Dopo la recente pronuncia del 12
luglio 2011 che ha interessato eBay, la Corte di
Giustizia torna sul tema dell'utilizzo di marchio altrui
nella promozione via Internet, nel caso di specie
mediante il servizio di posizionamento «AdWords».
In particolare, la domanda di
pronuncia pregiudiziale è stata svolta nell’ambito di
una controversia che oppone Interflora Inc. e Interflora
British Unit a Marks & Spencer plc (in prosieguo: la «M
& S») riguardo alla pubblicazione su Internet di
inserzioni pubblicitarie della M & S a partire da parole
chiave corrispondenti al marchio INTERFLORA.
La Corte ha dichiarato che
1) Gli artt. 5, n. 1, lett. a),
della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988,
89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d’impresa, e 9, n. 1,
lett. a), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre
1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere
interpretati nel senso che il titolare di un marchio ha
il diritto di vietare ad un concorrente di fare
pubblicità – a partire da una parola chiave identica a
detto marchio che tale concorrente, senza il consenso
del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un
servizio di posizionamento su Internet – a prodotti o
servizi identici a quelli per i quali tale marchio è
stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a
violare una delle funzioni del marchio. Siffatto uso:
– viola la funzione di indicazione
d’origine del marchio allorché la pubblicità che compare
a partire dalla suddetta parola chiave non consente o
consente solo difficilmente all’utente di Internet
normalmente informato e ragionevolmente attento di
sapere se i prodotti o i servizi menzionati
nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da
un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo
oppure, al contrario, da un terzo;
– non viola, nell’ambito di un
servizio di posizionamento avente le caratteristiche di
quello di cui trattasi nella causa principale, la
funzione di pubblicità del marchio, e
– viola la funzione di investimento
del marchio ove intralci in modo sostanziale l’utilizzo,
da parte del titolare in questione, del proprio marchio
per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad
attirare i consumatori e a renderli fedeli.
2) Gli artt. 5, n. 2, della
direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n.
40/94 devono essere interpretati nel senso che il
titolare di un marchio che gode di notorietà ha il
diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità
a partire da una parola chiave corrispondente a tale
marchio che il suddetto concorrente, senza il consenso
del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un
servizio di posizionamento su Internet, qualora detto
concorrente tragga così indebitamente vantaggio dal
carattere distintivo o dalla notorietà del marchio
(parassitismo) oppure qualora tale pubblicità arrechi
pregiudizio a detto carattere distintivo (diluizione) o
a detta notorietà (corrosione).
Un annuncio pubblicitario a partire
da una parola chiave siffatta arreca pregiudizio al
carattere distintivo del marchio che gode di notorietà
(diluizione), in particolare, ove contribuisca a
trasformare la natura di tale marchio rendendolo un
termine generico.
Per contro, il titolare di un
marchio che gode di notorietà non può vietare, in
particolare, annunci pubblicitari fatti comparire dai
suoi concorrenti a partire da parole chiave che
corrispondono a detto marchio e propongono, senza
offrire una semplice imitazione dei prodotti e dei
servizi del titolare di tale marchio, senza provocare
una diluizione o una corrosione e senza peraltro
arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio che
gode di notorietà, un’alternativa rispetto ai prodotti o
ai servizi del titolare di detto marchio.
Meritano particolare attenzione
alcuni passaggi della pronuncia:
DILUIZIONE - "qualora l’uso, come
parola chiave, di un segno corrispondente ad un marchio
che gode di notorietà faccia comparire un annuncio
pubblicitario che consente ad un utente di Internet
normalmente informato e ragionevolmente attento di
comprendere che i prodotti o i servizi offerti non
provengono dal titolare del marchio che gode di
notorietà, ma al contrario da un concorrente di
quest’ultimo, si dovrà concludere che la capacità
distintiva di tale marchio non è stata ridotta da detto
uso, essendo quest’ultimo semplicemente servito ad
attirare l’attenzione dell’utente di Internet
sull’esistenza di un prodotto o di un servizio
alternativo rispetto a quello del titolare del marchio
in questione. Ne consegue che, laddove il giudice del
rinvio dovesse concludere che l’annuncio pubblicitario
mostrato a seguito dell’uso, da parte della M & S, del
segno identico al marchio INTERFLORA abbia consentito
all’utente di Internet normalmente informato e
ragionevolmente attento di comprendere che il servizio
pubblicizzato dalla M & S è indipendente rispetto a
quello della Interflora, quest’ultima impresa non può
utilmente sostenere, fondandosi sulle norme enunciate
agli artt. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1,
lett. c), del regolamento n. 40/94, che siffatto uso
abbia contribuito alla trasformazione della natura di
tale marchio in termine generico. Laddove, per contro,
il giudice del rinvio dovesse concludere che l’annuncio
pubblicitario lanciato da detto uso del segno identico
al marchio INTERFLORA non abbia consentito all’utente di
Internet normalmente informato e ragionevolmente attento
di capire che il servizio pubblicizzato dalla M & S è
indipendente rispetto a quello della Interflora, e
quest’ultima dovesse insistere affinché il giudice del
rinvio, oltre a ritenere che sia stato arrecato
pregiudizio alla funzione di indicazione d’origine di
detto marchio, constati che la M & S ha del pari
arrecato pregiudizio al carattere distintivo del marchio
in questione contribuendo a trasformarne la natura in
termine generico, sarebbe compito di tale giudice
valutare, in base a tutti gli elementi che gli sono
stati forniti, se la scelta, quali parole chiave su
Internet, di segni corrispondenti al marchio INTERFLORA
abbia avuto un impatto tale sul mercato dei servizi di
consegna di fiori che il termine «Interflora» sia
passato a designare, nella mente del consumatore,
qualsiasi servizio di consegna di fiori".
PARASSITISMO - "È peraltro
incontestabile che, laddove gli utenti di Internet
acquistino, dopo aver preso conoscenza dell’annuncio di
detto concorrente, i prodotti o i servizi offerti da
quest’ultimo invece di quelli del titolare del marchio
sui quali verteva inizialmente la loro ricerca, detto
concorrente trae un vantaggio concreto dal carattere
distintivo e dalla notorietà del marchio in questione. È
per di più pacifico che, nell’ambito di un servizio di
posizionamento, l’inserzionista che sceglie segni
identici o simili a marchi altrui non paga, di regola,
alcun compenso per tale uso ai titolari di detti marchi.
Risulta dalle suddette caratteristiche della scelta,
quali parole chiave su Internet, di segni corrispondenti
a marchi altrui che godono di notorietà che una scelta
siffatta, se è «immotivat[a]» ai sensi degli artt. 5, n.
2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94, può essere considerata come un uso
attraverso il quale l’inserzionista si inserisce nella
scia di un marchio che gode di notorietà, al fine di
beneficiare del suo potere attrattivo, della sua
reputazione e del suo prestigio, nonché al fine di
sfruttare, senza qualsivoglia compensazione economica e
senza dover operare sforzi propri in proposito, lo
sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio
per creare e mantenere l’immagine di detto marchio. Ove
ciò avvenga, il vantaggio così ricavato dai terzi va
considerato indebito (v., in proposito, sentenza 18
giugno 2009, L’Oréal e a., cit., punto 49). Come la
Corte ha già precisato, una conclusione siffatta può
imporsi in particolare nei casi in cui inserzionisti su
Internet offrano in vendita, scegliendo parole chiave
corrispondenti a marchi che godono di notorietà,
prodotti che sono imitazioni dei prodotti del titolare
di detti marchi (sentenza Google France e Google, cit.,
punti 102 e 103)".
