Sabina Anna Rita Galluzzo (Guida al
Diritto)
In materia di filiazione naturale,
come in materia di filiazione legittima, prioritario è
l’affidamento condiviso dei figli e l’applicazione del
principio di bigenitorialità. In assenza pertanto di un
provvedimento giudiziale che disponga diversamente il
figlio naturale è affidato ad entrambi i genitori anche
qualora i due non convivano e persino qualora non
abbiano mai convissuto. Questo il principio espresso
dalla Cassazione, con la sentenza 10265/2011, che
considera implicitamente abrogato dalla legge
sull’affido condiviso l’articolo 317-bis del codice
civile
La vicenda
La vicenda si inserisce nel quadro
dell’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44
legge 184/1983 lett. b) ossia l’adozione richiesta dal
coniuge del genitore del minore. Un uomo ricorreva al
Tribunale per i minorenni al fine di adottare la figlia
della moglie, nata da una relazione extraconiugale, di
cui il ricorrente affermava di essersi da sempre
occupato. Il padre naturale peraltro si opponeva
all'accoglimento della domanda lamentando di non aver
potuto svolgere la sua funzione genitoriale a causa del
comportamento della madre, che sempre aveva ostacolato i
suoi incontri con la bambina. La domanda veniva, in
prime cure, accolta in quanto i giudici ritenevano
l’adozione corrispondente all'interesse della minore.
L'opposizione del padre naturale, non veniva reputata
rilevante in quanto l’uomo non conviveva con la figlia e
non esercitava pertanto la potestà genitoriale sulla
stessa.
Il provvedimento veniva peraltro
riformato in appello in quanto la corte territoriale
attribuiva decisiva rilevanza al diniego di consenso al
riguardo manifestato dal padre naturale della minore,
sulla base della considerazione secondo cui, in forza
delle modifiche di cui alla legge 56/2006, lo stesso,
pur non avendo mai convissuto con la bambina, non aveva
perso l’esercizio della potestà genitoriale. Il suo
diniego pertanto precludeva l’adozione. La sentenza
viene confermata ed integrata dalla Cassazione.
L’adozione in casi particolari
Risulta in primis necessario
soffermarsi sull’istituto dell’adozione in casi
particolari detto anche adozione non legittimante a
causa degli effetti che ne scaturiscono, ben diversi da
quelli dell’adozione legittimante. L’adottato mantiene
infatti lo status di figlio naturale o legittimo che ha
riguardo ai genitori biologici ed a questo aggiunge
quello di figlio adottivo. Conserva inalterati i
diritti e i doveri rispetto alla famiglia d'origine,
della quale mantiene il cognome, cui antepone quello del
genitore adottivo. Non sorgono inoltre legami di
parentela rispetto ai parenti dell'adottante. Riguardo
poi ai diritti successori, questi sorgono solamente in
favore dell'adottato e nei confronti dell'adottante.
L'adottante dal canto suo acquista la potestà
genitoriale sul minore, e di conseguenza assume
l'obbligo di mantenerlo, educarlo e istruirlo.
Si tratta di un tipo di adozione,
soprattutto per il caso che interessa in questa sede,
finalizzato ad inserire il minore in un rapporto
familiare non esclusivo, allo scopo di garantirgli
l'adeguata assistenza morale e materiale. L’adozione in
casi particolari è infatti principalmente volta a
consentire al minore di restare nel proprio ambito
familiare, nonché a privilegiare un solido rapporto
affettivo che si sia maturato nel tempo.
A tale finalità la novella del 2001
ha aggiunto una funzione solidaristica introducendo il
caso del minore handicappato (lett. c).
Il caso delle famiglie ricomposte
L’ipotesi propria del caso in
esame, quella di cui alla lettera b), è quella che più
frequentemente si riscontra nella prassi a causa
dell’aumento delle crisi delle famiglie coniugate o di
fatto. Sono sempre più numerosi infatti i nuclei
familiari, le c.d. famiglie ricomposte, formati da un
uomo e una donna, con precedenti unioni alle spalle.
