Con atto notificato in data 16
ottobre 19 97, A.A. promosse innanzi al Tribunale di
Trapani giudizio di divisione della comunione indivisa
avente ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS), cui
partecipavano, in quote di un terzo ciascuno, oltre
l'attore, i suoi fratelli L. e V., convenuti.
L'immobile, consistente in un
piccolo fabbricato compreso ne. più ampio complesso
edilizio denominato "(OMISSIS)", era destinato a bar,
gestito dalla figlia dell'attore, la quale corrispondeva
ai convenuti un canone annuo di L. 4.000.000 ciascuno.
L'attore chiese che venisse
accertata la divisibilità dell'immobile, e, in caso
negativo, che gli venisse attribuita l'intera proprietà,
previa determinazione dei conguagli in danaro in favore
dei fratelli.
I convenuti, asserendo la
indivisibilità dell'immobile, ne chiesero a Loro volta
l'assegnazione congiunta, stante la maggiore entità
della loro quota, deducendo la irrilevanza
dell'esercizio commerciale gestito dalla nipote, alla
quale sarebbe già stata intimata convalida di sfratto
per finita locazione.
Dalla espletata consulenza tecnica
di ufficio emerse che il bene era divisibile, a prezzo,
peraltro, del suo mutamento di destinazione e di una
consistente perdita di valore. Il c.t.u. prospettò,
pertanto, sia la ipotesi di divisione del fabbricato in
due lotti, con assegnazione degli stessi a due dei
comunisti e conguaglio a favore del terzo, ovvero
l'assegnazione dell'unico bene ad uno solo dei comunisti
e la corresponsione a ciascuno degli altri due dei
conguagli in danaro..
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Sentenza 9.5.2011 n. 10138
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ODDO Massimo - Presidente -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio -
Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo -
Consigliere -
Dott. BIANCHINI Bruno - Consigliere
-
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria -
rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso 13418/2005 proposto da:
A.A. C.F.
contro
A.V. C.F.e vari - controricorrenti
-
avverso la sentenza n. 547/2004
della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il
14/05/2004;
udita la relazione della causa
svolta nella Pubblica udienza del 13/12/2010 dal
Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l'Avvocato S. Maresca con
delega dell'Avv. Gaetano La Rocca difensore del
resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario
Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso e
la condanna alle spese.
FATTO
1. - Con atto notificato in data 16
ottobre 19 97, A.A. promosse innanzi al Tribunale di
Trapani giudizio di divisione della comunione indivisa
avente ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS), cui
partecipavano, in quote di un terzo ciascuno, oltre
l'attore, i suoi fratelli L. e V., convenuti.
L'immobile, consistente in un
piccolo fabbricato compreso ne. più ampio complesso
edilizio denominato "(OMISSIS)", era destinato a bar,
gestito dalla figlia dell'attore, la quale corrispondeva
ai convenuti un canone annuo di L. 4.000.000 ciascuno.
L'attore chiese che venisse
accertata la divisibilità dell'immobile, e, in caso
negativo, che gli venisse attribuita l'intera proprietà,
previa determinazione dei conguagli in danaro in favore
dei fratelli.
I convenuti, asserendo la
indivisibilità dell'immobile, ne chiesero a Loro volta
l'assegnazione congiunta, stante la maggiore entità
della loro quota, deducendo la irrilevanza
dell'esercizio commerciale gestito dalla nipote, alla
quale sarebbe già stata intimata convalida di sfratto
per finita locazione.
Dalla espletata consulenza tecnica
di ufficio emerse che il bene era divisibile, a prezzo,
peraltro, del suo mutamento di destinazione e di una
consistente perdita di valore. Il c.t.u. prospettò,
pertanto, sia la ipotesi di divisione del fabbricato in
due lotti, con assegnazione degli stessi a due dei
comunisti e conguaglio a favore del terzo, ovvero
l'assegnazione dell'unico bene ad uno solo dei comunisti
e la corresponsione a ciascuno degli altri due dei
conguagli in danaro.