(Corte di Giustizia UE, Sentenza 22
settembre 2011: Marchi – Pubblicità su Internet a
partire da parole chiave (“keyword advertising”) –
Selezione, da parte dell’inserzionista, di una parola
chiave corrispondente ad un marchio che gode di
notorietà di un concorrente – Direttiva 89/104/CEE –
Art. 5, nn. 1, lett. a), e 2 – Regolamento (CE) n. 40/94
– Art. 9, n. 1, lett. a) e c) – Condizione della
violazione di una delle funzioni del marchio –
Pregiudizio arrecato al carattere distintivo di un
marchio che gode di notorietà (“diluizione”) – Profitto
indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla
notorietà di tale marchio (“parassitismo”)
Corte di
Giustizia CE
Corte di Giustizia UE: parassitismo, diluizione e
corrosione del marchio notorio mediante indicizzazione
sui motori di ricerca
Marchi – Pubblicità su Internet a partire da parole
chiave (“keyword advertising”) – Selezione, da parte
dell’inserzionista, di una parola chiave corrispondente
ad un marchio che gode di notorietà di un concorrente –
Direttiva 89/104/CEE – Art. 5, nn. 1, lett. a), e 2 –
Regolamento (CE) n. 40/94 – Art. 9, n. 1, lett. a) e c)
– Condizione della violazione di una delle funzioni del
marchio – Pregiudizio arrecato al carattere distintivo
di un marchio che gode di notorietà (“diluizione”) –
Profitto indebitamente tratto dal carattere distintivo o
dalla notorietà di tale marchio (“parassitismo”)
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
Nel procedimento C‑323/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla
High Court of Justice (England & Wales), Chancery
Division (Regno Unito), con decisione 16 luglio 2009,
pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2009, nella causa
Interflora Inc.,
Interflora British Unit
contro
Marks & Spencer plc,
Flowers Direct Online Ltd,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai
sigg. J.-J. Kasel, M. Ilešič (relatore), E. Levits e M.
Safjan, giudici,
avvocato generale: sig. N. Jääskinen
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore
principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 13 ottobre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Interflora Inc. e la Interflora British Unit,
dal sig. R. Wyand, QC, e dal sig. S. Malynicz, barrister;
– per la Marks & Spencer plc, dal sig. G. Hobbs, QC,
dalla sig.ra E. Himsworth, barrister, nonché dal sig. T.
Savvides e dalla sig.ra E. Devlin, solicitors;
– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes,
in qualità di agente;
– per la Commissione europea, dal sig. H. Krämer, in
qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 24 marzo 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte
sull’interpretazione dell’art. 5 della prima direttiva
del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in
materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1),
nonché dell’art. 9 del regolamento (CE) del Consiglio 20
dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU
1994, L 11, pag. 1).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una
controversia che opponeva le società Interflora Inc. e
Interflora British Unit alle società Marks & Spencer plc
(in prosieguo: la «M & S») e Flowers Direct Online Ltd.
A seguito di una composizione amichevole con la Flowers
Direct Online Ltd, la causa principale oppone ora la
Interflora Inc. e la Interflora British Unit alla M & S
riguardo alla pubblicazione su Internet di inserzioni
pubblicitarie della M & S a partire da parole chiave
corrispondenti al marchio INTERFLORA.
Contesto normativo
3 La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94 sono
stati abrogati, rispettivamente, dalla direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008,
2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299,
pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008, e dal
regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207,
sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1), entrato in
vigore il 13 aprile 2009. Nondimeno, in considerazione
dell’epoca in cui sono avvenuti taluni fatti, si può
considerare che la controversia di cui alla causa
principale sia regolata dalla direttiva 89/104 e dal
regolamento n. 40/94.
4 Pur se la Corte fornirà quindi le interpretazioni
della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94
richieste dal giudice del rinvio, tuttavia, per
l’ipotesi in cui tale giudice si fondasse, nel dirimere
la controversia nella causa principale, sulle norme
della direttiva 2008/95 e del regolamento n. 207/2009,
occorre chiarire che le interpretazioni fornite sono
trasponibili ai nuovi testi legislativi. In effetti,
all’atto dell’adozione della nuova direttiva e del nuovo
regolamento le disposizioni pertinenti per la causa
principale non hanno subìto alcuna modifica sostanziale,
quanto alla loro formulazione, al loro contesto e alla
loro finalità.
5 Il decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 era
del seguente tenore:
«considerando che la tutela che è accordata dal marchio
di impresa registrato e che mira in particolare a
garantire la funzione d’origine del marchio di impresa,
è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa
e il segno e tra i prodotti o servizi; che la tutela è
accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di
impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; che è
indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in
relazione al rischio di confusione; che il rischio di
confusione (...) costituisce la condizione specifica
della tutela».
6 Il settimo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94 era
formulato in termini pressoché identici.
7 L’art. 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti
conferiti dal marchio di impresa», così disponeva:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al
titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto
di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare
nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti
o servizi identici a quelli per cui esso è stato
registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della
somiglianza di detto segno col marchio di impresa e
dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi
contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno,
possa dare adito a un rischio di confusione per il
pubblico, comportante anche un rischio di associazione
tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il
titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo
proprio consenso, di usare nel commercio un segno
identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o
servizi che non sono simili a quelli per cui esso è
stato registrato, se il marchio di impresa gode di
notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del
segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal
carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di
impresa o reca pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni
menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro
condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o
di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire
servizi contraddistinti dal segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal
segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza
commerciale e nella pubblicità.
(…)».
8 La formulazione dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del
regolamento n. 40/94 era sostanzialmente corrispondente
a quella dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104. Il
n. 2 di detto art. 9 corrispondeva al n. 3 dell’art. 5
di detta direttiva. Quanto all’art. 9, n. 1, lett. c),
del regolamento n. 40/94, esso prevedeva quanto segue:
«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un
diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare
ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
(...)
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per
prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i
quali questo è stato registrato, se il marchio
comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso
del segno senza giusto motivo consente di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio
agli stessi».
Causa principale e questioni pregiudiziali
Il servizio di posizionamento «AdWords»
9 Quando un utente di Internet effettua una ricerca a
partire da una o più parole sul motore di ricerca
Google, quest’ultimo mostra i siti che meglio paiono
corrispondere a tali parole in ordine di pertinenza
decrescente. Si tratta dei risultati cosiddetti
«naturali» della ricerca.
10 Inoltre, grazie al servizio di posizionamento a
pagamento «AdWords» di Google, qualsiasi operatore
economico può, mediante la scelta di una o più parole
chiave, far apparire un link promozionale che rinvia al
proprio sito, qualora tale parola o tali parole
coincidano con quella o quelle contenute nella richiesta
rivolta da un utente di Internet al motore di ricerca.
Tale link promozionale è visualizzato nella sezione
«link sponsorizzati», che compare vuoi nella parte
destra dello schermo, a destra dei risultati naturali,
vuoi nella parte superiore dello schermo, al di sopra
dei detti risultati.
11 Il predetto link promozionale è accompagnato da un
breve messaggio commerciale. Congiuntamente, il link e
il messaggio compongono l’annuncio visualizzato nel
suddetto spazio dedicato.
12 L’inserzionista è tenuto a pagare un corrispettivo
per il servizio di posizionamento per ogni selezione
(«click») del link pubblicitario. Tale corrispettivo è
calcolato in funzione, in particolare, del «prezzo
massimo per click» che, al momento della conclusione del
contratto di servizio di posizionamento con la Google,
l’inserzionista ha convenuto di pagare, nonché del
numero di click su tale link da parte degli utenti di
Internet.
13 Più inserzionisti possono riservarsi la stessa parola
chiave. L’ordine in cui vengono visualizzati i loro link
promozionali sarà in tal caso determinato, in
particolare, in base al «prezzo massimo per click», a
quante volte i detti link sono stati selezionati in
precedenza, nonché alla qualità dell’annuncio come
valutata dalla Google. In qualunque momento
l’inserzionista può migliorare la sua posizione
nell’ordine di visualizzazione fissando un «prezzo
massimo per click» più alto oppure provando a migliorare
la qualità del suo annuncio.
L’utilizzo di parole chiave nella causa principale
14 La Interflora Inc., società soggetta al diritto dello
Stato del Michigan (Stati Uniti), gestisce una rete di
consegna di fiori in tutto il mondo. La Interflora
British Unit è una licenziataria della Interflora Inc.
15 La rete della Interflora Inc. e della Interflora
British Unit (in prosieguo, congiuntamente:
l’«Interflora») è formata da fiorai, con i quali i
clienti possono effettuare ordinazioni di persona o per
telefono. La Interflora dispone anche di siti web che
permettono di effettuare ordinazioni via Internet, che
vengono evase dal membro della rete più vicino al luogo
in cui dovranno essere consegnati i fiori. Il principale
sito web è www.interflora.com. Tale sito è replicato in
versioni nazionali, quale il sito www.interflora.co.uk.
