DIRITTO DEGLI ALIMENTI - Alimenti
geneticamente modificati – Prodotti apicoli – Miele e
integratori alimentari – Presenza di polline di varietà
vegetali geneticamente modificate – Conseguenze –
Immissione in commercio – Nozioni di “organismo” e di
“alimenti che contengono ingredienti prodotti a partire
da organismi geneticamente modificati” - Legislazione
alimentare - Autorità europea per la sicurezza
alimentare – Istituzione – Competenze - Procedure nel
campo della sicurezza alimentare - Obbligo di
autorizzazione e di vigilanza di un alimento - Soglia di
tolleranza – Etichettatura e pubblicità - Artt. 2-4 e 12
Reg.(CE) n. 1829/2003 - Art. 2 Dir. 2001/18/CE – Art. 6
Dir. 2000/13/CE – Art. 2 Reg. (CE) n. 178/2002.
Argomento:
Giurisprudenza
Autorità:
Corte di Giustizia UE
Categoria:
Diritto degli alimenti
Provvedimento:
Sentenza
Numero:
442/09
Sez.:
Sez. Grande
Data deposito:
06/09/2011
Presidente:
Skouris
Estensore:
Bay Larsen
titolo completo:
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Un.,
06/09/2011, Sentenza C-442/09
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Un.,
06/09/2011, Sentenza C-442/09
DIRITTO DEGLI ALIMENTI - Alimenti
geneticamente modificati – Prodotti apicoli – Miele e
integratori alimentari – Presenza di polline di varietà
vegetali geneticamente modificate – Conseguenze –
Immissione in commercio – Nozioni di “organismo” e di
“alimenti che contengono ingredienti prodotti a partire
da organismi geneticamente modificati” - Legislazione
alimentare - Autorità europea per la sicurezza
alimentare – Istituzione – Competenze - Procedure nel
campo della sicurezza alimentare - Obbligo di
autorizzazione e di vigilanza di un alimento - Soglia di
tolleranza – Etichettatura e pubblicità - Artt. 2-4 e 12
Reg.(CE) n. 1829/2003 - Art. 2 Dir. 2001/18/CE – Art. 6
Dir. 2000/13/CE – Art. 2 Reg. (CE) n. 178/2002.
La nozione di organismo
geneticamente modificato di cui all’art. 2, punto 5, del
regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio
22 settembre 2003, n. 1829, relativo agli alimenti e ai
mangimi geneticamente modificati, deve essere
interpretata nel senso che non rientra più in tale
nozione una sostanza quale il polline derivante da una
varietà di mais geneticamente modificato, la quale abbia
perso la sua capacità riproduttiva e che sia priva di
qualsivoglia capacità di trasferire il materiale
genetico da essa contenuto. Inoltre, gli artt. 2, punti
1, 10, 13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n.
1829/2003, 2 del regolamento (CE) del Parlamento europeo
e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce
i principi e i requisiti generali della legislazione
alimentare, istituisce l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della
sicurezza alimentare, e 6, n. 4, lett. a), della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20
marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere
interpretati nel senso che, qualora una sostanza come il
polline contenente DNA e proteine geneticamente
modificati non possa essere considerata un organismo
geneticamente modificato, prodotti quali il miele e gli
integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza
costituiscono, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 1829/2003, «alimenti (...) che contengono
ingredienti prodotti a partire da OGM». Siffatta
qualificazione vale indipendentemente dal fatto che
l’immissione della sostanza di cui trattasi sia stata
intenzionale o accidentale. Infine, gli artt. 3, n. 1, e
4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003 devono essere
interpretati nel senso che, laddove implicano un obbligo
di autorizzazione e di vigilanza di un alimento, a tale
obbligo non si può applicare per analogia una soglia di
tolleranza come quella prevista in materia di
etichettatura dall’art. 12, n. 2, del medesimo
regolamento.
Pres. Skouris, Rel. Bay Larsen
CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Grande
Sezione)
6 settembre 2011
«Alimenti geneticamente modificati
– Regolamento (CE) n. 1829/2003 – Artt. 2-4 e 12 –
Direttiva 2001/18/CE – Art. 2 – Direttiva 2000/13/CE –
Art. 6 – Regolamento (CE) n. 178/2002 – Art. 2 –
Prodotti apicoli – Presenza di polline di varietà
vegetali geneticamente modificate – Conseguenze –
Immissione in commercio – Nozioni di “organismo” e di
“alimenti che contengono ingredienti prodotti a partire
da organismi geneticamente modificati”»
Nel procedimento C-442/09,
avente ad oggetto la domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’art. 234 CE, dal Bayerischer Verwaltungsgerichtshof
(Germania), con decisione 26 ottobre 2009, pervenuta in
cancelleria il 13 novembre 2009, nella causa
Karl Heinz
Bablok,
Stefan Egeter,
Josef Stegmeier,
Karlhans Müller,
Barbara Klimesch
contro
Freistaat Bayern,
con l’intervento di:
Monsanto Technology LLC,
Monsanto Agrar Deutschland GmbH,
Monsanto Europe SA/NV,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris,
presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues,
K. Lenaerts, J.-C. Bonichot e J.-J. Kasel, presidenti di
sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, M.
Ilešic, J. Malenovský, L. Bay Larsen (relatore), dalla
sig.ra C. Toader e dal sig. M. Safjan, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig. B. Fülöp,
amministratore
vista la fase scritta del
procedimento e in seguito all’udienza del 7 dicembre
2010,
considerate le osservazioni
presentate:
– per i sigg. Bablok,
Egeter, Stegmeier e Müller nonché per la sig.ra
Klimesch, dagli avv.ti A. Willand e G. Buchholz,
Rechtsanwälte,
– per la Monsanto Technology
LLC, la Monsanto Agrar Deutschland GmbH e la Monsanto
Europe SA/NV, dagli avv.ti M. Kaufmann, J. Dietrich e P.
Brodbeck, Rechtsanwälte,
– per il governo greco, dal
sig. I. Chalkias e dalla sig.ra K. Marinou, in qualità
di agenti,
– per il governo polacco,
dal sig. M. Szpunar, in qualità di agente,
– per la Commissione
europea, dalla sig.ra L. Pignataro-Nolin e dal sig. B.
Schima, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni
dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9
febbraio 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia
pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2,
punti 5 e 10, 3, n. 1, 4, n. 2, e 12, n. 2, del
regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio
22 settembre 2003, n. 1829, relativo agli alimenti e ai
mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1).
2 Tale domanda è stata
presentata nell’ambito di una controversia tra i sigg.
