Se l’intercettazione è autorizzata,
è possibile usare, nello stesso procedimento e per lo
stesso imputato, anche le notizie che riguardano un
reato diverso da quello per cui si procede e per il
quale l’ “ascolto” non è invece previsto. La Corte di
cassazione con la sentenza 34735 chiarisce i limiti
dell’utilizzo delle informazioni carpite con
l’intercettazione che riguardano un crimine diverso da
quello per cui lo strumento è stato disposto.
Le condizioni che legittimano l’uso
- Le sole condizioni poste riguardano l’utilizzo delle
notizie nello stesso procedimento, il collegamento o la
connessione dei reati imputabili allo stesso indagato. A
rendere possibile l’ampliamento dell’indagine – spiega
la Corte – è la regolarità dell’autorizzazione di
partenza disposta per uno dei delitti contemplati
dall’articolo 266 del codice di procedura penale (nel
caso specifico si trattava di reati contro la pubblica
amministrazione) che contiene un elenco tassativo dei
casi in cui può essere disposta l’intercettazione.
L’articolo interessato, nel caso le notizie fossero
invece destinate alla trattazione di procedimenti
diversi, sarebbe il 270. In tal caso il codice di rito
consente l’uso dei dati solo quando si tratta di reati
per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.
Quando scatta la tutela della
riservatezza - L’”ombrello” dell’autorizzazione unito
alla condizione di unico procedimento e unico soggetto,
sia pure imputato per fatti distinti ma connessi e
collegati, fa sì che sia limitato anche il diritto alla
privacy. La necessità di bilanciare “l’inderogabile
esigenza di prevenire e reprimere reati e quella di
inviolabilità e segretezza delle comunicazioni”,
affermata dalla Corte costituzionale con la sentenza
81/1993, assume un aspetto diverso solo se
nell’intercettazione emerge un fatto autonomo
riguardante un terzo estraneo.
La prescrizione per l’ex ministro
Sirchia - La Corte ha respinto dunque il ricorso teso a
far dichiarare l’inutilizzabilità di parte delle
intercettazioni disposte nell’ambito dell’inchiesta
sulle tangenti pagate nei reparti di ematologia di
diversi ospedali italiani in cui sono stati coinvolti
l’amministratore delegato della Haemonetics Italia e il
direttore commerciale della stessa società. Tra i
ricorrenti anche l’ex ministro tecnico della Sanità nel
secondo governo Berlusconi Girolamo Sirchia, condannato
a 5 mesi di reclusione per il reato, prescritto, di
corruzione e turbativa d’asta. A lui la Cassazione ha
riconosciuto i benefici di legge per l’esiguità della
condanna negati in secondo grado, ma ha negato
l’assoluzione nel merito.
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