16 INTERFLORA è un marchio nazionale nel Regno Unito ed
è anche un marchio comunitario. È assodato che, con
riferimento al servizio di consegna di fiori, tali
marchi godono di grande notorietà nel Regno Unito e in
altri Stati membri dell’Unione europea.
17 La M & S, società di diritto inglese, è uno dei
maggiori rivenditori al dettaglio del Regno Unito. Tale
società fornisce un’ampia gamma di prodotti e servizi
attraverso la propria rete di negozi e tramite il suo
sito web www.marksandspencer.com. Uno dei servizi
offerti consiste nella vendita e nella consegna di fiori
a domicilio. Tale attività commerciale si trova in
concorrenza con quella dell’Interflora. È infatti
pacifico tra le parti che la M & S non fa parte della
rete Interflora.
18 Nell’ambito del servizio di posizionamento «AdWords»,
la M & S si è riservata la parola chiave «Interflora»
nonché alcune varianti formate dalla stessa parola
chiave con «errori marginali» e da espressioni
contenenti il termine «Interflora» (come «Interflora
Flowers», «Interflora Delivery», «Interflora.com»,
«Interflora co uk» etc.), come parole chiave. Di
conseguenza, allorché un utente Internet inseriva la
parola «Interflora» o una delle suddette varianti o
espressioni come termine di ricerca nel motore di
ricerca di Google, sotto il titolo «link sponsorizzato»
appariva un annuncio pubblicitario della M &S.
19 Tale annuncio pubblicitario si presentava in
particolare nel modo seguente:
«M & S Flowers Online
www.marksandspencer.com/flowers
Magnifici fiori e piante fresche
Per una consegna il giorno successivo, ordinare entro le
ore 17»
(«M & S Flowers Online
www.marksandspencer.com/flowers
Gorgeous fresh flowers & plants
Order by 5 pm for next day delivery»).
20 Dopo aver constatato tali fatti, l’Interflora ha
proposto una domanda per la violazione dei propri
diritti di marchio contro la M & S dinanzi alla High
Court of Justice (England & Wales), Chancery Division,
la quale ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte dieci quesiti pregiudiziali. A
seguito di una richiesta di chiarimenti da parte della
Corte, il giudice del rinvio, con decisione 29 aprile
2010, pervenuta in cancelleria il 9 giugno 2010, ha
ritirato le questioni pregiudiziali nn. 5-10, mantenendo
ferme solo le seguenti quattro questioni:
«1) Se, qualora un operatore commerciale, che svolge
un’attività in concorrenza con il titolare di un marchio
registrato e che fornisce beni e servizi identici a
quelli designati dal detto marchio per mezzo del proprio
sito Internet:
– scelga un segno identico (…) al marchio in questione
quale parola chiave per un servizio di link
sponsorizzati offerto dal gestore di un motore di
ricerca,
– designi il segno come una parola chiave,
– associ il segno con l’URL del proprio sito Internet,
– stabilisca il costo che dovrà sostenere per ogni click
in base a tale parola chiave,
– programmi i tempi di visualizzazione del link
sponsorizzato, e
– usi il segno in questione nella corrispondenza
commerciale relativa alla fatturazione ed al pagamento
delle tariffe e/o all’amministrazione del proprio
account con il gestore del motore di ricerca, sebbene il
link sponsorizzato non includa direttamente il segno o
un altro segno simile,
tutti o alcuni di questi atti configurino un “uso” del
segno da parte del concorrente ai sensi dell’art. 5, n.
1, lett. a), della [direttiva 89/104] nonché dell’art.
9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94].
2) Se in tali casi si tratti di un uso “per” prodotti o
servizi identici a quelli per i quali è stato registrato
il marchio d’impresa ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett.
a), della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett.
a), del [regolamento n. 40/94].
3) Se tale uso rientri nell’ambito di applicazione di
una o di entrambe le seguenti disposizioni:
a) art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] e
art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94], e
b) art. 5, n. 2, della [direttiva 89/104] ed art. 9, n.
1, lett. c), del [regolamento n. 40/94].
4) Se la questione n. 3 possa ricevere una soluzione
diversa qualora:
a) la presentazione del link sponsorizzato del
concorrente in risposta ad una ricerca effettuata
dall’utente per mezzo del segno in questione sia idonea
ad indurre una parte del pubblico a credere che il
concorrente sia un membro della rete commerciale gestita
dal titolare del marchio, contrariamente al vero, o
b) il gestore del motore di ricerca non consenta ai
titolari del marchio nello Stato membro (…) interessato
di bloccare la selezione, da parte dei terzi, di segni
identici ai loro marchi quali parole chiave».
Sull’istanza di riapertura della trattazione orale
21 Con lettera in data 1° aprile 2011, la M & S ha
chiesto la riapertura della trattazione orale,
sostenendo che le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate il 24 marzo 2011, sono fondate su premesse
errate e non tengono conto dei principi che governano la
ripartizione delle competenze tra la Corte e il giudice
del rinvio. A proposito di quest’ultimo aspetto, la M &
S osserva che l’avvocato generale, invece di limitarsi
ad un’analisi delle norme pertinenti del diritto
dell’Unione europea, ha indicato il risultato al quale,
a suo parere, dovrebbe condurre l’interpretazione di
dette norme nella causa principale.
22 Secondo giurisprudenza costante, la Corte può
ordinare la riapertura della trattazione orale, ai sensi
dell’art. 61 del proprio regolamento di procedura,
qualora ritenga di non essere sufficientemente edotta
oppure qualora la causa debba essere decisa sulla base
di un argomento che non sia stato oggetto di discussione
tra le parti (v., in particolare, sentenze 26 giugno
2008, causa C‑284/06, Burda, Racc. pag. I‑4571, punto
37, e 17 marzo 2011, causa C‑221/09, AJD Tuna, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).
23 La Corte ritiene di avere a disposizione, nella
fattispecie, tutti gli elementi necessari per risolvere
le questioni proposte dal giudice del rinvio e che la
causa non debba essere esaminata in base ad un argomento
che non è stato discusso dinanzi ad essa.
24 Per quanto riguarda le critiche vertenti sulle
conclusioni dell’avvocato generale, occorre ricordare
che, in forza dell’art. 252, secondo comma, TFUE,
l’avvocato generale ha il compito di presentare
pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena
indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che,
conformemente allo Statuto della Corte di giustizia
dell’Unione europea, richiedono il suo intervento.
Nell’esercizio di tale funzione egli può certamente, se
del caso, analizzare una domanda di pronuncia
pregiudiziale ricollocandola in un contesto più ampio
rispetto a quello strettamente definito dal giudice del
rinvio o dalle parti della causa principale. Peraltro,
il collegio giudicante non è vincolato né dalle
conclusioni dell’avvocato generale né dalla motivazione
in base alla quale egli perviene a tali conclusioni
(sentenze 11 novembre 2010, causa C‑229/09, Hogan
Lovells International, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 26, e AJD Tuna, cit., punto 45).
25 Ciò vale anche per il giudice del rinvio, il quale,
nella sua applicazione della pronuncia pregiudiziale
della Corte, non è tenuto a seguire l’iter logico
esposto dall’avvocato generale.
26 Non si può pertanto accogliere l’istanza della M & S
con cui si chiede la riapertura della trattazione orale.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulle questioni relative agli artt. 5, n. 1, lett. a),
della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del
regolamento n. 40/94
27 Con le questioni prima e seconda nonché con la
questione terza, lett. a), il giudice del rinvio chiede,
in sostanza, se l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e
l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94
debbano essere interpretati nel senso che il titolare di
un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di
far apparire – a partire da una parola chiave identica a
tale marchio, che il concorrente ha scelto senza il
consenso del detto titolare nell’ambito di un servizio
di posizionamento su Internet – un annuncio
pubblicitario per prodotti o servizi identici a quelli
per i quali il marchio suddetto è registrato.
28 Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede
se siano pertinenti, in tale contesto, la circostanza
che detto annuncio pubblicitario può indurre una parte
del pubblico interessato a ritenere erroneamente che
l’inserzionista faccia parte della rete commerciale del
titolare del marchio e la circostanza che il prestatore
del servizio di posizionamento non consenta ai titolari
di marchi di opporsi alla selezione, quali parole
chiave, di segni identici a questi ultimi.
