 lett. e) c.p.p., cioè
senza la sottoscrizione del difensore.
Infine, con l'ultimo motivo deduce
la violazione dell'art. 597 comma 3 c.p.p., per avere il
giudice d'appello applicato la pena accessoria
dell'interdizione dall'esercizio della professione
forense per mesi otto, senza che sul punto vi fosse
stata impugnazione del pubblico ministero, così violando
il divieto di reformatio in peius.
Motivi della decisione
3. - Preliminarmente deve essere
respinta l'eccezione di prescrizione del reato di cui
all'161 c.p.p., come modificati dalla novella del 2005,
deve aggiungersi un periodo complessivo di sospensione
del termine prescrizionale pari a sedici mesi e sette
giorni, dovuto a rinvii delle udienze, in primo e in
secondo grado, per impedimenti dei difensori, sicché ad
oggi non si è ancora estinto il reato per il decorso del
tempo.
4. - Nel merito il ricorso deve
essere accolto, essendo fondato il primo motivo.
La costante giurisprudenza di
questa Corte ritiene che il delitto di cui all'art. 380
c.p. non è integrato dalla sola infedeltà ai doveri
professionali imposti al difensore, ma occorre la
verificazione di un "nocumento" agli interessi della
parte, che, quale conseguenza della violazione dei
doveri professionali, rappresenta l'evento del reato
(tra le tante, v. Sez. VI, 28 marzo 2008, n. 31678,
Baldi ed altri). In altri termini si tratta di un reato
di evento, in cui si richiede che alla condotta del
patrocinatore consegua, appunto, un nocumento, che non
deve essere inteso soltanto come un vero e proprio danno
patrimoniale, ma anche riferito al mancato conseguimento
di benefici di natura morale che la parte avrebbe tratto
qualora il patrocinatore si fosse comportato lealmente.
Peraltro, il nocumento deve essere
conseguenza diretta del comportamento infedele e a sua
volta la infedeltà deve essere valutata con riferimento
non al mandato ricevuto, quanto piuttosto ai doveri di
correttezza professionale che costituiscono il
retroterra deontologico del patrocinatore. L'infedeltà
di cui parla l'art. 380 c.p. è, quindi, un concetto
normativo, i cui parametri e criteri valutativi devono
essere ricercati nella normativa extrapenale di
riferimento, cioè nel codici deontologici, nei codici di
comportamento delle associazioni professionali, nonché
nelle stesse prassi professionali.
Nel caso di specie, la sentenza
impugnata ha individuato la condotta infedele
dell'imputato nell'essersi reso "irreperibile", tanto
che il cliente è stato costretto a ricorrere ad un altro
legale.
Ma anche a voler ammettere che si
sia trattato di una condotta infedele, il giudice di
merito avrebbe dovuto verificare la sussistenza di un
"nocumento" come conseguenza diretta di tale
comportamento. Invero, nella sentenza impugnata si
individua il nocumento nella "dolosa astensione" del
patrocinatore dalla attività processuale, cui è seguita
la scelta di un diverso difensore.
La Corte territoriale ha fatto
riferimento a quella giurisprudenza secondo cui il
pregiudizio in danno della parte può concretarsi anche
nella "dolosa astensione dalla doverosa attività
processuale" (Sez. VI, 19 novembre 1998, n. 1410,
Rosiello), ma ha omesso di considerare che l'astensione
deve pur sempre essere causa di un nocumento per la
parte, altrimenti non potrebbe configurarsi la
fattispecie delineata nell'art. 380 c.p., che, come si è
detto, è reato di evento.
L'astensione può essere considerata
condotta infedele quando produce conseguenza negative
per la parte, ad esempio nel caso in cui il difensore
ometta di produrre mezzi di prova, ovvero trascuri la
scadenza di un termine o ometta di costituirsi in
giudizio, cioè ogni qual volta si traduca in una
omissione dolosa della difesa. Ma nel caso in questione
i giudici di merito hanno preso in considerazione solo
la condotta di "astensione", senza verificare in
concreto se si sia effettivamente tradotta in una
omissione dolosa di difesa ed abbia causato un nocumento
alla parte. Questa valutazione è completamente mancata
nella decisione impugnata, non potendosi ritenere che il
nocumento sia consistito nella sostituzione del
difensore - e quindi nel pagamento della relativa
parcella -, in mancanza della dimostrazione che lo
"stallo difensivo" abbia compromesso il conseguimento di
benefici, anche solo morali alla parte offesa.
5. - L'accoglimento del primo
motivo comporta l'assorbimento degli altri.
6. - Per queste ragioni la sentenza
impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte
d'appello di Firenze, competente ai sensi dell'art. 175
disp. art. c.p.p., che, nel nuovo giudizio sulla
responsabilità dell'imputato, dovrà tenere conto di
quanto sopra rilevato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e
rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello di
Firenze.
|