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Preliminare di compravendita: mediatore deve risarcire il danno se non adempie all’obbligo di corretta informazione (Cass. n. 19095/2011)-Testo-Diritto.it

 

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Svolgimento del processo

1. - Con atto di citazione notìficato il 21 novembre 1995, P.G., premesso di avere stipulato in data 26 gennaio 1995 il preliminare di compravendita per l'acquisto del fondo rustico di Pa.Te., sito in (omissis); che tale stipulazione è avvenuta con la mediazione dell'agenzia immobiliare di A.M., al quale l'attrice aveva corrisposto la provvigione di L. 800.000, mentre aveva versato alla Pa. la somma di L. 20.000.000 in due soluzioni, in conto al prezzo definitivo; che all'atto della stipula del rogito era emersa l'esistenza sull'immobile di una ipoteca giudiziale iscritta in forza di decreto ingiuntivo del Tribunale di Bari per l'importo di L. 205.000.000; che l'attrice aveva presentato denuncia querela al Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bari nei confronti dell' A. per il reato di cui all'art. 640 cod. pen. per averla indotta in modo pressante alla conclusione del preliminare con dolo; convenne in giudizio innanzi ai Tribunale di Bari l' A. per sentirlo condannare alla restituzione della somma di L. 800.000 nonchè al risarcimento dei danni nella misura di L. 20.000.000.

 

Il convenuto, costituitosi nel giudizio, chiese di essere autorizzato a chiamare in causa la promittente venditrice, ritenuta unica responsabile degli eventuali danni arrecati alla P..

 

La Pa., costituitasi, dedusse di non aver mai avuto conoscenza, prima della stipula del preliminare, dell'iscrizione ipotecaria.

 

2. - Con sentenza depositata il 28 agosto 2000, il Tribunale adito rigettò la domanda nei confronti dell' A., e condannò la Pa. a restituire all'attrice la somma di L. 20.000.000.

 

Avverso detta sentenza propose appello la P. nei confronti dell' A. e della Pa., chiedendo la condanna degli appellati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ex art. 2055 cod. civ. 3. - La Corte d'appello di Bari, con sentenza depositata il 23 dicembre 2004, accolse parzialmente il gravame, condannando l' A. al pagamento in favore della P. della somma di Euro 41.3,17 oltre agli interessi legali dalla domanda, nonchè, in solido con la Pa., della somma di Euro 10329,14, oltre agli interessi legali dalla domanda. Rilevo la Corte di merito che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un particolare incarico, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica, come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto de trasferimento, mediante le visure catastali ed ipotecarie, è comunque tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, e, in negativo, il divieto di fornire informazioni su circostanze che non abbia controllato. Nella specie, risultava dall'interrogatorio libero dell' A. che egli aveva assicurato la promissaria acquirente che l'immobile fosse libero da pesi, basandosi su dichiarazioni rese per iscritto dalla venditrice.

 

Ciò era sufficiente, secondo la Corte, per radicare una sua responsabilità correlata alla violazione dell'obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale.

 

Inoltre, dalla sentenza penale di condanna emessa dal Pretore di Bari in data 5 marzo 2001, divenuta irrevocabile, emergeva che, alla richiesta della P. di assicurazioni sulla libertà del fondo, l' A. aveva risposto affermando esplicitamente che il bene in questione era privo di vincoli.

 

La Corte territoriale non riconobbe, invece, il diritto della P. al riconoscimento del danno non patrimoniale, essendo stata la relativa domanda proposta solo in appello.

 

La Corte aggiunse che non doveva essere tenuta in considerazione la rinnovazione dell'atto di appello effettuata dall'appellante in data 24 aprile 2002, con notifica presso la residenza degli appellati, in quanto l'atto di appello era già stato correttamente notificato il 30 gennaio 2001 presso i procuratori costituiti. Richiamò in proposito l'orientamento di questa Corte secondo il quale l'impugnazione non preceduta dalla notificazione della sentenza impugnata e successiva all'anno dalla pubblicazione di questa, ma, come nella specie, ancora ammessa per effetto della sospensione del termine di cui all'art. 327 cod. proc. civ. durante il periodo feriale, va notificata non alla parte personalmente, bensì, indifferentemente, a scelta de notificante, presso il procuratore della medesima costituito nel giudizio a quo o nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata per quel giudizio.