Bablok, Egeter, Stegmeier e Müller, nonché la sig.ra
Klimesch, apicoltori, da una parte, e il Freistaat
Bayern (Land della Baviera), dall’altra, con
l’intervento della Monsanto Technology LLC, della
Monsanto Agrar Deutschland GmbH e della Monsanto Europe
SA/NV (in prosieguo, rispettivamente, la «Monsanto
Technology», la «Monsanto Agrar Deutschland» e la
«Monsanto Europe» o, congiuntamente, la «Monsanto»),
riguardo alla presenza, in taluni prodotti apicoli, di
polline di mais geneticamente modificato.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
La direttiva 2001/18/CE
3 La direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 12 marzo 2001,
2001/18/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di
organismi geneticamente modificati e che abroga la
direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 106, pag. 1),
come modificata dal regolamento n. 1829/2003 e dal
regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio
22 settembre 2003, n. 1830 (GU L 268, pag. 24, in
prosieguo: la «direttiva 2001/18»), disciplina, oltre
all’emissione deliberata nell’ambiente di organismi
geneticamente modificati (in prosieguo: gli «OGM»),
anche l’immissione in commercio degli OGM come tali o
contenuti in prodotti, qualora l’uso previsto dei
prodotti comporti l’emissione deliberata degli organismi
nell’ambiente.
4 Il quarto ‘considerando’
di tale direttiva così recita:
«Gli organismi viventi immessi
nell’ambiente in grandi o piccole quantità per scopi
sperimentali o come prodotti commerciali possono
riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali,
interessando così altri Stati membri; gli effetti di
tali emissioni possono essere irreversibili».
5 Il quinto ‘considerando’
della citata direttiva enuncia che la tutela della
salute umana richiede che venga prestata la debita
attenzione al controllo dei rischi derivanti
dall’immissione deliberata nell’ambiente di OGM.
6 L’ottavo ‘considerando’
della stessa direttiva precisa che nell’elaborazione di
quest’ultima è stato tenuto conto del principio
precauzionale e di esso va tenuto conto nella sua
attuazione.
7 L’art. 4, n. 1, della
direttiva 2001/18 prevede che gli OGM possano essere
deliberatamente emessi nell’ambiente o immessi in
commercio solo a norma, rispettivamente, della parte B o
della parte C della medesima direttiva, vale a dire,
principalmente, previa notifica di una domanda in tal
senso, valutazione dei rischi per la salute umana e per
l’ambiente e, successivamente, autorizzazione
dell’autorità competente.
8 L’art. 4, n. 3, dispone
che la valutazione verte sui potenziali effetti
negativi, sia diretti che indiretti, sulla salute umana
e sull’ambiente eventualmente provocati dal
trasferimento di un gene dall’OGM ad un altro organismo.
Il regolamento n. 1829/2003
9 Il regolamento n.
1829/2003 disciplina l’autorizzazione e la vigilanza
degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati
nonché la loro etichettatura.
10 Ai sensi del primo
‘considerando’ di tale regolamento, la libera
circolazione degli alimenti e dei mangimi sicuri e sani
costituisce un aspetto essenziale del mercato interno e
contribuisce in modo significativo alla salute e al
benessere dei cittadini, nonché alla realizzazione dei
loro interessi sociali ed economici.
11 Il secondo ‘considerando’
dello stesso regolamento sottolinea che nell’attuazione
delle politiche comunitarie dev’essere garantito un
elevato livello di tutela della vita e della salute
umana.
12 Il terzo ‘considerando’
prevede, di conseguenza, che gli alimenti geneticamente
modificati dovranno essere sottoposti a una valutazione
della sicurezza tramite una procedura comunitaria prima
di essere immessi sul mercato.
13 Il sedicesimo
‘considerando’ è così formulato:
«Il presente regolamento dovrebbe
disciplinare alimenti e mangimi prodotti “da” un OGM, ma
non quelli “con” un OGM. Il criterio determinante è se
materiale derivato dal materiale di partenza
geneticamente modificato sia presente o meno
nell’alimento o mangime. I coadiuvanti tecnologici
utilizzati solo durante il processo di produzione degli
alimenti e dei mangimi non rientrano nella definizione
di alimento o mangime e, pertanto, non rientrano
nell’ambito di applicazione del presente regolamento.
Allo stesso modo, non vi rientrano gli alimenti e i
mangimi prodotti con l’aiuto di un coadiuvante
tecnologico geneticamente modificato. In tal modo, i
prodotti ottenuti da animali nutriti con mangimi
geneticamente modificati o trattati con medicinali
geneticamente modificati non saranno soggetti né alle
norme in materia di autorizzazione né alle norme in
materia di etichettatura di cui al presente
regolamento».
14 L’art. 1 del regolamento n.
1829/2003 menziona lo scopo di «garantire un elevato
livello di tutela della vita e della salute umana».
15 L’art. 2 dello stesso
regolamento contiene un elenco di definizioni di nozioni
pertinenti ai fini dell’applicazione di detto
regolamento, eventualmente mediante rinvio alle
definizioni di tali nozioni contenute nella direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000,
2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109,
pag. 29), nella direttiva 2001/18 o nel regolamento (CE)
del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002,
n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali
della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità
europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure
nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1).
16 Tale elenco contiene, tra
le altre, le seguenti definizioni:
– «alimento»: qualsiasi
sostanza o prodotto, trasformato, parzialmente
trasformato o non trasformato, destinato ad essere
ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa
essere ingerito, da esseri umani (art. 2, primo comma,
del regolamento n. 178/2002);
– «organismo»: qualsiasi
entità biologica capace di riprodursi o di trasferire
materiale genetico (art. 2, punto 1, della direttiva
2001/18);
– «[OGM]»: un organismo,
diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è
stato modificato in modo diverso da quanto avviene in
natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione
genetica naturale (art. 2, punto 2, della direttiva
2001/18);
– «emissione deliberata»:
qualsiasi introduzione intenzionale nell’ambiente di un
OGM o una combinazione di OGM per la quale non vengono
usate misure specifiche di confinamento, al fine di
limitare il contatto con la popolazione e con l’ambiente
e per garantire un livello elevato di sicurezza per
questi ultimi (art. 2, punto 3, della direttiva
2001/18);
– «valutazione del rischio
ambientale»: la valutazione dei rischi per la salute
umana e per l’ambiente, diretti o indiretti, immediati o
differiti, che possono essere connessi all’emissione
deliberata o all’immissione in commercio di OGM (art. 2,
punto 8, della direttiva 2001/18);
– «alimenti geneticamente
modificati»: alimenti che contengono, sono costituiti o
prodotti a partire da OGM (art. 2, punto 6, del
regolamento n. 1829/2003);
– «prodotto a partire da
OGM»: derivato, in tutto o in parte, da OGM, ma che non
li contiene e non ne è costituito (art. 2, punto 10, del
regolamento n. 1829/2003);
– «ingrediente»: qualsiasi
sostanza, compresi gli additivi, utilizzata nella
fabbricazione o nella preparazione di un prodotto
alimentare, ancora presente nel prodotto finito,
eventualmente in forma modificata (art. 6, n. 4, della
direttiva 2000/13).
