Francesco Follieri
L’Osservatorio nasce da una
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Roma e Guida al Diritto, a pochi mesi dall’entrata in
vigore del Codice del processo amministrativo, per
seguirne l’attuazione in giurisprudenza e lo studio da
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L’Osservatorio - realizzato
nell’ambito del Centro di ricerca sulle amministrazioni
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avvocati di Stato e del libero foro. L’osservatorio
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con la specificazione del principio giuridico in esse
contenuto, può essere utilizzato il seguente indirizzo
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Con la "conversione" dell’azione
scatta il rischio della ultra petizione
di Francesco Follieri
La sentenza del Tar Lazio in
epigrafe riguarda una controversia sorta tra un
magistrato ed il Csm, in ordine al diniego di
trasferimento in sede disagiata, ai sensi dell’articolo
1 della legge 133/1998.
Il ricorrente chiedeva: a)
l’annullamento di tre delibere asseritamente lesive,
impugnate con il ricorso (le prime due) e con motivi
aggiunti (la terza); b) l’accertamento del suo diritto
ad ottenere il trasferimento; c) il risarcimento dei
danni patiti.
Dichiarata parzialmente
inammissibile l’azione di annullamento, in ragione della
natura di atto endoprocedimentale della delibera della
Terza Commissione del Csm di revoca della proposta di
trasferimento, il Tar annulla le altre due delibere
gravate.
Con riguardo all’azione di
accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere il
trasferimento, il Collegio afferma che “sarebbe in
teoria inammissibile in quanto postula la natura di
diritto soggettivo della posizione giuridica dedotta in
giudizio”, nonostante, nel caso di specie, il ricorrente
vanti un interesse legittimo pretensivo ad ottenere il
trasferimento.
Il Tar, però, dispone la
conversione di quest’azione di accertamento in azione di
condanna atipica, di cui all’articolo 34, comma 1, lett.
c), Cpa (letto in combinato disposto con l’articolo 30,
comma 1, Cpa), in applicazione dell’articolo 32 Cpa ,
accogliendo la domanda così convertita.
Infine, viene rigettata la domanda
risarcitoria, poiché il ricorrente non ha assolto
l’onere probatorio in relazione agli elementi
costitutivi dell’illecito, con particolare riferimento
alla sussistenza di un danno risarcibile.
Il profilo processuale più
interessante della pronuncia in commento è la
conversione dell’azione di accertamento del diritto ad
ottenere un provvedimento ampliativo della sfera
giuridica del richiedente (nella specie, il
provvedimento di trasferimento in una sede disagiata che
consente la maturazione di un punteggio notevolmente
maggiore per il periodo di servizio ivi prestato,
rispetto all’attività svolta in sede non disagiata;
punteggio spendibile per le procedure selettive
successive) in azione di condanna atipica,
corrispondente, nella sostanza, all’azione di
adempimento, soppressa nell’ultima fase dell’iter di
adozione del Dlgs 104/2010.
In altri termini, il Tar Lazio,
utilizzando lo strumento di cui all’articolo 32 Cpa, ha
“corretto” il tiro della domanda proposta dal
ricorrente, permettendogli di ottenere una pronuncia non
conforme alla formulazione della domanda nell’atto
introduttivo.
Orbene, secondo il principio della
domanda, spetta solo alla parte legittimata la
proposizione dell’azione attraverso la domanda, che
individua, di conseguenza, il thema decidendum, mentre
il giudice deve decidere su tutte le domande proposte
dal ricorrente e nei soli limiti di esse (in base al
principio della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato).
Se, cioè, la domanda costituisce il
fondamento e la misura del potere decisorio del giudice
(che, in relazione alla domanda si atteggia ad obbligo),
appare un crinale scivoloso quello su cui si muove il
giudice, utilizzando lo strumento della qualificazione
delle azioni e della conversione.
Di poi, c’è differenza, quanto meno
teorica, fra qualificazione dell’azione proposta “in
base ai suoi elementi sostanziali” e conversione delle
azioni (articolo 32, comma 2, primo e secondo periodo,
Cpa)
La qualificazione è un’operazione
ermeneutica che interviene a correggere la denominazione
fornita dall’autore all’atto, sottoponendolo alla
disciplina della fattispecie cui è riconducibile dal
punto di vista sostanziale
La conversione, invece, presuppone
l’invalidità dell’atto e, sostanziandosi pur sempre in
un’operazione interpretativa, rende l’atto idoneo a
produrre gli effetti di un atto diverso, purché ne
contenga i requisiti formali e sostanziali e valutando
se l’autore avrebbe voluto porre in essere l’altro atto
se avesse conosciuto la causa di invalidità, tenuto
conto del risultato perseguito dall’autore stesso.