29 È opportuno esaminare congiuntamente tali questioni.
30 Come la Corte ha già dichiarato, il segno scelto
dall’inserzionista come parola chiave nell’ambito di un
servizio di posizionamento su Internet è lo strumento
che egli utilizza per rendere possibile la
visualizzazione del proprio annuncio, ed è dunque
oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell’art. 5
della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n.
40/94 (v., in particolare, sentenze 23 marzo 2010, cause
riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google,
Racc. pag. I‑2417, punti 49-52, nonché 25 marzo 2010
causa C‑278/08, BergSpechte, Racc pag. I‑2517, punto
18).
31 Si tratta inoltre di un uso per prodotti o servizi
dell’inserzionista, anche laddove il segno scelto quale
parola chiave non compaia nell’annuncio stesso (sentenza
BergSpechte, cit., punto 19, e ordinanza 26 marzo 2010,
causa C‑91/09, Eis.de, punto 18).
32 Nondimeno, il titolare del marchio non può opporsi
all’uso quale parola chiave di un segno identico al suo
marchio qualora non ricorrano tutte le condizioni
previste a tal fine dagli artt. 5 della direttiva 89/104
e 9 del regolamento n. 40/94, nonché dalla
giurisprudenza pertinente.
33 La causa principale rientra nell’ipotesi prevista al
n. 1, lett. a), dei suddetti artt. 5 e 9, ossia
l’ipotesi della cosiddetta «doppia identità», in cui un
terzo fa uso di un segno identico ad un marchio per
prodotti e servizi identici a quelli per i quali il
marchio è stato registrato. È infatti pacifico che la M
& S ha utilizzato, per i propri servizi di consegna di
fiori, il segno «Interflora», che è sostanzialmente
identico al marchio denominativo INTERFLORA, registrato
per servizi di consegna di fiori.
34 In tale ipotesi, il titolare del marchio ha il
diritto di vietare detto uso solo se quest’ultimo possa
compromettere una delle funzioni del marchio (sentenze
Google France e Google, cit., punto 79, nonché
BergSpechte, cit., punto 21; v., del pari, sentenze 18
giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a., Racc. pag.
I‑5185, punto 60, nonché 2 luglio 2010, causa C‑558/08,
Portakabin, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto
29).
35 La Interflora ritiene che, conformemente alla
giurisprudenza già consolidata, tale condizione debba
essere intesa nel senso che detto n. 1, lett. a), tutela
il titolare del marchio contro qualunque violazione di
qualsiasi funzione del marchio. Secondo la M & S,
tuttavia, tale interpretazione non emerge nettamente
dalla giurisprudenza e rischia di creare uno squilibrio
tra l’interesse a tutelare la proprietà intellettuale e
quello alla libera concorrenza. La Commissione europea,
dal canto suo, ritiene che il n. 1, lett. a), sia
dell’art. 5 della direttiva 89/104 che dell’art. 9 del
regolamento n. 40/94 tuteli il titolare del marchio solo
contro le violazioni della funzione di indicazione
d’origine del marchio stesso. Le altre funzioni del
marchio potrebbero, tutt’al più, svolgere un ruolo
nell’interpretazione degli artt. 5, n. 2, della
direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n.
40/94, i quali riguardano i diritti conferiti da marchi
che godono di notorietà.
36 Occorre rilevare che si evince dalla formulazione
dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e dal decimo
‘considerando’ di quest’ultima che il diritto degli
Stati membri è stato armonizzato nel senso che il
diritto esclusivo conferito da un marchio offre al
titolare di quest’ultimo una protezione «assoluta»
contro l’uso fatto da terzi di segni identici a tale
marchio per prodotti o servizi identici, mentre, laddove
non sussista questa duplice identità, il solo fatto che
esista un rischio di confusione consente al titolare di
far utilmente valere il proprio diritto esclusivo. Tale
distinzione tra la tutela offerta dal n. 1, lett. a), di
detto articolo e quella enunciata nella disposizione di
cui alla lett. b) del medesimo n. 1 è stata riproposta,
per quanto riguarda il marchio comunitario, dal settimo
‘considerando’ e dall’art. 9, n. 1, del regolamento n.
40/94.
37 Pur se il legislatore dell’Unione ha qualificato come
«assoluta» la tutela contro l’uso non consentito di
segni identici ad un marchio per prodotti o servizi
identici a quelli per i quali tale marchio è stato
registrato, la Corte ha contestualizzato tale
qualificazione rilevando che, per quanto importante essa
possa essere, la protezione offerta dall’art. 5, n. 1,
lett. a), della direttiva mira solo a consentire al
titolare del marchio d’impresa di tutelare i propri
interessi specifici in quanto titolare di quest’ultimo,
ossia garantire che il marchio possa adempiere le sue
proprie funzioni. La Corte ha da ciò ricavato che
l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio
deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da
parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le
funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione
essenziale di garantire ai consumatori la provenienza
del prodotto (sentenza 12 novembre 2002, causa C‑206/01,
Arsenal Football Club, Racc. pag. I‑10273, punto 51).
38 Siffatta interpretazione dell’art. 5, n. 1, lett. a),
della direttiva 89/104 è stata più volte ribadita ed
applicata all’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n.
40/94 [v., in particolare, per quanto riguarda la
direttiva 89/104, sentenze 11 settembre 2007, causa
C‑17/06, Céline, Racc. pag. I‑7041, punto 16, e 12
giugno 2008, causa C‑533/06, O2 Holdings e O2 (UK),
Racc. pag. I‑4231, punto 57, nonché, con riferimento al
regolamento n. 40/94, ordinanza 19 febbraio 2009, causa
C‑62/08, UDV North America, Racc. pag. I‑1279, punto 42,
e sentenza Google France e Google, cit., punto 75]. Essa
è stata inoltre precisata nel senso che tali
disposizioni consentono al titolare del marchio di
invocare il proprio diritto esclusivo in caso di
violazione o di rischio di violazione di una delle
funzioni del marchio, che si tratti della funzione
essenziale di indicazione d’origine del prodotto o del
servizio contrassegnato dal marchio oppure di una delle
altre funzioni di quest’ultimo, quali quelle consistenti
nel garantire la qualità di detto prodotto o servizio,
oppure di comunicazione, investimento o pubblicità
(sentenze già citate L’Oréal e a., punti 63 e 65, nonché
Google France e Google, punti 77 e 79).
39 Per quanto riguarda le funzioni del marchio diverse
da quelle dell’indicazione di origine, va sottolineato
che tanto il legislatore dell’Unione, utilizzando
l’espressione «in particolare» nel decimo ‘considerando’
della direttiva 89/104 e nel settimo ‘considerando’ del
regolamento n. 40/94, quanto la Corte, utilizzando
l’espressione «funzioni del marchio» a partire dalla
citata sentenza Arsenal Football Club, hanno mostrato
che la funzione di indicazione d’origine del marchio non
è la sola funzione di quest’ultimo degna di protezione
contro violazioni da parte di terzi. Essi hanno così
tenuto conto della circostanza che un marchio
rappresenta spesso, oltre ad un’indicazione di
provenienza dei prodotti o dei servizi, uno strumento di
strategia commerciale utilizzato, in particolare, a fini
pubblicitari o per acquisire una reputazione al fine di
rendere fedele il consumatore.
40 È vero che si presuppone che un marchio soddisfi
sempre la propria funzione di indicazione d’origine,
mentre esso garantisce le proprie altre funzioni solo
nei limiti in cui il suo titolare lo sfrutti in tal
senso, in particolare a fini di pubblicità o di
investimento. Nondimeno tale differenza tra la funzione
essenziale del marchio e le altre funzioni di
quest’ultimo non può in alcun modo giustificare il fatto
che, allorché un marchio soddisfa una o più di tali
altre funzioni, violazioni di quest’ultime siano escluse
dall’ambito di applicazione degli artt. 5, n. 1, lett.
a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del
regolamento n. 40/94. Analogamente, non si può
considerare che solo i marchi che godono di notorietà
possano avere funzioni diverse da quelle
dell’indicazione d’origine.
