Francesco Machina Grifeo
Tutela senza confini per la
diffamazione via internet nell’Unione europea. La
vittima di lesioni dei diritti della personalità,
infatti, può rivolgersi direttamente ai giudici dello
Stato in cui risiede per chiedere il completo ristoro
dei danni subiti in tutto il territorio dell’Ue. Se
invece adirà singolarmente i giudici dei vari Stati
membri, ciascuno di essi sarà competente unicamente per
i danni cagionati all’interno del suo paese. Lo ha
stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con
una sentenza di oggi, cause riunite C-509/09 e C-161/10,
relative a due noti casi di cronaca.
I casi di partenza
Il primo riguardava la richiesta,
al proprio giudice naturale, di un uomo, domiciliato in
Germania, e condannato nel 1993 per l’uccisione di un
attore famoso, di intimare ad una società austriaca, che
gestisce un portale internet, di non pubblicare più
notizie che lo riguardano in relazione all’omicidio
riportando il suo nome per intero. Il secondo, invece,
concerne un caso di cronaca rosa. Nel 2008 era apparso
sul sito Internet del quotidiano britannico Sunday
Mirror un articolo dal titolo «Kylie Minogue è di nuovo
con Olivier Martinez», all’interno del quale si
riportavano i dettagli di un loro presunto incontro.
Martinez, e il padre, lamentando violazioni allo loro
vita privata e al diritto all’immagine, hanno agito in
giudizio, in Francia, contro la società inglese editrice
del giornale.
L'eccezione di incompetenza
In entrambi i casi le due società
hanno contestato la competenza territoriale dei
tribunali aditi sulla base del fatto che non
sussisterebbe un collegamento sufficientemente stretto
tra la pubblicazione in rete nel Regno Unito o in
Austria e il presunto danno sul territorio francese o
tedesco.
Con la sentenza di oggi i giudici
di Lussemburgo mettono un tassello importante in una
materia ancora priva di una regolamentazione chiara e
uniforme.
Il ragionamento della Corte
Partendo dalla considerazione che
la pubblicazione di contenuti su Internet si distingue
dalla diffusione a mezzo stampa, in quanto i contenuti
possono essere consultati istantaneamente da un numero
indefinito di internauti, ovunque nel mondo, i giudici
concludono che ciò produce indubitabilmente l’effetto di
accrescere il danno e rendere più difficile individuare
i luoghi dove esso via via si realizzi.
Ragion per cui, siccome l’impatto
sui diritti della personalità di un’informazione messa
in rete può essere valutata meglio dal giudice del luogo
in cui la vittima possiede il proprio centro di
interessi, la Corte ha designato quel giudice come
competente per la totalità dei danni causati sul
territorio dell’intera Unione europea. Specificando
altresì che il centro di interessi corrisponde, in via
generale, alla residenza abituale.
La Corte aggiunge poi che la
vittima può sempre adire i giudici di ciascuno Stato
membro sul cui territorio un’informazione messa in rete
sia accessibile oppure lo sia stata, ma in tal caso essi
saranno competenti solo per il danno causato in quel
paese. Mentre, la persona lesa può anche adire, per la
totalità del danno cagionato, i giudici dello Stato
membro del luogo in cui si è stabilito il soggetto che
ha messo tali contenuti in rete.
La direttiva sul commercio
elettronico
Tuttavia, chiarisce la Corte, il
gestore di un sito Internet, cui si applica la direttiva
sul commercio elettronico, non può essere assoggettato,
nello Stato di residenza della vittima, a prescrizioni
più rigorose di quelle previste dal diritto dello Stato
membro in cui è stabilito.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
25
ottobre 2011 (*)
«Regolamento (CE) n. 44/2001– Competenza giurisdizionale
ed esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale – Competenza “in materia di illeciti civili
dolosi o colposi” – Direttiva 2000/31/CE – Pubblicazione
di informazioni su Internet – Violazione dei diritti
della personalità – Luogo in cui l‟evento
dannoso è avvenuto o può avvenire – Diritto applicabile
ai servizi della società dell‟informazione»
Nei
procedimenti riuniti C-509/09 e C-161/10,
aventi
ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale
proposte alla Corte, ai sensi dell‟art.
267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Germania) (C-509/09) e
dal Tribunal de grande instance de Paris (Francia)
(C-161/10) con decisioni 10 novembre 2009 e 29 marzo
2010, pervenute in cancelleria rispettivamente il 9
dicembre 2009 e il 6 aprile 2010, nelle cause
eDate Advertising GmbH
contro
X
e
Olivier Martinez,
Robert Martinez
contro
MGN
Limited,
LA
CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A.
Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C.
Bonichot, U. Lõhmus e M. Safjan (relatore), presidenti
di sezione, dai sigg. E. Levits, A. Ó Caoimh, L. Bay
Larsen e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all‟udienza
del 14 dicembre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per l‟eDate
Advertising GmbH, dagli avv.ti H. Graupner e M. Dörre,
Rechtsanwälte;
– per
il sig. X, dall‟avv.
A. Stopp, Rechtsanwalt;
– per
la MGN Limited, dall‟avv.
C. Bigot;
– per
il governo tedesco, dal sig. J. Möller e dalla sig.ra J.
Kemper, in qualità di agenti;
– per il governo francese,
dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra B.
Beaupère-Manokha, in qualità di agenti;
– per
il governo danese, dal sig. C. Vang, in qualità di
agente;
– per
il governo ellenico, dalla sig.ra S. Chala, in qualità
di agente;
– per
il governo italiano, dalla sig.ra W. Ferrante, in
qualità di agente;
– per
il governo lussemburghese, dal sig. C. Schiltz, in
qualità di agente;
– per
il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer e dal
sig. E. Riedl, in qualità di agenti;
– per
il governo del Regno Unito, dalla sig.ra F. Penlington,
in qualità di agente, assistita dalla sig.ra J.
