(Laura Biarella)
La responsabile del settore lavori
pubblici di un Comune ricorre avverso la sentenza della
Corte d’Appello di Firenze che aveva riformato, in
melius, la sanzione inflitta in primo grado, tuttavia
ribadendo la responsabilità per omicidio colposo
commesso in danno di un operaio. L’infortunio era
accaduto presso il magazzino della sede del reparto
cantonieri del Comune. Un addetto, nell’effettuare la
manovra di uscita dal magazzino con un escavatore,
intralciata da un altro automezzo, con la benna
attaccata al braccio posteriore del mezzo, lasciato
semiaperto, colpiva un operaio che restava pressato tra
la benna e lo spigolo di una colonna. L’esito
dell’incidente fu letale per l’operaio. L’imputata
avrebbe quindi violato gli obblighi derivati dalla
propria posizione istituzionale, omettendo l’adozione
delle cautele prescritte dalla normativa di cui al
Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955,
articolo 8 e articolo 14, comma 8 e del Decreto
Legislativo n. 626/1994, articolo 35, comma 4, lettera
b.
Il problema dell’interferenza
sussistente tra l’attività di movimentazione dei mezzi e
la circolazione dei pedoni era stato segnalato
all’imputata da parte del responsabile del servizio di
prevenzione e sicurezza, il quale ne aveva rilevato il
rischio e lo aveva messo in evidenza nelle relazioni
presentate all’Amministrazione comunale. La Cassazione,
nel rigettare il ricorso, rammenta che per gli enti
locali territoriali le responsabilità penali connesse
alla violazione delle norme che l’ente è tenuto ad
osservare sono suddivise tra organi elettivi ed organi
burocratici, secondo le corrispondenti attribuzioni. A
tal fine, il testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali differenzia i poteri di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo, demandati agli organi
di governo degli enti locali, dai doveri di gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica, conferiti ai
dirigenti, cui sono assegnati autonomi poteri di
pianificazione delle risorse, strumentali e di
controllo, incluso quello di emanare atti che impegnano
la pubblica amministrazione verso l’esterno. Il Collegio
rileva che dalla citata disciplina discende che le
attività proprie dei dirigenti amministrativi fanno
parte di una sfera di competenza esclusiva, rispetto
alle quali il Sindaco esercita un mero potere di
sorveglianza e controllo connesso ai compiti di
programmazione. L’imputata non aveva infatti manifestato
opposizione al decreto sindacale del 2 aprile 2001, n. 6
mediante il quale, nella qualità di responsabile del
settore lavori pubblici del Comune, le era stata
conferita la posizione di datore di lavoro del reparto
cantonieri. Altresì non è stato rilevato che l’imputata
abbia richiesto l’intervento degli organi politici,
sollevando difficoltà o carenze di natura
economico-finanziaria.
In tema di reato colposo la Corte
rammenta la possibilità di addebitare un evento ad un
individuo solo a seguito dell’accertamento della
sussistenza del nesso causale tra la condotta
dell’agente e l’evento, nonché la “causalità della
colpa”, rispetto alla quale assumono rilievo la
prevedibilità e l’evitabilità del fatto. La
responsabilità per colpa non si estende a tutti gli
eventi che derivati dalla violazione della norma, bensì
è circoscritta ai risultati che la norma stessa mirava a
impedire. La Cassazione conclude affermando che, al fine
di addebitare penalmente l’infortunio in capo al datore
di lavoro, occorre che l’incidente sia riconducibile,
anche in presenza dell’imprudenza del lavoratore, alla
mancanza o insufficienza di quelle cautele che, qualora
adottate, avrebbero vanificato il rischio derivante
dalla condotta imprudente e causalmente connessa alla
verificazione del sinistro.
Nota di Laura Biarella)
| lavori pubblici | dirigenti |
infortunio sul lavoro | Laura Biarella |
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Sentenza 6 giugno 2011, n. 22341
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco -
Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta -
Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - rel.
Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BE. GL. MA. , N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2617/2009
CORTE APPELLO di FIRENZE, del 19/02/2010;
visti gli atti, la sentenza e il
ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del
21/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott.
PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in
persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Pariconti
Manuela, in sostituzione dell'avv. Lostrucci Francesco,
che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
BE. Gl. Ma. ricorre avverso la
sentenza di cui in epigrafe che, nel riformare in melius
quella di primo grado quanto al trattamento
sanzionatorio, ha affermato la sua responsabilità, nella
qualità di dirigente comunale, responsabile del settore
Lavori Pubblici del Comune di (Omissis), per un
infortunio sul lavoro (omicidio colposo in danno
dell'operaio Ri. Ro. ), unitamente ad altro imputato,
Mo., (non ricorrente), che aveva investito il Ri.
Trattavasi di infortunio
verificatosi all'interno del magazzino della sede del
reparto cantonieri del Comune di (Omissis): il Mo. ,
dopo aver trasportato con un escavatore all'interno del
locale una fresa, nell'effettuare la manovra di uscita
dal magazzino, ostacolata dalla presenza di altro
ingombrante automezzo, con la benna agganciata al
braccio posteriore del mezzo, lasciato semiaperto,
colpiva il Ri. , che rimaneva schiacciato tra la benna e
lo spigolo della colonna destra del portone, riportando
lesioni mortali.
Per quanto interessa, l'addebito
formalizzato e ritenuto a carico della Be. era
concretizzato nel fatto che questa, violando gli
obblighi derivati dalla suddetta qualità, aveva omesso
l'adozione di cautele, ivi compresa la segnaletica, per
evitare la pericolosa interferenza tra movimenti di
persone e mezzi (ex Decreto del Presidente della
Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8 e articolo 14,
comma 8).
L'ulteriore addebito era la
violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994,
articolo 35, comma 4, lettera b), per avere omesso di
adottare le misure tecniche ed organizzative necessarie
ad impedire che le attrezzature (nella specie
l'escavatore) potessero essere utilizzate per operazioni
ad essi inadatte).
Era accertato che spesso i mezzi
tornavano nel deposito per il prelievo di attrezzi o
pezzi di ricambio o per rifornimenti di carburante e che
il problema della interferenza tra mezzi e pedoni era
stato rappresentato all'imputata dal responsabile del
servizio di prevenzione e sicurezza, il quale ne aveva
rilevato il rischio e lo aveva evidenziato nelle
relazioni inoltrate all'Amministrazione comunale.
Era, altresì, accertato il nesso
causale tra la violazione delle norme cautelari sopra
indicate e l'evento, sostenendo, in particolare, che se
vi fosse stata la porta prevista dal Decreto del
Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo
14, comma 8, riservata all'uscita dei pedoni, il Ri. si
sarebbe trovato oltre la colonna del portone ed avrebbe
avuto la possibilità di uscire dal deposito senza
interferire con la manovra effettuata dal Mo. .
Con il ricorso si censura il
giudizio di responsabilità.
Si sostiene la manifesta illogicità
della motivazione con riferimento alla ritenuta
violazione del Decreto del Presidente della Repubblica
n. 547 del 1955, articoli 8 e 14, innanzitutto sul
rilievo del travisamento della prova testimoniale
afferente le dichiarazioni rese dal responsabile del
servizio di prevenzione e protezione.
