ORDINAMENTO PENITENZIARIO –
ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA – MISURE ALTERNATIVE
ALLA DETENZIONE – ESECUZIONE PRESSO IL DOMICILIO DELLE
PENE DETENTIVE NON SUPERIORI AD UN ANNO – GIUDIZIO DI
MERITEVOLEZZA – NECESSITA’ (Cost., artt. 3, 27; legge
26 novembre 2010 n. 199, disposizioni relative
all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive
non superiori ad un anno, art. 1).
Al pari di ogni altro beneficio
penitenziario, pure la concessione della detenzione al
domicilio ex art. 1, l. 199/2010 presuppone che il
condannato sia effettivamente meritevole della misura.
N° 2011/3850 SIUS
N°
.......................................... SIEP
Ordinanza N.
............................................
Il Tribunale di Sorveglianza di
Torino
composto da:
1) Dott. Giuseppe Vignera
Presidente est.
2) Dott. Elena
Bonu Giudice
3) Dott. Monica Marchetti
Esperto
4) Dott. Franca
Bo Esperto
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei confronti di C. D., nato a N.
il XX-XX-XXXX, detenuto in A. presso la Casa di
Reclusione XXXX, difeso dall’Avv. G. F. del Foro di
Torino, nel procedimento di sorveglianza avente ad
oggetto il reclamo avverso provvedimento di rigetto
dell’istanza di esecuzione presso il domicilio della
pena detentiva (art. 1 L. 199/2010).
FATTO E DIRITTO
1. – C. D. sta espiando una pena
complessiva di anni 6, mesi 11 di reclusione e giorni 20
di arresto in virtù di un cumulo di pene inflitte con 5
condanne per appropriazione indebita, associazione per
delinquere, emissione di documenti contabili per
operazioni inesistenti, truffa, bancarotta fraudolenta
ed altro (fatti commessi dal 1991 al 2005).
Oltre a queste, il predetto ha 3
precedenti condanne per reati depenalizzati.
La pena, iniziata nell’ottobre
2009, terminerà il 13 giugno 2012.
Con provvedimento in data 5 luglio
2011 il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria
rigettava la domanda del C. intesa ad ottenere la misura
ex art. 1 legge 199/2010, atteso che erano rimaste
immutate le valutazioni poste da questo Tribunale a
fondamento dell’ordinanza, con la quale il 15 giugno
2011 erano state rigettate altre istanze di misure
alternative.
Con codesta ordinanza (che era
stata redatta dall’odierno estensore e che veniva
allegata al superiore provvedimento del 5 luglio 2011,
costituendone parte integrante), a sua volta, si
rilevava quanto segue:
<<1. - Il detenuto ha chiesto
l’affidamento in prova al servizio sociale o la
detenzione domiciliare, deducendo la correttezza della
sua condotta successiva ai fatti di cui al titolo
esecutivo, la lontananza nel tempo dei medesimi
(risalenti al 2001-2003: il che non è del tutto esatto
perchè la truffa continuata e l’appropriazione indebita
continuata, di cui alla sentenza del Tribunale di Milano
in data 17 aprile 2008, sono state commesse nel febbraio
e nel maggio del 2005) e, contestando espressamente
quanto scritto al riguardo nella relazione di sintesi,
di avere una risorsa lavorativa dimostrata da fatture
emesse a suo favore nel 2009 (a titolo di compensi
ricevuti per la commercializzazione di prodotti di
telefonia mobile) e da una lettera di incarico quale
procacciatore di affari emessa a suo favore dalla S. SRL
di Milano (la quale risulta essere senza data).
E’ bene sottolineare sin d’ora che
la sede operativa di codesta società coincide con quella
della società emittente le fatture suindicate.
La relazione di sintesi evidenzia
che:
- i reati (associazione a
delinquere finalizzata all’evasione delle imposte
attraverso un articolato sistema di frode allo Stato)
sono stati commessi per conseguire uno status economico
corrispondente a quello della famiglia della moglie
(figlia di un Direttore di Banca);
- nel 2002, quando iniziò
l’indagine che portò all’accertamento dei fatti, il “C.
era riuscito a trattenere sui suoi conti 5 milioni di
euro derivanti dal mancato versamento dell’IVA”;
- il 1° febbraio 2010 è stato
inserito nel corso di formazione professionale per
operatori agricoli;
- la condotta intramuraria è stata
sempre corretta;
- il nucleo familiare è composto
dalla moglie (pensionata) e da due figli di 27 e 36 anni
(una disoccupata e l’altro che aiuta economicamente la
famiglia);
- “in ordine alle prospettive
future, ad oggi non vi è una ipotesi progettuale
concreta se non l’interesse dei familiari che il
soggetto rientri in famiglia e reperisca un’attività
lavorativa in qualunque settore”;
- “l’eventuale percorso nell’ambito
torinese è, in questo momento, assolutamente ipotetico
non avendo il soggetto alcuna risorsa lavorativa nè con
valenza di dipendente nè attraverso attività di tipo
imprenditoriale a suo nome”.