2. - Con sentenza in data 4 marzo
2000, il Tribunale dichiarò sciolta la comunione tra A.,
L. e A.V. sul fabbricato di cui si tratta, e, ritenuta
nella indivisibilità, ne attribuì la proprietà esclusiva
all'attore, che condannò a corrispondere a titolo di
conguaglio, a ciascuno dei convenuti. La somma di L.
40.000.000. Osservò il Tribunale che, a norma dell'art.
720 cod. civ., richiamato in via generale dall'art. 1116
cod. civ., in caso di non comoda divisibilità del bene e
di pregiudizio alle ragioni della pubblica economia
conseguente al suo frazionamento, lo stesso deve
preferibilmente essere compreso per intero, con addebito
dell'eccedenza, in un'unica porzione. Il fabbricato
oggetto di divisione copriva una superficie utile assai
limitata, pari a mq.
88,3, sicché il suo ulteriore
frazionamento in due parti distinte, di dimensioni
ancora più ridotte, avrebbe finito per privare
l'immobile di qualsiasi utilità. Inoltre, la sottrazione
dell'immobile alla sua destinazione a bar, conseguenza
pressoché necessaria della suddivisione dell'immobile,
avrebbe comportato il venir meno del valore economico
del bene, con pregiudizio dell'interesse, anche
pubblicistico, alla salvaguardia della capacità
reddituale. Tali considerazioni suggerivano
l'attribuzione del bene ad una sola delle parti, e
soltanto l'attore aveva richiesto per se l'assegnazione
della proprietà dell'intero immobile, a ciò spinto
dall'ulteriore interesse ai garantire la continuazione
dell'attività commerciale esercitata dalla figlia.
Avverso detta sentenza proposero
gravame A.L. e V..
3. - Con sentenza depositata il 14
maggio 2004, la Corte d'appello di Palermo, in riforma
della sentenza impugnata, attribuì congiuntamente agli
appellanti La proprietà del fabbricato, condannandoli di
pagamento in favore di A.A. della somma di Euro 10329,14
ciascuno, oltre agli interessi nella misura di legge
dalla data della sentenza di primo grado.
Osservò la Corte di merito che il
Tribunale aveva violato i principi stabiliti dall'art.
720 cod. civ., secondo cui, in caso di immobili non
comodamente divisibili, questi debbono essere
attribuiti, per intero con. addebito della eccedenza ad
uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o
anche nelle porzioni di più coeredi se questi no
richiedono congiuntamente l'attribuzione, e che tali
criteri, pur non essendo assoluti e cogenti, debbono
essere preferibilmente seguiti, non potendo il giudice
discostarsene se non per motivi gravi ed attinenti
all'interesse comune dei condividenti.
Nella specie, gli appellanti già
con comparsa di costituzione e risposta avevano chiesto
l'assegnazione congiunta dell'intero immobile sul
presupposto della indivisibilità del bene, e poi, in
sede di precisazione delle conclusioni, dopo che rei
corso della istruttoria era stata accertata la
divisibilità del bene in due unità indipendenti, avevano
chiesto che dette unità venissero ad essi attribuite,
con l'onere di soddisfare le quote spettanti all'attore,
poi appellato. In definitiva, le due domande formulate
dagli appellanti nei diversi momenti del primo grado del
giudizio, erano, secondo la Corte territoriale,
strettamente connesse ed interdipendenti, essendo volte
al raggiungimento di un unico risultato pratico, quello
di far conseguire comunque ai fratelli che le avevano
formulate la titolarità dell'immobile, congiuntamente o
in via esclusiva su ciascuna delle due parti in cui esso
poteva essere diviso, con la esclusione dei terzo
condividente e il soddisfacimento delle ragioni di
quest'ultimo mediante un conguaglio in danaro. Era,
dunque, da escludere che la proposizione dell'una
domanda dovesse necessariamente portare alla rinuncia
dell'altra.
In ogni caso, la domanda di
assegnazione congiunta ben poteva essere introdotta per
la prima volta nel giudizio di appello, attenendo alle
modalità di attuazione della divisione e, quindi,
risolvendosi nella mera specificazione della pretesa
introduttiva del processo rivolta a porre fine allo
stato di comunione.
