(Pres. Amatucci – Rel. Carluccio)
Svolgimento del processo
1. C.F. e L.A.A. , quali genitori
esercenti la potestà sulla figlia minore M.G. ,
convenivano in giudizio (nel gennaio 1995) il Comune di
Barletta per il risarcimento del grave danno subito
dalla minore, caduta per effetto dell'investimento da
parte di una bicicletta, condotta da un ragazzo rimasto
sconosciuto. Deducevano che l'incidente si era svolto al
centro della città, lungo il Corso, a quell'ora isola
pedonale. Il Tribunale di Trani rigettava la domanda.
L'appello dei coniugi veniva
rigettato, in parte correggendo la motivazione del primo
giudice, dalla Corte di appello di Bari (sentenza del 18
marzo 2008).
2. Avverso la suddetta sentenza
propone ricorso per cassazione C.M.G. - divenuta
maggiorenne prima dell'unica udienza di appello - con
quattro motivi, corredati da quesiti ed esplicati da
memoria.
Resiste con controricorso il Comune
di Barletta, eccependo il passaggio in giudicato della
sentenza di appello per la tardività del ricorso per
cassazione.
Motivi della decisione
1. L'eccezione sollevata dal
Comune, logicamente preliminare, va rigettata.
1.1. La sentenza di appello,
depositata il 18 marzo 2008, è stata notificata al
difensore dei coniugi appellanti il 24 giugno 2008. Il
ricorso per cassazione è stato proposto da C.M.G. ,
divenuta maggiorenne nelle more del giudizio di appello,
con atto notificato il 30 aprile 2009, nel termine
annuale.
È pacifico che: - il difensore dei
coniugi appellanti non aveva dichiarato l'intervenuta
perdita della capacità processuale dei genitori, per la
raggiunta maggiore età della figlia; - la sentenza
impugnata non era stata notificata a C.M.G. , ma ai suoi
genitori.
1.2. Il Comune, nell'eccezione
richiama Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15783,
criticandola per il diverso trattamento che deriverebbe,
a seconda che si tratti della morte della parte o della
perdita della capacità della parte costituita. Conclude
nel senso che, dovendosi ritenere legittima la notifica
della sentenza di appello al difensore dei coniugi
appellanti, sarebbe inutilmente decorso il termine breve
di impugnazione, con conseguente inammissibilità del
ricorso proposto, nel termine annuale, dalla parte la
cui maggiore età non era stata dichiarata nel processo.
1.3. La decisione delle Sez. Un.
richiamata ha affermato il principio di diritto, secondo
cui “qualora uno degli eventi idonei a determinare
l'interruzione del processo (nella specie, il
raggiungimento della maggiore età da parte di minore
costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali
rappresentanti) si verifichi nel corso del giudizio di
primo grado, prima della chiusura della discussione
(ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito
delle comparse conclusionali e delle memorie di replica,
ai sensi dei nuovo testo dell'art. 190 cod. proc. civ.),
e tale evento non venga dichiarato né notificato dal
procuratore della parte cui esso si riferisce a norma
dell'art. 300 cod. proc. civ., il giudizio di
impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro
i soggetti effettivamente legittimati: e ciò alla luce
dell'art. 328 cod. proc. civ., dal quale si desume la
volontà del legislatore di adeguare il processo di
impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni
delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza
che dell'impugnazione, con piena parificazione, a tali
effetti, tra l'evento verificatosi dopo la sentenza e
quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e
non dichiarato né notificato. Limitatamente, peraltro,
ai processi pendenti alla data del 30 aprile 1995 -
rispetto ai quali non opera la possibilità di sanatoria
dell'eventuale errore incolpevole nell'individuazione
del soggetto nei cui confronti il potere di impugnazione
deve essere esercitato, offerta dal nuovo testo
dell'art. 164 cod. proc. civ., come sostituito dalla
legge 26 novembre 1990, n. 353, nella parte in cui
consente la rinnovazione, con efficacia ex nunc, della
citazione (e dell'impugnazione) in relazione alle
nullità riferibili ai nn. 1 e 2 dell'art, 163 cod. proc.