In nome dell'unità familiare, in
questi casi l’ordinamento italiano consente di adottare,
in presenza di determinate condizioni, il figlio
minorenne del coniuge. La situazione di fatto che si
viene a creare con il secondo matrimonio, quando il
figlio è minore di età, può così essere formalizzata
dando vita tra il figlio e il nuovo coniuge del genitore
ad un legame giuridico accanto a quello quotidiano di
convivenza.
La ratio di quest’ipotesi (lett.
b), come affermato dalla giurisprudenza, è dunque quella
di consentire “al coniuge di un soggetto che sia
genitore convivente con il minore un’adozione non
legittimante dello stesso, inserendolo in una famiglia
nella quale si ricostituiscono le due figure
genitoriali, una delle quali è già genitore (legittimo,
naturale o adottivo), mentre l'altra, l'adottante, lo
diventa a seguito dell'accoglimento della relativa
domanda” (Corte Costituzionale sentenza 20 luglio 2007
n. 315). Tale forma di adozione viene pertanto concepita
in considerazione della finalità di attribuire
all'adottante la potestà genitoriale sul minore
unitamente all'altro genitore con il quale il minore
convive.
Il genitore che non esercita la
potestà genitoriale
Il problema che maggiormente si è
posto in giurisprudenza è quello dell’opposizione
dell’altro genitore (Cassazione, sentenza 26 ottobre
1992 n. 11604). Se infatti l’adozione del figlio del
coniuge può determinare situazioni semplici e lineari
quando il genitore è vedovo, qualche problema può
sorgere nel momento in cui il primo matrimonio si è
sciolto con un divorzio o la precedente convivenza si è
interrotta, o addirittura, come nel caso in esame, il
figlio è il frutto di una breve relazione senza
convivenza.
La legge richiede, in questo caso,
che il genitore che non convive con il figlio acconsenta
all’adozione (articolo 46 legge 184/1983). Peraltro il
suo mancato assenso, nell’ipotesi in cui si tratti del
genitore non esercente la potestà genitoriale, non può
avere effetto impeditivo in quanto il tribunale, ove
ritenga il rifiuto ingiustificato e contrario
all’interesse dell’adottando può pronunciare ugualmente
l’adozione.
In tal senso si è espressa la
giurisprudenza ritenendo spesso il diniego del genitore
non esercente la potestà ingiustificato e pertanto
superabile. In particolare si è in proposito sostenuto
che la valutazione dell'interesse del minore che il
giudice è chiamato a svolgere, deve ricomprendere le
esigenze fondamentali dello stesso, prescindendo dai
desideri ed aspettative degli adulti che al minore si
rapportano. Si sottolinea inoltre che questo tipo di
adozione, non lede in alcun modo il legame
genitore-figlio sotto il profilo giuridico mentre nei
fatti solo il comportamento dei soggetti interessati, e
specificamente del genitore, nei confronti del figlio,
può promuovere l'intensificazione del loro legame
affettivo ed umano (Corte di Appello di Genova,
sentenza 9 luglio 2003). Al contrario peraltro è stata
respinta la domanda di adozione in casi particolari ex
articolo 44 lett. b) legge 184/1983 basata, secondo
l’organo giudicante, “semplicemente sul desiderio di
soddisfare la necessità di normalità del minore
attraverso l'omogenizzazione dei cognomi, […] che si
tradurrebbe sostanzialmente nella cancellazione della
figura del padre biologico” (Tribunale dei Minori di
Sassari, sentenza 14 novembre 2002). È invece necessario
che vi sia “un forte legame affettivo costruito
consapevolmente, dall’adottante, poiché solo ricorrendo
simile presupposto può ritenersi non solo sussistente
l'interesse del minore all'adozione, ma anche
presumibile che costui possa realmente ricevere dal
nuovo nucleo familiare tutta quell'assistenza materiale
e morale di cui necessita” (Tribunale dei Minori di
Perugia, sentenza 19 gennaio 2010 n. 5).
