T.G., avvocato iscritto alla Cassa
Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (qui di
seguito, per brevità, indicata anche come Cassa) dal
1957, cancellatosi in data 1.1.1981 e nuovamente
iscrittosi nell'anno 1988, ebbe riconosciuta
l'ammissione alla pensione diretta con decorrenza dal
1.1.1993. Dolendosi del criterio utilizzato per la
liquidazione della pensione, il T., con ricorso del
18.11.1998, evocò in giudizio la Cassa, assumendo, per
quanto ancora qui specificamente rileva, che,
nell'applicazione della L. n. 576 del 1980, art. 2 come
modificato dalla L. n. 141 del 1992, non avrebbe dovuto
tenersi conto, nell'ambito dei quindici anni solari
precedenti la maturazione della pensione, delle
annualità in cui egli non era stato iscritto e per le
quali il suo reddito professionale era stato nudo, tanto
che l'entità del trattamento liquidatogli si era ridotta
al minimo pensionabile. Il Giudice adito respinse la
domanda e la Corte d'Appello di Roma, con sentenza non
definitiva in data 27.4.2006 - 16.1.2007, rigettò il
motivo di impugnazione svolto dal T. in ordine al
criterio di determinazione del trattamento
pensionistico, ritenendo la correttezza
dell'interpretazione resa dall'Ente previdenziale alla
stregua dell'inequivoco significato letterale della
norma di riferimento.
Avverso l'anzidetta sentenza della
Corte territoriale T. G. ha proposto ricorso per
cassazione fondato su un unico motivo e illustrato con
memoria.
La Cassa
Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha
resistito con controricorso, illustrato con memoria....
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. FOGLIA Raffaele -
Presidente -
Dott. DE RENZIS Alessandro -
Consigliere -
Dott. BANDINI Gianfranco - rel.
Consigliere -
Dott. ARIENZO Rosa -
Consigliere -
Dott. MANCINO Rossana -
Consigliere -
ha pronunciato la seguente: sentenza
sul ricorso 2204-2008 proposto da:
T.G., - ricorrente -
contro
CASSA NAZIONALE DI ASSISTENZA E PREVIDENZA FORENSE, -
controricorrente -
avverso la sentenza n. 3611/2006 della CORTE
D'APPELLO di ROMA, depositata il 16/01/2007 R.G.N.
207/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/04/2011 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l'Avvocato TROPIANO FILIPPO per delega ZOPPINI
ANDREA;
udito l'Avvocato GOBBI GOFFREDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Fatto
T.G., avvocato iscritto alla Cassa Nazionale di
Previdenza e Assistenza Forense (qui di seguito, per
brevità, indicata anche come Cassa) dal 1957,
cancellatosi in data 1.1.1981 e nuovamente iscrittosi
nell'anno 1988, ebbe riconosciuta l'ammissione alla
pensione diretta con decorrenza dal 1.1.1993. Dolendosi
del criterio utilizzato per la liquidazione della
pensione, il T., con ricorso del 18.11.1998, evocò in
giudizio la Cassa, assumendo, per quanto ancora qui
specificamente rileva, che, nell'applicazione della L.
n. 576 del 1980, art. 2 come modificato dalla L. n. 141
del 1992, non avrebbe dovuto tenersi conto, nell'ambito
dei quindici anni solari precedenti la maturazione della
pensione, delle annualità in cui egli non era stato
iscritto e per le quali il suo reddito professionale era
stato nudo, tanto che l'entità del trattamento
liquidatogli si era ridotta al minimo pensionabile. Il
Giudice adito respinse la domanda e la Corte d'Appello
di Roma, con sentenza non definitiva in data 27.4.2006 -
16.1.2007, rigettò il motivo di impugnazione svolto dal
T. in ordine al criterio di determinazione del
trattamento pensionistico, ritenendo la correttezza
dell'interpretazione resa dall'Ente previdenziale alla
stregua dell'inequivoco significato letterale della
norma di riferimento.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale T.
G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un
unico motivo e illustrato con memoria.
La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha
resistito con controricorso, illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia violazione
della L. n. 576 del 1980, art. 2 come modificato dalla
L. n. 141 del 1992, assumendone l'errata interpretazione
e formulando il seguente quesito di diritto: "Dica
l'Ecc.ma Corte che la L. n. 576 del 1980, art. 2 come
modificata dalla L. n. 141 del 1992, nella parte in cui
stabilisce che la pensione è pari, per ogni anno di
effettiva iscrizione e contribuzione all'1,75% della
media dei più elevati dieci redditi professionali
dichiarati dall'iscritto ai fini dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche IRPEF, risultanti dalle
dichiarazioni relative ai 15 anni solari anteriori alla
maturazione della pensione, deve essere inteso nel senso
che gli anni da considerare a ritroso rispetto al
momento del raggiungimento dell'età pensionabile,
debbano necessariamente essere quelli in cui l'avente
diritto è stato effettivamente iscritto all'Albo e abbia
versato contributi alla cassa e che pertanto i 15 anni
solari anteriori, cui si riferisce l'ultima parte della
norma in questione, devono necessariamente intendersi
come anche non continuativi e che tale interpretazione è
l'unica conforme al principio di uguaglianza e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto
l'interpretazione contraria determinerebbe una palese
ingiustizia e disparità di trattamento di situazioni
equivalenti, comprimendo il diritto del professionista a
percepire una pensione calcolata esclusivamente in base
ai periodi in cui il medesimo ha effettivamente versato
contributi alla Cassa, è stato effettivamente iscritto
all'Albo ed è stato effettivamente titolare di reddito
professionale". Deve rilevarsi l'inconferenza ai fini
del decidere della normativa introdotta con il
regolamento della Cassa Forense pubblicato nel 2009 e
richiamato dal ricorrente nella memoria illustrativa,
atteso che la disciplina ivi dettata per la
determinazione della quota base della pensione di
vecchiaia (art. 4) è espressamente riferita a coloro i
quali maturino i requisiti dal 1 gennaio dell'anno
successivo all'approvazione de regolamento e non è
quindi applicabile, ratione temporis, alla prestazione
previdenziale di che trattasi, maturata nel 1993.
