Svolgimento del processo
1. Su ricorso della sig.ra M.F.F. il tribunale di
Catania, con sentenza del novembre 2006, dichiarava la
cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei
contratto nel luglio 1993 con il sig. C.F.V..R., dal
quale era nato il figlio, ancora minore, Gabriele. Il
tribunale affidava il figlio a entrambi i genitori,
disponendone il collocamento presso la madre, ponendo a
carico del R. un assegno quale contributo al suo
mantenimento di Euro 500,00 mensili. Il sig. R.
impugnava la sentenza chiedendo l'affidamento esclusivo
a sé del figlio minore, ponendo a carico della madre un
contributo di Euro 1.500,00 mensili; in via subordinata
l'affidamento ad entrambi con il collocamento del minore
presso di sé, ponendosi a carico della madre un assegno
di Euro 750,00 mensili quale contributo al suo
mantenimento; in via ancora più subordinata
l'affidamento del figlio ad entrambi con ripartizione
dei tempi di permanenza presso ciascun genitore;
chiedeva inoltre l'ammonimento della ex moglie e la sua
condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell'art.
709 ter c.p.c. La sig. F. proponeva appello incidentale,
chiedendo l'affidamento esclusivo del minore e un
assegno quale contributo al suo mantenimento non
inferiore ad Euro 1000,00 mensili. La Corte d'appello di
Catania, in parziale riforma della sentenza impugnata,
confermava l'affidamento del minore a entrambi i
genitori, con collocamento presso la madre, dettando
disposizioni specifiche per l'esercizio della potestà
genitoriale, aumentava ad Euro 1000,00 mensili, oltre al
50% delle spese straordinarie, l'assegno a carico del
padre per il mantenimento del figlio e rigettava le
domande proposte ex art. 709 ter c.p.c. Il sig. R., con
ricorso notificato alla controparte in data 4 agosto
2009, ha proposto quattro motivi di gravame. La parte
intimata non ha depositato difese. Il ricorrente ha
anche depositato memoria.
Il
collegio delibera che si dia luogo a motivazione
semplificata.
Motivi della decisione
1.1.Con il primo motivo si denuncia la violazione
dell'art. 155 cod. civ. deducendosi che la Corte
d'appello avrebbe errato nell'aumentare il contributo
per il mantenimento del figlio minore a carico del
ricorrente, non tenendo conto del nuovo testo dell'art.
155 cod. civ., come modificato dalla legge n. 54 del
2006, il quale prevede che "ciascuno/genitori provvede
al mantenimento dei figli in misura proporzionale al
proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario,
la corresponsione di un assegno periodico al fine di
realizzare il principio di proporzionalità". Nel caso di
specie mentre esso ricorrente, invitato dalla Corte
d'appello, aveva prodotto le dichiarazioni dei redditi
relative agli anni 2006, 2007 e 2008, la controparte non
aveva ottemperato al relativo ordine, cosicché la Corte
d'appello, pur dovendo quantificare l'assegno in
proporzione dei redditi di ciascun genitore, aveva
aumentato l'assegno senza tenere conto dei redditi
attuali della madre del minore.
Si
formula in proposito il seguente quesito di diritto:
"Dica la Corte se è vero che, in ossequio alla norma di
cui all'art. 155 cod. civ., il giudice del merito debba
valutare, al fine di disporre l'assegno ed al fine di
stabilirne la misura, le reali capacità reddituali delle
parti e se tale valutazione debba essere operata con
riferimento a criteri concreti e omogenei, quali le
dichiarazioni fiscali relative ai medesimi periodi,
nonché in riferimento al tenore di vita goduto dal
figlio in costanza di convivenza con entrambi i
genitori". 1.2.Va premesso che la motivazione della
sentenza, dopo avere stabilito il collocamento del
figlio presso la madre, con tempi di soggiorno presso il
padre molto limitati, subordinati nelle modalità a
taluni adempimenti logistici che consentissero al minore
autonomia e riservatezza quando dormisse presso di lui,
si fonda, in relazione alla quantificazione
dell'assegno, su una "ratio decidendi" composita, che ha
preso in considerazione l'attività lavorativa di ciascun
genitore (il padre odontoiatra e la madre medico di base
specializzata in neuropsichiatria infantile); il reddito
di circa 60.000,00 Euro annui netti percepito dalla
madre nel 2004, la circostanza che essa abiti e sia
proprietaria di una villa in XXXXXXX, l'acquisto, da
parte sua, di un appartamento in XXXXXXXX al prezzo di
130.00,00 Euro con la contrazione di un mutuo di
100.000,00 Euro; i redditi dichiarati dal padre nel 2006
e nel 2007, argomentandone una ben più ampia percezione
in relazione alla sua professione ed al presumibile
avviamento operando nello stesso settore del padre
(medico dentista anch'egli) e ad un accertamento della
Guardia di Finanza del 1999; all'acquisto al figlio di
una minicar. Sulla base di tali elementi, pur ritenendo,
maggiore il reddito della madre rispetto a quello del
padre, tenuto conto delle disponibilità di quest'ultimo,
del contesto sociale di appartenenza del minore, delle
sue abitudini di vita, dell'elevato standard che la
famiglia avrebbe avuto in base alle sostanze di entrambi
i coniugi, nonché del maggior impegno della madre coti
quale il figlio convive, la sentenza - con valutazione
di competenza del giudice di merito - ha quantificato
l'assegno a carico del padre in Euro mille mensili.
