"la vendita di immobile destinato
ad abitazione, privo del certificato di abitabilità,
incidendo sull’attitudine del bene compravenduto ad
assolvere la sua funzione economico-sociale, si risolve
nella mancanza di un requisito giuridico essenziale ai
fine del legittimo godimento del bene e della sua
commerciabilità e, configurando un’ipotesi di vendita di
“aliud pro alio”, legittima l’acquirente a domandare il
risarcimento dei danni, per la ridotta commerciabilità
del bene (Cfr. Cass. n. 2729/2002; n. 1701/2009)."
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il
13.4.93 S.A. e il figlio, M.A., convenivano in giudizio,
innanzi al Tribunale di Livorno, S.V. e A.S., esponendo
di aver acquistato da questi ultimi, con atto
20.12.1985, ciascuno la porzione di un immobile di
proprietà indivisa dei convenuti stessi ( M.A. era
subentrato nella proprietà della quota del padre, M.E.,
che aveva originariamente acquistato in regime di
comunione legale con la moglie A. S.);
gli attori, avevano, a loro volta,
promesso in vendita a terzi l’intero immobile con atto
del 4.4.1991; il 5.4.92, allorchè stava per scadere il
termine per la stipula del definitivo, i promissari
acquirenti avevano loro contestato che l’appartamento
sito al pianterreno, era munito solo di licenza di
agibilità, ma non di abitabilità; a seguito di una
trattativa con i promissari acquirenti, della quale i
convenuti erano stati tenuti al corrente, era stata
conclusa una transazione che prevedeva la riduzione del
prezzo di vendita, rispetto a quello già pattuito, di L.
23.000.000;
gli attori chiedevano, quindi, il
rimborso di tale somma, nonchè degli oneri corrisposti
per il condono, pari a L. 2.800.000, dei costi catastali
e del compenso di L. 2.935.000 corrisposto al
professionista. Si costituivano in giudizio i convenuti
assumendo la loro buona fede avendo essi, a loro volta,
acquistato i locali in questione come idonei alla
destinazione di “civile abitazione”, dichiarati,
probabilmente, come ripostigli dagli originari
costruttori solo ai fini fiscali, per usufruire di una
rendita catastale più bassa; eccepivano, comunque, la
prescrizione quinquennale, ex art. 1490 c.c., assumendo
che, essendo stata sanata l’irregolarità dell’immobile,
avrebbero dovuto corrispondere solo il costo della
sanatoria e non la riduzione del prezzo.
Con sentenza 12.3.2002 il Tribunale
di Livorno accoglieva la domanda, condannando i
convenuti al pagamento, in favore degli attori, a titolo
risarcitorio, della somma complessiva di Euro 12.708,27,
oltre interessi e rimborso delle spese di causa.
Avverso tale decisione S.V. e A.S.
proponevano appello cui resistevano il M. e la S..
Con sentenza, in data 25.3.2005, la
Corte d’Appello di Firenze, in totale accoglimento
dell’appello, rigettava la domanda risarcitoria proposta
dal M. e dalla S., condannando gli appellati al
pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi
del giudizio.
Rilevava la Corte territoriale che
la vendita di immobile destinato ad uso abitativo, ma
privo della licenza di abitabilità, integrava un’ipotesi
di consegna di “aliud pro alio” solo “qualora risultino
specifiche, anche se implicite, pattuizioni in ordine
all’obbligo del venditore di richiedere tale licenza
ovvero risulti che, per le modalità di costruzione
dell’immobile, la licenza medesima non possa comunque
essere rilasciata”;
nella specie, escluse tali
specifiche pattuizioni e non essendo stato neppure
allegato che le caratteristiche costruttive
dell’immobile impedissero il cambio di destinazione e il
conseguente rilascio del premesso di abitabilità anche
per il futuro, secondo la disciplina ordinaria di cui
alla L. 28.2.1985, n. 47, l’affermazione contenuta nella
sentenza di primo grado, circa l’impossibilità di
ottenere detto permesso prima della L. 23 dicembre 1994,
n. 724, era priva di fondamento e di prova; peraltro,pur
avendo gli attori promosso il giudizio prima
dell’entrata in vigore della legge stessa, non avevano
fatto alcun riferimento all’impossibilità, in quel
momento, di ottenere la regolarizzazione amministrativa
del bene compravenduto, “avendo messo in campo solo i
costi, per loro, di tale operazione”.
Ne conseguiva la intervenuta
prescrizione, ai sensi dell’art. 1495 c.c., del diritto
fatto valere dagli attori. Il M. e la S. impugnavano
tale decisione con ricorso per cassazione sulla base di
tre motivi.
