.
Svolgimento del processo1.- I
coniugi F..D. e M..S., con ricorso depositato in sede
contenziosa in data 30 maggio 2001, proponevano
opposizione all'esecuzione immobiliare intrapresa nei
loro confronti dalla Banca Nazionale del Lavoro, per un
credito di lire 1.036.409.098 sulla base di un contratto
di mutuo fondiario stipulato in data 3 febbraio 1994 per
un importo di lire 1.000.000.000, in forza del quale
erano entrambi datori di ipoteca.
I
motivi di opposizione erano relativi al calcolo delle
somme residue, a fronte dell'avvenuto pagamento da parte
del mutuatario della somma di lire 726.041.981, che gli
opponenti assumevano essere frutto di applicazione di
tassi di interesse illegittimi in violazione della legge
n. 108 del 1996, nonché in violazione dell'art. 1283
cod. civ..
Instaurato
il contraddittorio a seguito di decreto del giudice
istruttore, la Banca opposta si costituiva in sede
contenziosa e depositava comparsa di costituzione e
risposta, con la quale contestava i motivi di
opposizione relativi al tasso degli interessi.
Nel
corso della prima udienza di comparizione delle parti
dinanzi al giudice istruttore, gli opponenti avanzavano
istanza di sospensione della procedura esecutiva ed il
giudice istruttore rimetteva le parti dinanzi al giudice
dell'esecuzione.
All'udienza
del 30 gennaio 2002, fissata dal giudice dell'esecuzione
per la decisione sull'istanza di sospensione della
procedura esecutiva, gli opponenti svolgevano deduzioni
a verbale sull'idoneità del contratto di finanziamento
azionato ad assumere l'efficacia di titolo esecutivo ed
il giudice dell'esecuzione concedeva termine per note ed
all'udienza del 12 febbraio 2002 riservava la decisione
sull'istanza di sospensione.
Rigettata
tale istanza, il giudizio di opposizione proseguiva in
sede contenziosa.
2.-
Il Tribunale di Castrovillari, con sentenza del 28
aprile 2008, ha accolto i motivi di opposizione
contenuti nell'atto introduttivo del giudizio ed ha
perciò rideterminato in Euro 623.307,79 la somma residua
dovuta dal mutuatario; ha reputato inammissibile ogni
altra domanda degli opponenti ed ha compensato per un
terzo le spese di lite, ponendo a carico dell'opposta il
pagamento dei restanti due terzi.
3.-
Avverso questa sentenza propongono ricorso straordinario
per cassazione i coniugi D. - S., a mezzo di quattro
motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso
Calliope S.r.l., e per essa, nella sua qualità di
procuratrice speciale PIRELLI RE CREDIT SERVICING S.p.A.
(già Servizi Immobiliari Banche - S.I.B. S.p.A.), quale
cessionaria di Banca Nazionale del Lavoro S.p.A.
Motivi della decisione
1.- I primi due motivi di ricorso
vanno trattati congiuntamente poiché comune è la ragione
del loro rigetto.
Con
tali motivi i ricorrenti lamentano la violazione e la
falsa applicazione, rispettivamente degli artt. 474 e
615 cod. proc. civ., e dell'art. 47 4, co. 1, n. 3 cod.
proc. civ., per non avere il giudice ritenuto che
l'esistenza di un titolo esecutivo costituisca
condizione necessaria dell'esercizio dell'azione
esecutiva e debba essere versificata d'ufficio dal
giudice e per avere, comunque, ritenuto che l'atto
pubblico redatto da notaio, che contiene soltanto una
promessa di mutuo ma non l'accertamento dell'erogazione
della somma mutuata, possa essere utilizzato come titolo
esecutivo, sebbene non documenti l'esistenza attuale di
obbligazioni di somme di denaro ma riguardi debiti
pecuniari futuri.
1.2.-
Nessuno dei due motivi è meritevole di accoglimento ed
il secondo non coglie nemmeno la ratio decidendi della
sentenza impugnata.