Stratford, QC;
– per
la Commissione europea, dal sig. M. Wilderspin, in
qualità di agente,
sentite
le conclusioni dell‟avvocato
generale, presentate all‟udienza
del 29 marzo 2011,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le
domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull‟interpretazione
dell‟art.
5, punto 3, del regolamento (CE) del Consiglio 22
dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l‟esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale (GU
2001, L 12, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»),
nonché dell‟art.
3, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a
taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell‟informazione,
in particolare il commercio elettronico, nel mercato
interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU L
178, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
2 Tali
domande sono state presentate nell‟ambito
di due controversie che vedono contrapposti
rispettivamente, da un lato, il sig. X e l‟eDate
Advertising GmbH (in prosieguo: l‟«eDate
Advertising») e, dall‟altro,
i sigg. Olivier e Robert Martinez e la MGN Limited (in
prosieguo: la «MGN»), in merito alla responsabilità
civile dei predetti convenuti per informazioni e foto
pubblicate su Internet.
Contesto normativo
Il
regolamento
3 L‟undicesimo
„considerando‟
del regolamento così recita :
«Le
norme sulla competenza devono presentare un alto grado
di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio
della competenza del giudice del domicilio del
convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo in
alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la
materia del contendere o l‟autonomia
delle parti giustifichi un diverso criterio di
collegamento. Per le persone giuridiche il domicilio
deve essere definito autonomamente, in modo da aumentare
la trasparenza delle norme comuni ed evitare i conflitti
di competenza».
4 Ai
sensi dell‟art.
2, n. 1, del regolamento, contenuto nel capo II
(«Competenza») di quest‟ultimo,
sezione 1, intitolata «Disposizioni generali»:
«Salve
le disposizioni del presente regolamento, le persone
domiciliate nel territorio di un determinato Stato
membro sono convenute, a prescindere dalla loro
nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro».
5 L‟art. 3, n. 1, del medesimo regolamento così dispone:
«Le
persone domiciliate nel territorio di uno Stato membro
possono essere convenute davanti ai giudici di un altro
Stato membro solo in base alle norme enunciate nelle
sezioni da 2 a 7 del presente capo».
6 Al
capo II, sezione 2, intitolata «Competenze speciali», l‟art.
5, punto 3, è formulato nei seguenti termini :
«La
persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro
può essere convenuta in un altro Stato membro:
(…)
3) in
materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al
giudice del luogo in cui l‟evento
dannoso è avvenuto o può avvenire».
La
direttiva
7 La
quarta frase del ventiduesimo „considerando‟
della direttiva ha il seguente tenore:
«Inoltre, per garantire efficacemente la libera
circolazione dei servizi e la certezza del diritto per i
prestatori e i loro destinatari, questi servizi devono
in linea di principio essere sottoposti alla normativa
dello Stato membro nel quale il prestatore è stabilito».
8 Il
ventitreesimo „considerando‟
della direttiva sancisce quanto segue:
«La
presente direttiva non è volta a introdurre norme
supplementari di diritto internazionale privato sui
conflitti di leggi, né tratta della competenza degli
organi giurisdizionali. Le disposizioni della legge
applicabile in base alle norme del diritto
internazionale privato non limitano la libertà di
fornire servizi della società dell‟informazione come stabilito dalla presente direttiva».
9 Il
venticinquesimo „considerando‟
della direttiva precisa quanto segue:
«Le
giurisdizioni nazionali, anche civili, chiamate a
dirimere controversie di diritto privato possono
adottare provvedimenti per derogare alla libertà di
fornire servizi della società dell‟informazione
conformemente alle condizioni stabilite nella presente
direttiva».
10
Conformemente al suo art. 1, n. 1, la direttiva mira «a
contribuire al buon funzionamento del mercato garantendo
la libera circolazione dei servizi della società dell‟informazione
tra Stati membri».
11 L‟art.
1, n. 4, della direttiva è redatto nei seguenti termini:
«La
presente direttiva non introduce norme supplementari di
diritto internazionale privato, né tratta delle
competenze degli organi giurisdizionali».
12 Ai
termini dell‟art.
2, lett. h), sub i), della direttiva :
«[L]‟ambito
regolamentato riguarda le prescrizioni che il prestatore
deve soddisfare per quanto concerne:
– l‟accesso
all‟attività di servizi della società dell‟informazione,
quali ad esempio le prescrizioni riguardanti le
qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica;
– l‟esercizio
dell‟attività di servizi della società dell‟informazione,
quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il
comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti
del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla
pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del
prestatore».
13 L‟art.
3, nn. 1 e 2, della direttiva così dispone:
«1. Ogni Stato membro
provvede affinché i servizi della società dell‟informazione,
forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio,
rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto
Stato membro nell‟ambito
regolamentato.
2. Gli
Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell‟ambito
regolamentato, limitare la libera circolazione dei
servizi [della] società dell‟informazione
provenienti da un altro Stato membro».
14 L‟art.
3, n. 4, della direttiva precisa le condizioni in
presenza delle quali gli Stati membri possono adottare
provvedimenti in deroga al n. 2, per quanto concerne un
determinato servizio della società dell‟informazione.