17 L’art. 3, n. 1, del
medesimo regolamento n. 1829/2003, rubricato «Campo di
applicazione» e contenuto nella Sezione 1, intitolata
«Autorizzazione e vigilanza», del capo II, denominato
«Alimenti geneticamente modificati», dispone quanto
segue:
«La presente sezione si applica:
a) agli OGM destinati
all’alimentazione umana;
b) agli alimenti che
contengono o sono costituiti da OGM;
c) agli alimenti che sono
prodotti a partire da o che contengono ingredienti
prodotti a partire da OGM».
18 L’art. 4, n. 2, del citato
regolamento vieta l’immissione in commercio di un OGM
destinato all’alimentazione umana, di un alimento che
contiene o è costituito da OGM, ovvero che sia prodotto
a partire da o che contenga ingredienti prodotti a
partire da OGM, a meno che per l’alimento di cui
trattasi non sia stata rilasciata un’autorizzazione
conformemente a tale regolamento.
19 L’art. 4, n. 3, subordina
il rilascio di un’autorizzazione alla dimostrazione, in
particolare, che l’OGM o l’alimento non abbiano effetti
nocivi sulla salute umana, la salute degli animali o
l’ambiente.
20 L’art. 13 sancisce i
requisiti di etichettatura, i quali, conformemente
all’art. 12, n. 1, si applicano agli alimenti che:
– contengono o sono
costituiti da OGM;
– sono prodotti a partire da
o contengono ingredienti prodotti a partire da OGM.
21 Tuttavia, in forza
dell’art. 12, n. 2, tali requisiti non si applicano agli
alimenti che contengono materiale che contiene, è
costituito o prodotto a partire da OGM presenti in
proporzione non superiore allo 0,9% degli ingredienti
alimentari considerati individualmente, purché tale
presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile.
22 L’art. 47 del regolamento
n. 1829/2003 dispone, a titolo di misura transitoria
della durata di tre anni, che la presenza negli alimenti
di materiale che contenga OGM o sia costituito o
derivato da OGM in proporzione non superiore allo 0,5%
non è considerata una violazione dell’articolo 4, n. 2,
purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente
inevitabile.
La direttiva 2001/110/CE
23 L’art. 1 della direttiva
del Consiglio 20 dicembre 2001, 2001/110/CE, concernente
il miele (GU 2002, L 10, pag. 47), dispone quanto segue:
«La presente direttiva si applica
ai prodotti definiti nell’allegato I. Questi prodotti
soddisfano i requisiti di cui all’allegato II».
24 L’allegato I, punto 1, di
detta direttiva contiene la seguente definizione:
«Il miele è la sostanza dolce
naturale che le api (Apis mellifera) producono dal
nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da
parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti
succhiatori che si trovano su parti vive di piante che
esse bottinano, trasformano combinandole con sostanze
specifiche proprie, depositano, disidratano,
immagazzinano e lasciano maturare nei favi
dell’alveare».
25 L’allegato II, commi dal
primo al terzo, della medesima direttiva precisa quanto
segue:
«Il miele è essenzialmente composto
da diversi zuccheri, soprattutto da fruttosio e glucosio
nonché da altre sostanze quali acidi organici, enzimi e
particelle solide provenienti dalla raccolta del miele.
(…)
Al miele immesso sul mercato in
quanto tale o utilizzato in prodotti destinati al
consumo umano non è aggiunto alcun ingrediente
alimentare, neppure gli additivi, e non è effettuata
nessun’altra aggiunta se non di miele. Nei limiti del
possibile, il miele deve essere privo di sostanze
organiche e inorganiche estranee alla sua composizione.
(…)
Fermo restando il punto viii),
parte 2, punto b), dell’allegato I [che definisce il
miele filtrato], è vietato estrarre polline o componenti
specifiche del miele, salvo qualora sia inevitabile
nell’estrazione di sostanze estranee inorganiche o
organiche».
Il diritto nazionale
26 L’art. 36a della legge in
materia di ingegneria genetica (Gentechnikgesetz; in
prosieguo: la «GenTG»), introdotto dalla legge 21
dicembre 2004 (BGBl. 2005 I, pag. 186), è formulato come
segue:
«Il trasferimento di determinate
caratteristiche di un organismo che dipendono da lavori
di ingegneria genetica costituisce, così come eventuali
altre immissioni di [OGM], un’alterazione sostanziale ai
sensi dell’art. 906 del codice civile [Bürgerliches
Gesetzbuch; in prosieguo: il “BGB”], se, contrariamente
alle intenzioni dell’avente titolo, a causa di tale
trasferimento o altra immissione i prodotti,
segnatamente,
1) non possono essere immessi
in commercio, o
2) possono essere immessi in
commercio, ai sensi della presente legge o di altre
disposizioni, solo etichettati in modo da segnalare la
modificazione genetica (…)».
27 L’art. 906, n. 2, del BGB,
nella versione pubblicata il 2 gennaio 2002 (BGBl. 2002
I, pag. 42), dispone quanto segue:
«Lo stesso vale qualora, a causa
dell’utilizzo consueto dell’altro fondo, si verifichi
un’alterazione sostanziale che non è possibile evitare
con misure economicamente sostenibili per gli aventi
titolo. Se, come conseguenza, il proprietario deve
sopportare determinate immissioni, nel caso in cui tali
immissioni gli impediscano di utilizzare il suo fondo
come di consueto o ne compromettano il rendimento in
misura inaccettabile, egli può chiedere al proprietario
dell’altro fondo un adeguato risarcimento in denaro».
Causa principale e questioni
pregiudiziali
28 Nel 1998 la Monsanto
Europe, in attuazione della decisione della Commissione
22 aprile 1998, 98/294/CE, concernente l’immissione in
commercio di granturco geneticamente modificato (Zea
mays L. Linea MON 810), a norma della direttiva del
Consiglio 90/220/CEE (GU L 131, pag. 32), ha ottenuto
un’autorizzazione all’immissione in commercio del mais
geneticamente modificato MON 810 (in prosieguo: il «mais
MON 810»).
29 La coltivazione del mais
MON 810 è stata vietata in Germania con decisione del
Bundesamt für Verbraucherschutz und
Lebensmittelsicherheit (ente federale tedesco per la
tutela dei consumatori e per la sicurezza alimentare)
del 17 aprile 2009, che ha disposto la sospensione
temporanea dell’autorizzazione all’immissione in
commercio.
