ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA –
ORDINAMENTO PENITENZIARIO – MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA
– COMPETENZA PER TERRITORIO – ART. 677 C.P.P. – AMBITO
OPERATIVO – PROCEDIMENTO DI PRIMO O UNICO GRADO (Cod.
proc. pen., art. 677; L. 26 luglio 1975, n. 354, norme
sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà personale,
artt. 68 ss.).
ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA –
ORDINAMENTO PENITENZIARIO – MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA
– PROCEDIMENTO DI IMPUGNAZIONE – COMPETENZA PER
TERRITORIO – ART. 677 C.P.P. – IRRILEVANZA (Cod. proc.
pen., art. 677; L. 26 luglio 1975, n. 354, norme
sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà personale,
artt. 68 ss.).
ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA –
ORDINAMENTO PENITENZIARIO – RECLAMO IN MATERIA
DISCIPLINARE – MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA LEGITTIMATO
A PROVVEDERE – INDIVIDUAZIONE – LUOGO IN CUI SI TROVA
IL RECLAMANTE – IRRILEVANZA – LUOGO DI ADOZIONE
DELL’ATTO IMPUGNATO – RILEVANZA (Cod. proc. pen., art.
677; L. 26 luglio 1975, n. 354, norme sull’ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative
e limitative della libertà personale, artt. 14 ter, 69).
L’art. 677 c.p.p. regola
esclusivamente la competenza territoriale della
magistratura di sorveglianza in relazione ad un
determinato procedimento di primo o di unico grado.
L’art. 677 c.p.p. è irrilevante ai
fini dell’individuazione della legittimazione alla
cognizione dell’impugnazione di un provvedimento
amministrativo o giurisdizionale, operando a tali fini
(in mancanza di norme eccezionali) il criterio
“funzionale” rappresentato dall’atto impugnato in quanto
emesso da un determinato soggetto: criterio che, più
esattamente, fa assegnare la cognizione
dell’impugnazione all’ufficio giudiziario
istituzionalmente preposto al controllo dell’operato
dell’organo, che ha emesso il provvedimento impugnato.
La legittimazione a provvedere sul
reclamo proposto dal detenuto avverso un atto
disciplinare va riconosciuta al magistrato di
sorveglianza istituzionalmente preposto al controllo
sull’operato dell’istituto penitenziario in cui è stato
emesso l’atto l’impugnato e non, invece, al magistrato
di sorveglianza del luogo in cui si trova il soggetto al
momento della proposizione dell’impugnazione.
UFFICIO DI SORVEGLIANZA
per le Circoscrizioni dei Tribunali
di
Alessandria - Acqui T. - Tortona
A L E S S A N D R I A
(tel. 0131-284520 fax
0131-231968)
via Gramsci 59
Il Magistrato di Sorveglianza
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul reclamo proposto da D. P.
(attualmente detenuto presso la Casa di reclusione di
Alessandria) avverso il rapporto disciplinare elevato a
suo carico l’11 novembre 2010 presso la Casa di
reclusione di Padova.
1. - Il 5 maggio 2011 D. P. dalla
Casa di reclusione di Alessandria (dove trovavasi
ristretto) indirizzava al Magistrato di sorveglianza di
Padova reclamo avverso il rapporto disciplinare elevato
a suo carico in data 11 novembre 2010 presso la Casa di
reclusione di Padova, dove all’epoca il reclamante era
detenuto.
Poiché (come detto) il 5 maggio
2011 il D. P. era ristretto presso la Casa di reclusione
di Alessandria, l’Ufficio matricola di quell’Istituto
penitenziario trasmetteva il reclamo alla Magistratura
di sorveglianza alessandrina anziché al Magistrato di
sorveglianza di Padova, cui l’atto era indirizzato.
Intercorsa corrispondenza tra i due
Uffici, si ritiene oggi necessario pronunciare
formalmente il seguente provvedimento declinatorio della
legittimazione di questo Ufficio a prendere cognizione
del superiore reclamo.
2. - La cognizione del superiore
reclamo spetta al Magistrato di sorveglianza di Padova,
essendo irrilevante ai fini qui considerati il criterio
territoriale fornito dall'art. 677 c.p.p.
Codesta disposizione, invero, deve
considerarsi finalizzata ad individuare il giudice
territorialmente competente in relazione ad un
determinato procedimento di primo o di unico grado.
Essa, invece, va considerata non
applicabile ai procedimenti aventi ad oggetto
l’impugnazione di un provvedimento amministrativo o
giurisdizionale.
Infatti, ai fini
dell’individuazione della legittimazione alla
trattazione dell’impugnazione di un provvedimento
(legittimazione che solo impropriamente può denominarsi
“competenza”, ma che tecnicamente costituisce qualcosa
di diverso: v. Cass. civ., Sez. III, 10/02/2005, n.
