di Alessandro Galimberti
Le intercettazioni telefoniche e
ambientali restano a utilizzo processuale ampio, almeno
fino a nuovo ordine del legislatore. Proprio mentre la
maggioranza torna a ipotizzare una stretta sull'impiego
del mezzo di prova più dibattuto degli ultimi cinque
anni, la Cassazione (Sesta penale, sentenza 34375/11
depositata il 26 settembre) ribadisce la piena
utilizzabilità delle trascrizioni autorizzate per
un'ipotesi di reato ma che, nel loro svolgimento,
svelano un'ulteriore notizia criminis. Secondo i
giudici, non è necessario che il "nuovo" reato
intercettato sia tra quelli autorizzabili (in sostanza,
con pena edittale superiore ai 5 anni) purché ci sia un
collegamento «soggettivo e oggettivo» con la persona che
si sta già ascoltando grazie al decreto del Gip.
La questione della estensibilità
dell'autorizzazione era stata sollevata nell'ambito di
un processo per forniture di materiale e strumentazione
sanitaria in varie aziende sanitarie e ospedali della
Lombardia, dove all'ipotesi d'indagine iniziale per
corruzione si era aggiunta in corso d'opera anche la
turbativa d'asta. Nel dibattimento la difesa aveva
eccepito l'inutilizzabilità delle intercettazioni sul
secondo reato, perché prive di autorizzazione del Gip
che, tra l'altro, neppure avrebbe potuto essere concessa
per mancanza del requisito della pena edittale minima.
La Cassazione però, confermando un
orientamento consolidato, ha ribadito che «quando
l'intercettazione è già ritualmente autorizzata
nell'ambito di un procedimento, i suoi esiti possono
essere utilizzati anche per i reati diversi ma
soggettivamente e oggettivamente connessi o collegati,
che siano emersi dalla stessa attività di
intercettazione, anche quando il loro titolo o il loro
trattamento sanzionatorio non avrebbero consentito un
autonomo provvedimento autorizzativo (sentenze 39761/1;
794/96)».
Del resto, osserva l'estensore, una
soluzione diversa – che cioè neghi l'utilizzabilità per
i reati meno gravi scoperti durante l'ascolto –
urterebbe contro una lettura sistematica delle norme
processuali sui mezzi di prova. L'articolo 266 del
Codice di procedura penale («Limiti di ammissibilità
delle intercettazioni») «non disciplina espressamente
l'ipotesi di concorso dei reati nel medesimo
procedimento» per escludere l'utilizzabilità delle
captazioni eseguite per reati diversi; pertanto, secondo
la Sesta penale, l'espressione «(autorizzazione
consentita, ndr) nei procedimenti relativi ai seguenti
reati» deve essere interpretata «nel senso della
sufficienza della presenza di uno dei reati di cui
all'articolo 266 cpp all'interno del procedimento».
Perché, aggiunge la Corte, «sarebbe paradossale dover
invece pervenire alla conclusione che l'articolo 266 del
cpp disciplini solo i casi in cui il singolo
procedimento tratta uno solo, o più, dei reati che
espressamente indica».
Tanto più che la norma che regola
l'utilizzabilità delle intercettazioni (l'articolo 270
del Codice di procedura) richiede parametri diversi,
cioè «l'indispensabilità per l'accertamento del reato e
che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio
l'arresto in flagranza», criterio «certamente non
sovrapponibile né coincidente con la clausola generale
dell'articolo 266 del codice». |