Conclude, pertanto, per la
prosecuzione del trattamento intramurario.
La Questura di Torino, oltre ad
evidenziare i precedenti del soggetto, ha raccolto le
dichiarazioni della moglie, la quale ha ribadito la
disponibilità ad accogliere il marito in caso di
concessione della misura alternativa, riferendo altresì
(sostanzialmente) che lo stesso attualmente non ha
opportunità lavorative (“il congiunto è un tecnico
agrario e precedentemente lavorava in libera
professione, prestando la propria consulenza a diverse
ditte sia in ambito nazionale che internazionale”).
2. – La domanda va rigettata atteso
che:
a) a differenza di quanto scritto
nell’istanza, il detenuto non dispone di alcuna risorsa
lavorativa, di guisa che non si comprende su cosa
dovrebbe svolgersi la richiesta “messa in prova”;
b) l’opportunità lavorativa
“documentata” nell’istanza, invero, non solo non può
considerarsi attuale (le fatture allegate all’istanza,
infatti, risalgono ad epoca precedente la carcerazione;
mentre la lettera d’incarico allegata anch’essa
all’istanza è senza data), ma si concreterebbe
sostanzialmente nell’esercizio di un’attività
commerciale vietata al condannato in virtù delle pene
accessorie inflitte dal Tribunale di Torino con la
sentenza in data 20 giugno 2008, irrevocabile il 5
dicembre 2008 (interdizione dall’esercizio di un’impresa
commerciale ed incapacità di esercitare uffici direttivi
presso qualsiasi impresa per la durata di anni 10);
c) quelle medesime fatture, essendo
state emesse nel corso del 2009 (ergo: dopo il passaggio
in giudicato di codesta sentenza), denotato la
persistenza di condotte antigiuridiche da parte del C.;
d) la brevità della pena espiata,
rapportata a quella ancora da espiare, rende necessaria
la prosecuzione del trattamento intramurario anche per
ottenere dal detenuto notizie “attendibili” sui 5
milioni di euro trattenuti sul suo conto prima delle
indagini del 2002 (e verificare così l’effettivo avvio
di un percorso di revisione critica);
e) non fruendo il detenuto di
benefici prodromici (permessi premiali o lavoro
all’esterno), l’accoglimento dell’istanza nella
fattispecie determinerebbe una inammissibile violazione
del principio di progressività e gradualità dei
risultati del trattamento (cfr. Cass. pen., Sez. I,
06/03/2003, n.15064, Chiara, in Riv. Pen., 2004, 120:
“Ai fini dell'affidamento in prova al servizio sociale,
i riferimenti alla gravità del reato commesso o ai
precedenti penali e giudiziari del condannato o al
comportamento da lui tenuto prima o dopo la custodia
cautelare ben possono essere utilizzati come elementi
che concorrono alla formazione del convincimento circa
la praticabilità della misura alternativa. Ne consegue
che il mantenimento di una condotta positiva, anche in
ambiente libero, non è di per sé determinante,
soprattutto ove la condanna in espiazione sia stata
inflitta per reati di obiettiva gravità (nella specie,
rapina aggravata e sequestro di persona) e sia
inadeguato il periodo di carcerazione sofferto, ma deve
essere valutato nell'ambito di un giudizio globale di
tutti gli elementi emersi dalle indagini esperite e
dalle informazioni assunte, che tenga anche conto della
progressività e gradualità dei risultati del trattamento
e, conseguentemente, dell'eventuale previa esperienza di
permessi-premio”).
P.Q.M.
rigetta l’istanza>>.
Avverso il superiore provvedimento
del 5 luglio 2011 ha proposto tempestiva impugnazione il
difensore del C., deducendo che:
- poiché i presupposti della misura
ex art. 1 l. 199/2010 non coincidono con quelli delle
altre misure alternative, non basta a giustificare il
rigetto dell’istanza de qua il mero richiamo
dell’ordinanza del 15 giugno 2011, relativa a
procedimento avente ad oggetto misure diverse;
- nella fattispecie non sussiste
nessuna delle condizioni ostative tassativamente
previste dal comma 2 del predetto art. 1 l. 199/2010;
- in particolare, la pena residua
da espiare è inferiore ad un anno, la moglie del C. ha
dato la disponibilità ad accoglierlo nella propria
abitazione, il nucleo familiare è in grado di provvedere
a tutte le esigenze del detenuto e, infine, non emergono
concreti elementi che rendono nella fattispecie
verosimile il pericolo di fuga o di recidiva.
2. – L’impugnazione è infondata.
Va osservato preliminarmente che,
per non esporsi a censure di incostituzionalità ex artt.