Cause principali e questioni pregiudiziali
Causa C-509/09
15 Nel
1993 il sig. X, domiciliato in Germania, è stato
condannato da un giudice tedesco all‟ergastolo,
assieme a suo fratello, per l‟omicidio
di un attore famoso. Nel gennaio 2008, egli è stato
ammesso alla liberazione condizionale.
16 L‟eDate
Advertising, stabilita in Austria, gestisce un portale
Internet accessibile all‟indirizzo
«www.rainbow.at». Nella rubrica «Info-news», sulle
pagine riservate alle notizie meno recenti, fino al 18
giugno 2007 la convenuta ha mantenuto accessibile, ai
fini della sua consultazione, una notizia risalente al
23 agosto 1999, in cui si diceva, citando segnatamente
il sig. X nonché suo fratello, che essi avevano entrambi
presentato un ricorso avverso la loro condanna dinanzi
al Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale
federale) di Karlsruhe (Germania). Oltre ad una breve
descrizione dei fatti commessi nel 1990, veniva citato l‟avvocato incaricato dai due condannati, a detta del quale essi
intendevano provare che, nel corso del processo, molti
dei principali testimoni dell‟accusa non avrebbero dichiarato il vero.
17 Il
sig. X ha ingiunto all‟eDate
Advertising di smettere di riportare una simile notizia
e di assumersi un obbligo di non fare mediante un‟apposita
dichiarazione. L‟eDate
Advertising non ha risposto alla suddetta lettera, ma,
in data 18 giugno 2007, essa ha eliminato dal proprio
sito Internet l‟informazione
contestata.
18 Con
il suo ricorso dinanzi ai giudici tedeschi, il sig. X
chiede all‟eDate
Advertising di non riportare più notizie che lo
concernono, indicando il suo nome per esteso in
relazione all‟atto
commesso. L‟eDate
Advertising ha contestato principalmente la competenza
internazionale dei giudici tedeschi. Poiché il ricorso
ha avuto esito positivo nei due gradi di giudizio
inferiori, la medesima rinnova, dinanzi al
Bundesgerichtshof, le proprie conclusioni volte al
rigetto del ricorso.
19 Il
Bundesgerichtshof rileva che l‟esito di tale ricorso dipende dalla questione se i giudici dei gradi
inferiori abbiano, a giusto titolo, riconosciuto la
propria competenza internazionale per dirimere la
controversia conformemente all‟art.
5, punto 3, del regolamento.
20 Ove
venga accertata la competenza internazionale dei giudici
tedeschi, si porrebbe la questione se sia applicabile il
diritto tedesco o il diritto austriaco. Ciò dipenderebbe
dall‟interpretazione
dell‟art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva.
21 Da
un lato, il principio del paese d‟origine potrebbe costituire un correttivo sul piano del diritto
sostanziale. L‟esito
giuridico sostanziale, previsto dal diritto dichiarato
applicabile in base alle norme di conflitto dello Stato
del foro, verrebbe, nel caso concreto, modificato a
livello contenutistico e ridotto alle prescrizioni meno
rigorose del diritto del paese d‟origine.
Secondo questa interpretazione, il principio del paese d‟origine
non inciderebbe sulle norme nazionali sul conflitto di
leggi dello Stato del foro e – al pari delle libertà
fondamentali enunciate nel Trattato CE – interverrebbe
solo nell‟ambito
di una comparazione concreta, tra costi e benefici, sul
piano del diritto sostanziale.
22 D‟altro
lato, l‟art. 3 della direttiva potrebbe sancire un principio generale in materia
di norme di conflitto che comporti la sola applicazione
del diritto vigente nel paese d‟origine, con esclusione delle norme nazionali sul conflitto di leggi.
23 Il Bundesgerichtshof
evidenzia che, qualora si consideri il principio del
paese d‟origine come un ostacolo all‟applicazione
del diritto sul piano sostanziale, troverebbe
applicazione il diritto internazionale privato tedesco e
occorrerebbe annullare la decisione impugnata e
respingere definitivamente il ricorso, poiché non si
potrebbe riconoscere al ricorrente una pretesa
inibitoria fondata sul diritto tedesco. Per contro, se
si riconosce al principio del paese d‟origine
il carattere di una norma di conflitto, la pretesa
inibitoria del sig. X andrebbe valutata in base al
diritto austriaco.
24 Ciò
premesso, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se,
per l‟ipotesi
di (minacciata) violazione di diritti della personalità
attraverso contenuti di un sito Internet, la locuzione
“luogo in cui l‟evento
dannoso può avvenire” di cui all‟art.
5, punto 3, del regolamento (...) debba essere
interpretata nel senso che
l‟interessato
può esercitare un‟azione inibitoria contro il gestore del sito Internet, indipendentemente
dallo Stato membro di stabilimento del gestore, anche
dinanzi ai giudici di ogni Stato membro in cui il sito
Internet può essere consultato,
oppure
la
competenza dei giudici di uno Stato membro, in cui il
gestore del sito Internet non è stabilito, presuppone
che, oltre alla mera accessibilità tecnica a tale sito,
sussista uno specifico collegamento dei contenuti
controversi o del sito Internet con lo Stato del foro.
2)
Qualora sia richiesto un siffatto collegamento con lo
Stato del foro:
secondo
quali criteri esso vada riscontrato;
se
assume rilievo il fatto che il sito Internet cui si
riferisce l‟azione
inibitoria si rivolga, alla luce delle scelte del
gestore, (anche) agli utenti di Internet nello Stato del
foro, o se sia sufficiente che le informazioni
accessibili sul sito presentino un collegamento
oggettivo con lo Stato del foro, nel senso che, secondo
le circostanze del caso concreto ed in particolare in
base al contenuto del sito controverso, un conflitto tra
interessi contrapposti – l‟interesse
del ricorrente al rispetto dei propri diritti della
personalità e l‟interesse
del gestore ad impostare discrezionalmente il proprio
sito e a fornire informazione – possa essersi verificato
o potrà verificarsi nello Stato del foro;
se, al
fine del riscontro di tale collegamento con lo Stato del
foro, sia determinante il numero di accessi al sito
Internet controverso operati da detto Stato.