Secondo
la consolidata interpretazione giurisprudenziale di
questa Corte, in relazione al vizio di violazione di
legge l'art. 366 bis c.p.c. prescrive che il motivo si
concluda con un quesito che ha la funzione d'indicare
direttamente alla Corte l'errore di diritto
asseritamente commesso dal giudice di merito e quale
sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola
da applicare (ex multis Cass. 7 aprile 2009, n. 8463).
Quesito che deve compendiare: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto rilevanti; b) la
sintetica indicazione della regola di diritto applicata
da quel giudice; c) la diversa regola che, ad avviso del
ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie (ex multis Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).
Nel
caso di specie il quesito formulato in relazione al
primo motivo non appare idoneo a censurare adeguatamente
la decisione impugnata, presentando un carattere di
astrattezza che non lo rende compiutamente collegabile
con la sua complessiva "ratio decidendi". Ne consegue
l'inammissibilità del motivo ai sensi dell'art. 366 bis
c.p.c..
2.Con
il secondo motivo si denuncia "contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo",
costituito dal riferimento nella motivazione ad un
accertamento compiuto a carico del ricorrente dalla
Guardia di Finanza nel 1999, dal quale risulterebbe
evasore totale, circostanza accertata come non vera da
sentenza penale passata in giudicato e prodotta in
giudizio. Il motivo si conclude deducendosi che "ai
sensi dell'art. 366 bis c.p.c. il ricorrente dichiara
che ai fini della capacità reddituale del ricorrente la
sentenza impugnata è contraddittoria laddove indica a
sostegno gli accertamenti preliminari della Guardia di
Finanza e non la sentenza di assoluzione piena che
conclude il procedimento iniziato a seguito degli
indicati accertamenti".
Anche
tale motivo è inammissibile essendo il vizio
motivazionale con esso prospettato privo sia di puntuale
riferimento a documentazione che si afferma, senza
specifica indicazione, come prodotta, sia del requisito
della decisorietà, non costituendo il fatto dedotto
elemento centrale, bensì del tutto marginale, della "ratio
decidendi" della sentenza impugnata. 3.Con il terzo
motivo si denuncia la violazione dell'art. 155, comma 4
cod. civ., per non avere la Corte di merito valutato
l'aumento del tempo di permanenza del minore presso il
padre da essa stabilito, che avrebbe dovuto comportare
una diminuzione dell'assegno stabilito in primo grado.
In proposito si formula il seguente quesito: "Dica la
Corte se viola l'art. 155, comma 4, n. 3, cod. civ., la
sentenza del giudice di merito che, nella determinazione
della misura dell'assegno, non tenga conto
dell'incremento dei tempi di permanenza del minore
presso il genitore onerato dell'assegno".
Il
motivo è infondato, avendo in concreto la Corte
stabilito l'assegno tenendo conto della situazione
economica dei genitori e delle esigenze del minore e
avendone motivato la quantificazione su base annua, con
ripartizione mensile, ritenendo in relazione all'importo
stabilito ininfluenti le modalità di visita e di
soggiorno presso il genitore non collocatario.
4.
Con il quarto motivo s'impugna, in riferimento all'art.
91 c.p.c. il capo della sentenza relativo alle spese. Si
formula al riguardo il seguente quesito: "Dica la Corte
se all'accoglimento, anche parziale, dell'impugnazione,
possa seguire una totale condanna alle spese
dell'appellante".
Il
motivo va rigettato, avendo la Corte d'appello fatto
esatta applicazione del principio della soccombenza
complessiva ed utilizzato, con discrezionalità
incensurabile in questa sede, i suoi poteri di
compensazione in relazione all'intero giudizio. Essa,
infatti, ha statuito non solo sull'appello dell'odierno
ricorrente, ma anche su quello incidentale della
controparte e su due subprocedimenti ex art. 709 ter
c.p.c., compensando le spese di primo grado e dei due
subprocedimenti, ponendo a carico di entrambe le parti
quelle della CTU effettuata, e a carico dell'odierno
ricorrente,, in forza del principio della soccombenza
complessiva, le spese del giudizio d'appello.
5.Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Nulla
per le spese _ non avendo la parte intimata depositato
difese.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente
provvedimento omettere le generalità delle parti e delle
persone in esso indicate.
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