Riportando questa distinzione in
ambito processuale, si ottiene che la qualificazione
dell’azione si ha nell’ambito di un’azione ricevibile,
ammissibile e procedibile che il giudice, semplicemente,
denomina in maniera differente, atteso che essa presenta
gli elementi sostanziali di un’altra azione.
La conversione, invece, presuppone
l’irricevibilità, l’inammissibilità o l’improcedibilità
dell’azione (rectius della domanda) ed una rimodulazione
della stessa, in modo da “salvarne” la proposizione e da
mutarne l’efficacia in ordine (anche) al potere- obbligo
decisorio del giudice.
In altre parole, la
(ri)qualificazione dell’azione ne lascia intatto il
contenuto, cambiandone solo la “etichetta”: l’azione
era, al momento in cui è stata proposta, quella di cui
alla qualificazione fornita dal giudice. La conversione
trasforma l’azione, dal punto di vista effettuale:
l’azione diventa quella indicata dal giudice.
Se la qualificazione o
riqualificazione dell’azione è corollario del principio
iura novit curia, la conversione è una pronuncia sulla
domanda con la quale il giudice la “salva”, rimodellando
l’azione con essa proposta.
E dell’effetto costitutivo della
conversione sembra accorgersi anche il Tar che riporta
nel dispositivo la conversione dell’azione.
Il Tar, nella sentenza che si
commenta, sembra fare applicazione dell’istituto della
conversione nel senso indicato precedentemente: attesa
l’inammissibilità della domanda di accertamento del
diritto ad essere trasferito in una sede disagiata, la
domanda viene convertita in azione di condanna atipica
dell’amministrazione ad adottare il provvedimento di
trasferimento, essendo presenti tutti i requisiti per la
stessa (annullamento del diniego, vincolatezza del
potere e sussistenza dei presupposti normativi per il
rilascio del provvedimento favorevole).
Anche se è necessario verificare la
formulazione della domanda, per valutare appieno la
“resistenza” della decisione in commento, si può
azzardare qualche considerazione.
Se il ricorrente chiede che venga
accertata l’esistenza di un diritto e questo diritto non
c’è, perché, secondo il giudice, vi è un interesse
legittimo ad ottenere il trasferimento, sembra che
l’azione sia infondata e non inammissibile: nel momento
in cui il giudice si “spinge” ad accertare l’esistenza
del diritto, ossia a verificare se la domanda va accolta
o respinta, entrando nel merito, si “avvede” che il
diritto non c’è. Mancherebbe, quindi, il primo requisito
della conversione (l’inammissibilità, l’irricevibilità o
l’improcedibilità della domanda).
Sembra, poi, che la conversione,
per lo meno intesa in senso proprio, si ponga in forte
antitesi con i principi della domanda e della
corrispondenza fra chiesto e pronunciato, a meno che non
si restringano le ipotesi di conversione ai casi in cui
l’azione da convertire “contenga” gli effetti
dell’azione in cui viene convertita.
Un esempio di tal genere potrebbe
essere la fattispecie prefigurata dall’articolo 34,
comma 3, Cpa: “quando, nel corso del giudizio,
l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta
più utile per il ricorrente” e, quindi, la domanda con
cui è stata proposta l’azione di annullamento dovrebbe
essere dichiarata improcedibile, ai sensi dell’articolo
35, comma 1, lett. c), Cpa, “il giudice accerta
l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai
fini risarcitori”.
In quest’ipotesi, l’azione
costitutiva di annullamento (che presuppone
l’accertamento dell’illegittimità), divenuta
improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse,
viene convertita in un’azione di accertamento
dell’illegittimità, in funzione risarcitoria.
E se tale rapporto di continenza
non si può riscontrare tra azione costitutiva e di
condanna, qualitativamente diverse, esso è presente fra
ciascuna di esse e l’azione di accertamento, quale prius
di qualunque altra azione.
Se, cioè, l’accertamento è il
nocciolo dell’esercizio del potere decisorio, l’azione
di accertamento è contenuta in tutte le altre, ma non
può contenerle.
Convertire un’azione di
accertamento in una di condanna, seppure nell’interesse
del ricorrente, produce un ampliamento degli effetti
conseguibili dalla prima, ritenuta inammissibile e
sottoposta a conversione.
Se così è, la conversione di
un’azione di accertamento in una di condanna costituisce
vizio di ultra-petizione della sentenza, poiché il
giudice ha emesso una sentenza che ha effetti non
riconducibili a quelli dell’azione esercitata.
Il Tar Lazio, cioè, ha attraversato
la “sottile linea d’ombra” che delimita la conversione
delle azioni ed il vizio di ultra-petizione.
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