3) Ove,
ai fini della sussistenza della competenza
giurisdizionale, non sia necessario alcuno specifico
collegamento con lo Stato del foro oppure tale
collegamento si presuma qualora le informazioni
controverse presentino un collegamento oggettivo con lo
Stato del foro, nel senso che un conflitto tra
contrapposti interessi, alla luce delle circostanze del
caso concreto ed in particolare in base al contenuto del
sito Internet controverso, possa essersi verificato o
potrà verificarsi in detto Stato e la presunzione di
tale collegamento non presupponga il riscontro di un
numero minimo di accessi al sito Internet controverso
dallo Stato del foro:
se l‟art.
3, nn. 1 e 2, della direttiva (...) debba essere
interpretato nel senso che
alle
menzionate disposizioni va attribuito carattere di norme
di conflitto, nel senso che esse, anche nell‟ambito
del diritto civile, prescrivono la sola applicazione del
diritto vigente nel paese d‟origine, con esclusione delle norme di conflitto nazionali,
oppure
tali
disposizioni costituiscono un correttivo rilevante sul
piano giuridico materiale, attraverso il quale l‟esito
giuridico sostanziale del diritto individuato come
applicabile dalle norme di conflitto nazionali viene
modificato a livello contenutistico e ridotto alle
prescrizioni normative dello Stato d‟origine.
Per il
caso in cui i nn. 1 e 2 dell‟art. 3 della direttiva (...) abbiano carattere di norme di conflitto:
se le disposizioni citate
si limitino a prescrivere la sola applicazione del
diritto sostanziale del paese d‟origine
o prescrivano anche l‟applicazione
delle norme di conflitto ivi in vigore, con la
conseguenza che resti possibile il rinvio da parte del
diritto dello Stato di origine al diritto dello Stato
del foro».
Causa C-161/10
25
Dinanzi al Tribunal de grande instance di Parigi, l‟attore
francese Olivier Martinez e suo padre, Robert Martinez,
lamentano violazioni della loro vita privata e del
diritto all‟immagine
di Olivier Martinez, che sarebbero avvenute tramite la
messa in rete, sul sito Internet accessibile all‟indirizzo
«www.sundaymirror.co.uk», di un testo redatto in lingua
inglese, datato 3 febbraio 2008 ed intitolato, secondo
la traduzione francese non contestata, depositata in
udienza, «Kylie Minogue è di nuovo con Olivier
Martinez», unitamente a dettagli relativi al loro
incontro.
26 In
base all‟art.
9 del codice civile francese, il quale dispone che
«ciascuno ha diritto al rispetto della propria vita
privata», è stata intentata un‟azione
contro la società di diritto inglese MGN, editrice del
sito del quotidiano britannico Sunday Mirror.
Tale società eccepisce l‟incompetenza
del Tribunal de grande instance di Parigi per
insussistenza di un collegamento sufficiente tra la
pubblicazione on line controversa e il presunto danno
sul territorio francese, mentre i ricorrenti ritengono
al contrario che un siffatto collegamento non sia
necessario e che, in ogni caso, esso sussista.
27 Il
giudice del rinvio rileva che un evento dannoso, il cui
supporto è costituito dalla rete Internet, può essere
considerato come prodottosi sul territorio di uno Stato
membro soltanto qualora sussista un nesso sufficiente,
sostanziale o significativo, che lo colleghi con detto
territorio.
28 Il
giudice del rinvio ritiene che la soluzione della
questione della competenza del giudice di uno Stato
membro a conoscere di una violazione dei diritti della
personalità commessa sulla rete Internet, a partire da
un sito edito da una persona domiciliata in un altro
Stato membro ed essenzialmente destinato al pubblico di
quest‟altro
Stato, non emerge chiaramente dal tenore letterale degli
artt. 2 e 5, punto 3, del regolamento.
29 In
tale contesto, il Tribunal de grande instance di Parigi
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se gli
artt. 2 e 5, [punto 3,] del regolamento (...) debbano
essere interpretati nel senso che riconoscono la
competenza del giudice di uno Stato membro a decidere in
merito ad un‟azione
per una violazione dei diritti della personalità
commessa mediante la pubblicazione di informazioni e/o
fotografie su un sito Internet edito in un altro Stato
membro da una società stabilita in detto secondo Stato
(oppure in un terzo Stato membro, in ogni caso diverso
dal primo):
– alla
mera condizione che tale sito Internet possa essere
consultato a partire dal primo Stato, oppure
–
solamente qualora tra l‟evento
dannoso e il territorio del primo Stato sussista un
collegamento sufficiente, sostanziale e significativo e,
in questa seconda ipotesi, se il collegamento possa
derivare:
– dalla
quantità di connessioni alla pagina controversa
provenienti dal primo Stato membro, in valore assoluto o
relativo al numero totale di connessioni alla pagina,
– dalla
residenza o dalla nazionalità della persona che lamenta
la violazione dei propri diritti della personalità o,
più in generale, dalla residenza o dalla nazionalità
delle persone interessate,
– dalla
lingua in cui è diffusa l‟informazione controversa o da qualunque altro elemento idoneo a
dimostrare la volontà dell‟editore
del sito Internet di rivolgersi specificamente al
pubblico del primo Stato,
– dal
luogo in cui sono avvenuti i fatti lamentati e/o dove
sono state effettuate le riprese fotografiche
eventualmente pubblicate in linea,
– da altri criteri».