 

4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre M. A. sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso P.G..

 

Motivi della decisione

1. - Con l'unico motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4. Essendo stata la signora Pa.Te., terza chiamata nel giudizio di primo grado, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Bari del 2 settembre 1995, l'atto di appello avrebbe dovuto essere notificato al curatore della fallita, non avendo più costei la capacità di agire e non potendo assumere personalmente la veste di parte processuale. Della situazione fallimentare della Pa. - si osserva nel ricorso - erano sicuramente al corrente sia l'appellante P. sia il suo difensore: solo tale conoscenza spiegherebbe l'accanimento nei confronti dell'agente immobiliare senza che venisse data esecuzione alla sentenza di primo grado che aveva condannato la Pa. alla restituzione della somma di L. 20.000.000. Si rileva ancora nel ricorso che, quanto meno, il processo si sarebbe dovuto interrompere non appena il precedente difensore della Pa. aveva reso noto ai giudici di secondo grado l'intervenuta dichiarazione di fallimento, circostanza riportata nel verbale di udienza del 16 gennaio 2002, anche se lo stesso difensore, essendo spogliato di poteri, non poteva più costituirsi nel giudizio di appello. Del resto, dell'avvenuta dichiarazione dell'intervenuta sentenza di fallimento vi sarebbe anche la prova documentale, costituita dalla rinnovazione dell'atto di appello ex artt. 330 e 291 c.p.c. del procuratore dell'appellante, datato 9 aprile 2002, che risulta notificato, oltre che all'attuale ricorrente, anche al curatore del Fallimento Pa.Te.. Al riguardo, si sottolinea che La Corte d'appello non aveva autorizzato la rinnovazione della citazione ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., nè aveva fissato all'appellante un termine perentorio per rinnovare l'atto di appello notificato fuori termine ed irregolarmente, nè aveva rilevato alcun difetto di notifica: sicchè a rinnovazione dell'atto di appello fu solo un atto proditorio del difensore dell'appellante, non autorizzato e comunque intempestivo.

 

Il processo era stato semplicemente rinviato ed era successivamente proseguito fino alla emanazione della sentenza poi impugnata, anzichè essere interrotto di diritto ai sensi dell'art. 299 cod. proc. civ. Stante la contumacia di entrambi gli appellati in grado di appello, la notifica dell'atto di appello sarebbe affetta da nullità non sanata.

 

2.1. - La censura è immeritevole di accoglimento.

 

2.2. - Invero, a prescindere dal carattere apodittico, rilevato dalla controricorrente, delle affermazioni dell' A. in ordine alla conoscenza, da parte della stessa, della intervenuta dichiarazione di fallimento della Pa. prima ancora della prima udienza innanzi alla Core d'appello - circostanza che, per vero, sembrerebbe oggettivamente smentita dalla intera vicenda processuale successiva alla data del fallimento, vicenda che vide l'odierno ricorrente chiamare in causa la Pa. nel giudizio di primo grado, e questa essere difesa in quella fase - , risulta decisiva, ai fini della esclusione della fondatezza della tesi dell' A., la considerazione che lo stesso, peraltro non costituitosi nel giudizio di secondo grado, non aveva, come non ha, alcuna legittimazione a dedurre lai circostanza della mancata interruzione del processo per effetto della intervenuta dichiarazione di fallimento dell'altra appellata Pa..

 

Detta conclusione consegue alla considerazione che, essendo le norme sull'interruzione del processo volte a tutelare la parte nei confronti della quale si sia verificato detto evento e che dallo stesso può essere pregiudicata, questa è la sola legittimata a valersi della mancata interruzione (v., tra le altre, Cass., sentenze n. 25641 del 2010, n. 24762 del 2007).

 

La suesposta conclusione è confermata, con riguardo, in particolare, alla ipotesi di fallimento della parte, dal rilievo che la perdita della capacità processuale del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per essa al curatore - è concesso eccepirla (v., tra le altre, Cass., sentenze n. 15713 del 2010, n. 17418 del 2004).

 

3. - il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. In ossequio al principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1200,00, di cui Euro 1000,00 per onorari.

 

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