Rischia la condanna per truffa
aggravata il dirigente che a fronte della falsa
attestazioni della presenza in ufficio da parte di
alcuni dipendenti, non solo non si adoperi per
sanzionarli ma addirittura ostenti nei loro confronti un
atteggiamento di favore tale da incoraggiarne la
condotta fraudolenta. Scoraggiandone nello stesso tempo
la denuncia da parte dei colleghi, per paura di mettersi
contro il capo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione,
con la sentenza 29 settembre 2011 n. 35344, rigettando
il ricorso del direttore delle relazioni esterne del
comune di Milano, già condannato dalla Corte di appello
meneghina.
Nel ricorso alla Suprema corte il
dirigente si era difeso sostenendo che la presenza del
meccanismo del tesserino magnetico per entrare a lavoro
lo rassicurava circa la corretta attestazione delle
presenze dei dipendenti. E che comunque un simile
controllo non rientrava nelle sue mansioni, spettando
semmai al capo del personale.
Di altro avviso la Cassazione,
secondo cui la responsabilità del dirigente non
dipendeva da un comportamento omissivo ma piuttosto,
come chiarito dalla sentenza di Appello, in un
comportamento sostanzialmente commissivo dato dalla
esibizione di un rapporto preferenziale con i dipendenti
che li aveva messi in una «posizione privilegiata» che
li rendeva «capaci di ottenere il silenzio di tutti gli
altri dipendenti pena delazioni del capo».
Scrive infatti la Cassazione:
«Concorre nel reato con condotta commissiva - anziché
mediante omissione ai sensi dell'art. 40, 2 comma c.p. -
il dirigente di un ufficio pubblico che non soltanto non
impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere
reiterate violazioni nell'osservanza dell'orario di
lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema
computerizzato di controllo delle presenze, ma favorisca
intenzionalmente tale comportamento creando segni
esteriori di un atteggiamento di personale favore nei
confronti dei correi, in modo tale da creare intorno ad
essi un'aurea di intangibilità, disincentivare gli altri
dipendenti dal presentare esposti o segnalazioni al
riguardo e così affievolire, in ultima analisi, il
cosiddetto 'controllo socialè».
«Pertanto tale condotta - scrivono
i supremi giudici - ha in sé valenza agevolatrice nella
commissione del reato, anche solo per il sostegno morale
e l'incoraggiamento che i dipendenti infedeli ricevono
da una simile situazione di favore senza che occorra
quindi accertare, sul piano del rapporto di causalità,
se il dirigente dell'ufficio avesse il potere di
impedire la consumazione del reato o se avesse a tal
fine contemporaneamente assunto iniziative di portata
generale (come il controllo computerizzato delle
presenze) iniziative comunque rivelatesi inefficaci».
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