Sul punto, si sostiene che la Corte
territoriale, travisando la prova, avrebbe omesso di
considerare che la relazione indirizzata
all'Amministrazione comunale, alla quale il teste aveva
fatto riferimento, risaliva al (Omissis), precedente
all'incidente, e che la Be. , come dichiarato dallo
stesso teste, vi aveva dato pronto riscontro. Quanto
all'addebito della omessa adozione della segnaletica, il
medesimo teste aveva dichiarato di non avere mai fatto
presente all'imputata della necessità della segnaletica
perchè della segnaletica non ve ne era bisogno, in
quanto quei pochi lavoratori che si trovavano
occasionalmente a far accesso al deposito passavano
sempre dagli accessi situati sulla parte opposta del
capannone, contrariamente a quanto desunto dai giudici
di appello dalle prove testimoniali acquisite, delle
quali si sostiene il travisamento. Conferma in tal senso
si rinviene nelle conclusioni cui era prevenuta l'AUSL,
che non aveva impartito alcun a prescrizione dopo
l'incidente. D'altra parte, l'obbligo di segnaletica e
di portoncino pedonale previsto dal Decreto del
Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8,
comma 5 e articolo 14, comma 8 è subordinato, secondo la
tesi difensiva, all'esigenza che l'accesso dei pedoni
non sia altrimenti sicuro.
Si sostiene la manifesta illogicità
della motivazione anche con riferimento alla ritenuta
violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994,
articolo 35 perchè da una parte la sentenza afferma la
sufficienza della formazione approntata dall'imputata ai
dipendenti in ordine alla movimentazione dei mezzi e,
dall'altra, ritiene insufficienti le misure predisposte
per prevenire il rischio che i dipendenti utilizzassero
detti mezzi in modo non corrispondente alle loro
caratteristiche.
Si contesta la manifesta illogicità
della motivazione anche con riferimento al ritenuto
nesso di causalità tra la dedotta violazione e l'evento
sul rilievo che l'incidente si era verificato non
durante l'impropria operazione di trasporto della fresa
ma quando la fresa era stata già riposta.
Si sostiene l'abnormità delle
condotte del coimputato Mo. , già condannato, e della
vittima. In tal senso viene evidenziato che l'operazione
di trasporto della fresa non era stata richiesta, era
stata eseguita con un mezzo inidoneo, pur essendo a
disposizione quello idoneo, che l'ingresso del
l'escavatore nel capannone era vietato, che il mezzo era
stato fatto circolare con il braccio inutilmente ed
incautamente aperto.
Con il secondo motivo di deduce la
manifesta illogicità della motivazione con riferimento
alla riconducibilità delle violazioni, se pure ritenute
sussistenti, all'imputata, sulla base della sola
assunzione della carica di dirigente del servizio. Si
evidenzia, inoltre, che la Be. era stata soltanto uno
dei 45 dirigenti succedutisi dal 2001 e che, come
emergeva dalla stessa sentenza, si era sempre premurata
che ai lavoratori fosse stata fornita idonea formazione.
Diritto
Il ricorso è infondato.
La prima questione da trattare, in
ordine logico, è quella attinente alla individuazione
della posizione di garanzia dell'imputata, contestata
con il secondo motivo.
Ritiene il Collegio che il giudice
di merito abbia fatto corretta applicazione della legge.
Sul punto è sufficiente ricordare che, per quanto
riguarda gli enti locali territoriali, in particolare il
Comune, le responsabilità penali connesse alla
violazione delle norme che l'ente è tenuto ad osservare
sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli
burocratici secondo le rispettive attribuzioni quali
ricostruite nella disciplina di settore. A tal fine, il
Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 107
(testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali) distingue tra i poteri di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo, demandati agli organi
di governo degli enti locali, e compiti di gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai
dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di
organizzazione delle risorse, strumentali e di
controllo, compreso quello di adottare atti - non
riservati espressamente dalla legge o dallo statuto agli
organi di governo dell'ente - che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno.
Da tale assetto normativo, per
quanto qui interessa, deve desumersi che le attività
attribuite ai dirigenti amministrativi rientrano in una
sfera di competenza primaria, diretta ed esclusiva,
rispetto alle quali il Sindaco esercita soltanto un
potere di sorveglianza e di controllo collegato ai
compiti di programmazione, che gli appartengono quale
capo dell'amministrazione comunale, ed alle funzioni di
ufficiale di governo, legittimato all'adozione di
ordinanze contingibili ed urgenti (cfr., ad esempio,
Sezione 3, 7 maggio 2002, Proc. gen. App. Messina ed
altro in proc. Pino ed altri).
