Se la determinazione dell’esatto ammontare del credito
per prestazioni di patrocinio legale viene rimessa al
giudice, la costituzione in mora può aversi unicamente
dalla domanda giudiziale: questo rappresenta il dies a
quo dal quale decorrono gli interessi legali, e non
quindi dalla notifica della parcella al cliente. Questo
il dictum della Corte di Cassazione espresso con la
sentenza 10 ottobre 2011, n. 20806.
Un avvocato ottenne dal Tribunale un decreto ingiuntivo
avverso un soggetto titolare di una ditta individuale,
per il pagamento del corrispettivo del patrocinio
prestato nell’ambito di un giudizio svoltosi in due
gradi. L’ingiunto propone opposizione che trova il
proprio epilogo con una sentenza dove i motivi
dell’opposizione sono riconosciuti parzialmente fondati.
In seguito la Corte di Appello statuisce che gli
interessi legali sulla somma dovuta a titolo di parcella
professionale devono essere corrisposti a far data dalla
spedizione della parcella al cliente. Lo stesso Collegio
giudica inoltre equiparabile, ad un formale atto di
messa in mora, la spedizione della parcella al cliente.
Pertanto detto cliente propone ricorso per cassazione.
La difesa del cliente sostiene che la pronunzia
impugnata ha considerato liquido ed esigibile il credito
per prestazioni d’opera sulla base della redazione della
parcella spedita al cliente e per aver pertanto
considerato siffatto adempimento come atto di messa in
mora, non prendendo in considerazione l’incertezza del
quantum dovuto della parcella, redatta sulla base delle
tariffe professionali.
Gli ermellini affermano che, nonostante non venga
richiesta espressamente la liquidità del credito
dall’istituto della messa in mora, perché sia
configurabile un colpevole ritardo nel pagamento del
debito occorre che sussista una “sufficiente certezza”
del suo importo. Nel caso in cui la determinazione del
credito venga affidata al giudice, solo dalla
liquidazione operata da questi può aversi un valido atto
di costituzione in mora. Pertanto, qualora la
determinazione dell’ammontare di un’obbligazione venga
rimessa alla sede giudiziale, per la costituzione in
mora del debitore occorre la domanda, quale, in ipotesi,
la notifica del decreto ingiuntivo emesso dal giudice su
istanza del professionista.
La Corte rileva infine che quando un giudizio ha per
oggetto la determinazione del credito per prestazioni
professionali, nell’ambito del quale al giudice si
chiede di determinare anche se la pretesa dell’avvocato
sia "congrua", appare confermata l’importanza, nel
circoscrivere il “quantum debeatur”, di tale
liquidazione giudiziale, essendo demandato al giudice di
statuire in merito alla rilevanza della materia
controversa al fine di individuare lo scaglione
tariffario utilizzabile e, nell’ambito di un minimo ed
un massimo, dare rilievo ad “elementi non obiettivamente
ponderabili al momento della spedizione della parcella,
quali l’importanza dei risultati conseguiti, il pregio
dell’opera professionale e le difficoltà incontrate
nell’espletamento dell’incarico”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE
Sentenza 7 luglio – 10 ottobre 2011, n. 20806
(Presidente Oddo – Relatore Bianchini)
Svolgimento del processo
L’avvocato S.N. chiese ed ottenne dal Presidente del
Tribunale di Bari che si ingiungesse a C.P., in proprio
e quale legale rappresentante della Perilli SMR Impianti
spa di pagare varie somme a titolo di corrispettivo
dell'opera professionale prestata nell'ambito di un
giudizio - prima innanzi al Tar della Puglia, indi in
grado di appello (relativamente all'impugnazione di un
provvedimento cautelare) al Consiglio di Stato - in cui
esso ricorrente aveva patrocinato l'impresa individuale
del P., impugnando un provvedimento di aggiudicazione di
una gara di un appalto al quale lo stesso aveva
partecipato. La richiesta ingiuntiva era stata estesa
alla società in quanto cessionaria dell'azienda
dell'impresa P.
