È inammissibile il ricorso per
cassazione proposto contro la sanzione disciplinare
comminata all'avvocato che si risolve nella richiesta di
una revisione da parte del giudice di legittimità degli
accertamenti in punto di fatto e delle valutazioni delle
risultanze processuali operate dal Consiglio nazionale
forense. Lo ha precisato la Corte di Cassazione
(sentenza n. 21584 depositata il 19 ottobre 2011) che ha
rigettato il ricorso di un avvocato contro un
provvedimento del CNF. Secondo la ricostruzione della
vicenda che emerge dalla lettura della sentenza di
legittimità, in parziale riforma della decisione del
Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Milano (che
aveva condannato l'avvocato a due mesi di sospensione
della professione), il Consiglio Nazionale Forense lo
condannava alla più mite sanzione della censura,
confermando invece la decisione del COA della
cancellazione dall'elenco dei difensori d'ufficio.
L'Avvocato in sostanza, in qualità di difensore
d'ufficio in un processo penale, mancava di partecipare
a due udienze dibattimentali consecutive, nonostante ne
avesse ricevuto la regolare notifica e senza, peraltro,
incaricare un sostituto processuale. Su ricorso per
cassazione proposto dall'avvocato, che chiedeva una
revisione da parte del giudice di legittimità degli
accertamenti in punto di fatto e delle valutazioni delle
risultanze processuali operate dal Consiglio Nazionale
Forense, la Corte ha dichiarato il ricorso
inammissibile, confermando sostanzialmente la decisione
del CNF e spiegando che "le decisioni del Consiglio
nazionale forense in materia disciplinare sono
impugnabili dinanzi alle Sezioni unite della Corte di
cassazione, ai sensi dell'art. 56, terzo comma, del
r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, per
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge,
nonché, ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione,
per vizio di motivazione: tale vizio, peraltro, deve
tradursi in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti
su punti decisivi, dedotti dalle parti o rilevabili
d'ufficio, sicché risultano inammissibili le doglianze
con cui il ricorrente intenda far accertare in sede di
legittimità i presupposti integranti una situazione di
necessità, scriminante, in presenza della quale il
medesimo non avrebbe potuto non tenere il comportamento
censurato dall'organo disciplinare, risolvendosi in
accertamenti in punto di fatto e valutazioni delle
risultanze processuali che non possono essere oggetto di
controllo in sede di legittimità" (Cass. S.U. 4 febbrio
2009, n. 2637). La Corte ha poi concluso precisando che
"nel caso di specie, peraltro, non sussiste la lamentata
carenza di motivazione, in quanto la decisione impugnata
evidenzia che la condotta censurata è "provata
documentalmente".
(Fonte: StudioCataldi.it) |