30 La Monsanto Technology è
titolare di autorizzazioni per diverse varietà in forza
della normativa applicabile alle sementi. La Monsanto
Agrar Deutschland è competente per la
commercializzazione in Germania delle sementi ottenute
dal mais della linea MON 810.
31 Il mais MON 810 contiene un
gene del batterio del terreno bacillus thuringiensis
(Bt), che secerne tossine Bt nella pianta di mais. Tali
tossine consentono di combattere le larve della piralide
del mais, una farfalla parassita del mais le cui larve,
in caso di infestazione, pregiudicano lo sviluppo della
pianta. Le tossine Bt distruggono le cellule
dell’apparato digerente delle larve causandone la morte.
32 Il Freistaat Bayern è
proprietario di diversi terreni sui quali, negli ultimi
anni, il mais MON 810 è stato coltivato a fini di
ricerca. Esso non esclude di proseguire tale
coltivazione alla scadenza del divieto in vigore su
tutto il territorio tedesco.
33 Il sig. Bablok gestisce
un’attività amatoriale di apicoltura. In prossimità dei
terreni appartenenti al Freistaat Bayern, egli produce
miele per la vendita e per il proprio consumo. Fino al
2005 produceva anche polline destinato alla vendita come
prodotto alimentare sotto forma di integratore. Egli
intende riprendere la produzione di polline non appena
venga escluso il rischio di immissione di polline
geneticamente modificato.
34 I sigg. Egeter, Stegmeier e
Müller, nonché la sig.ra Klimesch, sono intervenuti nel
procedimento nazionale in fase di appello. Anch’essi
gestiscono attività amatoriali di apicoltura, alcuni di
loro solo per il proprio consumo. I loro apiari si
trovano a una distanza compresa tra 1 km e 3 km dai
terreni del Freistaat Bayern.
35 Del polline, raccolto dalle
api e riposto in talune parti dell’alveare ai fini
dell’alimentazione, può finire con l’essere incorporato
nel miele sia accidentalmente, attraverso le api stesse
durante la produzione del miele, sia tecnicamente,
mediante intervento dell’apicoltore, per effetto della
centrifugazione dei favi durante la raccolta del miele,
che determina l’estrazione, oltre che del contenuto
degli alveoli in cui si trova il miele, anche del
contenuto di alveoli vicini destinati allo stoccaggio
del polline.
36 Nel 2005, nel polline di
mais estratto dal sig. Bablok dagli alveari posti a una
distanza di 500 m dai terreni del Freistaat Bayern è
stata riscontrata la presenza, da un lato, di DNA di
mais MON 810, nella misura del 4,1% rispetto al DNA
complessivo del mais, e, dall’altro, di proteine
transgeniche (tossina Bt).
37 Peraltro, è stata rilevata
in alcuni campioni di miele del sig. Bablok la presenza
di esigui quantitativi di DNA di mais MON 810, derivante
dall’immissione di polline di tale mais.
38 Alla data della decisione
di rinvio non era stata riscontrata la presenza di DNA
di mais MON 810 nei prodotti apistici dei sigg. Egeter,
Stegmeier e Müller, nonché della sig.ra Klimesch.
39 Nell’ambito del
procedimento principale il giudice del rinvio è chiamato
a pronunciarsi su una domanda volta a far constatare
che, a causa della presenza di polline di mais MON 810
nei prodotti apistici di cui trattasi, questi ultimi
sono stati resi inadatti alla commercializzazione o al
consumo, e che, quindi, hanno subito un’«alterazione
sostanziale» ai sensi degli artt. 36a del GenTG e 906,
n. 2, del BGB.
40 Tale domanda è stata
accolta in primo grado dal Bayerisches
Verwaltungsgericht Augsburg (Tribunale amministrativo
bavarese di Augusta), con sentenza del 30 maggio 2008.
Tale giudice ha ritenuto che, con l’immissione di
polline di mais MON 810, il miele e gli integratori
alimentari a base di polline diventassero alimenti
soggetti ad autorizzazione, con la conseguenza che, ai
sensi dell’art. 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003,
tali alimenti non potevano essere immessi in commercio
in mancanza di una siffatta autorizzazione.
41 A parere del Bayerisches
Verwaltungsgericht Augsburg, il miele e gli integratori
alimentari a base di polline prodotti dal sig. Bablok
sono sostanzialmente alterati a causa della presenza di
polline di mais MON 810.
42 Contestando tale analisi,
la Monsanto Technology, la Monsanto Agrar Deutschland e
il Freistaat Bayern hanno interposto appello contro
detta sentenza dinanzi al Bayerischer
Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa bavarese).
43 Dinanzi a tale ultimo
giudice essi sostengono che il regolamento n. 1829/2003
non è applicabile al polline della linea di mais MON
810, presente nel miele o utilizzato come integratore
alimentare. Infatti, le conseguenze di una naturale
immissione negli alimenti sarebbero state valutate e,
quindi, autorizzate mediante la decisione 98/294.
44 Peraltro, il polline
presente nel miele o utilizzato come integratore
alimentare non costituirebbe un «OGM» ai sensi del
regolamento n. 1829/2003, dato che, nel momento in cui
viene incorporato nel miele o destinato
all’alimentazione, in particolare sotto forma di
integratore, esso non avrebbe più alcuna capacità
concreta e individuale di riprodursi e che non sarebbe
sufficiente a tal fine la mera presenza di DNA e/o di
proteine transgeniche.
45 Se fosse applicabile il
regolamento n. 1829/2003 si dovrebbe operare
un’interpretazione restrittiva delle norme in materia di
autorizzazione in esso contenute. In caso di immissione
accidentale di polline di mais MON 810, la cui presenza
in natura è consentita ex lege, il miele sarebbe
soggetto ad un’autorizzazione di immissione in commercio
solo a partire da una soglia di 0,9%, come previsto in
materia di etichettatura all’art. 12, n. 2, del
regolamento n. 1829/2003.
46 Il Bayerischer
Verwaltungsgerichtshof rileva che la coltivazione di
mais MON 810, effettuata in passato e che può riprendere
in futuro, è giuridicamente lecita, purché venga
rinnovata l’autorizzazione all’immissione in commercio,
e che i ricorrenti devono pertanto tollerarla
conformemente all’art. 906, n. 2, del BGB.
47 Alla luce di tale ultima
disposizione, esso spiega che per risolvere la questione
dell’alterazione sostanziale dei prodotti, determinante
per dirimere la controversia nella causa principale,
occorre stabilire se, in caso di immissione di polline
di mais MON 810, tali prodotti, in quanto alimenti
geneticamente modificati, non possano più essere immessi
in commercio in mancanza di autorizzazione,
conformemente all’art. 4, n. 2, del regolamento n.
