1. Le Sezioni Unite della Corte
hanno affermato che, ai fini del riconoscimento del
danno da responsabilità aggravata il giudice "può fare
riferimento a nozioni di comune esperienza, tra cui il
pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto
di essere stata costretta a contrastare
un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non
compensata, sul piano strettamente economico, dal
rimborso delle spese e degli onorari del procedimento
stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono
il rapporto tra parte e cliente.
2. Non si tratta di riconoscere un
danno in re ipsa, il che sarebbe contrario alla logica
della necessaria individuazione del danno come
danno-conseguenza, bensì di prendere atto, secondo
nozioni di comune esperienza, che il subire iniziative
giudiziarie temerarie o resistenze temerarie a pretesa
giudiziali, comporta, per il fisiologico "scarto" fra la
liquidazione delle spese giudiziali - che obbedisce a
tariffe predeterminate e, per gli onorari, contempla una
discrezionalità del giudice nella liquidazione, sia pure
sulla base di elementi del caso concreto - e quanto
normalmente riconosciuto nel rapporto fra cliente e
difensore, la sicura verificazione a carico della parte
vittoriosa, che pure si veda liquidare le spese
giudiziali, di una perdita economica per il di più che
avrà riconosciuto al difensore.
3. In questa ottica, una volta
riconosciuta la temerarietà della lite - il che in
sostanza deve affermarsi con riferimento alla
motivazione adottata nella sentenza impugnata -, in
mancanza di dimostrazione di concreti e specifici danni
patrimoniali conseguiti al suo svolgimento, è
giustificabile che il giudice, avuto riguardo a tutti
gli elementi della controversia, ed anche alle spese
giudiziali che concretamente competerebbero alla parte
vittoriosa, attribuisca alla parte vittoriosa il
riconoscimento di un danno patrimoniale procedendo alla
sua liquidazione in via equitativa.
4. Riconosciuta la temerarietà
della lite, un danno di natura non patrimoniale sofferto
dalla parte vittoriosa si verifichi sotto il profilo di
una lesione dell'equilibrio psico-fisico, come ha
ritenuto un precedente di questa Corte, affermando che
il danno rilevante ai sensi dell'art. 96 c.p.c., può
desumersi in base a "nozioni di comune esperienza anche
alla stregua del principio, ora costituzionalizzato,
della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.,
comma 2) e della L. n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto),
secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l’id
quod plerumque accidit, ingiustificate condotte
processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di
essere costretti a contrastare una ingiustificata
iniziativa dell'avversario, e, per di più, non
compensata sul piano strettamente economico dal rimborso
delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che
non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano
ex se anche danni di natura psicologica, che per non
essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati
equitativamente sulla base degli elementi in concreto
desumibili dagli atti di causa
Cassazione, sez. VI, 12 ottobre
2011, n. 20995
(Pres. Finocchiaro – Rel. Vivaldi)
Premesso in fatto
È stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
"1. - È chiesta la cassazione
parziale della sentenza emessa dal Tribunale di
Catanzaro in data 2.6.2009 e depositata il 22.10.2009,
con la quale è stato dichiarato inammissibile l'appello
proposto da M.C..F. con il rigetto della domanda di
risarcimento danni per lite temeraria e compensazione
delle spese del giudizio di appello.
Al ricorso si applicano le norme di
cui alla L. 18.6.2009 n. 69, per essere il provvedimento
impugnato depositato successivamente all'entrata in
vigore della indicata normativa (4 luglio 2009).
Con il primo motivo la ricorrente
denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
92 c.p.c.. Violazione e/o falsa applicazione del
combinato disposto degli artt. 132 e 118 disp.att.
c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
Con il secondo motivo denuncia la
violazione e/o falsa applicazione dell'art. 96 c.p.c.
Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto
degli artt. 132 e 118 disp.att. c.p.c., per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il secondo motivo, per la priorità
logica delle censure con lo stesso avanzate, va
esaminato per primo.
Esso è fondato nei termini e per le
ragioni che seguono.
La sentenza impugnata ha rigettato
la domanda di risarcimento danni per lite temeraria per
la mancata prova della "concreta ed effettiva esistenza
di un danno in conseguenza del comportamento processuale
della parte medesima".
A tal fine, deve rilevarsi che
recentemente le Sezioni Unite della Corte hanno
affermato che, ai fini del riconoscimento del danno da
responsabilità aggravata il giudice "può fare
riferimento a nozioni di comune esperienza, tra cui il
pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto
di essere stata costretta a contrastare
un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non
compensata, sul piano strettamente economico, dal
rimborso delle spese e degli onorari del procedimento
stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono
il rapporto tra parte e cliente" (Cass. sez. un. n. 3057
del 2009).