civ. - il dovere di indirizzare l'impugnazione nei
confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato
resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità
dell'evento, secondo criteri di normale diligenza, da
parte del soggetto che propone l'impugnazione, essendo
tale interpretazione l'unica compatibile con la garanzia
costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.) -
Un'esigenza di tutela della parte incolpevole non si
pone, in ogni caso, rispetto all'ipotesi del
raggiungimento della maggiore età nel corso del
processo, che non costituisce un evento imprevedibile,
ma, al contrario, un accadimento inevitabile nell'an -
essendo lo stato di incapacità per minore età
naturaliter temporaneo - ed agevolmente riscontrabile
nel quando”.
1.4. Da tale principio il Collegio
non intende discostarsi, anche in considerazione degli
approdi della giurisprudenza successiva, che si sono
sviluppati lungo la stessa linea direttiva.
1.4.1. Innanzitutto, va precisato
che, rispetto al minore divenuto maggiorenne, il
principio affermato dalle Sez. Un. nel 2005 è stato
costantemente confermato (da ultimo, Cass. 15 febbraio
2007, n. 3455), in riferimento alla notificazione
dell'impugnazione. Premesso che, già sulla base della
sentenza delle Sez. Un. non può rinvenirsi differenza
tra notifica dell'impugnazione e notifica della sentenza
(ai fini dell'impugnazione), deve aggiungersi che per la
notifica della sentenza un'applicazione si registra
nella materia fallimentare. Si è affermato, infatti, che
“Qualora il fallimento della parte intervenga nel corso
del giudizio di primo grado senza che l'evento
interruttivo sia dichiarato, la sentenza - i cui effetti
non siano espressamente limitati al rientro in bonis del
fallito - deve essere notificata nei confronti del
curatore; pertanto, la notifica effettuata al fallito
personalmente non è idonea a far decorrere il termine
breve per impugnare e la curatela può proporre appello
nel termine di un anno dal deposito della decisione”.
(Cass. 22 maggio 2007, n. 11848).
Inoltre, il profilo della notifica
della sentenza è venuto autonomamente in rilievo
rispetto alla morte del procuratore. Le S.U. hanno
ritenuto che “In caso di morte del procuratore
costituito dopo l'udienza di precisazione delle
conclusioni ma prima dell'udienza di discussione della
causa, il termine breve per l'impugnazione decorre dalla
notifica personale della sentenza alla parte rimasta
priva di difensore, senza che assuma rilievo la mancata
conoscenza incolpevole dell'evento interruttivo
verificatosi (benché non dichiarato) ai danni della
parte stessa; da un lato, invero, in questa fase
processuale di transizione, la parte non può sottrarsi
all'onere di informarsi circa le ragioni dell'avvenuta
notifica alla sua persona e non al difensore, e,
dall'altro, nessun dovere di avvisare la controparte
della morte del suo difensore ricade sulla parte
notificante”. (Sez. Un. 8 febbraio 2010, n. 2714).
1.4.2. Quanto alla morte della
parte - che il controricorrente evoca per criticare la
decisione delle S.U. del 2005 - va rilevato che negli
anni successivi (in due importanti decisioni delle Sez.
Un.) è emersa una linea evolutiva volta a dare rilievo
alla notifica (dell'impugnazione) agli eredi, senza
attribuire rilevanza sia al momento in cui il decesso è
avvenuto, sia all'ignoranza dell'evento, anche
incolpevole.
La decisione del 2009, secondo cui
“L'atto di impugnazione della sentenza, nel caso di
morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e
notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento
in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale
ignoranza dell'evento, anche se incolpevole, da parte
del soccombente; ove l'impugnazione sia proposta invece
nei confronti del defunto, non può trovare applicazione
la disciplina di cui all'art. 291 cod. proc. civ.”
(Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un
giudizio iniziato in epoca anteriore alla legge 26
novembre 1990, n. 353). (Sez. Un. 16 dicembre 2009, n.
26279. Il principio è stato poi costantemente
riaffermato.