1829/2003 o se, comunque, possano essere immessi in
commercio solo se etichettati in modo da segnalare la
modificazione genetica, in applicazione dell’art. 36a
del GenTG.
48 Il giudice del rinvio
sottolinea che la presenza di polline di mais MON 810
può produrre siffatte conseguenze unicamente qualora i
prodotti apistici contenenti detto polline rientrino
nell’ambito di applicazione del regolamento n.
1829/2003.
49 Esso osserva che per
risolvere tale questione occorre verificare, anzitutto,
se un polline di mais come quello in discussione nella
causa principale costituisca un «organismo» ai sensi
dell’art. 2, punto 4, del regolamento n. 1829/2003, e un
«OGM» ai sensi del punto 5 del medesimo articolo, tenuto
conto che tali disposizioni rimandano alle definizioni
di queste due nozioni contenute nella direttiva 2001/18.
50 A suo parere, il polline di
mais è un «organismo» poiché, nonostante non sia capace
di riprodursi autonomamente, esso può, in quanto cellula
sessuata maschile, trasferire in condizioni naturali
materiale genetico alle cellule sessuate femminili.
51 Tuttavia, il Bayerischer
Verwaltungsgerichtshof osserva che il polline di mais
perde in un tempo relativamente breve, per
disidratazione, la sua capacità di fecondazione di un
fiore femminile di mais, per cui non è più un organismo
vivente atto a svolgere le proprie funzioni per l’intero
periodo di maturazione del miele, a partire dal momento
in cui quest’ultimo, che lo incorpora, viene depositato
nei favi e poi coperto da opercoli. Esso aggiunge che lo
stesso vale per il polline contenuto nei prodotti a base
di polline, nel momento in cui vengono destinati al
consumo, in particolare, come integratori alimentari.
52 Esso si interroga quindi,
principalmente, sulle conseguenze della perdita, da
parte del polline controverso, della sua capacità
riproduttiva.
53 In tale contesto il
Bayerischer Verwaltungsgerichtshof ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la nozione di «[OGM]»
ai sensi dell’art. 2, punto 5, del regolamento [n.
1829/2003] debba essere interpretata nel senso che
include anche materiale di varietà vegetali
geneticamente modificate (nella fattispecie: il polline
di mais della linea geneticamente modificata MON 810) il
quale, effettivamente, contiene DNA e proteine
geneticamente modificate (nella fattispecie: la tossina
Bt) ma, nel momento in cui è incorporato in un alimento
(nella fattispecie: il miele) o è destinato
all’alimentazione, in particolare come integratore
alimentare, non possiede (più) alcuna capacità
riproduttiva concreta e individuale.
2) In caso di soluzione
negativa della prima questione:
a) Se, affinché un alimento
sia considerato “prodotto a partire da OGM” ai sensi
dell’art. 2, punto 10, del regolamento [n. 1829/2003],
sia comunque sufficiente che contenga materiale
proveniente da varietà vegetali geneticamente
modificate, il quale abbia in precedenza posseduto una
capacità riproduttiva concreta e individuale.
In caso di soluzione affermativa
della questione sub a):
b) Se la nozione di “prodotto
a partire da OGM” di cui agli artt. 2, punto 10, e 3, n.
1, lett. c), del regolamento [n. 1829/2003] debba essere
interpretata, con riferimento agli OGM, nel senso che
non è richiesto un processo di produzione intenzionale e
programmato e che essa ricomprende anche la presenza
involontaria e accidentale di (ex) OGM in un alimento
(nella fattispecie: miele o polline in qualità di
integratore alimentare).
3) In caso di soluzione
affermativa della prima e della seconda questione:
Se il combinato disposto degli
artt. 3, n. 1, e 4, n. 2, del regolamento [n. 1829/2003]
debba essere interpretato nel senso che qualsivoglia
immissione di materiale geneticamente modificato, la cui
presenza in natura è consentita ex lege, in alimenti di
origine animale, come il miele, determina il loro
assoggettamento all’obbligo di autorizzazione e
vigilanza previsto da tali disposizioni, o se si possano
richiamare per analogia soglie applicabili in altri
ambiti (per esempio nel caso dell’art. 12, n. 2, del
regolamento)».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
54 Con la sua prima questione,
il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se la
nozione di OGM di cui all’art. 2, punto 5, del
regolamento n. 1829/2003 debba essere interpretata nel
senso che una sostanza, quale il polline proveniente da
una varietà di mais geneticamente modificato, non
rientra o non rientra più in tale nozione dal momento
che ha perso ogni capacità riproduttiva concreta e
individuale, e ciò nonostante essa continui a contenere
materiale geneticamente modificato.
55 Emerge dalla decisione di
rinvio che, secondo un’interpretazione possibile della
nozione di OGM, quest’ultima si riferirebbe unicamente
ad un’entità atta a svolgere le proprie funzioni, vale a
dire un’entità biologica vivente. Non sarebbe quindi
sufficiente che il polline di mais privo di vita
contenga DNA transgenico o proteine transgeniche. Le
definizioni di organismo e di OGM di cui alla direttiva
2001/18 implicherebbero necessariamente che
l’informazione genetica contenuta possa essere
concretamente trasferita a un destinatario adeguato al
fine della ricombinazione. Il quarto ‘considerando’ di
quest’ultima direttiva corroborerebbe questa tesi. La
medesima direttiva sembrerebbe quindi considerare
decisivi due criteri di pari rilevanza, vale a dire
quello della vitalità e quello della capacità
riproduttiva, e non il semplice trasferimento di DNA che
non sia più in grado di svolgere le sue funzioni
riproduttive.
56 Nondimeno, il giudice del
rinvio si chiede se un’interpretazione in tal senso non
sia contraria allo scopo di tutela perseguito dal
regolamento n. 1829/2003. Potrebbe risultare
incompatibile con tale scopo escludere dall’ambito di
applicazione di detto regolamento alimenti che
contengono DNA o proteine geneticamente modificati in
misura illimitata. L’elemento pertinente con riguardo
alla sicurezza degli alimenti potrebbe dunque risiedere
non tanto dalla capacità riproduttiva dell’OGM, quanto
nella presenza di materiale geneticamente modificato.
57 L’art. 2, punto 5, del
regolamento n. 1829/2003 definisce l’OGM rinviando alla
definizione di tale nozione fornita dall’art. 2, punto
2, della direttiva 2001/18, vale a dire quale «un
organismo (...) il cui materiale genetico è stato
modificato in modo diverso da quanto avviene in natura
con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica
naturale».
58 È pacifico che il materiale
genetico del polline di cui trattasi nella causa
principale è stato modificato nelle condizioni
illustrate dalla definizione di OGM.