Il P. nella sua duplice qualità propose opposizione
contestando la determinazione di valore del procedimento
al fine dell'identificazione dello scaglione tariffario
applicabile nonché la conseguente quantificazione nei
limiti massimi. Il N. si costituì contrastando
l'opposizione.
L'adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 221/2004,
riconobbe in parte fondali i motivi dell'opposizione e,
revocando il decreto d'ingiunzione, condannò le parti
opponenti al pagamento in solido di Euro 27.236,28 oltre
interessi legali dalla pubblicazione della sentenza
nonché la sola società a versare Euro 14.308,86 oltre
accessori. La Corte di Appello di Bari, decidendo
sull'impugnazione principale del P. e della società,
nonché sull'appello incidentale del N. , respinse la
prima ed accolse in parte il secondo, giudicando che gli
interessi legali sulla somma dovuta a titolo di
corrispettivo dovessero essere corrisposti a far data
dalla spedizione della parcella al cliente ; compensò
per metà le spese dei due gradi e pose il residuo a
carico delle parti appellanti principali.
La Corte distrettuale pervenne a tale decisione
giudicando che il Tribunale avesse correttamente
liquidato il compenso, applicando i coefficienti massimi
per le cause di valore sino ad un miliardo di lire;
ritenne in particolare giustificata la determinazione
nel massimo tariffario per la complessità della causa e
per la qualità dell'attività difensiva del legale;
giudicò altresì dovuta la maggiorazione del 20% per la
presenza - nel giudizio amministrativo - di un contro
interessato (la società aggiudicataria dell'appalto)
oltre la originaria controparte (il Comune di Adelfia,
che aveva proceduto all'aggiudicazione, poi annullata),
come pure legittima la richiesta delle spese sostenute
dal legale per la trasferta a Roma per discutere la
causa innanzi al giudice amministrativo e per ottenere
il parere di congruità da allegare alla richiesta di
ingiunzione. Giudicò infine equiparabile ad un formale
atto di messa in mora la spedizione della parcella al
cliente. Contro tale decisione il P. e la sua società
hanno proposto ricorso per cassazione, articolandolo in
11 (essendo indicato due volte il motivo n. 5) motivi,
depositando altresì memoria, cui ha resistito il N. con
controricorso.
Motivi della decisione
È stata depositata, prima della discussione orale,
memoria con allegata copia dell'estratto della sentenza
dichiarativa del fallimento della spa Perilli SMK
Impianti, al fine di far dichiarare l'interruzione del
giudizio; la richiesta non è accoglibile in quanto il
procedimento di legittimità è presidiato dall'impulso
ufficioso e quindi ad esso non si applicano le cause di
interruzione tipiche del giudizio di merito (cfr. ex
multis: Cass. 23.294/2004; Cass. S.U. 17295/2003),
essendo ininfluente che vi sia stata o meno la
declaratoria dell'evento in udienza da parte del
procuratore del soggetto colpito dall'evento estintivo (cfr.
sul punto: Cass. 14.385/2007) come pure che - come nella
fattispecie - il fallimento sia stato dichiarato dopo
l'entrata in vigore della modifica dell'art. 43 legge
fall. per effetto dell'art. 41 del d.lgs. 9 gennaio
2006, n. 5 - che statuisce che "l'apertura del
fallimento determina l’interruzione del processo" -
(vedi in proposito: Cass. 21.153/2010).
1 — Con il primo motivo viene denunziata la violazione e
falsa applicazione dell'art. 6, comma V, del D.M.