Il
Tribunale ha affermato che i ricorrenti inizialmente
hanno agito in giudizio al solo fine di ottenere
l'esatta determinazione del quantum debeatur e che
soltanto con le note istruttorie depositate in data 11
febbraio 2002, peraltro oltre il termine concesso dal
giudice all'esito dell'udienza di prima comparizione ex
art. 180 cod. proc. civ. (nel testo all'epoca vigente),
hanno ampliato il thema decidendum contestando la natura
di titolo esecutivo del contratto di mutuo fondiario
posto a base dell'intrapresa esecuzione e, quindi, il
diritto dell'istituto di credito di agire in executivis.
Ha perciò ritenuto che tale ulteriore contestazione
integrasse una domanda nuova, della quale ha valutato
l'ammissibilità sulla base della giurisprudenza
formatasi dopo l'entrata in vigore della novella di cui
alla legge n. 353 del 1990, concludendo nel senso della
tardività della proposizione nel caso di specie ed
escludendo che fosse rilevante il fatto che l'esistenza
di un titolo esecutivo, atteggiandosi quale condizione
necessaria per l'esercizio dell'azione esecutiva, debba
sempre essere verificata d'ufficio dal giudice. A
quest'ultimo riguardo, ha richiamato la giurisprudenza
di legittimità per la quale il potere-dovere del giudice
di verificare d'ufficio, in ogni stato e grado del
giudizio, l'esistenza del titolo esecutivo va
coordinato, in sede di opposizione all'esecuzione, con
il principio della domanda e con quello della
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato
dagli artt. 99 e 112 cod. proc. civ..
Le
riportate affermazioni della sentenza impugnata, che
vengono censurate col primo motivo di ricorso, sono
corrette e vanno confermate, con le precisazioni di cui
appresso.
2.-
Il giudizio di opposizione è un ordinario processo di
cognizione, nel quale la domanda giudiziale va
identificata, nell'aspetto oggettivo, con i suoi
elementi costitutivi, del petitum, consistente nella
richiesta di un provvedimento giurisdizionale che
dichiari l'inesistenza del diritto del creditore: di
procedere ad esecuzione forzata, e della causa petendi,
che consiste nella specifica situazione giuridica
sostanziale dedotta dalla parte istante a fondamento
della assunta inesistenza del diritto di procedere in
executivis (cfr. già Cass. 3 maggio 1980 n. 2911, nonché
Cass. 11 dicembre 2002, n. 17630; 29 aprile 2004, n.
8219; 13 novembre 2009, n. 24047); dal punto di vista
soggettivo, l'opponente, vale a dire il soggetto
esecutato (o precettato), ha veste sostanziale e
processuale di attore (e, in correlazione, l'opposto,
vale a dire il creditore procedente, ha la posizione del
convenuto: cfr. Cass. 9 novembre 2000, n. 14554 ed
altre). Pertanto, le eventuali "eccezioni" sollevate
dall'opponente per contrastare il diritto del creditore
a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa
petendi della domanda proposta con il ricorso in
opposizione e sono soggette al regime sostanziale e
processuale della domanda; ne consegue che l'opponente
non può mutare la domanda modificando le eccezioni che
ne costituiscono il fondamento, né il giudice può
accogliere l'opposizione per motivi che costituiscono un
mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo,
ancorché si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio (cfr.
Cass. 7 marzo 2003 n. 3477; ord. 20 gennaio 2011, n.
1328).
Quest'ultimo
principio, benché espresso già dalla giurisprudenza meno
recente con riferimento all'inammissibilità in appello
di un motivo di opposizione all'esecuzione non proposto
in primo grado (cfr. Cass. 7 maggio 1980, n. 3004,
nonché Cass. n. 2911/80 cit.), va affermato e precisato
anche con riguardo al giudizio di primo grado, tenendo
conto del regime delle preclusioni introdotto con la
legge 26 novembre 1990 n. 353 e della giurisprudenza
formatasi sul divieto di proposizione di nuove domande
nei giudizi regolati da tale ultima legge.