Non veniva proposto alcun
controricorso
Motivi della decisione
I ricorrenti deducono:
l)violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 1453, 1495 c.c. in relazione all’art. 360
c.p.c., n. 3;
la Corte di merito, applicando
erroneamente il disposto dell’art. 1495 c.c., aveva
dichiarata prescritta l’azione proposta, non valutando
lo stato di fatto dell’immobile al momento della
stipulazione dell’atto pubblico di vendita e non
motivando sul diverso indirizzo giurisprudenziale della
S.C. che, in caso di vendita di immobili senza
certificato di abitabilità, ravvisa un’ipotesi di “aliud
pro alio” ed un inadempimento di carattere generale,
comportante la risoluzione del contratto ex art. 1453
c.c., fatto salvo il diritto al risarcimento del danno,
soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale;
2) violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 112, 113, 115, 342 c.p.c. e
art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;
la Corte di appello aveva violato
il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato, non avendo tenuto conto delle ragioni poste
a fondamento dei motivi di appello, violando, inoltre, i
principi in tema di onere probatorio; avendo gli attori
provato il fatto dell’inadempimento contrattuale, ai
sensi dell’art. 2697 c.c., spettava alla parte
inadempiente l’onere di provare che l’inadempimento non
era dipeso da fatto proprio mentre i convenuti avevano
esposto solo “generiche lamentazioni”; la Corte di
Appello aveva, poi, omesso di specificare la normativa
secondo la quale era possibile la sanatoria del
cambiamento di destinazione d’uso, ex L. n. 47 del 1985
e di indicare la corrispondenza tra le norme e le
caratteristiche dell’immobile da sanare;
3) omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo
della controversia, in relazione all’art. 360 c.c., n.
5;
dalle massime citate nella sentenza
impugnata la Corte di Appello aveva erroneamente desunto
che, nel caso di specie, ricorresse non una vendita “di
aliud pro alio”, per mancanza del permesso di
abitabilità, ma un semplice vizio redibitorio, soggetto,
come tale, al termine prescrizionale di cui all’art.
1495 c.c.; del tutto assente era, inoltre, la
motivazione circa l’ignoranza o meno, da parte dei
compratori M. – S., della inesistenza del permesso di
abitabilità, certezza conseguita dagli stessi con la
sottoscrizione della transazione conclusa con tale P.
C., in data 29.6.1992; ne conseguiva, con riferimento
gialla data di notificazione dell’atto di citazione di
primo grado (13.4.1993), la mancata decorrenza del
temine prescrizionale all’atto della denuncia dei vizi,
quand’anche ritenuti meramente redibitoria considerato
che, ex art. 2941 c.c., n. 8, la prescrizione rimane
sospesa fino alla scoperta del vizio.
Il primo motivo di ricorso è
fondato.
La Corte territoriale ha escluso la
configurabilità della consegna di “aliud pro alio” in
relazione al difetto del certificato di abitabilità
dell’immobile, oggetto della vendita intercorsa fra le
parti, applicando il disposto dell’art. 1495 c.c., in
tema di vizi e mancanza di qualità della cosa venduta,
fondando tale decisione sul difetto di una specifica
pattuizione contrattuale in ordine all’obbligo del
venditore di richiedere la licenza di abitabilità nonchè
sul fatto che gli acquirenti, nella specie, non avevano
neppure allegato “che le caratteristiche costruttive
dell’immobile impedissero il cambio di destinazione ed
il conseguente rilascio del permesso di abitabilità”.
Con tale motivazione i giudici di
appello omettono, però, di dar conto dell’ indirizzo
giurisprudenziale secondo cui la vendita di immobile
destinato ad abitazione, privo del certificato di
abitabilità, incidendo sull’attitudine del bene
compravenduto ad assolvere la sua funzione
economico-sociale, si risolve nella mancanza di un
requisito giuridico essenziale ai fine del legittimo
godimento del bene e della sua commerciabilità e,
configurando un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio”,
legittima l’acquirente a domandare il risarcimento dei
danni, per la ridotta commerciabilità del bene (Cfr.
Cass. n. 2729/2002; n. 1701/2009).
Nel caso in esame, peraltro, la
Corte di Appello avrebbe dovuto valutare la rilevanza
del rilascio del certificato di abitabilità, avvenuto
nei confronti di terzi, aventi causa dagli acquirenti S.
– M. e le ragioni del ritardo di tale rilascio rispetto
all’atto di vendita intercorso fra le parti, posto che
questa Corte ha avuto modo anche di affermare che la
mancata consegna del certificato di abitabilità
all’acquirente di un immobile costituisce un
inadempimento del venditore la cui incidenza,
sull’equilibrio delle reciproche prestazioni delle
parti, va rapportata alla oggettiva attitudine del bene
a soddisfare le aspettative dell’acquirente, con
riferimento alla natura delle accertate violazioni della
legge urbanistica (Cfr. Cass. n. 6548/2010).
Tanto comportava la necessità di
un’indagine e di una motivazione sul punto, potendo
l’omesso od il ritardato rilascio della licenza di
abitabilità dipendere da varie cause, quali la necessità
di interventi edilizi oppure l’esistenza di meri
impedimenti o ritardi burocratici che non influiscono
sulla oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua
funzione economico- sociale con la conseguenza di una
diversa connotazione dell’inadempimento del venditore
quanto alla mancata consegna della licenza di
abitabilità; doveva, pertanto, essere verificata, in
concreto, l’importanza di tale omissione con riferimento
al godimento ed alla commerciabilità dell’immobile
(Cass. n. 3851/08; n. 24786/06).
L’accoglimento del primo motivo di
ricorso, sotto i profili esposti, comporta
l’assorbimento degli altri motivi di gravame.
La sentenza impugnata deve,
pertanto, essere cassata con rinvio ad una diversa
sezione della Corte d’Appello di Firenze, che dovrà
emendare dette lacune motivazionali, provvedendo alla
statuizione anche sulle spese del presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo
di ricorso, assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e
rinvia anche per le spese di questo giudizio ad altra
sezione della Corte di Appello di Firenze.
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