30 Con
ordinanza 29 ottobre 2010, il presidente della Corte di
giustizia ha deciso, ai sensi dell‟art.
43 del regolamento di procedura della Corte, di riunire
i procedimenti C-509/09 e C-161/10 ai fini della
trattazione orale e della sentenza.
Sulla ricevibilità
31 Il
governo italiano considera che le questioni poste nel
procedimento C-509/09 devono essere dichiarate
irricevibili per difetto di rilevanza nella causa
principale. L‟azione
inibitoria costituirebbe uno strumento giurisdizionale d‟urgenza
e presupporrebbe quindi l‟attualità
del comportamento dannoso. Dall‟esposizione
dei fatti di causa risulterebbe, nondimeno, che la
condotta assunta come lesiva non era più attuale al
momento della proposizione della domanda inibitoria, in
quanto il gestore del sito aveva già eliminato la
notizia controversa prima dell‟inizio del giudizio.
32 A
tal riguardo occorre rammentare che, secondo costante
giurisprudenza, nell‟ambito
di un procedimento ex art. 267 TFUE, spetta soltanto al
giudice nazionale, cui è stata sottoposta la
controversia e che deve assumersi la responsabilità dell‟emananda
decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle
particolari circostanze della causa, sia la necessità di
una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di
emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle
questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se
le questioni sollevate riguardano l‟interpretazione
del diritto dell‟Unione,
la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi
(v. sentenza 17 febbraio 2011, causa C-52/09,
TeliaSonera Sverige, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).
33 Il
rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un
giudice nazionale è, infatti, possibile soltanto qualora
appaia in modo manifesto che l‟interpretazione
del diritto dell‟Unione
richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva
o l‟oggetto
della causa principale, in particolare qualora la
questione sia di tipo ipotetico (v. sentenza TeliaSonera
Sverige, cit., punto 16).
34
Orbene, non sembra che, nella causa principale, l‟azione
inibitoria sia divenuta priva di oggetto per il fatto
che il gestore del sito avesse già rimosso la notizia
controversa prima dell‟inizio del procedimento. Infatti, come ricordato al punto 18 della
presente sentenza, l‟azione
inibitoria ha avuto esito favorevole nei due gradi di
giudizio inferiori.
35 Ad
ogni modo, la Corte ha già statuito che, alla luce del
suo tenore letterale, l‟art.
5, punto 3, del regolamento non presuppone la
sussistenza attuale di un danno (v., in tal senso,
sentenza 1° ottobre 2002, causa C-167/00, Henkel, Racc.
pag. I-8111, punti 48 e 49). Ne consegue che rientra
nell‟ambito
di applicazione di tale disposizione un‟azione
diretta ad impedire che si riproduca un comportamento
considerato illecito.
36
Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve
essere considerata ricevibile.
Sulle questioni pregiudiziali
Sull’interpretazione dell’art. 5, punto 3, del
regolamento
37 Con
le sue prime due questioni nel procedimento C-509/09 e
con la sua questione unica nel procedimento C-161/10,
che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del
rinvio chiedono sostanzialmente alla Corte come debba
essere interpretata la locuzione «luogo in cui l‟evento
dannoso è avvenuto o può avvenire», di cui all‟art.
5, punto 3, del regolamento, in caso di asserita lesione
di diritti della personalità attraverso contenuti messi
in rete su un sito Internet.
38 Per
risolvere dette questioni occorre ricordare che, da un
lato, secondo una costante giurisprudenza, le
disposizioni del regolamento vanno interpretate in modo
autonomo, alla luce del loro sistema generale e delle
loro finalità (v., in particolare, sentenza 16 luglio
2009, causa C-189/08, Zuid-Chemie, Racc. pag. I-6917,
punto 17 e giurisprudenza ivi citata).
39 D‟altro lato, poiché il regolamento ha sostituito, nei rapporti tra Stati
membri, la Convenzione 27 settembre 1968 concernente la
competenza giurisdizionale e l‟esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale (GU
1972, L 299, pag. 32), come modificata dalle successive
convenzioni relative all‟adesione
dei nuovi Stati membri a tale Convenzione (in prosieguo:
la «Convenzione di Bruxelles»), l‟interpretazione
fornita dalla Corte con riferimento alle disposizioni di
tale Convenzione vale anche per quelle del citato
regolamento, quando le disposizioni di tali atti
comunitari possono essere qualificate come equivalenti
(sentenza Zuid-Chemie, cit., punto 18).
40
Secondo costante giurisprudenza, la norma sulla
competenza speciale enunciata all‟art.
5, punto 3, del regolamento, in deroga al principio
della competenza dei giudici del domicilio del
convenuto, trova il suo fondamento nell‟esistenza
di un collegamento particolarmente stretto tra una data
controversia e i giudici del luogo in cui l‟evento
dannoso è avvenuto, che giustifica un‟attribuzione
di competenza a questi ultimi giudici ai fini della
buona amministrazione della giustizia e dell‟economia
processuale (v. sentenza Zuid-Chemie, cit., punto 24 e
giurisprudenza ivi citata).