Questa
giurisprudenza, che qui si ribadisce e si richiama anche
nelle motivazioni, è nel senso che, nelle cause
instaurate successivamente al 30 aprile 1995 (data di
entrata in vigore della legge n. 353 del 1990), per le
quali vige il principio che il regime delle preclusioni
introdotto nel rito civile ordinario riformato è inteso
non solo alla tutela dell'interesse di parte (come era
per il divieto di domande nuove in primo grado nelle
cause instaurate anteriormente), ma anche di quello
pubblico al corretto e celere svolgimento del processo,
la tardività della domanda deve essere rilevata
d'ufficio dal giudice indipendentemente
dall'atteggiamento processuale della controparte (cfr.
Cass. 27 settembre 2006, n. 20953, citata nella sentenza
impugnata, nonché tutta la giurisprudenza successiva da
Cass. 29 novembre 2006, n. 25242 fino, da ultimo, a
Cass. 17 giugno 2010, n. 14625).
Nei
giudizi di opposizione all'esecuzione, il motivo di
opposizione, nel quale si concreta la causa petendi,
quale fatto costitutivo dell'inesistenza del diritto di
procedere all'esecuzione e, quindi, quale fatto
costitutivo della domanda di tutela esercitata con
l'opposizione, è, come per ogni altra domanda,
individuato dalle circostanze di fatto e dagli elementi
di diritto che ne costituiscono le ragioni (arg. ex art.
163 n. 4 cod. proc. civ.). L'azione svolta
dall'opponente all'esecuzione è diretta ad ottenere
l'accertamento dell'inesistenza del diritto di procedere
all'esecuzione per i motivi dedotti e sulla base di
tutti gli elementi ed i fatti allegati ed esistenti al
momento della sua proposizione.
Dal
momento che, per quanto detto sopra, la domanda
giudiziale deve essere formulata con l'atto introduttivo
del giudizio, le circostanze di fatto poste a fondamento
dell'opposizione debbono essere prospettate con esso,
mentre, se lo siano successivamente nel corso del
processo di opposizione, l'allegazione di nuovi fatti
costitutivi che avrebbero potuto e dovuto essere
allegati fin dall'introduzione dell'opposizione si
risolve in una mutatio libelli, come tale non consentita
dall'art. 183 c.p.c., il quale ammette solo la
precisazione o la modificazione della domanda, ma non
una domanda nuova (così anche Cass. ord. n. 1328/2011
cit.).
2.1.-
I principi sopra richiamati devono tuttavia essere
coordinati con un altro principio immanente al processo
esecutivo, che rileva anche in relazione agli incidenti
cognitivi introdotti ex art. 615 cod. proc. civ.
Nel
sistema vigente opera infatti il principio che il titolo
esecutivo, quale condizione necessaria dell'azione
esecutiva, deve esistere nel momento in cui questa è
iniziata, non si può formare successivamente e deve
permanere per tutta la durata dell'esecuzione (cfr., tra
le tante, Cass. 24 maggio 2002, n. 7631, in
motivazione).
Questo
principio sta a fondamento dei poteri-doveri del giudice
dell'esecuzione, il quale è tenuto alla verifica di cui
sopra all'inizio e per tutto il corso del processo
esecutivo, conseguendo alla mancanza originaria di
titolo esecutivo od alla sua sopravvenuta caducazione,
l'improcedibilità dell'azione esecutiva (cfr. Cass. 6
agosto 2002, n. 11769 ed altre), impregiudicata in
questa sede l'ulteriore questione - del tutto estranea
al presente giudizio - delle sorti del processo nel caso
in cui, caducato il titolo posto a base dell'azione
esecutiva, siano intervenuti altri creditori, a loro
volta, muniti di titolo esecutivo.
Diversa
e più articolata è invece l'incidenza del principio di
cui sopra sui poteri del giudice dell'opposizione
all'esecuzione.