41 È alla luce delle predette considerazioni, nonché
degli elementi più precisi forniti qui di seguito, che
al giudice del rinvio incomberà applicare la condizione
di violazione di una delle funzioni del marchio.
42 Relativamente all’uso quali parole chiave,
nell’ambito di un servizio di posizionamento su
Internet, di segni identici a marchi per prodotti o
servizi identici a quelli per i quali tali marchi sono
stati registrati, la Corte ha già dichiarato che, oltre
alla funzione dell’indicazione d’origine, può risultare
pertinente quella di pubblicità (v. sentenza Google
France e Google, cit., punto 81). Detta considerazione è
valida del pari nella fattispecie, avendo, inoltre, la
Interflora lamentato anche una violazione alla funzione
di investimento del proprio marchio.
43 Occorre, pertanto, fornire al giudice del rinvio
elementi interpretativi relativamente alla funzione di
indicazione dell’origine, alla funzione di pubblicità e
alla funzione di investimento del marchio.
Violazione della funzione di indicazione di origine
44 La questione se si integri una violazione di funzione
di indicazione d’origine di un marchio allorché, a
partire da una parola chiave identica a detto marchio, è
mostrato agli utenti di Internet un annuncio
pubblicitario di un terzo, quale un concorrente del
titolare del marchio, dipende in particolare dal modo in
cui tale annuncio è presentato. Sussiste violazione
della funzione di cui trattasi quando l’annuncio non
consente o consente soltanto difficilmente all’utente di
Internet normalmente informato e ragionevolmente attento
di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si
riferisce provengano dal titolare del marchio o da
un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo
oppure, al contrario, da un terzo (sentenze Google
France e Google, cit., punti 83 e 84, nonché Portakabin,
cit., punto 34). Infatti, in una situazione del genere –
caratterizzata inoltre dal fatto che l’annuncio in
questione appare subito dopo l’inserimento del marchio
quale termine di ricerca ed è mostrato in un momento in
cui il marchio, in quanto termine da ricercare, è
parimenti indicato sullo schermo – l’utente di Internet
può confondersi sull’origine dei prodotti o dei servizi
in questione (sentenza Google France e Google, cit.,
punto 85).
45 Qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di
un collegamento economico tra tale terzo e il titolare
del marchio, si dovrà concludere che sussiste una
violazione della funzione di indicazione d’origine di
detto marchio. Qualora l’annuncio, pur non adombrando
l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente
vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in
questione che un utente di Internet normalmente
informato e ragionevolmente attento non sia in grado di
sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio
commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo
rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia
economicamente collegato a quest’ultimo, si deve
parimenti concludere che sussiste violazione della
funzione del marchio (sentenze Google France e Google,
cit., punti 89 e 90, nonché Portakabin, cit., punto 35).
46 Spetta al giudice del rinvio accertare se i fatti
della controversia sottopostagli siano caratterizzati da
una violazione, o da un rischio di violazione, della
funzione di indicazione d’origine del marchio quale
descritta ai punti precedenti (v., per analogia,
sentenza Google France e Google, cit., punto 88).
47 Ai fini della valutazione della circostanza
menzionata nella quarta questione, lett. b), non ha
rilevanza il fatto che il prestatore del servizio di
posizionamento non abbia consentito al titolare del
marchio di opporsi alla selezione, quale parola chiave,
del segno identico a tale marchio. Come ha osservato
l’avvocato generale nel paragrafo 40 delle sue
conclusioni, solo l’ipotesi contraria, in cui il
prestatore del servizio di posizionamento offra siffatta
possibilità ai titolari di marchi, potrebbe avere
conseguenze giuridiche in quanto, in tale ipotesi e a
determinate condizioni, la mancata opposizione da parte
di detti titolari, al momento della selezione quali
parole chiave di segni identici ai loro marchi, potrebbe
essere qualificata come un loro consenso tacito.
Tuttavia, la circostanza, che ricorre nella causa
principale, che non sia stata richiesta alcuna
autorizzazione a detto titolare o che essa non sia stata
accordata da quest’ultimo conferma unicamente che l’uso
del segno identico al marchio di cui egli è titolare sia
avvenuto senza il suo consenso.
48 Può invece essere pertinente per l’applicazione della
norma enunciata agli artt. 5, n. 1, lett. a), della
direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n.
40 94 una circostanza come quella descritta nella quarta
questione, lett. a).
49 Se infatti dovesse risultare, dall’apprezzamento dei
fatti da parte del giudice del rinvio, che la pubblicità
della M & S, mostrata in risposta alle ricerche
effettuate dagli utenti di Internet mediante il termine
«Interflora», rischi di far credere erroneamente a tali
utenti che il servizio di consegna di fiori proposto
dalla M & S sia parte della rete commerciale di
Interflora, si dovrebbe concludere che la suddetta
pubblicità non consente di sapere se la M & S sia un
terzo rispetto al titolare del marchio o se, invece,
essa sia economicamente collegata a detto titolare. In
tali circostanze, sussisterebbe violazione della
funzione di indicazione d’origine del marchio
INTERFLORA.
50 Nel contesto di cui trattasi, come stato ricordato al
punto 44 della presente sentenza, il pubblico pertinente
è composto da utenti di Internet normalmente informati e
ragionevolmente attenti. Pertanto, la circostanza che
qualche utente di Internet abbia potuto avere difficoltà
a percepire che il servizio fornito dalla M & S sia
indipendente da quello di Interflora non è sufficiente
per constatare una violazione alla funzione di
indicazione d’origine.
51 L’esame dei fatti svolto dal giudice del rinvio potrà
consistere nell’apprezzare, anzitutto, se si possa
presumere che l’utente di Internet normalmente informato
e ragionevolmente attento sappia, in base alle
caratteristiche generalmente note del mercato, che il
servizio di consegna di fiori della M & S non rientra
nella rete della Interflora, ma sia invece in
concorrenza con quest’ultima, e, successivamente,
nell’ipotesi in cui risulti mancante siffatta conoscenza
generalizzata, se l’annuncio pubblicitario della M & S
consentisse al suddetto utente di comprendere che tale
servizio non appartiene alla rete della Interflora.
52 Il giudice del rinvio potrà, in particolare, tener
conto della circostanza che, nella fattispecie, la rete
commerciale del titolare del marchio è composta da un
numero elevato di commercianti al minuto che presentano
grandi differenze tra loro in termini di dimensioni e
profilo commerciale. Va infatti considerato che, in
condizioni del genere, può essere particolarmente
difficile per l’utente di Internet normalmente informato
e ragionevolmente attento sapere, in mancanza di
indicazioni fornite dall’inserzionista, se quest’ultimo,
il cui annuncio pubblicitario appare in risposta ad una
richiesta che utilizza il marchio di cui trattasi come
termine di ricerca, faccia parte o meno della suddetta
rete.
53 Alla luce di siffatta circostanza e degli altri
elementi che riterrà pertinenti, detto giudice dovrà,
qualora risulti mancante una conoscenza generalizzata
come quella menzionata al punto 51 della presente
sentenza, valutare se l’uso di espressioni quali «M & S
Flowers» in un annuncio come quello citato al punto 19
della presente sentenza sia sufficiente o meno a far sì
che l’utente di Internet normalmente informato e
ragionevolmente attento, che ha utilizzato termini di
ricerca contenenti la parola «Interflora», possa
comprendere che il servizio di consegna di fiori
proposto non proviene dalla Interflora.
La violazione della funzione di pubblicità
54 Quanto alla funzione di pubblicità, la Corte ha già
avuto occasione di dichiarare che l’uso di un segno
identico ad un marchio altrui nell’ambito di un servizio
di posizionamento come «AdWords» non è idoneo a
compromettere tale funzione del marchio (sentenze Google
France e Google, cit., punto 98, nonché BergSpecht,
cit., punto 33).
55 È ben vero che detto uso può avere ripercussioni
sull’utilizzo pubblicitario di un marchio denominativo
da parte del suo titolare.