41 Va
altresì ricordato che la locuzione «luogo in cui l‟evento
dannoso è avvenuto» si riferisce sia al luogo del fatto
generatore del danno sia a quello in cui il danno si è
concretato. Questi due luoghi possono costituire un
significativo collegamento dal punto di vista della
competenza giurisdizionale, dato che ciascuno di essi
può, a seconda della circostanze, fornire un‟indicazione
particolarmente utile dal punto di vista della prova e
dello svolgimento del processo (sentenza 7 marzo 1995,
causa C-68/93, Shevill e a., Racc. pag. I-415, punti 20
e 21).
42 Per
quanto riguarda l‟applicazione
di questi due criteri di collegamento ad azioni dirette
al risarcimento di un danno immateriale asseritamente
causato da una pubblicazione diffamatoria, la Corte ha
considerato che, in caso di diffamazione mediante un
articolo di stampa diffuso in più Stati contraenti, la
vittima può esperire nei confronti dell‟editore
un‟azione di risarcimento sia dinanzi ai giudici dello Stato contraente del
luogo ove è stabilito l‟editore
della pubblicazione diffamatoria, i quali sono
competenti a pronunciarsi sul risarcimento dei danni
derivanti dalla diffamazione nella loro integralità, sia
dinanzi ai giudici di ciascuno Stato contraente in cui
la pubblicazione è stata diffusa e in cui la vittima
assume aver subìto una lesione della sua reputazione, i
quali sono competenti a conoscere dei soli danni
cagionati nello Stato del giudice adito (sentenza
Shevill e a., cit., punto 33).
43 A
tal riguardo, la Corte ha parimenti precisato che,
nonostante gli inconvenienti derivanti dalla limitazione
della competenza dei giudici dello Stato di diffusione
ai soli danni cagionati nello Stato del foro, l‟attore
ha pur sempre la facoltà di esperire l‟azione
nel suo complesso dinanzi al giudice sia del domicilio
del convenuto, sia del luogo dove è stabilito l‟editore
della pubblicazione diffamatoria (sentenza Shevill e a.,
cit., punto 32).
44 Come
evidenziato dall‟avvocato
generale al paragrafo 39 delle sue conclusioni, tali
considerazioni possono essere applicate anche ad altri
mezzi e supporti di comunicazione e possono coprire un‟ampia
gamma di violazioni dei diritti della personalità
conosciute dai vari ordinamenti giuridici, come quelle
lamentate dai ricorrenti nella causa principale.
45
Tuttavia, come rilevato tanto dai giudici del rinvio
quanto dalla maggioranza delle parti e degli interessati
che hanno presentato osservazioni alla Corte, la messa
in rete di contenuti su un sito Internet si distingue
dalla diffusione circoscritta territorialmente di un
mezzo di comunicazione quale una stampa, giacché, in via
di principio, essa mira all‟ubiquità di detti contenuti. Questi possono essere consultati
istantaneamente da un numero indefinito di internauti,
ovunque al mondo, indipendentemente da qualsiasi
intenzione del loro emittente in ordine alla loro
consultazione al di là del proprio Stato membro di
stabilimento e al di fuori del proprio controllo.
46
Sembra dunque che Internet riduca l‟utilità del criterio inerente alla diffusione, poiché la portata della
diffusione di contenuti messi in rete, in linea di
principio, è universale. Inoltre, sul piano tecnico è
tuttora impossibile quantificare tale diffusione con
certezza ed attendibilità rispetto ad un determinato
Stato membro e, di conseguenza, valutare il danno
causato esclusivamente in tale Stato membro.
47 Le
difficoltà di attuazione, nel contesto di Internet, di
detto criterio della concretizzazione del danno, sancito
nella citata sentenza Shevill e a., contrastano, come
rilevato dall‟avvocato
generale al paragrafo 56 delle sue conclusioni, con la
gravità della lesione che può subire il titolare del
diritto della personalità, il quale constata che un‟informazione lesiva di suddetto diritto è disponibile in qualunque parte
del mondo.
48 I criteri di
collegamento ricordati al punto 42 della presente
sentenza vanno quindi adeguati nel senso che la vittima
di una lesione di un diritto della personalità per mezzo
di Internet può adire un foro, a seconda del luogo di
concretizzazione del danno cagionato da detta lesione
nell‟Unione
europea, per la totalità di tale danno. Poiché l‟impatto,
sui diritti della personalità di un soggetto, di un‟informazione
messa in rete può essere valutata meglio dal giudice del
luogo in cui la presunta vittima possiede il proprio
centro di interessi, l‟attribuzione
di competenza a tale giudice corrisponde all‟obiettivo
di una buona amministrazione della giustizia, ricordato
al punto 40 della presente sentenza.
49 Il
luogo in cui una persona ha il proprio centro di
interessi corrisponde, in via generale, alla sua
residenza abituale. Tuttavia, una persona può avere il
proprio centro di interessi anche in uno Stato membro in
cui non risiede abitualmente, ove altri indizi, quali l‟esercizio
di un‟attività
professionale, possano dimostrare l‟esistenza
di un collegamento particolarmente stretto con tale
Stato.
50 La
competenza del giudice del luogo in cui la presunta
vittima ha il proprio centro di interessi è conforme all‟obiettivo della prevedibilità delle norme sulla competenza (v. sentenza
12 maggio 2011, causa C-144/10, BVG, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 33) anche nei confronti
del convenuto, poiché chi emette l‟informazione
lesiva, al momento della messa in rete della stessa, è
in condizione di conoscere i centri d‟interessi
delle persone che ne formano oggetto. Occorre dunque
considerare che il criterio del centro d‟interessi
consente, al contempo, all‟attore
di individuare agevolmente il giudice al quale può
rivolgersi e al convenuto di prevedere ragionevolmente
dinanzi a quale giudice può essere citato (v. sentenza
23 aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung e
Rabitsch, Racc. pag. I-3327, punto 22 e giurisprudenza
ivi citata).