585/1994 : sostengono le parti ricorrenti che la Corte
di Appello avrebbe travisato la decisione del Tribunale
laddove il primo giudice, pur identificando la causa
come rientrante in quelle di valore indeterminato,
avrebbe in concreto computato il valore di un miliardo,
in quanto ritenuto il massimo per siffatto "scaglione"
ma non avrebbe affermato, come invece opinato dalla
Corte territoriale, che si trattasse di causa di
straordinaria importanza ; considerando altresì che
l'art. 6, comma V, della tariffa, rinviava alla 'Tabella
A par. VI lett. M della stessa e che quest'ultima
disciplinava gli onorari massimi per le cause di valore
indeterminabile con riferimento a quelli previsti per le
cause di valore compreso tra 100 e 200 milioni di lire,
la Corte di Appello non avrebbe statuito, con
motivazione sufficientemente argomentata, quale fosse il
valore massimo - ai fini della liquidazione degli
onorari - delle cause di valore indeterminato.
1/a - La Corte di Appello sarebbe incorsa anche nel
vizio di ultrapetizione, discettando di ordinarietà e
straordinarietà della causa di valore indeterminato
senza che la relativa problematica fosse stata
affrontata nel precedente grado di giudizio.
2 - Il motivo non merita accoglimento.
2/a — Non è innanzitutto fondata la censura di
ultrapetizione in quanto rientra nel potere-dovere del
giudice di riscontrare i presupposti per l'accoglimento
della domanda: nella fattispecie, controvertendosi sulla
applicazione della "finca" tariffaria da applicare e sul
valore interpretativo da attribuire alla disposizione di
cui all’art. 6, comma V della tariffa, appare
logicamente ineccepibile che la Corte d'appello abbia
proceduto innanzi tutto all'interpretazione delle
doglianze contenute nell'impugnazione, con riferimento
al dettato di quella norma che si riteneva violata; ciò
oltretutto appariva essenziale in quanto il percorso
argomentativo del motivo di appello involgeva non solo
l'art. 6, comma V ma anche il significato da attribuire
al rinvio in esso contenuto, alla Tabella A par VI lett.
M che appunto parlava di cause di particolare
importanza.
2/b - Ancor meno condivisibile, sempre nella prospettiva
della violazione dell'art. 112 cpc, è la pretesa
intangibilità dell'attribuzione, da parte del Tribunale,
del valore indeterminato ma di non particolare
importanza da attribuire alla controversia: invero la
censura è inammissibile in quanto non viene riportato il
contenuto della statuizione del giudice di primo grado,
che dovrebbe aver formato il medium comparationis
di quella della Corte di Appello; dalla lettura della
sentenza del giudice di secondo grado appare invece che
la doglianza - per quello che qui interessa - che alla
prima pronunzia venne mossa dagli attuali ricorrenti
sarebbe stata solo quella di aver applicato i
coefficienti massimi alle cause di valore
indeterminabile e non già quella di aver ritenuto che,
nell'ambito di tale valore, dovesse rinvenirsi quello di
particolare importanza.
3 — Il nucleo centrale del motivo involge
l'interpretazione da dare al rapporto tra l'art. 6.
comma V del D.M. 585/1994 ed il paragrafo VI lett. M
della tabella allegato A alla tariffa.
3/a - Ciò posto il primo elemento valutativo è quello
derivante dalla impossibilità di utilizzare, nella
determinazione del valore, i criteri stabiliti dal
codice di rito, atteso che l'art. 6 comma III, prevede
espressamente che non siano in valutazione, nel
contenzioso innanzi al giudice amministrativo, diritti
soggettivi ( "negli altri casi") e in tale ipotesi
(comma IV) — applicabile alla fattispecie, ove, come
meglio più oltre si andrà a specificare, si faceva
questione solo della caducazione del provvedimento
amministrativo- afferma che devono valutarsi gli
interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti;
qualora neppure in questo caso si pervenga ad una sicura
quantificazione del valore della res controversa,
allora questo dovrà considerarsi "non suscettibile di
determinazione" e, quindi, si applicheranno gli onorari
minimi previsti per le cause da oltre lire 50 milioni a
lire 100 milioni e gli onorari massimi previsti per le
cause di valore fino ad un miliardo. Il richiamo
inserito in detto comma, alla tabella A (par VI) ha un
significato se lo si colleghi alla lettera M di tale
paragrafo che stabilisce che per le cause di valore
indeterminabile gli onorari minimi sono quelli previsti
per le cause di valore da 10 sino a 50 milioni mentre
quelli massimi saranno quelli previsti per le cause di
valore superiore a 100 milioni fino a 200 milioni.