56 In particolare, allorché il titolare di un marchio
iscrive il proprio marchio come parola chiave presso il
fornitore del servizio di posizionamento, al fine di far
apparire un annuncio nella rubrica «link sponsorizzati»,
egli dovrà talvolta, qualora il suo marchio sia stato
scelto come parola chiave da un concorrente, pagare un
prezzo per click più elevato rispetto a quello di detto
concorrente se vuole ottenere che il suo annuncio
compaia prima di quello di quest’ultimo (sentenze Google
France e Google, cit., punto 94).
57 Nondimeno, il solo fatto che l’uso, da parte di un
terzo, di un segno identico ad un marchio per prodotti o
servizi identici a quelli per i quali il marchio in
questione è stato registrato costringa il suo titolare
ad intensificare i propri sforzi pubblicitari per
mantenere o aumentare la propria visibilità presso i
consumatori non è sufficiente, in tutti i casi, a far
concludere che sussista una violazione della funzione di
pubblicità di detto marchio. Va sottolineato, in
proposito, che, pur se il marchio costituisce un
elemento essenziale del sistema di concorrenza non
falsata che il diritto dell’Unione intende istituire
(v., in particolare, sentenza 23 aprile 2009, causa
C‑59/08, Copad, Racc. pag. I‑34 21, punto 22), esso non
ha tuttavia lo scopo di proteggere il suo titolare dalle
pratiche che sono intrinseche al gioco della
concorrenza.
58 Orbene, la pubblicità su Internet a partire da parole
chiave corrispondenti a marchi costituisce una pratica
siffatta, in quanto, in generale, essa ha meramente lo
scopo di proporre agli utenti di Internet alternative
rispetto ai prodotti o ai servizi dei titolari di detti
marchi (v., in proposito, sentenza Google France e
Google, cit., punto 69).
59 La selezione di un segno identico ad un marchio
altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento
avente le caratteristiche di «AdWords» non ha, peraltro,
l’effetto di privare il titolare di tale marchio della
possibilità di utilizzare efficacemente il proprio
marchio per informare e persuadere i consumatori (v., in
proposito, sentenza Google France e Google, cit., punti
96 e 97).
La violazione della funzione di investimento
60 Oltre alla sua funzione di indicazione di origine e,
eventualmente, alla sua funzione pubblicitaria, un
marchio può anche essere utilizzato dal suo titolare per
acquisire o mantenere una reputazione che possa attirare
i consumatori e renderli fedeli.
61 Pur se tale funzione, cosiddetta «di investimento»,
del marchio può presentare una sovrapposizione con la
funzione di pubblicità, nondimeno essa si distingue da
quest’ultima. Infatti, l’uso del marchio per acquisire o
mantenere una reputazione avviene non solo mediante la
pubblicità, ma anche mediante diverse tecniche
commerciali.
62 Qualora l’uso da parte di un terzo, come ad esempio
un concorrente del titolare del marchio, di un segno
identico a quest’ultimo per prodotti o servizi identici
a quelli per i quali detto marchio è stato registrato
intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del
suddetto titolare, del proprio marchio per acquisire o
mantenere una reputazione idonea ad attirare i
consumatori e renderli fedeli, si deve considerare che
il predetto uso violi la funzione di investimento del
marchio. Detto titolare ha pertanto il diritto di
vietare un uso di questo tipo ai sensi dell’art. 5, n.
1, lett. a), della direttiva 89/104 o, in caso di
marchio comunitario, dell’art. 9, n. 1, lett. a), del
regolamento n. 40/94.
63 Nella situazione in cui il marchio gode già di una
reputazione del genere, la funzione di investimento è
violata qualora l’uso da parte del terzo di un segno
identico a tale marchio per prodotti o servizi identici
leda tale reputazione e metta quindi in pericolo la
conservazione della stessa. Come la Corte ha già
dichiarato, il titolare di un marchio deve potersi
opporre, in forza del diritto esclusivo che gli è
conferito dal marchio, ad un uso del genere (v. sentenza
12 luglio 2011, causa C‑324/09, L’Oréal e a., non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 83).
64 Per contro, non si può ammettere che il titolare di
un marchio possa opporsi a che un concorrente faccia, in
condizioni di concorrenza leale e rispettosa della
funzione di indicazione d’origine del marchio, uso di un
segno identico a quest’ultimo per prodotti o servizi
identici a quelli per i quali tale marchio è stato
registrato, qualora siffatto uso abbia come sola
conseguenza di costringere il titolare dello stesso
marchio ad adeguare i propri sforzi per acquisire o
mantenere una reputazione idonea ad attirare i
consumatori e a renderli fedeli. Analogamente, la
circostanza che detto uso induca taluni consumatori ad
abbandonare i prodotti o servizi contrassegnati da tale
marchio non può essere utilmente fatta valere dal
titolare del marchio stesso.
65 È alla luce di tali considerazioni che sarà compito
del giudice del rinvio verificare se l’uso, da parte
della M & S, del segno identico al marchio INTERFLORA
metta a rischio la conservazione, da parte della
Interflora, di una reputazione idonea ad attirare i
consumatori e a renderli fedeli.
66 Occorre pertanto rispondere alle questioni prima e
seconda, alla terza questione, lett. a), nonché alla
quarta questione dichiarando che gli artt. 5, n. 1,
lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a),
del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel
senso che il titolare di un marchio ha il diritto di
vietare ad un concorrente di fare pubblicità – a partire
da una parola chiave identica a detto marchio che tale
concorrente, senza il consenso del titolare del marchio,
ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento
su Internet – a prodotti o servizi identici a quelli per
i quali tale marchio è stato registrato, quando il
predetto uso è idoneo a violare una delle funzioni del
marchio. Siffatto uso:
– viola la funzione di indicazione d’origine del marchio
allorché la pubblicità che compare a partire dalla
suddetta parola chiave non consente o consente solo
difficilmente all’utente di Internet normalmente
informato e ragionevolmente attento di sapere se i
prodotti o i servizi menzionati nell’annuncio provengano
dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente
collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un
terzo;
– non viola, nell’ambito di un servizio di
posizionamento avente le caratteristiche di quello di
cui trattasi nella causa principale, la funzione di
pubblicità del marchio, e
– viola la funzione di investimento del marchio ove
intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del
titolare in questione, del proprio marchio per acquisire
o mantenere una reputazione idonea ad attirare i
consumatori e a renderli fedeli.
Sulla questione relativa agli artt. 5, n. 2, della
direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n.
40/94
67 Con la terza questione, lett. b), letta
congiuntamente alle questioni prima e seconda, il
giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 5,
n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94 debbano essere interpretati nel
senso che il titolare di un marchio che gode di
notorietà ha il diritto di vietare ad un concorrente di
fare pubblicità a partire da una parola chiave
corrispondente a tale marchio che detto concorrente,
senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto
nell’ambito di un servizio di posizionamento su
Internet.
68 Per quanto riguarda, anzitutto, l’applicabilità delle
norme enunciate al n. 2 del detto art. 5 e al n. 1,
lett. c), di tale art. 9, secondo giurisprudenza
costante, pur se tali disposizioni si riferiscono
espressamente solo all’ipotesi in cui sia fatto uso di
un segno identico o simile ad un marchio che gode di
notorietà per prodotti o servizi che non sono simili a
quelli per i quali tale marchio è stato registrato, la
tutela in essi enunciata vale, a maggior ragione, anche
nei confronti dell’uso di un segno identico o simile ad
un marchio che gode di notorietà per prodotti o servizi
che sono identici o simili a quelli per i quali il
marchio è stato registrato (v., in particolare, sentenze
9 gennaio 2003, causa C‑292/00, Davidoff, Racc. pag.
I‑389, punto 30; 23 ottobre 2003, causa C‑408/01,
Adidas-Salomon e Adidas Benelux, Racc. pag. I‑12537,
punti 18-22, nonché Google France e Google, cit., punto
48).
69 Poiché il marchio INTERFLORA gode di notorietà e
l’uso da parte della M & S del segno identico a tale
marchio quale parola chiave è stato fatto, com’è stato
constatato al punto 33 della presente sentenza, per un
servizio identico a quello per il quale tale marchio è
stato registrato, gli artt. 5, n. 2, della direttiva
89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94
sono applicabili nella causa principale. Risulta
peraltro dalla decisione di rinvio che la normativa
applicabile nel Regno Unito contiene la norma di cui
all’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104.