Poiché
il titolo esecutivo originariamente esistente deve anche
persistere per tutto il corso dell'esecuzione, onde
giustificare la permanenza del vincolo costituito dal
pignoramento e sorreggere giuridicamente l'esito
dell'esecuzione (sia questo costituito dalla vendita,
sia costituito dall'esecuzione diretta), non vi è dubbio
che, quando è contestata l'esistenza del titolo
esecutivo, il giudice dell'opposizione debba verificare
non solo l'esistenza ma anche la persistenza del titolo
esecutivo; in sintesi, la sopravvenuta caducazione del
titolo esecutivo determina l'illegittimità
dell'esecuzione con efficacia ex tunc. È questo il
presupposto giuridico della giurisprudenza univoca di
questa Corte, per la quale la sopravvenuta carenza del
titolo esecutivo può essere rilevata d'ufficio in ogni
stato e grado del giudizio di opposizione ed anche per
la prima volta nel giudizio di cassazione (cfr., tra le
meno risalenti nel tempo, Cass. 28 giugno 1995, n. 7285;
1 giugno 1998, n. 5374; 28 marzo 2000, n. 3278; 9 luglio
2001, n. 9293; 9 gennaio 2002, n. 210; 5 settembre 2003,
n. 12944; 29 novembre 2004, n. 22430; 12 marzo 2009, n.
6042). Si tratta della giurisprudenza che i ricorrenti
richiamano a fondamento del primo motivo di ricorso, ma
il richiamo non è pertinente. Nei casi oggetto delle
richiamate pronunce è stato introdotto nel giudizio già
pendente un fatto idoneo ad incidere sulla pretesa
esecutiva, oggetto del processo di opposizione e quindi
rilevante ai fini dell'accertamento della sussistenza di
tale pretesa in capo al creditore opposto, ma la
relativa introduzione in ogni stato e grado si
giustifica poiché trattasi di fatto, con efficacia
retroattiva, sopravvenuto all'introduzione del giudizio
di opposizione.
Diversa
invece è la vicenda processuale oggetto del presente
ricorso, in cui, iniziata l'opposizione all'esecuzione
con l'esplicita ammissione dell'esistenza di un titolo
esecutivo valido ed efficace per procedere in executivis,
e con la contestazione della sua validità limitatamente
alla pretesa esecutiva concernente la voce accessoria
degli interessi (essendo relativi i motivi di
opposizione alla violazione della legge n. 108 del 1996
e dell'art. 1283 cod. civ.), in corso di causa gli
opponenti hanno contestato la mancanza originaria di
titolo esecutivo, per essere il contratto di mutuo
fondiario, posto a base dell'esecuzione, condizionato
alla successiva erogazione e per non essere stata
provata l'erogazione della somma mutuata di un miliardo
di lire.
Si
tratta di circostanze di fatto che, in quanto date per
esistenti al momento della proposizione
dell'opposizione, gli opponenti avrebbero dovuto dedurre
con l'atto introduttivo del giudizio, ponendo le stesse
a fondamento di un apposito motivo di opposizione, quale
causa petendi sulla quale fondare la dedotta
insussistenza del diritto dell'istituto di credito di
procedere ad esecuzione. Avrebbero inoltre dovuto
formulare un petitum coerente con tale causa petendi,
vale a dire quello dell'accertamento dell'inesistenza
dell'intera pretesa esecutiva della controparte, non
quello - che invece fu formulato con l'atto
introduttivo- della sua riduzione nel quantum debeatur,
specificamente in relazione al credito per interessi.
Va
ribadito, in proposito, l'orientamento espresso già da
questa Corte, e seguito dal Tribunale di Castrovillari,
per il quale il principio della rilevabilità d'ufficio
dell'insussistenza del titolo esecutivo anche da parte
del giudice dell'opposizione all'esecuzione va
coordinato con il principio della domanda e con quello
della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato,
fissati dagli artt. 99 e 112 cod. proc. (cfr. Cass. 7
marzo 2002, n. 3316, nonché già Cass. n. 3004/1980 e n.