3/b - A fini interpretativi - stante la non particolare
chiarezza del richiamo contenuto dell'art. 6 in esame -
va attribuito rilievo determinante alla relazione
ministeriale al D.M. 127/2004 di approvazione della
tariffa immediatamente successiva a quella oggetto del
D.M. 585/1994, che, nell'illustrare le modifiche
introdotte alla precedente disposizione tariffaria, ha
avuto cura di evidenziare che "nelle previgenti tariffe
erano previsti criteri diversi per le cause civili ed
amministrative. In particolare, per le cause civili di
valore indeterminabile e di particolare importanti, il
criterio di riferimento non era univoco; infatti il par
VI alla lettera m) prevedeva che per gli onorari di..."
così evidenziando che il richiamo alla tabella A par. VI
riguardava le cause civili e non quelle amministrative,
meno suscettibili di una precisa valutazione quanto a
valore.
3/c - Posta la questione in quest'ottica interpretativa
appare evidente che neppure si sarebbe dovuto porre il
problema della compatibilità tra i due criteri (quello
desumibile dall'art. 6, comma V e quello ricavabile dal
richiamo alla tab. A par. VI), dovendosi applicare -
come deciso dalla Corte territoriale - solo la prima
delle due norme regolamentari, per effetto della quale
il valore della causa indeterminabile comportava, nel
massimo, la liquidazione degli onorari stabiliti per le
cause sino ad un miliardo di lire.
4 — Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e
falsa applicazione dell'art. 6 D.M. 585/1994, commi III
e IV — rispetto ai quali il successivo comma V
assumerebbe valore residuale-, nonché difetto di
motivazione, sostenendosi che la Corte barese si sarebbe
sottratta dall'obbligo di motivare sulla ricorrenza o
meno dei parametri -esclusivi per la difesa della parte
in procedimenti amministrativi- relativi agli interessi
involti nella controversia e sostanzialmente perseguiti
dalle parti, tenuto altresì conto dell'interesse
sostanziale - anche sotto il profilo del risarcimento
del danno - che riceve tutela dalla sentenza
amministrativa.
5 - con il terzo motivo i ricorrenti nuovamente
censurano l'interpretazione dell'art. 6, comma V del
D.M. 585/1994, ritenendo che la Corte distrettuale fosse
giunta alla – ritenuta - quadruplicazione dell'onorario
massimo, omettendo di considerare - e quindi di motivare
sul punto - che per i giudizi amministrativi si sarebbe
dovuto tener conto degli effetti di qualunque natura che
possono sortire dalla declaratoria di illegittimità
dell'atto amministrativo : evidenziano in merito che, se
pure era vero che il valore dell'appalto poi annullato
era di 800 milioni di lire, tuttavia qualora la gara
fosse stata aggiudicata alla società ricorrente, il
vantaggio che essa avrebbe potuto trarre da ciò sarebbe
stato rappresentato dal risarcimento del danno da
rapportare alla perdita di chances pari all’usuale utile
di impresa aggirantesi sul 10% dell'intero importo e
quindi, di nuovo, anche in questa diversa prospettiva,
la causa non avrebbe potuto qualificarsi di
"straordinaria importanza".
4-5/a - I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente
per la loro stretta connessione logica, non sono fondati
atteso che - da quanto esposto nella narrativa di fatto
della sentenza di appello - il giudizio, dapprima
articolatosi nella fase cautelare, quindi in quella di
appello al provvedimento di sospensiva, e indi nella
fase del merito innanzi al TAR, non prevedeva oltre alla
caducazione del provvedimento di aggiudicazione, anche
il riconoscimento di un risarcimento del danno ; ne
consegue che tale elemento non poteva influire sulla
determinazione del valore della controversia.