70 Per quanto riguarda poi la portata della tutela
conferita ai titolari dei marchi che godono di
notorietà, risulta dalla formulazione di dette
disposizioni che i titolari di marchi del genere hanno
il diritto di vietare l’uso nel commercio di segni
identici o simili a tali marchi da parte di terzi,
immotivato e senza il loro consenso, qualora l’uso in
questione tragga indebitamente vantaggio dal carattere
distintivo o dalla notorietà di tali marchi o arrechi
pregiudizio a detto carattere distintivo o a detta
notorietà.
71 L’esercizio di tale diritto da parte del titolare del
marchio che gode di notorietà non presuppone l’esistenza
di un rischio di confusione nella mente del pubblico
considerato (sentenze Adidas-Salomon e Adidas Benelux,
cit., punto 31, nonché 18 giugno 2009, L’Oréal e a.,
cit., punto 36). Peraltro, nei limiti in cui gli artt.
5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94 prescrivono che il marchio in
questione e il segno utilizzato dal terzo debbano
presentare un certo grado di somiglianza, è sufficiente
rilevare che tale condizione ricorre nella fattispecie,
in considerazione della stretta corrispondenza tra il
segno «Interflora» e le sue varianti utilizzate dalla M
& S, da un lato, e il marchio INTERFLORA, dall’altro.
72 Le violazioni contro le quali gli artt. 5, n. 2,
della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94 garantiscono la tutela sono,
anzitutto, il pregiudizio al carattere distintivo del
marchio, poi, il pregiudizio arrecato alla notorietà di
tale marchio e, infine, il vantaggio indebitamente
tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà dello
stesso, essendo sufficiente che sussista una sola di
dette violazioni affinché si applichi la norma enunciata
in tali disposizioni (v. sentenza 18 giugno 2009,
L’Oréal e a., cit., punti 38 e 42).
73 Il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del
marchio che gode di notorietà, indicato anche con il
termine, in particolare, di «diluizione», si manifesta
quando risulta indebolita l’idoneità di tale marchio ad
identificare i prodotti o i servizi per i quali è stato
registrato, mentre un pregiudizio arrecato alla
notorietà del marchio, designato anche con il termine,
in particolare, di «corrosione», si verifica quando i
prodotti o i servizi per i quali il segno identico o
simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal
pubblico in modo tale che il potere di attrazione del
marchio ne risulti compromesso (v. sentenza 18 giugno
2009, L’Oréal e a., cit., punti 39 e 40).
74 La nozione di «vantaggio indebitamente tratto dal
carattere distintivo o dalla notorietà del marchio»,
detto anche «parassitismo», dal canto suo, si ricollega
non al pregiudizio subìto dal marchio, quanto piuttosto
al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno
identico o simile al marchio. Essa comprende, in
particolare, il caso in cui, grazie ad un trasferimento
dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da
questo proiettate sui prodotti designati dal segno
identico o simile, sussista un palese sfruttamento
parassitario nella scia del marchio che gode di
notorietà (sentenza 18 giugno 2009, L’Oréal e a., cit.,
punto 41).
75 Risulta dalle spiegazioni fornite in risposta alla
richiesta di chiarimenti menzionata al punto 20 della
presente sentenza che il giudice del rinvio non chiede
un’interpretazione della nozione di pregiudizio arrecato
alla notorietà del marchio (corrosione), ma auspica
sapere a quali condizioni si debba considerare che un
inserzionista che fa comparire – a partire da un segno
identico ad un marchio che gode di notorietà da esso
selezionato senza il consenso del titolare del marchio
stesso nell’ambito di un servizio di posizionamento su
Internet – un link sponsorizzato verso il proprio sito
arrechi pregiudizio al carattere distintivo di detto
marchio che gode di notorietà (diluizione) o tragga
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
notorietà dello stesso marchio (parassitismo).
Il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del
marchio che gode di notorietà (diluizione)
76 Come ha esposto l’avvocato generale al paragrafo 80
delle sue conclusioni, è arrecato pregiudizio al
carattere distintivo di un marchio che gode di notorietà
qualora l’uso di un segno identico o simile a
quest’ultimo riduca la capacità di tale marchio di
distinguere i prodotti o i servizi del titolare del
marchio da quelli che hanno un’altra origine. Al termine
del processo di diluizione il marchio non è più in grado
di evocare nella mente dei consumatori un’associazione
immediata o un’origine commerciale specifica.
77 Affinché il titolare del marchio che gode di
notorietà sia efficacemente tutelato contro questo tipo
di violazione, occorre interpretare gli artt. 5, n. 2,
della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94 nel senso che tale titolare ha il
diritto di vietare qualsiasi uso di un segno identico o
simile a detto marchio che riduca la capacità distintiva
di quest’ultimo, senza che egli debba attendere il
termine del processo di diluizione, ossia la perdita
completa del carattere distintivo del marchio.
78 A sostegno della sua tesi secondo cui è pregiudicata
la capacità distintiva del suo marchio, la Interflora
osserva che l’uso da parte della M & S e di altre
imprese del termine «Interflora» nell’ambito di un
servizio di posizionamento come quello di cui trattasi
nella causa principale conduce progressivamente gli
utenti di Internet a ritenere che tale termine non sia
un marchio che designa il servizio di consegna di fiori
fornito dai fiorai della rete della Interflora, bensì
costituisca un termine generico per qualsiasi servizio
di consegna di fiori.
79 È vero che l’uso, da parte di un terzo e nel
commercio, di un segno identico o simile ad un marchio
che gode di notorietà riduce la capacità distintiva di
quest’ultimo e arreca quindi pregiudizio al carattere
distintivo di detto marchio ai sensi dell’art. 5, n. 2,
della direttiva 89/104 o, nel caso del marchio
comunitario, ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94, allorché contribuisce a
trasformare la natura di tale marchio in termine
generico.
80 Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalla
Interflora, la selezione quale parola chiave,
nell’ambito di un servizio di posizionamento su
Internet, di un segno identico o simile ad un marchio
che gode di notorietà non contribuisce necessariamente
ad un’evoluzione del genere.
81 Così, qualora l’uso, come parola chiave, di un segno
corrispondente ad un marchio che gode di notorietà
faccia comparire un annuncio pubblicitario che consente
ad un utente di Internet normalmente informato e
ragionevolmente attento di comprendere che i prodotti o
i servizi offerti non provengono dal titolare del
marchio che gode di notorietà, ma al contrario da un
concorrente di quest’ultimo, si dovrà concludere che la
capacità distintiva di tale marchio non è stata ridotta
da detto uso, essendo quest’ultimo semplicemente servito
ad attirare l’attenzione dell’utente di Internet
sull’esistenza di un prodotto o di un servizio
alternativo rispetto a quello del titolare del marchio
in questione.
82 Ne consegue che, laddove il giudice del rinvio
dovesse concludere che l’annuncio pubblicitario mostrato
a seguito dell’uso, da parte della M & S, del segno
identico al marchio INTERFLORA abbia consentito
all’utente di Internet normalmente informato e
ragionevolmente attento di comprendere che il servizio
pubblicizzato dalla M & S è indipendente rispetto a
quello della Interflora, quest’ultima impresa non può
utilmente sostenere, fondandosi sulle norme enunciate
agli artt. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1,
lett. c), del regolamento n. 40/94, che siffatto uso
abbia contribuito alla trasformazione della natura di
tale marchio in termine generico.
83 Laddove, per contro, il giudice del rinvio dovesse
concludere che l’annuncio pubblicitario lanciato da
detto uso del segno identico al marchio INTERFLORA non
abbia consentito all’utente di Internet normalmente
informato e ragionevolmente attento di capire che il
servizio pubblicizzato dalla M & S è indipendente
rispetto a quello della Interflora, e quest’ultima
dovesse insistere affinché il giudice del rinvio, oltre
a ritenere che sia stato arrecato pregiudizio alla
funzione di indicazione d’origine di detto marchio,
constati che la M & S ha del pari arrecato pregiudizio
al carattere distintivo del marchio in questione
contribuendo a trasformarne la natura in termine
generico, sarebbe compito di tale giudice valutare, in
base a tutti gli elementi che gli sono stati forniti, se
la scelta, quali parole chiave su Internet, di segni
corrispondenti al marchio INTERFLORA abbia avuto un
impatto tale sul mercato dei servizi di consegna di
fiori che il termine «Interflora» sia passato a
designare, nella mente del consumatore, qualsiasi
servizio di consegna di fiori.