Nè risulta dagli atti che
l'imputata abbia contestato il decreto sindacale del 2
aprile 2001 n. 6 con il quale, nella qualità di
dirigente comunale, responsabile del settore lavori
pubblici del Comune di (Omissis), le era stata
attribuita la posizione di datore di lavoro del reparto
cantonieri del medesimo Comune; nè emerge che la
funzionaria preposta abbia inutilmente invocato
l'intervento degli organi politici, prospettando, ad
esempio, difficoltà e/o carenze di natura
economico-finanziaria, desolo gli organi politici
potevano affrontare e risolvere, sì da poterne dedurre
un coinvolgimento colpevole di questi ultimi (ex
articolo 40 c.p., comma 2) nell'inadempienza del primo
(cfr. per riferimenti, Sezione 3, 28 maggio 2001,
Figlia).
Ciò premesso, corretto e
congruamente motivato appare il giudizio sulla
responsabilità.
La prima doglianza è infondata, per
la ragione che evoca una ricostruzione "in fatto" della
stato dei luoghi ove si è verificato l'incidente,
ampiamente contraddetta, con motivazione immune da
censure di illogicità, dal giudice di merito, tra
l'altro in modo coerente con la conforme statuizione di
primo grado.
Si evoca un travisamento della
prova, basato su alcuni, parziali passaggi di
deposizione testimoniale, dimenticando il principio in
forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, alla
luce della nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p.,
comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge 20
febbraio 2006, n. 46, è sì sindacabile il vizio di
"travisamento della prova", che si ha quando nella
motivazione si fa uso di un dato di conoscenza
considerato determinante, ma non desumibile dagli atti
del processo, o quando si omette la valutazione di un
elemento di prova decisivo sullo specifico tema o punto
in trattazione, tuttavia tale vizio può essere fatto
valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia
riformato quella di primo grado, ma non nel caso in cui
la sentenza di appello abbia confermato l'anteriore
decisione (cosiddetta "doppia conforme"), posto in
questo caso il limite posto dal principio devolutivo,
che non può essere valicato, con coeva intangibilità
della valutazione di merito del risultato probatorio, se
non nell'ipotesi in cui il giudice di appello abbia
individuato - per superare le censure mosse al
provvedimento di primo grado - atti o fonti conoscitive
mai prima presi in esame, ossia non esaminati dal primo
giudice (Sezione 6, 10 maggio 2007, Contrada).
Qui si è in presenza di una
ricostruzione convergente, in primo e secondo grado,
mentre il ricorso, al di là del richiamo al preteso
travisamento, si limita a proporre una diversa e
parziale lettura di alcuni elementi di prova, in termini
improponibili in sede di legittimità.
In questa ottica non può trovare
accoglimento la pretesa diversa ricostruzione della
situazione dei luoghi ove si verificò l'incidente,
secondo la quale erano state poste in essere le misure
idonee a prevenire il rischio connesso al transito dei
veicoli all'interno del capannone segnalati dal
responsabile della prevenzione già nel 2001
all'amministrazione comunale. In particolare il
riferimento è alla mancanza di una segnaletica che
indirizzasse i pedoni in uscita dal deposito verso la
porta posta accanto al cancello sul lato opposto
rispetto a quello ove si è verificato il sinistro e la
realizzazione di una porta riservata ai pedoni
immediatamente accanto allo stesso portone destinato
alla circolazione dei veicoli.
Ne deriva l'incensurabilità della
determinazione afferente l'intervenuta violazione del
Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955,
articoli 8 e 14.
Analoghe considerazioni valgono con
riferimento alla ritenuta violazione di cui al Decreto
Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 4.