6 — Con il quarto motivo viene nuovamente lamentata la
violazione dell'art. 6 comma V del D.M. citato, nonché
l'illogicità e carenza della motivazione, a cagione del
fatto che la Corte di Appello non avrebbe correttamente
valutato sia il fatto che la richiesta di liquidazione
al Consiglio dell'Ordine era stata da quest'ultimo
grandemente ridotta sia, per altro verso, che la
pubblicazione della sentenza su riviste - parametro
quest'ultimo utilizzato per ritenere di straordinaria
importanza la causa in sé - non sarebbe derivato
dall'acutezza della difesa del N. ma dalla pregevole
disamina dell'estensore dei provvedimenti
giurisdizionali.
6 - Il morivo è inammissibile — per violazione del
canone dell'autosufficienza del ricorso, non avendo
curato le parti ricorrenti di riportare il tenore delle
difese del N. , al fine di rapportarvi il giudizio che
giudicano sommario, circa il pregio particolare che le
stesse (non) avrebbero rivestito.
7 — Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano che la
Corte barese sarebbe altresì incorsa nel travisamento
del fatto assumendo, al fine di valutare la congruità
dell'onorario riconosciuto dal primo giudice, che il
Tribunale avesse liquidato Euro 27.236,20 oltre
interessi legali, mentre dalla lettura della sentenza di
primo grado emergeva chiaramente che la condanna
ammontava ad Euro 41.500,00, così falsando il
presupposto stesso del giudizio valutativo espresso; a
ciò si sarebbe aggiunto l'ulteriore errore di percezione
dell'effettivo andamento del procedimento di primo
grado, laddove la Corte territoriale aveva affermato che
il Tribunale avrebbe valutato la causa di valore
compreso tra 1 e 3 miliardi, mentre il primo giudice
avrebbe solo rilevato che la causa sarebbe stata di
valore indeterminabile.
7/a — Anche la surriferita censura è inammissibile a
causa del mancato riferimento ai passi della sentenza di
primo grado — ed ai motivi di appello - relativi alla
valutazione del valore della causa che non consente di
delibare la critica inerente alla ritenuta
qualificazione del valore; è poi infondata per il resto
dal momento che al valore di Euro 41.500,00 (arrotondato
per difetto rispetto a quello di Euro 41.545,14) si
perviene sommando il valore di Euro 27.236,28 oggetto di
condanna solidale delle due parti - società e P. in
proprio - e quello di Euro 14.308,86 - a carico della
sola società (v. fol. 2 della sentenza di appello, con
valori espressi in lire).
8 — Con il sesto motivo — anche se indicato nuovamente
come quinto - i ricorrenti lamentano che il giudice
dell'appello sarebbe incorso in un errore nel ritenere
applicabile la fattispecie dell'art. 5, comma IV della
tariffa in esame, computando come parte ulteriore la
controinteressata nel giudizio amministrativo anche in
grado di appello (alla ordinanza di sospensiva innanzi
al Consiglio di Stato) mentre in realtà la società in
questione - la srl Vital Casa - non vi aveva
partecipato; con ulteriore articolazione del medesimo
motivo sostengono le parti ricorrenti che tale
maggiorazione non sarebbe stata applicabile neppure al
giudizio di primo grado in quanto la norma che l'aveva
preceduta - art. 5 del precedente D.M. 392/1990 - era
stata dichiarata illegittima — con decisione valevole
erga omnes stante la natura di atto normativo generale
del D.M. di approvazione delle tariffe professionali-
con sentenza n. 170/1996 del TAR del Lazio e in quanto
la modifica successivamente introdotta con la tariffa
approvata con D.M. 584/1994 non la prevedeva più.