Non si tratta di riconoscere un
danno in re ipsa, il che sarebbe contrario alla logica
della necessaria individuazione del danno come
danno-conseguenza, bensì di prendere atto, secondo
nozioni di comune esperienza, che il subire iniziative
giudiziarie temerarie o resistenze temerarie a pretesa
giudiziali, comporta, per il fisiologico "scarto" fra la
liquidazione delle spese giudiziali - che obbedisce a
tariffe predeterminate e, per gli onorari, contempla una
discrezionalità del giudice nella liquidazione, sia pure
sulla base di elementi del caso concreto - e quanto
normalmente riconosciuto nel rapporto fra cliente e
difensore, la sicura verificazione a carico della parte
vittoriosa, che pure si veda liquidare le spese
giudiziali, di una perdita economica per il di più che
avrà riconosciuto al difensore.
In questa ottica, una volta
riconosciuta la temerarietà della lite - il che in
sostanza deve affermarsi con riferimento alla
motivazione adottata nella sentenza impugnata -, in
mancanza di dimostrazione di concreti e specifici danni
patrimoniali conseguiti al suo svolgimento, è
giustificabile che il giudice, avuto riguardo a tutti
gli elementi della controversia, ed anche alle spese
giudiziali che concretamente competerebbero alla parte
vittoriosa, attribuisca alla parte vittoriosa il
riconoscimento di un danno patrimoniale procedendo alla
sua liquidazione in via equitativa.
Va, poi, considerato che l'art. 96
c.p.c., prevede che debba essere riconosciuto il
risarcimento non del danno, bensì dei danni.
L'ampiezza della formulazione - se
si considera che nel tessuto del Codice Civile, nella
disciplina dell'illecito aquiliano, è presente la
distinzione fra il. danno patrimoniale e quello non
patrimoniale, come definita dalle Sezioni Unite nella
nota sentenza n. 26972 del 2008 giustifica che il
legislatore processuale del Codice del 1940 abbia inteso
consentire anche la liquidazione del danno non
patrimoniale, il che, alla luce degli insegnamenti delle
Sezioni Unite, appare giustificato anche nella
prospettiva che il diritto di azione e di difesa in
giudizio è sicuramente un diritto costituzionale
fondamentale. Risulta, dunque, possibile ritenere che,
riconosciuta la temerarietà della lite, un danno di
natura non patrimoniale sofferto dalla parte vittoriosa
si verifichi sotto il profilo di una lesione
dell'equilibrio psico-fisico, come ha ritenuto un
precedente di questa Corte, affermando che il danno
rilevante ai sensi dell'art. 96 c.p.c., può desumersi in
base a "nozioni di comune esperienza anche alla stregua
del principio, ora costituzionalizzato, della
ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma
2) e della L. n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto), secondo
cui, nella normalità dei casi e secondo l’id quod
plerumque accidit, ingiustificate condotte processuali,
oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere
costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa
dell'avversario, e, per di più, non compensata sul piano
strettamente economico dal rimborso delle spese ed
onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono
il rapporto tra parte e cliente), causano ex se anche
danni di natura psicologica, che per non essere
agevolmente quantificabili, vanno liquidati
equitativamente sulla base degli elementi in concreto
desumibili dagli atti di causa" (Cass. n. 24645 del
2007; v. anche Cass. n. 10606 del 2010).
I principi qui richiamati
giustificano allora l'accoglimento del secondo motivo di
ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con
rinvio al tribunale di Catanzaro, che si conformerà ad
essi e procederà a riconoscere, con opportuno
riferimento alla concretezza del caso, sia il danno
patrimoniale minimale innanzi individuato, sia quello
non patrimoniale.
Con il secondo motivo si denuncia
la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c.
Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto
degli artt. 132 e 118 disp.att. c.p.c., per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo, in sé, è manifestamente
infondato.
La compensazione delle spese del
giudizio di appello, che il giudice del. merito ha
motivato con la "sussistenza di giusti motivi", in
realtà si giustificava con il rigetto della domanda di
risarcimento danni per lite temeraria avanzata
dall'odierna ricorrente per mancata prova dell'esistenza
di un danno risarcibile, emergendo, pertanto, dalla
motivazione complessivamente adottata a fondamento
dell'intera pronuncia.
L'accoglimento del secondo motivo,
tuttavia, determina l'assorbimento del motivo in
discorso, atteso che la Corte di rinvio dovrà rendere
una nuova decisione e, quindi, statuire nuovamente sulle
spese del giudizio di appello.
Il ricorso è, dunque, accolto nei
sensi indicati quanto al secondo motivo.
Il primo motivo resta assorbito".
La relazione è stata comunicata al
pubblico ministero e notificata ai difensori delle
parti.
Non sono state presentate
conclusioni scritte, né alcuna delle parti è stata
ascoltata in camera di consiglio.
Ritenuto in diritto
A seguito della discussione sul
ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio
ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti
nella relazione.
Conclusivamente, deve essere
accolto il secondo motivo, dichiarato assorbito il
primo.
La sentenza va cassata in
relazione, e la causa rinviata al tribunale di Catanzaro
in persona di diverso magistrato.
Le spese vanno rimesse al giudice
del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo
motivo; dichiara assorbito il primo. Cassa in relazione
e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Catanzaro
in persona di diverso magistrato.
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