2709, che richiameremo diffusamente tra poco), deve
farsi riferimento (non già all’art 677 c.p.p., ma)
unicamente (ed in difetto di norme eccezionali: v.
esemplificativamente l’art. 41 bis, comma 2 quinquies
O.P.) al criterio “funzionale” rappresentato dall’atto
impugnato in quanto emesso da un determinato soggetto:
criterio che, più esattamente, fa attribuire la
cognizione dell’impugnazione all’Ufficio giudiziario
istituzionalmente preposto al controllo dell’operato
dell’organo, che ha emesso il provvedimento impugnato
[cfr. Cass. civ., Sez. III, 10/02/2005, n. 2709, nella
cui motivazione si legge: “Il nostro codice di procedura
civile, per restare alla disciplina generale … usa il
termine ‘competenza’ nelle disposizioni del capo 1^ del
Titolo 1^ del Libro 1^ (contenente per sua espressa
intestazione ‘disposizioni generali’), che è intitolato
‘Del giudice’. Per quel che attiene al fenomeno
normativo ‘competenza’, queste disposizioni pur
‘generali’ risultano, in realtà, dettate in riferimento
all'individuazione della competenza a ricevere la
domanda giudiziale in primo grado, introduttiva del
processo di cognizione, salvo le norme, del tutto
eccentriche (sotto tale aspetto) dell'art. 17 e
dell'art. 26 (ed un tempo dell'art. 16, ora abrogato),
concernenti, viceversa, l'esecuzione forzata... Le norme
che disciplinano la (c.d.) ‘competenza’ sul processo di
impugnazione non usano l'espressione ‘competenza’ o il
participio "competente" (riferito all'ufficio
giudiziario), ma individuano la legittimazione alla
trattazione della impugnazione ragionando in genere di
proponibilità o comunque usando espressioni verbali che
non evocano in alcun modo formalmente la nozione di
competenza (si vedano l'art. 341 cod. proc. civ. a
proposito dell'appello; l'art. 398 cod. proc. civ. a
proposito della revocazione; l'art. 405 cod. proc. civ.
a proposito dell'opposizione del terzo alla sentenza;
l'art. 360 cod. proc. civ., che affronta il problema
ragionando di impugnabilità di sentenze in riferimento
al giudizio di Cassazione; l'art. 391-bis usa il verbo
richiedere, a proposito della revocazione delle sentenze
di Cassazione; si vedano anche l'art. 18 della L.F. e
l'art. 28 della l. n. 300 del 1970; naturalmente, quanto
qui rassegnato non ha alcuna pretesa di esaustività) e,
per altro verso, nell'individuare la legittimazione”
alla trattazione dell’impugnazione, “la riferiscono al
provvedimento giurisdizionale in quanto pronunciato da
un certo tipo di ufficio giudiziario, così semplificando
al massimo la regola che l'utente deve applicare, ben
diversamente da quel che accade o sovente può accadere
per l'utente che deve adoperare una regola di competenza
per il giudizio di primo grado”].
Alla stregua di quanto precede,
dunque ed in particolare:
A) l’impugnazione avverso il
provvedimento di un Magistrato di sorveglianza va
proposta al Tribunale di sorveglianza, nel cui distretto
ha sede l’Ufficio a quo;
B) l’impugnazione avverso un
provvedimento dell’Amministrazione va proposta al
Giudice di sorveglianza, nella cui circoscrizione si
trova l’Istituto penitenziario, da cui promana l’atto
impugnato (istituto nei cui confronti quel determinato
Magistrato di sorveglianza esercita concretamente il suo
potere di vigilanza ex art. 69 O.P.).
Del resto, se si ritenesse il
criterio ex art. 677, comma 1, c.p.p. operante pure ai
fini dell’individuazione del giudice dell’impugnazione,
si avrebbero conseguenze assolutamente irragionevoli.
Si pensi, invero, all’ipotesi di
un’istanza di permesso-premio presentata ad un
determinato Ufficio di sorveglianza (per esempio, a
quello di Torino) da un detenuto, che successivamente e
nelle more della decisione viene trasferito ad un
istituto penitenziario rientrante in un altro distretto
(per esempio, Palermo).
Orbene!
In tal caso il reclamo avverso
l’eventuale provvedimento di rigetto pronunciato dal
Magistrato di sorveglianza di Torino dovrebbe essere
presentato dal detenuto (ex art. 677, comma 1, c.p.p.)
al Tribunale di sorveglianza di … Palermo: con tutti gli
inconvenienti che è facile ipotizzare (e che farebbero
seriamente dubitare della conformità di un tal soluzione
normativa ai canoni della ragionevolezza e
dell’efficienza ex artt. 3 e/o 111 Cost.).
3. - Alla stregua di quanto
precede, spetta al Magistrato di Sorveglianza di Padova
la cognizione sul superiore reclamo proposto da D. P.
avverso l’operato disciplinare dell’Amministrazione
penitenziaria di Padova.
Infatti:
A) il reclamo de quo rappresenta
sicuramente un’impugnazione [v. Cass. pen., Sez. I,
08/02/2001, n. 19785 Camerino: “E' atto di parte
assimilabile ad ogni effetto ad un impugnazione, il
reclamo proposto ai sensi dell'art. 14 ter l. n. 354 del
1975 (ordinamento penitenziario), avverso le sanzioni
disciplinari adottate dalla direzione della casa
circondariale, sicché come previsto per tutti i mezzi di
gravame (nella specie la corte ha precisato inoltre che
i termini per proporre il reclamo decorrono per legge
dalla comunicazione del provvedimento) la sanzione per
l'inosservanza dei termini entro i quali può essere
proposto è quella dell'inammissibilità”];
B) spetta istituzionalmente al
Magistrato di Sorveglianza di Padova il potere di
vigilanza sull’operato dell’Istituto penitenziario, da
cui promana l’atto impugnato.
Deve, pertanto, disporsi
(nuovamente) la trasmissione degli atti al Magistrato di
sorveglianza di Padova, il quale ovviamente potrà
declinare la propria cognizione solo a seguito di
rituale proposizione del conflitto di competenza.
P.Q.M.
declina la propria legittimazione a
prendere cognizione del reclamo de quo e dispone la
trasmissione degli atti al Magistrato di sorveglianza di
Padova.
Alessandria, 12 agosto 2011
Il Magistrato di Sorveglianza
dr. Giuseppe Vignera
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