8/a - Il motivo è fondato sia pure con le precisazioni
che seguono Va innanzi tutto precisato che il richiamo
all'art. 5 D.M. 392/1990 non è idoneo a stabilire una
cesura - con effetti logicamente confermativi della tesi
dei ricorrenti - tra la tariffa approvata con tale
decreto ministeriale e quella approvata nel 1994, atteso
che in entrambi i casi la maggiorazione spettava
espressamente solo nel caso di più soggetti difesi dal
medesimo professionista e non già nel caso di difesa
contro più parti: a tal proposito va sottolineato che la
pronunzia di questa Corte — Cass. 10.805/1993 -
richiamata dalla relazione ministeriale al D.M. 127/2004
(che per la prima volta ha introdotto espressamente il
principio della facoltà del giudice di liquidare la
maggiorazione di cui si discute anche in presenza di
difesa contro più parti), a sostegno della immanenza
nell'ordinamento di siffatto principio, rimase isolata
sino alla citata modificazione tariffaria; in secondo
luogo l'annullamento operato dal TAR con la sentenza n.
170/1996 riguardava solo la mancata parametrazione
dell'aumento percentuale anche all'importanza dell'opera
svolta, indicazione invece introdotta con la nuova
formulazione dell'art. 5 ad opera del D.M. 585/1994.
8/b — La sentenza va dunque cassata con l'eliminazione
della maggiorazione della quale si controverte.
9 — Con il settimo motivo (numerato come sesto) viene
denunziato un error in procedendo ed in
judicando nonché difetto di "comprensibile
motivazione" per aver il giudice dell'Appello
riconosciuto le spese di trasferta nonostante che già il
Tribunale le avesse giudicate non dovute: il motivo è
inammissibile in quanto non viene riportata la
originaria liquidazione operata dal Tribunale, rendendo
impossibile un nuovo scrutinio da parte di questa Corte.
11 — Con l'ottavo motivo (indicato come settimo) le
parti ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione delle tariffe professionali, adducendo che
la Corte distrettuale avrebbe riconosciuto come dovute
le spese di liquidazione della parcella al momento del
rilascio del parere di congruità al Consiglio
dell'Ordine, così immotivatamente ponendo a carico di
essi ricorrenti le conseguenze di una iniziativa di
controparte da considerarsi non legittima — come avrebbe
provato il fatto che il Consiglio avrebbe notevolmente
ridotto la richiesta originariamente avanzata dal N. .
11/a — Il motivo è fondato in quanto la Corte intende
aderire a quell'indirizzo interpretativo che, in materia
di ripartizione dell'onere delle spese in generale (e
quindi con precipuo riferimento alla parte soccombente)
e per quelle richieste dal difensore al proprio cliente,
valorizza il principio di causalità (trascurato invece
da Cass. 10.876/1999 citata dal contro ricorrente) per
il quale vanno addossate (al soccombente e al) cliente
le sole spese che siano state rese necessarie per la
realizzazione del credito del difensore: nel caso di
specie il contro ricorrente, per resistere efficacemente
alla censura avversaria, avrebbe dovuto allegare prima,
e dimostrare poi: che le richieste al Consiglio
dell'Ordine superassero i massimi tariffati; che le
stesse fossero state attestate come legittime
dall'Organo professionale e che fossero state
riconosciute dal Giudice (cfr. sul punto Cass.
839/1986); in caso contrario la tassa pagata al
Consiglio dell'Ordine, non ponendosi come logico
presupposto per far valere il credito nei termini poi
riconosciuti dal giudice del merito, non poteva essere
addebitata al cliente.
12- La sentenza va dunque cassata nel capo in cui ha
riconosciuto a carico dei ricorrenti anche detti
esborsi, e statuendo nel merito, la relativa "voce” va
eliminata.