Quella del 2010, secondo cui
“L'atto di impugnazione della sentenza, nel caso di
morte della parte vittoriosa (o parzialmente
vittoriosa), deve essere rivolto agli eredi,
indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è
avvenuto, sia dall'eventuale ignoranza dell'evento,
anche se incolpevole, da parte del soccombente; detta
notifica - che può sempre essere effettuata
personalmente ai singoli eredi - può anche essere
rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale,
purché entro l'anno dalla pubblicazione (comprensivo
dell'eventuale periodo di sospensione feriale),
nell'ultimo domicilio della parte defunta ovvero, nel
solo caso di notifica della sentenza ad opera della
parte deceduta dopo l'avvenuta notificazione, nei luoghi
di cui al primo comma dell'art. 330 cod. proc. civ.”
(Sez. Un. 18 giugno 2010, n. 14699).
1.4.3. Pertanto, il ricorso è
tempestivo, in quanto proposto entro l'anno (aumentato
dei tempi della sospensione feriale) dalla pubblicazione
della sentenza di appello, non notificata a C.M.G. ,
divenuta maggiorenne nelle more del giudizio di appello.
2. Con il primo motivo del ricorso
principale, si deduce la violazione degli artt. 300 e
101 cod. proc. civ., in riferimento all'art. 360 n. 3 e
4 cod. proc. civ., con conseguente nullità della
sentenza. Sostanzialmente si lamenta che la sopravvenuta
maggiore età avrebbe dovuto essere rilevata dal giudice
di appello (emergendo dagli atti) e che la mancata
rilevazione, con la prosecuzione del giudizio nei
confronti dei genitori, avrebbe comportato la lesione
del contraddittorio nei confronti dell'(ex) minore,
oramai legittimato, con conseguente nullità della
notifica della sentenza ai genitori.
Il motivo è, in parte assorbito, in
parte infondato. Resta logicamente assorbito nella parte
in cui tende a far valere la nullità della notifica
della sentenza ai genitori, stante il rigetto
dell'eccezione del Comune (p. 1).
È infondato nella parte in cui
deduce la nullità della sentenza per violazione del
contraddittorio, sulla base del principio consolidato,
secondo cui “La rappresentanza processuale del minore
non cessa automaticamente allorché questi diventi
maggiorenne ed acquisti, a sua volta, la capacità
processuale, rendendosi necessario che il raggiungimento
della maggiore età sia reso noto alle altre parti
mediante dichiarazione, notifica o comunicazione con un
atto del processo. Tale principio dell'ultrattività
della rappresentanza opera - tuttavia - soltanto
nell'ambito della stessa fase processuale, attesa
l'autonomia dei singoli gradi di giudizio”. (da ultimo,
Cass. 2 settembre 2010, n. 19015).
3. Con i successivi motivi di
ricorso si deduce insufficienza e contraddittorietà
della motivazione sui punti decisivi della controversia
e sulla valutazione delle prove (secondo) e violazione
degli artt. 2051, 2043, 2697 cod. civ. e 115, 116, cod.
proc. civ. (terzo e quarto), oltre alla violazione del
solo art. 112 cod. proc. civ. (solo terzo), in
riferimento all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ..
I motivi vanno trattati
unitariamente per la stretta connessione.
3. 1. La sentenza impugnata si
fonda sulle seguenti argomentazioni essenziali.
Il sinistro è avvenuto in zona
pedonale, sulla quale è agevole esercitare i compiti di
vigilanza; pertanto, soggetta alla custodia del Comune.
Il sinistro è stato causato da un ragazzo (rimasto
ignoto) alla guida di una bicicletta. È applicabile
l'art. 2051 cod. civ. La responsabilità presunta in capo
al custode può essere superata dalla prova del fortuito,
comprensivo del fatto del terzo (o del danneggiato) che,
quale causa esclusiva, può interrompere il nesso causale
tra la cosa e il danno. Risulta provato che la zona era:
delimitata da transenne, che lasciavano dei varchi,
connaturali alla funzione e natura delle transenne;
segnalata da cartelli, che vietavano l'accesso a tutti i
veicoli, nessuno escluso; che i vigili urbani in
servizio svolgevano ordinari compiti di sorveglianza, né
è ipotizzabile la loro presenza fissa ai varchi; non
risulta provata la presenza di altri ciclisti nella
zona. Pertanto, il Comune aveva predisposto sistemi
idonei a segnalare che nella zona il traffico veicolare
era interdetto e a scoraggiare eventuali trasgressori.