3 e 27 Cost., anche la norma divisante la misura in
questione (recte: l’art. 1 l. 199/2010) deve essere
interpretata nel rispetto di (ed in coerenza con) quel
“criterio di meritevolezza” elaborato dalla
giurisprudenza costituzionale con riferimento a tutti i
benefici penitenziari: criterio in base al quale ed in
applicazione del quale il giudice [ai fini della
concessione (pure) della misura de qua] deve valutare
casu concreto la condotta complessivamente tenuta dal
condannato (sia in libertà che durante l’espiazione
della pena) per accertare se lo stesso sia o meno
effettivamente meritevole del beneficio [cfr. Corte
cost. 4 luglio 2006 n. 255, la quale, nel dichiarare
l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, l.
1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata
dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo
di due anni), “nella parte in cui non prevede che il
giudice di sorveglianza possa negare la sospensione
condizionata dell'esecuzione della pena detentiva al
condannato quando ritiene il beneficio non adeguato alle
finalità previste dall'art. 27, terzo comma, della
Costituzione”, ha in motivazione osservato: “Questa
Corte, con giurisprudenza costante, ha affermato il
principio secondo cui la tipizzazione per titoli di
reato non è lo strumento più idoneo per realizzare
appieno i principi di proporzionalità e di
individualizzazione della pena che caratterizzano il
trattamento penitenziario (sentenze n. 445 del 1997; n.
504 del 1995; n. 306 del 1993) e che a loro volta
discendono dagli artt. 27, primo e terzo comma, e 3
della Costituzione (sentenze n. 203 del 1991 e n. 50 del
1980), nel senso che eguaglianza di fronte alla pena
significa proporzione della medesima alle personali
responsabilità ed alle esigenze di risposta che ne
conseguono (sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992).
Per l'attuazione di tali principi, ed in funzione della
risocializzazione del reo, è necessario assicurare
progressività trattamentale e flessibilità della pena
(sentenze n. 445 del 1997 e 306 del 1993) e,
conseguentemente, un potere discrezionale al magistrato
di sorveglianza nella concessione dei benefici
penitenziari (sentenza n. 504 del 1995). È del tutto
evidente, infatti, che la generalizzata applicazione del
trattamento di favore previsto dalla disposizione
censurata, nell'assegnare un identico beneficio a
condannati che presentino fra loro differenti stadi di
percorso di risocializzazione, compromette, ad un tempo,
non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per
omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio,
situazioni diverse, ma anche la stessa funzione
rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di
un beneficio penitenziario che non risulti correlato
alla positiva evoluzione del trattamento, compromette
inevitabilmente l'essenza stessa della progressività,
che costituisce il tratto saliente dell'iter
riabilitativo. L'automatismo che si rinviene nella norma
denunciata è sicuramente in contrasto con i principi di
proporzionalità e individualizzazione della pena come
precisati dalla richiamata giurisprudenza e va,
pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n.
207, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma,
della Costituzione, nella parte in cui non prevede che
il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione
condizionata dell'esecuzione della pena detentiva al
condannato quando ritiene il beneficio non adeguato alle
finalità previste dall'art. 27, terzo comma, della
Costituzione”; in argomento v. pure Cass. pen., Sez. I,
sentenza 18 giugno 2008 n. 28555, Graziano, nella cui
motivazione sta scritto che pure la concessione della
detenzione domiciliare per il detenuto ultrassettantenne
(prevista dall’art. 47 ter, comma 1, O,P.), “al pari di
quanto previsto da tutte le altre disposizioni in
materia di benefici penitenziari”, è rimessa “ad un
potere discrezionale della magistratura di sorveglianza,
cui è riservato il potere di verifica, in ogni caso,
della meritevolezza del condannato e della idoneità
della misura invocata a facilitarne il reinserimento
nella società. Non è, quindi, previsto in tale materia
alcun automatismo proprio perché la ratio di tutte le
misure alternative alla detenzione - anche quando sono
ammissibili perché rientranti negli specifici limiti
previsti per ciascuna di esse - è quella di favorire il
recupero del condannato e di prevenire la commissione di
nuovi reati”; analogamente Cass. pen., Sez. I, sentenza
2 febbraio 2007 n. 10308, D’Emilio].
Orbene!
Proprio alla stregua di codesto
principio il C. non appare allo stato meritevole di
alcun beneficio penitenziario, mancando una sua
effettiva revisione critica in ordine ai reati di cui ai
titolo esecutivo: mancanza di revisione critica già
posta a fondamento dell’ordinanza del 15 giugno 2011, la
quale considerava “necessaria la prosecuzione del
trattamento intramurario anche per ottenere dal detenuto
notizie “attendibili” sui 5 milioni di euro trattenuti
sul suo conto prima delle indagini del 2002 (e
verificare così l’effettivo avvio di un percorso di
revisione critica)”.
Notizie che nel frattempo non sono
state date…
P.Q.M.
conferma l’impugnata ordinanza.
Torino 23 agosto 2011
Il Presidente estensore
(Dr. Giuseppe Vignera)
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