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LO SVOLGIMENTO, DA PARTE DI UN IMPIEGATO DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, DELLE MANSIONI DI DIRIGENTE DI SEGRETERIA, DA' DIRITTO ALLE DIFFERENZE DI RETRIBUZIONE - In base all'art. 36 Cost. (Cassazione Sezione Lavoro n. 20976 del 12 ottobre 2011, Pres. Foglia, Rel. Berrino).-Legge e giustizia.it

 

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Rosanna A. dipendente del Ministero della Giustizia presso la Procura Generale della Repubblica di Trento, con inquadramento come direttrice di cancelleria "C3", nel periodo del marzo 2001 al dicembre 2005 ha svolto le superiori mansioni di dirigente di segreteria. Ella ha chiesto al Tribunale di Trento, Sezione Lavoro, di condannare il Ministero della Giustizia al pagamento delle differenze di retribuzione dovute con riferimento al trattamento economico previsto per la superiore posizione dirigenziale da lei ricoperta. Il Tribunale, con sentenza del 2007, ha accolto la domanda, determinando in euro 56.000,00 le differenze dovute alla lavoratrice. Questa sentenza è stata confermata in grado di appello dalla Corte di Trento, con sentenza del settembre 2008. Il Ministero ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte trentina per vizi di motivazione e violazione di legge.

 

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 20976 del 12 ottobre 2011, Pres. Foglia, Rel. Berrino) ha rigettato il ricorso. La Corte di merito è partita dalla constatazione che a seguito di sollecitazione del Procuratore generale alla nomina di un nuovo funzionario delegato per la gestione delle spese di giustizia, stante il trasferimento del dirigente nominato, il Ministero provvide a nominare Rosanna A. con la indicazione di "Dirigente segreteria Procura generale Corte appello di Trento", finendo, in tal modo col prendere atto dello svolgimento delle mansioni dirigenziali già espletate in via di fatto dalla medesima dipendente, così come attestato nella nota del Procuratore Generale; da ciò è poi giunta alla conclusione che il mancato conferimento di obiettivi era addebitabile esclusivamente all'amministrazione, senza che ciò potesse arrecare nocumento alla lavoratrice, la quale aveva di fatto svolto con carattere di prevalenza le  mansioni di dirigente dell'ufficio affidatele, maturando il diritto a conseguire le relative differenze retributive. In caso di effettivo svolgimento di mansioni superiori - ha affermato la Cassazione - il dipendente ha diritto in ogni caso, anche quando non possa essergli riconosciuto il diritto all'inquadramento nella qualifica superiore, alla corresponsione delle differenze retributive corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte. Questo diritto deriva direttamente dall'art. 36 Cost., comma 1, in base al quale "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione corrispondente alla quantità e qualità del suo lavoro". D'altronde la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire, in materia di pubblico impiego, che il dipendente pubblico assegnato, ai sensi dell'art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, allo svolgimento di mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore rispetto a quella posseduta ha diritto, anche in relazione a tali compiti, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente secondo le previsioni dell'art. 36 Cost., a condizione che dette mansioni siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse, dovendosi ritenere estensibile a tale ipotesi la previsione di cui all'art. 2103 cod. civ.. In applicazione di questo principio, si è ritenuto che, rispetto ad un dipendente del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, avente la nona qualifica professionale di direttore coordinatore ed adibito allo svolgimento di mansioni superiori presso l'Ufficio provinciale dei Grosseto di detto Ministero per circa dodici anni, dal 1993 al 2005, andasse riconosciuto il diritto al trattamento economico corrispondente a quello di primo dirigente di fascia B anche per il periodo successivo all'entrata in vigore del D.M. 2 agosto 2000, n. 148 con il quale erano state fissate tutte le posizioni dirigenziali degli uffici periferici, tra le quali non era compresa quella dell'Ufficio occupato dal dipendente). In pratica - ha osservato la Corte - tale precedente rappresenta l'applicazione dell'indirizzo già segnato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25837 dell'11/12/07 per la quale in materia di pubblico impiego contrattualizzato - come si evince anche dall'art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo, sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, ora riprodotto nell'art. 32 del d.lgs. n. 165 del 2001, l'impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenza n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost.. Tale principio - ha affermato la Cassazione - che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni. Nel caso concreto - ha concluso la Cassazione - la Corte di merito, con accertamento immune da vizi logico-giuridici, ha potuto verificare che le superiori mansioni dirigenziali vennero svolte da Rosanna A. con pienezza sulla scorta delle attestazioni del Procuratore Generale in merito all'effettivo svolgimento, nel periodo preso in considerazione, delle funzioni di dirigente dell'ufficio da parte della lavoratrice.

 

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