Come evidenziato dalla Corte
territoriale, la presenza del muletto nel deposito non
associata alla predisposizione di procedure operative
che esigessero l'uso del muletto come mezzo di
sollevamento e l'utilizzo dell'escavatore solo per le
funzioni proprie del mezzo non esclude la violazione
contestata. La norma, infatti, fa obbligo al datore di
lavoro, non solo di mettere a disposizione dei
lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere
ma anche di adottare le misure tecniche ed organizzative
necessarie ad impedire che le attrezzature possano
essere utilizzate per operazioni alle quali sono
inadatte. Nello stesso senso, appare utile sottolineare
come l'utilizzo improprio dell'escavatore da parte del
Mo. fosse riconducibile non ad una imprevedibile
determinazione del lavoratore ma ad una prassi
quantomeno tollerata, visto che, come emerge dalla
sentenza, nel trasportare la fresa quel giorno il Mo.
passò davanti all'ufficio del coordinatore, senza essere
fermato.
Quanto all'addebitabilità delle
citate violazioni alla prevenuta, una volta accertata la
qualifica soggettiva della stessa nei termini sopra
indicati, va certamente ricordato che, in tema di reato
colposo, per poter addebitare un evento ad un
determinato soggetto occorre accertare non solo la
sussistenza del "nesso causale materiale" tra la
condotta (attiva od omissiva) dell'agente e l'evento, ma
anche la cosiddetta "causalità della colpa", rispetto
alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e
l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità
colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque
siano derivati dalla violazione della norma, ma è
limitata ai risultati che la norma stessa mirava a
"prevenire". Inoltre, poichè, come afferma l'articolo 43
c.p., per aversi colpa, l'evento deve essere stato
causato da una condotta soggettivamente riprovevole, il
nesso eziologico non si configura quando una condotta
appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo
lecito) non avrebbe comunque "evitato" l'evento:
potendosi quindi formalizzare l'addebito solo quando il
comportamento diligente avrebbe certamente evitato
l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato
apprezzabili, significative probabilità di scongiurare
il danno. Così come va ricordato che il giudizio sulla
prevedibilità va evidentemente sviluppato ex ante,
ponendosi nella prospettiva dell'agente.
Ebbene, la sentenza si è posta in
questa prospettiva ermeneutica, allorquando ha
analizzato i rapporti tra la "colpa" della prevenuta e
l'evento derivatone, in termini tali da giustificare sia
la prevedibilità che l'evitabilità dell'evento. A ben
vedere, le regole cautelari violate (secondo il
ragionamento del giudicante) miravano proprio a
prevenire eventi del tipo di quello verificatosi: la
regolamentazione di quell'area ove si è verificato
l'incidente si imponeva proprio al fine di evitare il
rischio dell'interferenza tra mezzi e pedoni.
In questa prospettiva non
irragionevole è l'esclusione della interruzione del
nesso causale per l'abnormità ed imprevedibilità del
comportamento dei lavoratori.
E' vero che in talune ipotesi, si è
precisato che la responsabilità del datore di lavoro non
si estende anche agli infortuni addebitabili
all'imprudenza del lavoratore, quando la condotta la
condotta imprudente risulti del tutto imprevedibile,
determinando un rischio non governabile: in tale
evenienza non può formalizzarsi alcun addebito al datore
di lavoro, risultando la condotta abnormemente
imprudente quale causa esclusiva dell'evento dannoso (v.
Sezione 4, 10 novembre 209, Iglina ed altri, rv.
246695).
Ma tale assunto non può valere
allorquando l'evento è imputabile anche alla colpa del
datore di lavoro, che è il presupposto del giudizio di
responsabilità.
Infatti, per l'addebito
dell'infortunio al datore di lavoro è sempre
inevitabilmente necessario che questo sia da ricondurre,
comunque, anche in presenza dell'imprudenza del
lavoratore, alla mancanza o insufficienza di quelle
cautele che, se adottate, sarebbero valse a
neutralizzare proprio il rischio del comportamento
imprudente e eziologicamente ricollegato alla
verificazione dell'incidente (efficacemente, in tal
senso, Sezione 4, 21 ottobre 2008, Petrillo, non
massimata).
Principio questo puntualmente
rispettato dai giudici di merito nel caso in esame.
Segue, a norma dell'articolo 616
c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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