2911/1980 cit.; ed, ancora, in motivazione, Cass. n.
3477/03 cit.).
L'unico
precedente di segno contrario è costituito da Cass. 7
febbraio 2000, n. 1337, richiamato dai ricorrenti, e
considerato anche dalla successiva sentenza del 7 marzo
2002, n. 3316 (che lo supera), in cui si afferma che la
verifica dell'esistenza (originaria) del titolo
esecutivo va sempre fatta d'ufficio dal giudice,
indipendentemente dall'atteggiamento tenuto dalle parti.
L'affermazione
si giustifica in ragione della peculiarità del caso
concreto, nel quale risultavano, non solo dedotti ed
acquisiti al processo gli elementi che il giudice
avrebbe dovuto porre a base della sua pronuncia
d'ufficio, ma essi erano stati oggetto del
contraddittorio e riportati nella sentenza impugnata
(che aveva dato atto che gli assegni posti a base del
precetto opposto erano stati emessi in bianco di data),
pur se non costituivano oggetto del motivo di
opposizione (poiché questa non era fondata
sull'inidoneità degli assegni come titoli esecutivi, ma
sull'insussistenza del rapporto causale sottostante).
Occorre peraltro rilevare che si trattava di giudizio
introdotto nel 1990, quindi non soggetto al regime
preclusivo della legge n. 353 del 1990, sopra
richiamato.
Pertanto,
richiamato il principio che spetta al giudice
dell'esecuzione di verificare la sussistenza originaria
e la permanenza del titolo esecutivo per tutto il corso
del processo esecutivo, va ribadito che tale principio
va coordinato, in sede di opposizione all'esecuzione,
con il principio della domanda e con quello della
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissati
dagli articoli 99 e 112 cod. proc. civ.; con la
conseguenza che quando nel giudizio di opposizione si
controverta della illegittimità del titolo esecutivo,
costituisce domanda nuova la proposizione, nel corso del
giudizio di primo grado o per la prima volta in appello,
della richiesta di accertamento della carenza originaria
del titolo esecutivo ovvero della sua illegittimità per
un motivo diverso da quello dedotto con l'atto
introduttivo del giudizio di opposizione all'esecuzione.
Resta fermo peraltro il principio per il quale spetta al
giudice dell'opposizione all'esecuzione rilevare
d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, la
carenza di titolo esecutivo che, invece, sia
sopravvenuta all'introduzione del giudizio contenzioso.
3.-
Correttamente pertanto il giudice di merito ha ritenuto
di non doversi occupare d'ufficio del motivo di
opposizione concernente la carenza originaria del.
titolo esecutivo, poiché ne ha rilevato la tardiva
proposizione, in quanto non contenuto nel ricorso
introduttivo del giudizio di opposizione.
Ne
segue che il secondo motivo di ricorso non coglie nel
segno quando afferma che il Tribunale avrebbe violato la
norma dell'art. 474, co. 1", n. 3 cod. proc. civ. per
avere ritenuto valido titolo esecutivo un contratto
stipulato per atto pubblico che tuttavia non aveva i
requisiti richiesti dalla norma che si assume violata.
Il
Tribunale non è affatto entrato nel merito della
questione poiché ne ha ritenuto precluso l'esame per le
ragioni su esposte. E ciò ha detto espressamente.
Nessuna
pronuncia esplicita od implicita sulla idoneità, del
contratto posto a base dell'esecuzione a costituire
valido titolo esecutivo è mai intervenuta in sede di
merito, sicché il motivo in esame è inammissibile.
4.~
Va a questo punto esaminato il quarto motivo di ricorso,
essendo la questione che ne forma oggetto, connessa a
quanto detto in merito alla statuizione di
inammissibilità della domanda nuova contenuta nella
sentenza impugnata.
Con
il motivo in esame, i ricorrenti denunciano il vizio di
motivazione per non avere il Tribunale considerato che
la contestazione del titolo esecutivo era stata fatta
sin dalla prima udienza davanti al giudice
dell'esecuzione, e non per la prima volta con le note
depositate l'11 febbraio 2002, dopo la prima udienza di
comparizione davanti al giudice istruttore, come
affermato nella sentenza impugnata.