13 — Con il nono motivo (indicato come ottavo) viene
fatta valere la falsa applicazione dell'art. 1224 II
comma, cod. civ., per aver la Corte distrettuale
ritenuto "liquido" il credito per prestazioni d'opera in
forza della semplice redazione della parcella, poi
spedita ai clienti, e, su questo presupposto, per aver
riconosciuto gli interessi legali da quel momento,
ritenendo l'invio della notula quale rituale atto di
messa in mora, non considerando quindi l’incertezza del
quantum debeatur sino al momento della pronunzia
giudiziale.
14 - Il motivo è parzialmente fondato.
14/a - Va innanzi tutto messo in evidenza che, se pure
parte dell'attività giudiziale del N. si esplicò prima
dell'approvazione della tariffa ad opera del D.M.
585/1994 — a quanto si ricava dalla narrativa del
ricorso : segnatamente a fol. 2 del medesimo - la stessa
doveva essere disciplinata da quella tariffa in quanto
il termine dell'attività defensionale si collocò
successivamente all'entrata in vigore della stessa, così
determinando, per gli onorari, la identificazione della
tariffa applicabile ratione temporis (cfr. Cass.
11.736/1998; Cass. 2566/1997; Cass. 4413/1980): ciò
comporta che non poteva invocarsi, neppure a fini
interpretativi, la disposizione contenuta nell'allegato
2 del D.M. 24/11/1990 n. 392 approvante la Tariffa
dell'Ordine forense in materia civile, penale e
stragiudiziale -immediatamente precedente a quella
approvata con D.M. 585/1994- che stabiliva espressamente
che "trascorsi tre mesi dall'invio della parcella o dal
preavviso di parcella senza che gli importi esposti
siano stati contestati nella congruità, in caso di
mancato pagamento si applica, oltre all'interesse di
mora al tasso legale, la rivalutazione monetaria così
come stabilito nella legge 533/1973" disposizione questa
che, se pure disciplinante un caso di presunzione di
maggior danno in un'obbligazione sin dall'inizio
pecuniaria, partiva comunque dal presupposto che l'invio
della parcella o del preavviso della medesima -senza
contestazioni da parte del cliente - rendesse per ciò
stesso accertato il credito e quindi produttivo di danni
l'inadempimento successivo, a' sensi dell'art. 1224, II
comma cod. civ..
14/b - In secondo luogo, sebbene la mora non presupponga
necessariamente la liquidità del credito - non essendo
stato riprodotto, nella sua assolutezza, nel nostro
ordinamento il principio, tipico del diritto romano,
secondo il quale "in illiquidis non fit mora" -,
è pur sempre necessario, affinché sia configurarle
colpevole ritardo nel pagamento del debito, che sussista
una sufficiente certezza del suo ammontare: ne consegue
che, quando la determinazione dell'esatto valore di
un'obbligazione pecuniaria sia rimessa al giudice, in
termini di controllo della quantificazione
unilateralmente effettuata dal creditore, la
costituzione in mora può aversi, di regola, solo con la
domanda giudiziale, con l'atto cioè che rende attuale
l'esercizio di quel potere da parte del medesimo giudice
(cfr Cass. 4561/1993).
14/c - Posti tali principi generali, va allora affermato
che nel caso di un giudizio avente ad oggetto la
determinazione del credito per prestazioni
professionali, nell'ambito del quale al giudice, in
presenza di una contestazione non meramente pretestuosa
del cliente, si chiede di determinare non solo se la
pretesa del difensore si sia mantenuta entro i limiti
della tariffa ma anche se la medesima sia "congrua",
appare confermata l'essenzialità (in termini di
delimitazione del quantum debeatur) di tale
liquidazione giudiziale, essendo demandato al giudice di
valutare la rilevanza della materia controversa al fine
di determinare lo "scaglione" tariffario applicabile e,
nell'ambito di un minimo ed un massimo, dare rilevanza -
con provvedimento discrezionale (eppertanto
insindacabile se sorretto da corretta e congrua
motivazione) - ad elementi non obiettivamente
ponderabili al momento della spedizione della parcella,
quali l'importanza dei risultati conseguiti, il pregio
dell'opera professionale e le difficoltà incontrate
nell'espletamento dell'incarico.