51
Peraltro, in luogo di un‟azione
di risarcimento per la totalità del danno, il criterio
della concretizzazione del danno, sancito nella citata
sentenza Shevill e a., conferisce competenza ai giudici
di ciascuno Stato membro sul cui territorio un‟informazione
messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata.
Questi sono competenti a conoscere del solo danno
causato sul territorio dello Stato membro del giudice
adito.
52 Di
conseguenza, le prime due questioni nel procedimento
C-509/09 e la questione unica nel procedimento C-161/10
vanno risolte dichiarando che l‟art.
5, punto 3, del regolamento deve essere interpretato nel
senso che, in caso di asserita violazione dei diritti
della personalità per mezzo di contenuti messi in rete
su un sito Internet, la persona che si ritiene lesa ha
la facoltà di esperire un‟azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o dinanzi ai
giudici dello Stato membro del luogo di stabilimento del
soggetto che ha emesso tali contenuti, o dinanzi ai
giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio
centro d‟interessi.
In luogo di un‟azione
di risarcimento per la totalità del danno cagionato,
tale persona può altresì esperire un‟azione
dinanzi ai giudici di ogni Stato membro sul cui
territorio un‟informazione
messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata.
Questi ultimi sono competenti a conoscere del solo danno
cagionato sul territorio dello Stato membro del giudice
adito.
Sull’interpretazione dell’art. 3 della direttiva
53 Con
la sua terza questione nel procedimento C-509/09, il
Bundesgerichtshof intende sapere se le disposizioni di
cui all‟art.
3, nn. 1 e 2, della direttiva abbiano carattere di norme
di conflitto, nel senso che esse prescrivono anche in
materia civile l‟applicazione
esclusiva, per i servizi della società dell‟informazione,
del diritto in vigore nel paese d‟origine
con esclusione della norme nazionali sul conflitto di
leggi, oppure se esse costituiscano un correttivo al
diritto dichiarato applicabile secondo le norme
nazionali sul conflitto di leggi, per modificarne il
contenuto conformemente alle prescrizioni del paese d‟origine.
54 Si
devono analizzare tali disposizioni tenendo conto non
soltanto della lettera delle stesse, ma anche del loro
contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui
esse fanno parte (v. sentenze 19 settembre 2000, causa
C-156/98, Germania/Commissione, Racc. pag. I-6857, punto
50; 7 dicembre 2006, causa C-306/05, SGAE, Racc. pag.
I-11519, punto 34, nonché 7 ottobre 2010, causa
C-162/09, Lassal, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 49).
55 In
tal senso, il dispositivo di un atto dell‟Unione
è indissociabile dalla sua motivazione e deve essere
pertanto interpretato, se necessario, tenendo conto dei
motivi che hanno portato alla sua adozione (sentenze 29
aprile 2004, causa C-298/00 P, Italia/Commissione, Racc.
pag. I-4087, punto 97 e giurisprudenza ivi citata,
nonché Lassal, cit., punto 50).
56 La direttiva, adottata
in base agli artt. 47, n. 2, CE, 55 CE e 95 CE, ai sensi
del suo art. 1, n. 1, mira a contribuire al buon
funzionamento del mercato interno garantendo la libera
circolazione dei servizi della società dell‟informazione
tra gli Stati membri. Il suo quinto „considerando‟
elenca, quali ostacoli giuridici al buon funzionamento
del mercato interno in tale settore, le divergenze tra
le normative nazionali, nonché l‟incertezza
sul diritto nazionale applicabile a tali servizi.
57
Orbene, per la maggior parte degli aspetti del commercio
elettronico, la direttiva non prevede un‟armonizzazione
delle norme sostanziali, bensì definisce un «ambito
regolamentato», in cui il meccanismo previsto dall‟art.
3 deve consentire, secondo il ventiduesimo „considerando‟
della direttiva in parola, di sottoporre, Error! Not
a valid link.i servizi della società dell‟informazione
alla normativa dello Stato membro in cui è stabilito il
prestatore.
58 A
tal riguardo va rilevato, da una parte, che la normativa
dello Stato membro di stabilimento del prestatore
comprende l‟ambito
del diritto civile, il che emerge, in particolare, dal
venticinquesimo „considerando‟
della direttiva, nonché dalla circostanza che l‟allegato
di quest‟ultima elenca i diritti e gli obblighi di natura civilistica ai quali non
si applica il meccanismo di cui all‟art.
3. D‟altra
parte, l‟applicazione del medesimo alla responsabilità dei prestatori è
espressamente prevista dall‟art.
2, lett. h), sub i), secondo trattino, della direttiva.
59 La
lettura dell‟art.
3, nn. 1 e 2, della direttiva, alla luce delle
disposizioni e degli obiettivi summenzionati, dimostra
che il meccanismo delineato dalla direttiva dispone,
anche in diritto civile, l‟osservanza
delle prescrizioni del diritto sostanziale vigente nel
paese di stabilimento del prestatore. Invero, in
mancanza di disposizioni vincolanti di armonizzazione,
adottate a livello dell‟Unione,
soltanto il riconoscimento del carattere vincolante
della normativa nazionale, al quale il legislatore ha
deciso di sottoporre i prestatori e i lori servizi, può
garantire la piena efficacia della libera prestazione
dei medesimi servizi. L‟art. 3, n. 4, della direttiva può corroborare siffatta lettura in quanto
precisa le condizioni alle quali gli Stati membri
possono derogare al n. 2 dell‟articolo
in parola, condizioni da considerarsi esaustive.