Nel merito, la Corte osservò che
l'attribuzione dell'immobile all'attore nel primo grado
del giudizio era stata ricollegata esclusivamente alla
utilizzazione dello stesso per fini commerciali di
gestione di un bar da parie della figlia dell'attore,
estranea alla comunione, e che quindi si trattava di un
motivo non rispondente al comune interesse dei
condividenti. Sicché, secondo la Corte, si doveva
attribuire l'immobile, con maggiore aderenza al testo
dell'art. 720 cod. civ., congiuntamente agli appellanti.
4. - Per la cassazione di tale
sentenza, ricorre A.A. sulla base di due motivi.
Resistono con controricorso A. L. e V..
DIRITTO
1. - Con il primo motivo del
ricorso, si deduce la nullità del procedimento per
violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione
all'art. 189 cod. proc. civ.. Avrebbe errato la Corte di
merito noi ritenere che le conclusioni formulate dai
convenuti L. e A.V. in sede di comparsa di costituzione
e risposta nel giudizio di primo grado dovessero
ritenersi riprodotte in sede di precisazione delle
conclusioni definitive e compatibili tra di loro. Al
contrario, la domanda di assegnazione congiunta
dell'immobile de quo, formulata nella comparsa di
risposta dai convenuti L. e A.V., non sarebbe stata
conciliabile con quella di assegnazione delle singole
unità a ciascuno dei convenuti, proposta in sede di
precisazione delle conclusioni innanzi al g.i.. Dal
verbale di udienza del 27 ottobre 1999, risultava che
l'avvocato dei convenuti aveva contestato quanto dedotto
da controparte, e cioè dall'attore, il quale aveva
precisato la non comoda divisibilità del bene, chiedendo
che il Tribunale glielo attribuisse: ne sarebbe
conseguita la rinuncia del predetto legale alla domanda
di assegnazione congiunta di un bene indivisibile,
prevista dall'art. 720 cod. civ., solo per i casi di non
comoda divisibilità, e la richiesta, del tutto diversa,
di assegnazione delle singole unità immobiliari: donde
la improponibilità in grado di appello della domanda già
rinunciata.
2.1. - La censura non è meritevole
di accoglimento.
2.2. - Non è, infatti, ravvisatale,
nella specie, alcuna violazione dell'art. 112 cod. proc.
civ..
Come ripetutamente affermato dalla
giurisprudenza di legittimità, la mancata
riproposizione, nelle conclusioni definitive di cui
all'art. 189 cod. proc. civ., di domande o eccezioni o
istanze in precedenza formulate non e, di per se,
sufficiente a farne presumere la rinuncia o l'abbandono,
dovendosi ciò escludere non solo quando dette
conclusioni ricomprendano una generica richiesta di
positiva valutazione di tutte le difese svolte, ma anche
quando, pure essendo state precisate conclusioni
specifiche e nonostante detta materiale omissione, la
complessiva condotta della parte - la cui
interpretazione è riservata al giudice del merito -
evidenzi l'intento della stessa di mantenere tenne anche
le domande, le eccezioni o le istanze a loro volta non
specificamente riprodotte, tanto più quando queste,
sotto il profilo dell'interesse della parte, risultino
strettamente connesse con quelle oggetto delle
conclusioni formulate (v., tra le altre, Cass., sentt.
n. 3593 del 2010, n. 14101 del 2008, n. 12416 del 2004,
n. 12482 del 2002).
2.3. - Nella specie, la Corte di
merito ha rilevato che gli appellanti, a l'atto della
costituzione in giudizio, avevano chiesto l'assegnazione
congiunta dell'immobile, sul presupposto della
indivisibilità dello stesso, e che, in sede di
precisazione delle conclusioni, avuto riguardo alle
risultanze della c.t.u., che aveva prospettato la
possibilità di divisione del bene in due unità
indipendenti fra loro, avevano reiterato la richiesta,
concludendo per l'attribuzione delle unità ad essi
stessi, con obbligo di corresponsione al fratello A.,
terzo coerede, del conguaglio in danaro. Al riguardo,
nella sentenza impugnata si da atto che gli appellanti
medesimi, nell'atto di precisare le conclusioni, avevano
espressamente fatto riferimento, come era desumibile
dalla lettura del verbale dell'udienza istruttoria, alle
conclusioni formulate nei precedenti atti difensivi,
riportandosi anche ad esse, malgrado tale asserzione non
fosse stata riportata nell'epigrafe della sentenza.