14/d — Va ulteriormente aggiunto che, nell'ipotesi di
emissione di decreto ingiuntivo su notule professionali,
quest'ultimo contiene già una liquidazione del credito
stesso, all'esito della delibazione — provvisoria ma
tendenzialmente idonea a divenire definitiva in caso di
mancanza di opposizione - della documentazione offerta
dal ricorrente: ne consegue che la notifica del decreto
stesso riveste la funzione di domanda giudiziale e
costituisce, per le ragioni più sopra illustrate, primo
atto di rituale messa in mora.
14/e - Conferma l'assunto anche l'osservazione che le
pronunzie di legittimità che collegano la decorrenza
degli interessi di mora alla pronunzia giudiziale (Cass.
2431/2011; Cass. 11777/2005; Cass. 5240/1999; Cass.
5004/1993; Cass. 13586/1991, Cass. 3995/1988) si
riferiscono al particolare giudizio di cui all'art. 28
della L. 794/1942, - che peraltro non sarebbe
applicabile direttamente alla fattispecie, ove si verte
in materia di compensi per attività professionali in
giudizi amministrativi - che non contempla una fase a
contraddittorio differito quale quella del giudizio
monitorio ordinario, confermando quindi la centralità
dell'accertamento giudiziale ai fini dell'insorgere
degli effetti della mora e della decorrenza degli
interessi.
14/f - La soluzione teste esposta permette altresì di
evitare il paventato effetto distorsivo in cui
incorrerebbe il creditore di prestazioni professionali
nel caso in cui gli interessi legali dovessero decorrere
dalla data dell'accertamento giudiziale - in base
all'assunto che potrebbe rimanere assoggettato, per un
tempo non prevedibile, agli effetti di una condotta
ingiustificatamente procrastinatoria del proprio
debitore.
14/g — La sentenza va dunque cassata in ordine al
suesposto motivo e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti, va statuito nel merito che la decorrenza
degli interessi va posta al momento della notifica del
decreto d'ingiunzione da considerarsi primo atto di
messa in mora.
15 - Con il decimo motivo (indicato come nono) viene
lamentata la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in
materia di determinazione delle spese di lite a carico
della parte soccombente, assumendo che non vi sarebbero
stati i presupposti per la disposta compensazione (in
ragione della metà) bensì per la completa vittoria a
favore dei deducenti.
15/a - Il motivo e infondato rientrando nel potere
discrezionale del giudice disporre la parziale
compensazione, giustificata nella fattispecie dalla
parziale riduzione del credito.
16 — Con l'undicesimo motivo (indicato come decimo) si
assume la violazione dell'art. 85 (successivamente 81)
del Trattato istitutivo della Comunità Europea qualora
si interpretassero le norme disciplinanti le tariffe
professionali in modo tale da consentire una
liquidazione delle stesse in maniera del tutto
sproporzionata al valore della tariffa.
16/a Il motivo è infondato sia perché espresso con
formulazione ipotetica e comunque generica, sia anche
perché non sussistono le condizioni per il negativo
raffronto presupposto dalla censura (liquidazione
sproporzionata).
17 — La disputabilità delle soluzioni interpretative
oggetto di contenzioso ed il parziale accoglimento del
ricorso fanno ritenere sussistenti giustificati motivi
per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Rigetta il primo, il secondo, il terzo, il decimo e
l’undicesimo motivo; dichiara inammissibili il quarto,
il quinto ed il settimo motivo; accoglie il sesto,
l'ottavo ed il nono motivo, cassando l'impugnata
decisione relativamente ai motivi accolti e, decidendo
nel merito, elimina dalla liquidazione in favore
dell'avv. N.S. la maggiorazione del 20% e le spese di
richiesta parere; fissa la decorrenza degli interessi
legali dalla data della notifica del decreto ingiuntivo.
Compensa le spese.
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