59 Il giudice del rinvio potrà
quindi qualificare tale polline come OGM unicamente
qualora tale sostanza costituisca ancora un «organismo»
ai sensi dell’art. 2, punto 4, del regolamento n.
1829/2003, il quale, mediante rinvio all’art. 2, punto
1, della direttiva 2001/18, definisce come «organismo»
«qualsiasi entità biologica capace» o «di riprodursi» o
«di trasferire materiale genetico».
60 Dal momento che la
questione si concentra sulla seconda parte di tale
definizione, relativa alla capacità di riproduzione o di
trasferimento di materiale genetico, e poiché è pacifico
che il polline di cui trattasi nella causa principale ha
perso ogni capacità riproduttiva concreta e individuale,
spetta al giudice del rinvio verificare se il polline
sia in grado, peraltro, di «trasferire materiale
genetico», prendendo debitamente in considerazione i
dati scientifici disponibili e ogni forma di
trasferimento di materiale genetico scientificamente
dimostrata.
61 Anche qualora, a seguito di
tale valutazione, il giudice del rinvio giunga a
constatare che il polline di cui trattasi nella causa
principale non è, o non è più, capace di trasferire
materiale genetico, di modo che esso non potrebbe essere
considerato un organismo e, di conseguenza, un OGM ai
sensi del regolamento n. 1829/2003, da ciò non
deriverebbe necessariamente che tale polline non rientra
nell’ambito di applicazione di tale regolamento.
Infatti, anche se, in tal caso, a tale polline non è
applicabile l’art. 3, n. 1, lett. a) e b) del
regolamento n. 1829/2003, nondimeno esso può rientrare
nell’ambito dell’art. 3, n. 1, lett. c), del medesimo
regolamento, possibilità prevista dal giudice del rinvio
stesso nella sua seconda questione pregiudiziale.
62 Occorre dunque risolvere la
prima questione dichiarando che la nozione di OGM, di
cui all’art. 2, punto 5, del regolamento n. 1829/2003,
deve essere interpretata nel senso che non rientra più
in tale nozione una sostanza quale il polline derivante
da una varietà di mais geneticamente modificato, la
quale abbia perso la sua capacità riproduttiva e che sia
priva di ogni capacità di trasferire il materiale
genetico da essa contenuto.
Sulla seconda questione
63 Nella sua seconda questione
il giudice del rinvio, che desidera ottenere chiarimenti
sull’ambito di applicazione del regolamento n.
1829/2003, si riferisce all’art. 2, punto 10, di
quest’ultimo, il quale definisce la nozione di «prodotto
a partire da OGM».
64 Per quanto riguarda gli
alimenti, l’ambito di applicazione del regolamento n.
1829/2003 è delimitato dal suo art. 3, n. 1, il quale si
applica:
«a) agli OGM destinati
all’alimentazione umana;
b) agli alimenti che
contengono o sono costituiti da OGM;
c) agli alimenti che sono
prodotti a partire da o che contengono ingredienti
prodotti a partire da OGM».
65 La portata dell’art. 3, n.
1, lett. a) e b), dipende essenzialmente dalla nozione
di «OGM».
66 Qualora, nella causa
principale, il giudice del rinvio dovesse constatare che
il polline di cui trattasi non è o non è più capace di
trasferire materiale genetico, di modo che esso non può
essere considerato un OGM, tale controversia potrà
rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento n.
1829/2003 unicamente ove siano soddisfatti i requisiti
posti dall’art. 3, n. 1, lett. c) di quest’ultimo.
67 In circostanze come quelle
di cui alla causa principale, la quale riguarda prodotti
«contenenti» il polline controverso, la portata
dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n.
1829/2003 dipende dalla nozione di «alimento», definita
dall’art. 2, punto 1, del medesimo regolamento mediante
rinvio all’art. 2 del regolamento n. 178/2002, nonché
dalla nozione di «ingrediente», definita dall’art. 2,
punto 13, del regolamento n. 1829/2003 mediante rinvio
all’art. 6, n. 4, della direttiva 2000/13, e da quella
di «prodotto a partire da OGM», definita dall’art. 2,
punto 10, del regolamento n. 1829/2003.
68 Con la sua seconda
questione il giudice del rinvio chiede dunque,
sostanzialmente, se:
– gli artt. 2, punti 1, 10,
13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003,
l’art. 2 del regolamento n. 178/2002 nonché l’art. 6, n.
4, lett. a) della direttiva 2000/13, debbano essere
interpretati nel senso che, qualora una sostanza, come
il polline contenente DNA e proteine geneticamente
modificati, non possa essere considerata un OGM,
prodotti quali il miele e gli integratori alimentari
contenenti una siffatta sostanza costituiscono, ai sensi
dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n.
1829/2003, «alimenti (...) che contengono ingredienti
prodotti a partire da OGM»;
– siffatta qualificazione
valga indipendentemente dal fatto che l’immissione della
sostanza di cui trattasi sia stata intenzionale o
accidentale.
69 Prodotti quali il miele e
gli integratori alimentari a base di polline di cui
trattasi nella causa principale sono destinati ad essere
ingeriti dall’essere umano. Essi sono dunque «alimenti»
ai sensi degli artt. 2, punto 1, del regolamento n.
1829/2003 e 2 del regolamento n. 178/2002.
70 Il polline controverso
nella causa principale deriva dal mais MON 810, cioè da
un OGM.
71 Si deve ritenere che tale
polline sia «prodotto a partire da OGM», ai sensi
dell’art. 2, punto 10, del regolamento n. 1829/2003,
qualora esso non possa più essere qualificato quale OGM
in quanto, in tal caso, non consiste più in un OGM e non
contiene più OGM.
72 Per poter risolvere la
seconda questione si deve dunque principalmente
accertare se detto polline possa essere qualificato come
«ingrediente».
73 Ai sensi degli artt. 2,
punto 13, del regolamento n. 1829/2003 e 6, n. 4, lett.
a), della direttiva 2000/13, per ingrediente si intende
«qualsiasi sostanza (...) utilizzata nella fabbricazione
o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora
presente nel prodotto finito, eventualmente in forma
modificata».
74 Va qualificato come
«ingrediente» il polline contenuto in integratori
alimentari a base di polline, dal momento che vi è
incorporato durante la loro fabbricazione o la loro
preparazione.
75 Per quanto riguarda il
polline contenuto nel miele occorre constatare che, ai
sensi dell’allegato II, primo comma, della direttiva
2001/110, il miele è composto non solo da diversi
zuccheri, ma anche da altre sostanze quali, in
particolare, le «particelle solide provenienti dalla
raccolta del miele».
