Il centro di interessi di una
società coincide con il luogo dove si trovano gli organi
direttivi e di controllo della stessa. E, dunque, è lì
che si radica la competenza giurisdizionale. Mentre non
basta la presenza di immobili o attivi in un altro Stato
per superare una simile presunzione. Lo ha stabilito la
Corte di giustizia della comunità europea, sentenza del
20 ottobre 2011, causa C-396/09, esprimendo una diversa
linea rispetto alla Corte di cassazione italiana,
secondo cui, all’opposto, tale presunzione poteva essere
superata in ragione di varie circostanze, fra cui la
presenza, in Italia, di beni immobili appartenenti alla
società, l’esistenza di un contratto di affitto relativo
a due complessi alberghieri e di un contratto stipulato
con un istituto bancario, nonché l’omessa comunicazione
al registro delle imprese di Bari del trasferimento. I
giudici di Lussemburgo hanno anche chiarito che il
diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia
vincolato alle valutazioni svolte da un giudice di grado
superiore, qualora non siano conformi al diritto
dell’Unione, come interpretato dalla Corte.
I fatti
Il caso era quello di una società,
la Interedil Srl, con sede a Monopoli, in provincia di
Bari, che il 18 luglio 2001 aveva trasferito la propria
sede statutaria a Londra e, dunque, si era cancellata
dal registro delle imprese italiano. Contestualmente al
trasferimento era stata acquisita dal gruppo britannico
Canopus e quindi cancellata anche dal registro delle
imprese del Regno Unito in data 22 luglio 2002.
Il 28 ottobre 2003, però, Banca
Intesa aveva chiesto al Tribunale di Bari il fallimento
di Interedil che ne ha contestato la giurisdizione,
chiedendo una statuizione preliminare della Cassazione.
Tuttavia, il 24 maggio 2004 il Tribunale di Bari ha
dichiarato comunque il fallimento senza attendere la
decisione, poi risultata favorevole alla giurisdizione
italiana, della Cassazione. Successivamente, però,
sempre il Tribunale di Bari, in funzione di giudice
d'appello, nutrendo dei dubbi sulla pronuncia della
Suprema corte si è rivolto ai giudici europei.
La motivazione della Corte
La Corte di giustizia, in primis,
ha stabilito che “Il diritto dell’Unione osta a che un
giudice nazionale sia vincolato da una norma di
procedura nazionale ai sensi della quale egli deve
attenersi alle valutazioni svolte da un giudice
nazionale di grado superiore, qualora risulti che le
valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non
sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato
dalla Corte”.
E la nozione di «centro degli
interessi principali» del debitore (articolo 3, n. 1,
del regolamento n. 1346/2000) deve essere interpretata,
conformemente al diritto dell’Unione, nel senso che:
“Laddove il luogo dell’amministrazione principale di una
società non si trovi presso la sua sede statutaria, la
presenza di attivi sociali nonché l’esistenza di
contratti relativi alla loro gestione finanziaria in uno
Stato membro diverso da quello della sede statutaria di
tale società possono essere considerate elementi
sufficienti a superare tale presunzione solo a
condizione che una valutazione globale di tutti gli
elementi rilevanti consenta di stabilire che, in maniera
riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di
direzione e di controllo della società stessa, nonché
della gestione dei suoi interessi, è situato in tale
altro Stato membro”. E, dunque, “Nel caso di un
trasferimento della sede statutaria di una società
debitrice prima della proposizione di una domanda di
apertura di una procedura di insolvenza, si presume che
il centro degli interessi principali di tale società si
trovi presso la nuova sede statutaria della medesima”.
Mentre la nozione di «dipendenza»
va declinata nel senso che essa richiede “la presenza di
una struttura implicante un minimo di organizzazione e
una certa stabilità ai fini dell’esercizio di
un’attività economica. La mera presenza di singoli beni
o di conti bancari non corrisponde, in linea di
principio, a tale definizione”.
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