2. La norma della cui interpretazione si controverte (L.
n. 576 del 1980, art. 2, comma 1, come sostituito dalla
L. n. 141 del 1992, art. 1), così recita: "La pensione
di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto
almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta
anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
e sempre che l'iscritto non abbia richiesto il rimborso
di cui all'art. 21, comma 1. La pensione è pari, per
ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione
all'1,75 per cento della media dei più elevati dieci
redditi professionali dichiarati dall'iscritto ai fini
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF),
risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni
solari anteriori alla maturazione del diritto a
pensione".
Il primo periodo stabilisce dunque le condizioni
soggettive ed oggettive per l'erogazione detta pensione,
mentre il secondo fissa i criteri per il calcolo del
trattamento.
Risulta di piana evidenza dalla lettura de testo
legislativo che in tale ultimo secondo periodo -
rilevante ai fini del decidere - è assente qualsivoglia
elemento sintattico che giustifichi l'assunto del
ricorrente inteso a stabilire un collegamento tra le
"dichiarazioni relative ai quindici anni solari
anteriori alla maturazione dei diritto a pensione"
(sulla base delle quali devono essere individuati i
dieci più elevati redditi professionali) e gli anni "di
effettiva iscrizione e contribuzione", che vengono in
considerazione solo come fattore a cui riferire ("per
ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione") la
prevista percentuale della media dei ridetti più elevati
redditi professionali.
Per contro è assolutamente inequivoca, stante il
significato proprio delle parole usate, la locuzione
"quindici anni solari anteriori alla maturazione del
diritto a pensione", indicante semplicemente le
annualità (non necessariamente anche di effettiva
iscrizione e contribuzione) antecedenti l'epoca di
maturazione del diritto.
3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte,
nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una
norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo
chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa
portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al
criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla
ricerca, merce l'esame complessivo del testo, della mens
legis, specie se, attraverso siffatto procedimento,
possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà
della norma si come inequivocabilmente espressa dal
legislatore;
soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti
ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al
predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento
letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in
quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo
paritetico in seno al procedimento ermeneutico, si che
il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad
ovviare all'equivocità de testo da interpretare,
potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto
all'interpretazione letterale soltanto nel caso,
eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla
formulazione della disposizione sia incompatibile con il
sistema normativo, non essendo consentito all'interprete
correggere la norma nel significato tecnico proprio
delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui
ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla
finalità pratica cui la norma stessa è intesa (cfr,
Cass., n. 5128/2001; nonchè, in applicazione di tali
principi, ex plurimis, Cass., nn. 12081/2003;
3382/2009). Ai suddetti principi si è sostanzialmente
attenuta la Corte territoriale, le cui conclusioni non
restano perciò scalfite dalla diversa e inaccoglibile
opzione ermeneutica prospettata dal ricorrente.
4. I dubbi di illegittimità costituzionale sollevati dal
ricorrente sono manifestamente infondati, poichè, a fine
di individuare una eventuale lesione del principio di
uguaglianza, non possono essere prese in considerazione
situazione tra foro dissimili (come si verifica, secondo
quanto prospettato dal ricorrente, comparando la
posizione del professionista che abbia maturato 30 anni
d'anzianità contributiva entro il 50 anno di età e che
abbia successivamente optato per la cessazione
dell'attività professionale con quella di coloro che
abbiano mantenuto l'iscrizione fino al compimento del 65
anno), dovendo peraltro rilevarsi che, nella ricorrenza
dei prescritti requisiti soggettivi e oggettivi, è
comunque previsto che "La misura della pensione non può
essere inferiore a otto volte il contributo minimo
soggettivo a carico dell'iscritto nell'anno solare
anteriore a quello di decorrenza della pensione" (L. n.
576 del 1980, ari. 2, comma 3, come modificato dalla L.
n. 141 del 1992, ari. 2, comma 3).
5. In definitiva il ricorso va rigettato, con
enunciazione del seguente principio di diritto:
"Nell'interpretazione della L. n. 576 del 1980, art. 2,
comma 1, come sostituito dalla L. n. 141 del 1992, art.
1, stante inequivoco significato proprio delle parole
usate, la locuzione "quindici anni solari anteriori alla
maturazione del diritto a pensione" indica le annualità,
non necessariamente anche di effettiva iscrizione e
contribuzione alla Cassa di previdenza, antecedenti
l'epoca di maturazione del diritto". Non è luogo a
provvedere sulle spese ai sensi dell'art. 152 disp. att
c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis alla
presente controversia, vigente anteriormente alla
modifica introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42,
comma 11, convertito in L. n. 326 del 2003.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2011
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