Rosanna A. dipendente del Ministero
della Giustizia presso la Procura Generale della
Repubblica di Trento, con inquadramento come direttrice
di cancelleria "C3", nel periodo del marzo 2001 al
dicembre 2005 ha svolto le superiori mansioni di
dirigente di segreteria. Ella ha chiesto al Tribunale di
Trento, Sezione Lavoro, di condannare il Ministero della
Giustizia al pagamento delle differenze di retribuzione
dovute con riferimento al trattamento economico previsto
per la superiore posizione dirigenziale da lei
ricoperta. Il Tribunale, con sentenza del 2007, ha
accolto la domanda, determinando in euro 56.000,00 le
differenze dovute alla lavoratrice. Questa sentenza è
stata confermata in grado di appello dalla Corte di
Trento, con sentenza del settembre 2008. Il Ministero ha
proposto ricorso per cassazione censurando la decisione
della Corte trentina per vizi di motivazione e
violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n.
20976 del 12 ottobre 2011, Pres. Foglia, Rel. Berrino)
ha rigettato il ricorso. La Corte di merito è partita
dalla constatazione che a seguito di sollecitazione del
Procuratore generale alla nomina di un nuovo funzionario
delegato per la gestione delle spese di giustizia,
stante il trasferimento del dirigente nominato, il
Ministero provvide a nominare Rosanna A. con la
indicazione di "Dirigente segreteria Procura generale
Corte appello di Trento", finendo, in tal modo col
prendere atto dello svolgimento delle mansioni
dirigenziali già espletate in via di fatto dalla
medesima dipendente, così come attestato nella nota del
Procuratore Generale; da ciò è poi giunta alla
conclusione che il mancato conferimento di obiettivi era
addebitabile esclusivamente all'amministrazione, senza
che ciò potesse arrecare nocumento alla lavoratrice, la
quale aveva di fatto svolto con carattere di prevalenza
le mansioni di dirigente dell'ufficio affidatele,
maturando il diritto a conseguire le relative differenze
retributive. In caso di effettivo svolgimento di
mansioni superiori - ha affermato la Cassazione - il
dipendente ha diritto in ogni caso, anche quando non
possa essergli riconosciuto il diritto all'inquadramento
nella qualifica superiore, alla corresponsione delle
differenze retributive corrispondenti alle mansioni
effettivamente svolte. Questo diritto deriva
direttamente dall'art. 36 Cost., comma 1, in base al
quale "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
corrispondente alla quantità e qualità del suo lavoro".
D'altronde la giurisprudenza di legittimità ha già avuto
modo di chiarire, in materia di pubblico impiego, che il
dipendente pubblico assegnato, ai sensi dell'art. 52,
comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, allo svolgimento di
mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore
rispetto a quella posseduta ha diritto, anche in
relazione a tali compiti, ad una retribuzione
proporzionata e sufficiente secondo le previsioni
dell'art. 36 Cost., a condizione che dette mansioni
siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e
qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in
relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati
i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse,
dovendosi ritenere estensibile a tale ipotesi la
previsione di cui all'art. 2103 cod. civ.. In
applicazione di questo principio, si è ritenuto che,
rispetto ad un dipendente del Ministero delle
Infrastrutture e Trasporti, avente la nona qualifica
professionale di direttore coordinatore ed adibito allo
svolgimento di mansioni superiori presso l'Ufficio
provinciale dei Grosseto di detto Ministero per circa
dodici anni, dal 1993 al 2005, andasse riconosciuto il
diritto al trattamento economico corrispondente a quello
di primo dirigente di fascia B anche per il periodo
successivo all'entrata in vigore del D.M. 2 agosto 2000,
n. 148 con il quale erano state fissate tutte le
posizioni dirigenziali degli uffici periferici, tra le
quali non era compresa quella dell'Ufficio occupato dal
dipendente). In pratica - ha osservato la Corte - tale
precedente rappresenta l'applicazione dell'indirizzo già
segnato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25837
dell'11/12/07 per la quale in materia di pubblico
impiego contrattualizzato - come si evince anche
dall'art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, nel
testo, sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998
e successivamente modificato dall'art. 15 del d.lgs. n.
387 del 1998, ora riprodotto nell'art. 32 del d.lgs. n.
165 del 2001, l'impiegato cui sono state assegnate, al
di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche
corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori
a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità
alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le
altre, sentenza n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236
del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione
proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost..
Tale principio - ha affermato la Cassazione - che deve
trovare integrale applicazione, senza sbarramenti
temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego
privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate
siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e
qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in
relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati
i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette
superiori mansioni. Nel caso concreto - ha concluso la
Cassazione - la Corte di merito, con accertamento immune
da vizi logico-giuridici, ha potuto verificare che le
superiori mansioni dirigenziali vennero svolte da
Rosanna A. con pienezza sulla scorta delle attestazioni
del Procuratore Generale in merito all'effettivo
svolgimento, nel periodo preso in considerazione, delle
funzioni di dirigente dell'ufficio da parte della
lavoratrice. |