Il genitore esercente la potestà
genitoriale
La situazione è ben diversa quando
ad opporsi all’adozione è il genitore esercente la
potestà genitoriale. In questo caso il rifiuto del
genitore non è in alcun modo superabile (Cassazione 20
luglio 2000, n. 9795). Tale differenza di situazioni non
costituisce, secondo la giurisprudenza della Cassazione,
disparità di trattamento (Cassazione, sentenza 26
ottobre 1992 n. 11604). A tal fine, si precisa, non ha
rilevanza il fatto che, in capo al genitore non
esercente la potestà in quanto non affidatario, non sia
stata pronunziata sospensione o decadenza dalla potestà,
“l’unico elemento discriminante è l’esercizio della
potestà stessa” (Cassazione, sentenza 5 agosto 1996 n.
7137).
L’affidamento del figlio naturale
Essenziale è dunque ai fini della
fattispecie in esame capire se il genitore naturale che
non convive con i figli e che, come nella specie, non vi
ha mai convissuto eserciti o meno la potestà
genitoriale. La risposta della Cassazione è affermativa.
La motivazione della sentenza in
esame si fonda essenzialmente sulla legge 54/2006 e su
come tale legge abbia inciso nella disciplina
dell’affidamento del figlio naturale. La Corte
sottolinea, in primo luogo, la maggiore centralità
assunta con la legge sull’affido condiviso
dall'interesse della prole rispetto alle conseguenze
della disgregazione del rapporto di coppia. La novella
infatti prevede, com’è noto, in caso di affido
condiviso, che è una scelta prioritaria, l'esercizio
della potestà genitoriale da parte di entrambi i
genitori, con condivisione delle decisioni di maggiore
importanza. Ciò comporta una più intensa e comune
attribuzione di responsabilità nell'educazione dei figli
che “prescinde, quando non ne subisca in misura
rilevante le conseguenze negative, dalla crisi
coniugale”. L'istituto della potestà genitoriale viene
così, in tale ordine di idee, considerato, non più come
esercizio di “un diritto-dovere in una posizione di
supremazia, ma nel senso di una comune e costante
assunzione di responsabilità nell'interesse esclusivo
della prole”.
Una disciplina così strutturata,
continuano i giudici, deve essere uniformemente
applicata alla filiazione legittima e a quella naturale.
Ciò discende direttamente dall’articolo l’articolo 4
della legge 54/2006 che, com’è noto, estende i nuovi
principi e criteri sulla potestà genitoriale e
sull'affidamento anche ai figli di genitori non
coniugati.
La ormai “quasi” piena
equiparazione fra le posizioni dei figli legittimi e di
quelli naturali richiede infatti un modello unitario di
genitorialità. Di conseguenza l'esercizio della potestà
non può più dipendere da circostanze del tutto
estrinseche ed eventuali, quali la sussistenza di una
crisi di coppia, in quanto ciò contrasterebbe con la
rilevanza assunta dall'interesse della prole rispetto
alle conseguenze della disgregazione del rapporto di
coppia, nonché con la necessità dei figli di mantenere
significativi e costanti rapporti con ciascuno dei
genitori.
Alla luce di questo la Cassazione
non reputa la norma di cui all’articolo 317-bis,
riferita in particolare all’esercizio della potestà
genitoriale, compatibile con la nuova disciplina
relativa all’affidamento dei minori.