La condotta del ciclista, non evitabile con l'adozione
di normali accorgimenti interdittivi posti in essere da
custode, si è inserita nel dinamismo causale del danno
spezzando il nesso tra la cosa in custodia e il danno,
esonerando il Comune dalla responsabilità che grava
presuntivamente sul custode.
3.2. La sentenza impugnata, che
correttamente inquadra la fattispecie nell'ambito
dell'art. 2051 cod. civ., con conseguente presunzione di
responsabilità del custode, salvo la prova del fortuito,
che può essere anche costituito dal comportamento del
terzo (anche danneggiato), incorre, però, in una
contraddizione nella motivazione su un fatto controverso
e determinante ai fini dell'esito del giudizio, Si
tratta dell'esistenza delle transenne, che, insieme ai
cartelli interdittivi del traffico - la cui presenza non
è messa in discussione - costituiscono i normali
accorgimenti del custode finalizzati al rispetto della
zona pedonale.
Il giudice assume come pacifico, e
ne da atto in più punti della motivazione, che al
momento del sinistro la zona pedonale fosse delimitata
da transenne e si sofferma piuttosto sui varchi lasciati
dagli stessi, connaturali alla funzione. Su questa base
ritiene idonee le misure poste in essere dal custode,
unitamente ai cartelli interdittivi e alla presenza,
almeno come ordinaria vigilanza dei vigili urbani.
Conseguentemente, ritiene non
evitabile l'evento, causato solo dalla condotta
imprudente del ciclista terzo. Omette di considerare,
invece, e, comunque, di motivare, in ordine alla
testimonianza del Comandante dei Vigili Urbani, il quale
ha dichiarato, come evidenziato nel ricorso, di non
essere certo che quelle sera “tutte le strade di accesso
alla zona pedonale erano transennate”.
Per tale profilo il ricorso va
accolto, con conseguente rinvio al giudice del merito.
3.3. Gli altri profili di censura,
contenuti sempre nei motivi da secondo a quarto, sono,
in parte inammissibili, in parte infondati.
Premesso che i motivi non
contengono una vera e propria violazione di legge
rispetto all'art. 2051 cod. civ., gli stessi sono
inammissibili nella parte in cui si sostanziano nella
censura delle valutazioni effettuate dal giudice del
merito, attraverso la prospettazione di una valutazione
diversa e favorevole alla ricorrente.
Per sostenere l'assenza di un
controllo efficace da parte dei vigili nell'area
pedonale si deduce che nelle testimonianze sarebbe
emersa la contemporanea presenza di altri ciclisti. Ma,
tale circostanza è stata espressamente ritenuta non
provata dal giudice all'esito della valutazione delle
prove, svolta con argomentazioni coerenti e sufficienti.
Quanto alla mancata escussione dei vigili di turno quel
giorno, la censura non può esaminarsi per difetto di
autosufficienza, non emergendo dal ricorso chi ne aveva
chiesto l'escussione e se il giudice aveva valutato o
meno la richiesta.
Infine, è del tutto irrilevante -
stante il principio di acquisizione della prova -
l'utilizzo di risultanze probatorie comunque acquisite,
anziché in esito ad articolazioni probatorie del Comune.
Con conseguente infondatezza del profilo di censura
prospettato in riferimento agli artt. 112 e 115 cod.
proc. civ..
3.4. In conclusione, rigettato il
primo motivo, accolto il quarto motivo limitatamente
alla contraddizione suddetta in riferimento alla
presenza delle transenne, rigettati per il resto il
secondo, terzo e quarto motivo, cassa in relazione la
sentenza impugnata e rimette la causa al giudice del
merito, anche per le spese del processo di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Accoglie il quarto motivo del
ricorso, per il profilo di cui in motivazione; rigetta
per il resto i motivi di ricorso. Cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche
per le spese del presente giudizio, alla Corte di
appello di Bari, in diversa composizione. |