60
Orbene, l‟interpretazione
dell‟art. 3 della direttiva deve anche tenere conto del suo art. 1, n. 4,
secondo cui essa non introduce norme supplementari di
diritto internazionale privato relative al conflitto di
leggi.
61 A
tal riguardo va rilevato, da un lato, che un‟interpretazione
della norma relativa al mercato interno, di cui all‟art.
3, n. 1, della direttiva, nel senso che essa conduce all‟applicazione
del diritto sostanziale vigente nello Stato membro di
stabilimento, non determina la sua qualificazione come
norma di diritto internazionale privato. Infatti, tale
paragrafo impone principalmente agli Stati membri l‟obbligo
di provvedere affinché i servizi della società dell‟informazione,
forniti da un prestatore stabilito sul loro territorio,
rispettino le disposizioni nazionali applicabili in tali
Stati membri, rientranti nell‟ambito
regolamentato. L‟imposizione
di un obbligo siffatto non presenta le caratteristiche
di una norma di conflitto, destinata a dirimere un
conflitto specifico tra più diritti applicabili.
62 D‟altra
parte, l‟art. 3, n. 2, della direttiva contiene un divieto per gli Stati membri di
limitare, per motivi che rientrano nell‟ambito
regolamentato, la libera circolazione dei servizi della
società dell‟informazione
provenienti da un altro Stato membro. Per contro, dall‟art.
1, n. 4, della direttiva, letto alla luce del
ventitreesimo „considerando‟
della medesima, emerge che, in linea di principio, gli
Stati membri ospitanti sono liberi di designare, in base
al loro diritto internazionale privato, le norme
sostanziali applicabili, purché non ne derivi una
restrizione della libera prestazione dei servizi del
commercio elettronico.
63 Ne
consegue che l‟art.
3, n. 2, della direttiva non impone un recepimento in
forma di norme specifiche di conflitto di leggi.
64
Occorre tuttavia interpretare le disposizioni di cui all‟art.
3, nn. 1 e 2, della direttiva in modo da garantire che l‟approccio coordinativo prescelto dal legislatore dell‟Unione
consenta effettivamente di assicurare la libera
circolazione dei servizi della società dell‟informazione
tra gli Stati membri.
65 A
tale proposito va ricordato che la Corte ha già statuito
che le disposizioni imperative di una direttiva,
necessarie per la realizzazione degli obiettivi del
mercato interno, devono potersi applicare anche
nonostante una scelta legislativa diversa (v., in tal
senso, sentenze 9 novembre
2000, causa C-381/98,
Ingmar, Racc. pag. I-9305, punto 25, nonché 23 marzo
2006, causa C-465/04, Honyvem Informazioni Commerciali,
Racc. pag. I-2879, punto 23).
66
Orbene, per quanto riguarda il meccanismo di cui all‟art.
3 della direttiva, occorre considerare che la
sottoposizione dei servizi del commercio elettronico
alla normativa dello Stato membro di stabilimento dei
rispettivi prestatori, in forza dell‟art.
3, n. 1, non consentirebbe di garantire pienamente la
libera circolazione di tali servizi qualora, in
definitiva, i prestatori dovessero rispettare, nello
Stato membro ospitante, prescrizioni più rigorose di
quelle loro applicabili nel proprio Stato membro di
stabilimento.
67 Ne
consegue che, fatte salve le deroghe autorizzate secondo
le condizioni di cui al suddetto art. 3, n. 4, l‟art.
3 della direttiva osta a che il prestatore di un
servizio del commercio elettronico sia soggetto a
prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto
sostanziale in vigore nello Stato membro di stabilimento
di tale prestatore.
68 Alla
luce di quanto precede, la terza questione nel
procedimento C-509/09 deve essere risolta dichiarando
che l‟art. 3 della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non
impone un recepimento in forma di norma specifica di
conflitto. Nondimeno, per quanto attiene all‟ambito
regolamentato, gli Stati membri devono assicurare che,
fatte salve le deroghe autorizzate alle condizioni
previste dall‟art. 3, n. 4, della direttiva, il prestatore di un servizio del commercio
elettronico non sia assoggettato a prescrizioni più
rigorose di quelle previste dal diritto sostanziale
applicabile nello Stato membro di stabilimento di tale
prestatore.
Sulle spese
69 Nei
confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi
al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle
spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo
a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)
L’art. 5, punto 3, del regolamento (CE) del Consiglio 22
dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale, deve essere
interpretato nel senso che, in caso di asserita
violazione dei diritti della personalità per mezzo di
contenuti messi in rete su un sito Internet, la persona
che si ritiene lesa ha la facoltà di esperire un’azione
di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o
dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di
stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti,
o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova
il proprio centro d’interessi. In luogo di un’azione di
risarcimento per la totalità del danno cagionato, tale
persona può altresì esperire un’azione dinanzi ai
giudici di ogni Stato membro sul cui territorio
un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo
sia stata. Questi ultimi sono competenti a conoscere del
solo danno cagionato sul territorio dello Stato membro
del giudice adito.
2)
L’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni
aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno («direttiva sul
commercio elettronico»), deve essere interpretato nel
senso che esso non impone un recepimento in forma di
norma specifica di conflitto. Nondimeno, per quanto
attiene all’ambito regolamentato, gli Stati membri
devono assicurare che, fatte salve le deroghe
autorizzate alle condizioni previste dall’art. 3, n. 4,
della direttiva 2000/31, il prestatore di un servizio
del commercio elettronico non sia assoggettato a
prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto
sostanziale applicabile nello Stato membro di
stabilimento di tale prestatore.
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