L’abrogazione tacita dell’articolo
317-bis
Viene infatti in rilievo la
sopravvivenza, in seguito alla legge sull’affido
condiviso dell’articolo 317 -bis. Si riscontrano, in
merito, come spiega la stessa Corte, opinioni
discordanti:
- la nuova disciplina si applica
anche nel caso di coppia non coniugata che però sia
convivente al momento della nascita del bambino, per cui
il genitore che non ha mai convissuto con il figlio
(come nella specie) non esercita la potestà genitoriale;
- le nuove regole e principi si
estendono ai figli naturali solo se vi è un procedimento
giudiziale, in caso contrario la potestà è esercitata,
conformemente a quanto previsto dall’articolo 317-bis,
dal solo genitore convivente;
- la norma di cui all’articolo
317-bis è stata tacitamente abrogata dalle disposizioni
in materia di affido condiviso, tranne nella parte in
cui prevede che i genitori conviventi con il figlio
esercitano la potestà genitoriale.
Quest’ultima opinione è quella
accolta dalla Cassazione che sottolinea come siano ormai
separate l’esercizio della potestà genitoriale
dall’affidamento e pertanto come in caso di filiazione
naturale "la cessazione della convivenza tra i genitori
non conduce più alla cessazione dell'esercizio della
potestà”. In proposito la Corte richiama la sua
precedente ordinanza n. 8362 del 2007 secondo la quale
“la potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi i
genitori”, salva la possibilità per il giudice di
attribuire a ciascuno dei due il potere di assumere
singolarmente decisioni sulle questioni di ordinaria
amministrazione. Il principio della bigenitorialità
pertanto modifica il contenuto dell’articolo 317-bis,
pur, si precisa, non interferendo sulla competenza del
Tribunale per i minorenni, eliminando così ogni
difformità nella regolamentazione dei rapporti genitori
- figli, tra i figli naturali e i figli legittimi.
In assenza dunque, continuano i
giudici, di un provvedimento giudiziale, anche nel caso
di famiglia naturale, in forza del fondamentale
principio della bigenitorialità la potestà genitoriale,
o meglio come definita dal regolamento CE n. 2201/2003
la responsabilità genitoriale, è esercitata da entrambi
i genitori. E ciò vale anche nell’ipotesi in cui tra
madre e padre non vi sia mai stata convivenza. La tesi
contraria viene infatti reputata, dalla Cassazione,
intrinsecamente contraddittoria.
Le conseguenze
Prima immediata conseguenza di tale
orientamento è che qualora, come nella specie, il
genitore naturale, si opponga all’adozione non
legittimante del minore, richiesta dal coniuge
dell’altro genitore, il giudice non potrà procedere
all’adozione. Ciò anche nel caso in cui il genitore
naturale non abbia mai convissuto con il figlio.
Permanendo infatti l'esercizio
della potestà genitoriale nelle ipotesi di cui
all'articolo 317-bis del Cc, il rifiuto dell'assenso
all'adozione da parte del genitore naturale, pur se non
convivente con la prole, ha efficacia preclusiva
dell’adozione, ai sensi dell'articolo 46 della legge 4
maggio 1983, n. 184.
LA MASSIMA
Corte di cassazione - Sezione I
civile - Sentenza 10 maggio 2011 n. 10265
In materia di filiazione naturale
si applicano, ai sensi dell’articolo 4 della legge
54/2006, i principi dell’affido condiviso. Pertanto
anche in caso separazione di una coppia di fatto la
potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori
e non solamente da quello con cui il figlio convive.
L’articolo 317-bis infatti è stato implicitamente
abrogato dalle disposizioni in materia di affido
condiviso, tranne nella parte in cui prevede che i
genitori conviventi con il figlio esercitano la potestà
genitoriale. Di conseguenza in ipotesi di adozione in
casi particolari, richiesta dal coniuge del genitore ai
sensi dell’articolo 44 lett. b) della legge 184/1983, il
dissenso manifestato dall’altro genitore naturale, pur
se non convivente, preclude l’adozione. E ciò anche nel
caso in cui tra il genitore ed il minore non vi sia mai
stata convivenza. |