Il
motivo non è meritevole di accoglimento.
4.1.-
Per come si è evidenziato nell'esporre lo svolgimento
del processo, il presente giudizio di opposizione
all'esecuzione è stato introdotto prima della
sostituzione dell'art. 616 cod. proc. civ. fatta
dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, in
vigore dal 1° marzo 2006, con un ricorso, cui ha fatto
seguito la comparsa di costituzione dell'opposto, -
Questi atti sono stati reputati dal giudice quali atti
introduttivi del giudizio contenzioso, in coerenza con
quanto disposto dall'art. 185 disp. att. cod. proc. civ.,
(nel testo all'epoca vigente), adeguato al rito
contenzioso così come modificato con la più volte citata
legge n. 353 del 1990 (che però non era intervenuta
sull'originario testo dell'art. 185 disp. att.): ne è
seguito che, dopo la decisione sull'istanza di
sospensione, il giudizio è proseguito in sede
contenziosa, così come introdotto con il ricorso
originariamente proposto ex art. 615, comma secondo,
cod. proc. civ..
Orbene,
per come riconosciuto anche dai ricorrenti, il ricorso
introduttivo, per quel che rileva in questa sede, era
del seguente tenore:
“...omissis...
La parte mutuataria ha pagato complessivamente la somma
di L. 726.041.981 in conto del finanziamento complessivo
di L. 1.000.000.000. È evidente che il calcolo delle
somme residue operato da BNL è frutto di applicazione di
tassi di interesse illegittimi in violazione della,
legge n. 108/1996... omissis...; nonché in violazione
dell'art. 1283 c.c....omissis...”; dati questi due unici
motivi di opposizione, gli opponenti concludevano
chiedendo la determinazione dell'esatto ammontare del
debito residuo in applicazione dei tassi d'interesse
legittimi e del conseguente calcolo di interessi in
ossequio ai principi di legge.
Siffatto
contenuto del ricorso, in quanto relativo alle domande
proposte nel giudizio di opposizione che era destinato
ad introdurre, non poteva più essere modificato se non
nei limiti in cui è consentita l'emendatio libelli, in
applicazione dei principi richiamati al precedente punto
2. Più specificamente, la fase destinata alla decisione
sui provvedimenti di sospensione ex artt. 624 e 625 cod.
proc. civ., si svolse, come detto e come era la regola
nel rito precedente la, riforma del 2006, dinanzi a
quello stesso giudice che poi provvide all'istruzione a
norma degli artt. 175 e seg. e dopo che la domanda era
stata già compiutamente formulata col ricorso
introduttivo.
Anche
se la contestazione dell'esistenza del titolo esecutivo
fosse intervenuta prima delle note dell'11 febbraio 2
002, considerate dal giudice di merito, ma comunque dopo
la proposizione del ricorso introduttivo -il cui
contenuto è incontestato - ed anche prima dell'inizio
della fase contenziosa del giudizio di opposizione, essa
sarebbe comunque incorsa nel divieto di proposizione di
domanda nuova.
Pertanto,
la mancata considerazione da parte del giudice di merito
delle deduzioni svolte dagli opponenti nel verbale
dell'udienza tenuta davanti al giudice dell'esecuzione
il 30 gennaio 2002, essendo stato il ricorso
introduttivo depositato il 30 maggio 2001, è del tutto
irrilevante e non vizia la motivazione della sentenza.
5.-
Col terzo motivo di ricorso è denunciato il vizio di
motivazione relativo alla mancata valutazione da parte
del Tribunale della consulenza tecnica integrativa che
avrebbe accertato un fatto decisivo per il giudizio,
cioè che, pur essendo stata prevista l'erogazione della
somma di lire 1.000.000.000, sarebbe stata in realtà
erogata la minor somma di lire 500.000.000.