76 Orbene, i pollini sono
particelle solide che provengono effettivamente dalla
raccolta del miele, parzialmente grazie alle api e,
principalmente, quale effetto della centrifugazione
realizzata dall’apicoltore. Peraltro, conformemente al
terzo comma dell’allegato II della direttiva 2001/110,
«è vietato estrarre polline (...), salvo qualora sia
inevitabile nell’estrazione di sostanze estranee
inorganiche o organiche».
77 Il polline non è dunque un
corpo estraneo, un’impurità del miele, bensì un normale
componente di quest’ultimo, che, per volontà del
legislatore dell’Unione, non può in linea di principio
essere estratto, anche se la frequenza della sua
incorporazione e le quantità in cui esso è presente nel
miele sono soggette a una certa imprevedibilità durante
la produzione.
78 Pertanto, ai sensi
dell’art. 6, n. 4, lett. a), della direttiva 2000/13, il
polline, rientrante nella definizione stessa del miele
fornita dalla direttiva 2001/110, deve essere
considerato una sostanza «utilizzata nella fabbricazione
o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora
presente nel prodotto finito».
79 Esso dev’essere dunque
parimenti qualificato come «ingrediente» ai sensi degli
artt. 2, punto 13, del regolamento n. 1829/2003 e 6, n.
4, lett. a), della direttiva 2000/13.
80 La Commissione europea
oppone a una siffatta conclusione una distinzione che
dovrebbe essere operata tra la nozione di «ingrediente»
e quella di «elemento costitutivo naturale». A suo
parere, il polline sarebbe un elemento costitutivo
naturale del miele e non un ingrediente, in modo tale
che il miele che lo contiene non rientrerebbe
nell’ambito di applicazione dell’art. 3, n. 1, lett. c),
del regolamento n. 1829/2003. Tale risultato
concorderebbe, del resto, con la formulazione del
sedicesimo ‘considerando’ di tale regolamento, dal quale
dovrebbe dedursi che gli alimenti di origine animale
possono essere considerati prodotti a partire da un OGM
unicamente qualora l’animale sia esso stesso
geneticamente modificato.
81 Nondimeno, la distinzione
così delineata non prende in considerazione le
condizioni particolari dell’incorporazione del polline
nel miele nonché del mantenimento volontario di tale
polline nella composizione del prodotto finito.
82 L’interpretazione proposta
comprometterebbe lo scopo di tutela della salute umana,
in quanto un alimento come il miele sarebbe sottratto a
qualsiasi controllo sulla sua sicurezza, e ciò anche
qualora contenesse quantità elevate di materiale
geneticamente modificato.
83 Essa trascurerebbe il
criterio determinante per l’applicazione del regolamento
n. 1829/2003, menzionato nel suo sedicesimo
‘considerando’, fondato sulla circostanza che «materiale
derivato dal materiale di partenza geneticamente
modificato sia presente o meno nell’alimento».
84 A tale proposito occorre
osservare che l’analisi svolta dalla Commissione non è
corroborata dal citato sedicesimo ‘considerando’, il
quale spiega l’esclusione dall’ambito di applicazione di
tale regolamento degli alimenti prodotti non «a partire
da» un OGM, bensì «con» coadiuvanti tecnologici
geneticamente modificati.
85 Infatti, gli esempi
menzionati in tale ‘considerando’ di alimenti ottenuti
da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati
sono unicamente volti ad illustrare la categoria di
alimenti prodotti «con» un OGM nei quali non è
riscontrabile la presenza di materiale prodotto a
partire dalla materia di origine geneticamente
modificata.
86 Essi non possono, di
conseguenza, servire da fondamento per un’esclusione
dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003
di un alimento, quale il miele di cui trattasi nella
causa principale, che contiene effettivamente un
siffatto materiale.
87 Infine, non si può
considerare, come suggerito dalla Monsanto per escludere
parimenti il miele dall’ambito di applicazione di tale
regolamento, che la presenza di polline non sia il
risultato di un processo di produzione intenzionale.
88 Tale presenza, al
contrario, è proprio la conseguenza di un processo di
produzione consapevole e voluto dall’apicoltore che
intende produrre l’alimento qualificato come miele dalla
normativa dell’Unione. Essa deriva, inoltre,
essenzialmente, dall’azione dell’apicoltore stesso, come
conseguenza dell’operazione materiale di centrifugazione
alla quale egli procede ai fini dell’estrazione.
89 In ogni caso,
l’introduzione intenzionale, in un alimento, di una
sostanza come il polline di cui trattasi nella causa
principale, non può assurgere a condizione per
l’applicazione del regime di autorizzazione previsto dal
regolamento n. 1829/2003, poiché il rischio per la
salute umana che tale regolamento mira a prevenire è
indipendente dal carattere intenzionale o accidentale
dell’introduzione della sostanza di cui trattasi.
90 Inoltre, un’interpretazione
nel senso proposto dalla Monsanto priverebbe di oggetto
l’art. 12, n. 2, del regolamento n. 1829/2003, il quale
deroga all’obbligo di etichettatura sancito nell’art. 13
del medesimo regolamento qualora la presenza del
materiale di cui trattasi non ecceda lo 0,9% degli
ingredienti considerati individualmente, «purché tale
presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile».
91 Infatti, la presa in
considerazione del carattere accidentale o tecnicamente
inevitabile della citata presenza sottrarrebbe, di per
sé, l’alimento all’applicazione del regolamento n.
1829/2003 e dunque a qualsivoglia obbligo di
etichettatura.
92 La seconda questione va
risolta, di conseguenza, dichiarando che:
– gli artt. 2, punti 1, 10,
13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, 2
del regolamento n. 178/2002 e 6, n. 4, lett. a), della
direttiva 2000/13 devono essere interpretati nel senso
che, qualora una sostanza come il polline contenente DNA
e proteine geneticamente modificati non possa essere
considerata un OGM, prodotti quali il miele e gli
integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza
costituiscono, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 1829/2003, «alimenti (...) che contengono
ingredienti prodotti a partire da OGM»;
– siffatta qualificazione
vale indipendentemente dal fatto che l’immissione della
sostanza di cui trattasi sia stata intenzionale o
accidentale.
Sulla terza questione
93 Con la sua terza questione
il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se gli
artt. 3, n. 1, e 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003
debbano essere interpretati nel senso che, laddove
implicano un obbligo di autorizzazione e di vigilanza di
un alimento, a tale obbligo si può applicare, per
analogia, una soglia di tolleranza come quella prevista
in materia di etichettatura dall’art. 12, n. 2, del
medesimo regolamento.