Ciò posto, la Corte di merito, alla
luce del ricordato orientamento giurisprudenziale, si è
posta il problema se la domanda di attribuzione
congiunta oggetto dell'atto di costituzione, alla quale
era stato operato il richiamo per relationem, fosse
conciliabile con quella articolata in sede di
conclusioni; ed ha ragionevolmente concluso che le due
domande formulate dagli appellanti nei due diversi
momenti del primo grado del giudizio fossero da ritenere
strettamente connesse, in quanto esse, pur muovendo da
presupposti parzialmente diversi, erano volte al
conseguimento del medesimo risultato pratico, quello di
far conseguire comunque ai due la titolarità
dell'immobile, congiuntamente o in via esclusiva per
ciascuna delle due parti in cui esso poteva essere
diviso, con esclusione della proprietà in capo ad A.A.,
e attribuzione a quest'ultimo del conguaglio in danaro.
2.4. - Peraltro, va sottolineato
che la richiesta di attribuzione dell'intero compendio
immobiliare alla quota di uno o più condividenti, con
addebito dell'eccedenza in valore, ai sensi dell'art.
720 cod. civ., sul presupposto della sua indivisibilità,
attiene alle modalità di attuazione della divisione e
pertanto, risolvendosi nella mera specificazione della
pretesa introduttiva del processo rivolta a porre fine
allo stato di comunione, è proponibile per la prima
volta anche nei giudizio di appello, non costituendo
essa una domanda nuova violata dall'art. 345 cod. proc.
civ. (v.
Cass. sent. n. 5392 del 1999; cfr.
anche Cass., sent. n. 10624 del 2010, n. 14008 del
2008).
3. - Con la seconda doglianza si
denuncia la omessa ed insufficiente motivazione circa un
punto decisivo della controversia. La Corte di merito
non avrebbe tenuto in alcuna considerazione i motivi per
i quali A.A. aveva chiesto l'attribuzione del bene, che
non sarebbero stati da ravvisare nell'interesse,
valorizzato come esclusivo dallo stesso giudice di
secondo grado, di garantire la continuazione
dell'attività commerciale della propria figlia, ma in
quelli, diversi, al mantenere la destinazione
dell'immobile a bar, di non recare pregiudizio alla
pubblica economia, di godere di un bene sul quale aveva
investito delle somme, e di gestire il bar unitamente
alla figlia. Infine, il giudice di secondo grado avrebbe
omesso di indicare il motivo di comune interesse di A.L.
e V. all'attribuzione congiunta del bene, da ravvisarsi,
a suo avviso, solo in quello di apportare danno al
fratello A..
4.1. - La doglianza è infondata.
4.2. - Deve osservarsi al riguardo
che, in tema di divisione ereditaria, nel case in cui
uno o più immobili non risultino comodamente divisibili,
il giudice ha il potere discrezionale di derogare al
criterio, indicato nell'art. 720 cod. civ., della
preferenziale assegnazione al condividerne titolare
della quota maggiore, ovvero a più condividenti ove
questi ne abbiano chiesto congiuntamente l'attribuzione,
purché assolva all'obbligo di fornire adeguata e logica
motivazione della diversa valutazione ai opportunità
adottata (v., sul punto, Cass., sentt. n. 1164 del 2010,
n. 22857 del 2009, n. 24053 del 2008).
Nella specie, non avendo la Corte
di merito ritenuto di discostarsi dai predetti criteri,
non era tenuta a motivare in ordine all'interesse comune
dei condividenti, da ritenere sussistente in re ipsa,
per effetto della domanda.
4.3. - Ne alcun rilievo può
assumere, nella vicenda, il rilevato Interesse di A.A.,
che era un interesse di fatto, privo di valore
giuridico.
5. - Conclusivamente, il ricorso
deve essere rigettato. Avuto riguardo alle alterne
vicende processuali, si ritiene equa la compensazione
totale delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese
del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13
dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 9
maggio 2011
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