Secondo
i ricorrenti il giudice avrebbe disatteso le risultanze
della consulenza tecnica integrativa senza motivare,
nonostante avesse disposto l'integrazione e nonostante
questa avesse fatto emergere il fatto fondamentale che
la somma di un miliardo non sarebbe mai stata erogata,
essendo stata provata soltanto l'erogazione della minor
somma di lire 500 milioni. Aggiungono che la sentenza
sarebbe errata laddove motiva nel senso che dall'atto di
opposizione all'esecuzione forzata volto a contestare il
quantum debeatur possa trarsi pacifica ammissione del
debito e richiamano la giurisprudenza di questa Corte
sulla ricognizione del debito, al fine di escludere che
tale si potesse ritenere il loro atto di opposizione.
5.1.-
Premesso che la censura ha ad oggetto un accertamento di
fatto riservato al giudice del merito, si ritiene che la
relativa motivazione sia sufficiente e congrua.
Il
Tribunale da infatti conto delle ragioni per le quali
non ritiene di dare seguito ai rilievi del CTU
riguardanti il mancato rinvenimento di un atto di
quietanza che documenti l'avvenuta erogazione della
somma di un miliardo, traendole dal comportamento
processuale delle parti opponenti, rilevando in
particolare che questo, con l'atto di opposizione
avrebbero "pacificamente ammesso di aver ottenuto un
finanziamento di L. 1.000.000.000 e di avere restituito
la somma di L. 726.041.981, riconoscendosi, pertanto,
debitori del residuo e chiedendone l'esatta
determinazione".
Tale
valutazione non presuppone affatto, come sembrano
ritenere i ricorrenti, la qualificazione dell'atto di
opposizione come ricognizione di debito, vale a dire
come dichiarazione unilaterale che esoneri il
destinatario dall'onere di provare il rapporto
fondamentale.
Nel
caso di specie, la fonte del rapporto è
indiscutibilmente il contratto di mutuo posto a base
dell'esecuzione, dal quale sorge per il mutuatario
l'obbligazione di restituzione della somma mutuata.
Essendo stata questa indicata in contratto nell'importo
di un miliardo di lire, sarebbe stato onere degli
opponenti dedurre, prima, e, quindi, dimostrare di avere
ricevuto di meno. Il Tribunale ha rilevato che gli
opponenti non hanno assolto a tale onere di allegazione
e di prova, per le ragioni sopra esposte, in sé congrue
ed idonee a sorreggere la decisione.
5.2.-
Quanto al mancato esame delle risultanze della CTU
integrativa, è sufficiente rilevare che le valutazioni
espresse dal CTU non hanno efficacia vincolante per il
giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso
una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze
processuali e risulti congruamente e logicamente
motivata, dovendo indicare in particolare gli elementi
di cui si è avvalso per disattendere gli argomenti sui
quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi
probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti
logico - giuridici per addivenire alla decisione
contrastante con il parere del CTU.
Nel
caso di specie, il Tribunale ha superato le risultanze
della CTU integrativa, sia sulla base degli argomenti
sopra riportati, espressamente esposti in motivazione,
ma anche sulla base delle risultanze della prima CTU,
che ha posto a fondamento della decisione. Avvalendosi
di quest'ultima, che teneva conto di un andamento dei
rapporti di dare-avere tra le parti che presupponeva
l'erogazione dell'intero importo oggetto di mutuo, ed
apprezzando tali risultanze in relazione al sopra
evidenziato comportamento processuale degli opponenti,
il giudice ha superato con motivazione congrua, non un
parere ovvero un accertamento positivo contenuto
nell'integrazione della CTU, ma la lacuna segnalata dal
consulente con tale seconda relazione (cioè, più
semplicemente, il mancato rinvenimento, da parte sua, di
un atto di quietanza).
Va
perciò rigettato anche il quinto motivo di ricorso.
6.-
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione che liquida in Euro 8.200,00, di
cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese
generali, IVA e CPA come per legge.
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