94 La Monsanto e il governo
polacco considerano che, nell’ipotesi in cui un OGM sia
stato autorizzato in forza della direttiva 2001/18 o,
come nella controversia principale, in applicazione
della direttiva del Consiglio 23 aprile 1990,
90/220/CEE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di
organismi geneticamente modificati (GU L 117, pag. 15),
abrogata e sostituita dalla direttiva 2001/18,
l’autorizzazione rilasciata coprirebbe l’immissione
accidentale, in altri prodotti, di tracce minime di
materiale geneticamente modificato quale semplice
conseguenza della messa in atto di tale autorizzazione;
una siffatta conseguenza, a loro parere, sarebbe stata
presa in considerazione al momento della valutazione
dell’OGM.
95 Un’analisi in tal senso non
può essere accolta.
96 Le direttive 90/220 e
2001/18 sono state adottate, l’una dopo l’altra, per
disciplinare l’emissione deliberata di OGM nell’ambiente
e l’immissione in commercio di OGM in quanto prodotti,
al fine di evitare rischi per la salute umana e per
l’ambiente che potrebbero risultare da tali OGM.
97 Il regolamento n. 1829/2003
si applica al settore particolare degli alimenti e dei
mangimi. Per quanto riguarda gli alimenti, il suo primo
scopo, menzionato nel suo art. 4, n. 1, è ancora una
volta quello di evitare rischi per la salute umana e per
l’ambiente.
98 Tuttavia, l’approccio delle
direttive 90/220 e 2001/18 è concepito sotto l’aspetto
predominante della nozione di «emissione deliberata», la
quale è definita nell’art. 2, punto 3, di ciascuna di
tali direttive come l’introduzione intenzionale
nell’ambiente di un OGM per la quale non vengono usate
misure specifiche di confinamento, al fine di limitare
il loro «contatto con la popolazione e con l’ambiente».
99 Tale approccio appare
dunque più generale, anche per quanto riguarda
l’immissione in commercio di un OGM in quanto prodotto.
Infatti, a proposito di quest’ultima, il dodicesimo, il
tredicesimo e il quattordicesimo ‘considerando’ della
direttiva 90/220 nonché il venticinquesimo, il
ventottesimo e il trentaduesimo ‘considerando’ della
direttiva 2001/18 collegano la necessità di avviare una
procedura di valutazione e di autorizzazione all’ipotesi
nella quale l’immissione in commercio implichi
un’emissione deliberata nell’ambiente.
100 Il regolamento n. 1829/2003,
pur comportando anche, in particolare ai suoi artt. 5,
n. 5, e 6, n. 4, taluni aspetti di valutazione dei
rischi per l’ambiente risultanti dagli alimenti, è
fondato in modo preponderante, per quanto riguarda
questi ultimi, su un approccio di tutela della salute
umana collegato alla circostanza specifica che tali
alimenti sono destinati, per definizione, ad essere
ingeriti dall’essere umano. Così, conformemente al suo
terzo ‘considerando’, per tutelare la salute umana, gli
alimenti contenenti OGM, consistenti in siffatti
organismi o prodotti a partire da questi ultimi, devono
essere sottoposti ad una valutazione della loro
«sicurezza».
101 Il regolamento n. 1829/2003
introduce in tal modo un livello di controllo
supplementare.
102 Tale regolamento sarebbe
privato del proprio oggetto se si ritenesse che una
valutazione effettuata e un’autorizzazione rilasciata in
applicazione della direttiva 90/220 o della direttiva
2001/18 coprano tutti i potenziali rischi successivi per
la salute umana e l’ambiente.
103 Qualora siano soddisfatte le
condizioni di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento n.
1829/2003, l’obbligo di autorizzazione e di vigilanza
sussiste a prescindere dalla proporzione di materiale
geneticamente modificato contenuta nel prodotto di cui
trattasi.
104 Infatti, per quanto riguarda
tale obbligo, una soglia di tolleranza dello 0,5% è
stata prevista unicamente dall’art. 47 del regolamento
n. 1829/2003. Orbene, tale soglia ha cessato di essere
applicabile tre anni dopo la data di applicazione di
tale regolamento, conformemente al n. 5 del citato art.
47.
105 Relativamente alla soglia di
tolleranza dello 0,9% per ingrediente stabilita
dall’art. 12, n. 2, del regolamento n. 1829/2003, essa
riguarda l’obbligo di etichettatura e non l’obbligo di
autorizzazione e di vigilanza.
106 La sua applicazione per
analogia a quest’ultimo obbligo priverebbe di ogni
utilità la disposizione che la prevede, dal momento che
escluderebbe l’alimento di cui trattasi dall’ambito di
applicazione del regolamento n. 1829/2003.
107 In ogni caso, essa
contrasterebbe con lo scopo di garantire un «elevato
livello di tutela della vita e della salute umana»,
sancito nell’art. 1 di tale regolamento.
108 Occorre dunque risolvere la
terza questione dichiarando che gli artt. 3, n. 1, e 4,
n. 2, del regolamento n. 1829/2003 devono essere
interpretati nel senso che, laddove implicano un obbligo
di autorizzazione e di vigilanza di un alimento, a tale
obbligo non si può applicare per analogia una soglia di
tolleranza come quella prevista in materia di
etichettatura dall’art. 12, n. 2, del medesimo
regolamento.
Sulle spese
109 Nei confronti delle parti
nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le
spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi la Corte (Grande
Sezione) dichiara:
1) La nozione di organismo
geneticamente modificato di cui all’art. 2, punto 5, del
regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio
22 settembre 2003, n. 1829, relativo agli alimenti e ai
mangimi geneticamente modificati, deve essere
interpretata nel senso che non rientra più in tale
nozione una sostanza quale il polline derivante da una
varietà di mais geneticamente modificato, la quale abbia
perso la sua capacità riproduttiva e che sia priva di
qualsivoglia capacità di trasferire il materiale
genetico da essa contenuto.
2) Gli artt. 2, punti 1, 10,
13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, 2
del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del
Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i
principi e i requisiti generali della legislazione
alimentare, istituisce l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della
sicurezza alimentare, e 6, n. 4, lett. a), della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20
marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere
interpretati nel senso che, qualora una sostanza come il
polline contenente DNA e proteine geneticamente
modificati non possa essere considerata un organismo
geneticamente modificato, prodotti quali il miele e gli
integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza
costituiscono, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 1829/2003, «alimenti (...) che contengono
ingredienti prodotti a partire da OGM». Siffatta
qualificazione vale indipendentemente dal fatto che
l’immissione della sostanza di cui trattasi sia stata
intenzionale o accidentale.
3) Gli artt. 3, n. 1, e 4, n.
2, del regolamento n. 1829/2003 devono essere
interpretati nel senso che, laddove implicano un obbligo
di autorizzazione e di vigilanza di un alimento, a tale
obbligo non si può applicare per analogia una soglia di
tolleranza come quella prevista in materia di
etichettatura dall’art. 12, n. 2, del medesimo
regolamento.
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