Il vantaggio indebitamente tratto dal carattere
distintivo o dalla notorietà del marchio (parassitismo)
84 Come la Corte ha già considerato, un inserzionista
che abbia scelto, nell’ambito di un servizio di
posizionamento su Internet, una parola chiave
corrispondente ad un marchio altrui mira a far sì che
gli utenti di Internet, inserendo tale parola quale
termine di ricerca, selezionino non solo i link mostrati
sullo schermo che provengono dal titolare di detto
marchio, ma anche il link promozionale di detto
inserzionista (sentenza Google France e Google, cit.,
punto 67).
85 Risulta del pari che la circostanza che un marchio
goda di notorietà rende probabile che gli utenti di
Internet, in gran numero, utilizzino il nome di tale
marchio come parola chiave per effettuare le loro
ricerche su Internet al fine di reperire informazioni o
offerte sui prodotti o i servizi di tale marchio.
86 In tali circostanze, come ha osservato l’avvocato
generale al paragrafo 96 delle sue conclusioni, è
incontestabile che, allorché il concorrente del titolare
di un marchio che gode di notorietà sceglie quest’ultimo
come parola chiave nell’ambito di un servizio di
posizionamento su Internet, tale uso ha lo scopo di
trarre vantaggio dal carattere distintivo e dalla
notorietà del marchio in questione. In effetti siffatta
scelta è idonea a generare una situazione in cui i
consumatori, probabilmente numerosi, che effettuano una
ricerca su Internet di prodotti o servizi del marchio
che gode di notorietà mediante tale parola chiave
vedranno apparire sui loro schermi l’annuncio del
concorrente considerato.
87 È peraltro incontestabile che, laddove gli utenti di
Internet acquistino, dopo aver preso conoscenza
dell’annuncio di detto concorrente, i prodotti o i
servizi offerti da quest’ultimo invece di quelli del
titolare del marchio sui quali verteva inizialmente la
loro ricerca, detto concorrente trae un vantaggio
concreto dal carattere distintivo e dalla notorietà del
marchio in questione.
88 È per di più pacifico che, nell’ambito di un servizio
di posizionamento, l’inserzionista che sceglie segni
identici o simili a marchi altrui non paga, di regola,
alcun compenso per tale uso ai titolari di detti marchi.
89 Risulta dalle suddette caratteristiche della scelta,
quali parole chiave su Internet, di segni corrispondenti
a marchi altrui che godono di notorietà che una scelta
siffatta, se è «immotivat[a]» ai sensi degli artt. 5, n.
2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94, può essere considerata come un uso
attraverso il quale l’inserzionista si inserisce nella
scia di un marchio che gode di notorietà, al fine di
beneficiare del suo potere attrattivo, della sua
reputazione e del suo prestigio, nonché al fine di
sfruttare, senza qualsivoglia compensazione economica e
senza dover operare sforzi propri in proposito, lo
sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio
per creare e mantenere l’immagine di detto marchio. Ove
ciò avvenga, il vantaggio così ricavato dai terzi va
considerato indebito (v., in proposito, sentenza 18
giugno 2009, L’Oréal e a., cit., punto 49).
90 Come la Corte ha già precisato, una conclusione
siffatta può imporsi in particolare nei casi in cui
inserzionisti su Internet offrano in vendita, scegliendo
parole chiave corrispondenti a marchi che godono di
notorietà, prodotti che sono imitazioni dei prodotti del
titolare di detti marchi (sentenza Google France e
Google, cit., punti 102 e 103).
91 Per contro, qualora l’annuncio pubblicitario che è
mostrato su Internet a partire da una parola chiave
corrispondente ad un marchio che gode di notorietà,
senza offrire una semplice imitazione dei prodotti e dei
servizi del titolare di tale marchio, senza provocare
una diluizione o una corrosione e senza nemmeno arrecare
pregiudizio alle funzioni di detto marchio, proponga
un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del
titolare del marchio che gode di notorietà, si deve
concludere che un uso siffatto rientra, in linea di
principio, in una concorrenza sana e leale nell’ambito
dei prodotti o dei servizi considerati e sia quindi
«motivato» ai sensi degli artt. 5, n. 2, della direttiva
89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.
92 Spetta al giudice del rinvio valutare, tenendo conto
degli elementi interpretativi che precedono, se i fatti
della controversia di cui alla causa principale siano
caratterizzati da un uso del segno immotivato che trae
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
notorietà del marchio INTERFLORA.
93 Risulta da quanto precede che si deve rispondere alla
terza questione, lett. b), dichiarando che gli artt. 5,
n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel
senso che il titolare di un marchio che gode di
notorietà ha il diritto di vietare ad un concorrente di
fare pubblicità a partire da una parola chiave
corrispondente a tale marchio che il suddetto
concorrente, senza il consenso del titolare del marchio,
ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento
su Internet, qualora detto concorrente tragga così
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
notorietà del marchio (parassitismo) oppure qualora tale
pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere
distintivo (diluizione) o a detta notorietà
(corrosione).
94 Un annuncio pubblicitario a partire da una parola
chiave siffatta arreca pregiudizio al carattere
distintivo del marchio che gode di notorietà
(diluizione), in particolare, ove contribuisca a
trasformare la natura di tale marchio rendendolo un
termine generico.
95 Per contro, il titolare di un marchio che gode di
notorietà non può vietare, in particolare, annunci
pubblicitari fatti comparire dai suoi concorrenti a
partire da parole chiave che corrispondono a detto
marchio e propongono, senza offrire una semplice
imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di
tale marchio, senza provocare una diluizione o una
corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle
funzioni di detto marchio che gode di notorietà,
un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del
titolare di detto marchio.
Sulle spese
96 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo
a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva
del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in
materia di marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del
regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n.
40/94, sul marchio comunitario, devono essere
interpretati nel senso che il titolare di un marchio ha
il diritto di vietare ad un concorrente di fare
pubblicità – a partire da una parola chiave identica a
detto marchio che tale concorrente, senza il consenso
del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un
servizio di posizionamento su Internet – a prodotti o
servizi identici a quelli per i quali tale marchio è
stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a
violare una delle funzioni del marchio. Siffatto uso:
– viola la funzione di indicazione d’origine del marchio
allorché la pubblicità che compare a partire dalla
suddetta parola chiave non consente o consente solo
difficilmente all’utente di Internet normalmente
informato e ragionevolmente attento di sapere se i
prodotti o i servizi menzionati nell’annuncio provengano
dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente
collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un
terzo;
– non viola, nell’ambito di un servizio di
posizionamento avente le caratteristiche di quello di
cui trattasi nella causa principale, la funzione di
pubblicità del marchio, e
– viola la funzione di investimento del marchio ove
intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del
titolare in questione, del proprio marchio per acquisire
o mantenere una reputazione idonea ad attirare i
consumatori e a renderli fedeli.
2) Gli artt. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1,
lett. c), del regolamento n. 40/94 devono essere
interpretati nel senso che il titolare di un marchio che
gode di notorietà ha il diritto di vietare ad un
concorrente di fare pubblicità a partire da una parola
chiave corrispondente a tale marchio che il suddetto
concorrente, senza il consenso del titolare del marchio,
ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento
su Internet, qualora detto concorrente tragga così
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
notorietà del marchio (parassitismo) oppure qualora tale
pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere
distintivo (diluizione) o a detta notorietà
(corrosione).
Un annuncio pubblicitario a partire da una parola chiave
siffatta arreca pregiudizio al carattere distintivo del
marchio che gode di notorietà (diluizione), in
particolare, ove contribuisca a trasformare la natura di
tale marchio rendendolo un termine generico.
Per contro, il titolare di un marchio che gode di
notorietà non può vietare, in particolare, annunci
pubblicitari fatti comparire dai suoi concorrenti a
partire da parole chiave che corrispondono a detto
marchio e propongono, senza offrire una semplice
imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di
tale marchio, senza provocare una diluizione o una
corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle
funzioni di detto marchio che gode di notorietà,
un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del
titolare di detto marchio.
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