Svolgimento del processo
1. - Con atto di citazione
notìficato il 21 novembre 1995, P.G., premesso di avere
stipulato in data 26 gennaio 1995 il preliminare di
compravendita per l'acquisto del fondo rustico di Pa.Te.,
sito in (omissis); che tale stipulazione è avvenuta con
la mediazione dell'agenzia immobiliare di A.M., al quale
l'attrice aveva corrisposto la provvigione di L.
800.000, mentre aveva versato alla Pa. la somma di L.
20.000.000 in due soluzioni, in conto al prezzo
definitivo; che all'atto della stipula del rogito era
emersa l'esistenza sull'immobile di una ipoteca
giudiziale iscritta in forza di decreto ingiuntivo del
Tribunale di Bari per l'importo di L. 205.000.000; che
l'attrice aveva presentato denuncia querela al
Procuratore della Repubblica presso la Pretura
circondariale di Bari nei confronti dell' A. per il
reato di cui all'art. 640 cod. pen. per averla indotta
in modo pressante alla conclusione del preliminare con
dolo; convenne in giudizio innanzi ai Tribunale di Bari
l' A. per sentirlo condannare alla restituzione della
somma di L. 800.000 nonchè al risarcimento dei danni
nella misura di L. 20.000.000.
Il convenuto, costituitosi nel
giudizio, chiese di essere autorizzato a chiamare in
causa la promittente venditrice, ritenuta unica
responsabile degli eventuali danni arrecati alla P..
La Pa., costituitasi, dedusse di
non aver mai avuto conoscenza, prima della stipula del
preliminare, dell'iscrizione ipotecaria.
2. - Con sentenza depositata il 28
agosto 2000, il Tribunale adito rigettò la domanda nei
confronti dell' A., e condannò la Pa. a restituire
all'attrice la somma di L. 20.000.000.
Avverso detta sentenza propose
appello la P. nei confronti dell' A. e della Pa.,
chiedendo la condanna degli appellati in solido al
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali
ex art. 2055 cod. civ. 3. - La Corte d'appello di Bari,
con sentenza depositata il 23 dicembre 2004, accolse
parzialmente il gravame, condannando l' A. al pagamento
in favore della P. della somma di Euro 41.3,17 oltre
agli interessi legali dalla domanda, nonchè, in solido
con la Pa., della somma di Euro 10329,14, oltre agli
interessi legali dalla domanda. Rilevo la Corte di
merito che il mediatore, pur non essendo tenuto, in
difetto di un particolare incarico, a svolgere,
nell'adempimento della sua prestazione, specifiche
indagini di natura tecnico-giuridica, come
l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto de
trasferimento, mediante le visure catastali ed
ipotecarie, è comunque tenuto ad un obbligo di corretta
informazione secondo il criterio della media diligenza
professionale, il quale comprende, in positivo,
l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o
comunque conoscibili con la comune diligenza che si
richiede al mediatore, e, in negativo, il divieto di
fornire informazioni su circostanze che non abbia
controllato. Nella specie, risultava dall'interrogatorio
libero dell' A. che egli aveva assicurato la promissaria
acquirente che l'immobile fosse libero da pesi,
basandosi su dichiarazioni rese per iscritto dalla
venditrice.
Ciò era sufficiente, secondo la
Corte, per radicare una sua responsabilità correlata
alla violazione dell'obbligo di corretta informazione
secondo il criterio della media diligenza professionale.
Inoltre, dalla sentenza penale di
condanna emessa dal Pretore di Bari in data 5 marzo
2001, divenuta irrevocabile, emergeva che, alla
richiesta della P. di assicurazioni sulla libertà del
fondo, l' A. aveva risposto affermando esplicitamente
che il bene in questione era privo di vincoli.
La Corte territoriale non
riconobbe, invece, il diritto della P. al riconoscimento
del danno non patrimoniale, essendo stata la relativa
domanda proposta solo in appello.
La Corte aggiunse che non doveva
essere tenuta in considerazione la rinnovazione
dell'atto di appello effettuata dall'appellante in data
24 aprile 2002, con notifica presso la residenza degli
appellati, in quanto l'atto di appello era già stato
correttamente notificato il 30 gennaio 2001 presso i
procuratori costituiti. Richiamò in proposito
l'orientamento di questa Corte secondo il quale
l'impugnazione non preceduta dalla notificazione della
sentenza impugnata e successiva all'anno dalla
pubblicazione di questa, ma, come nella specie, ancora
ammessa per effetto della sospensione del termine di cui
all'art. 327 cod. proc. civ. durante il periodo feriale,
va notificata non alla parte personalmente, bensì,
indifferentemente, a scelta de notificante, presso il
procuratore della medesima costituito nel giudizio a quo
o nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata per
quel giudizio.
4. - Per la cassazione di tale
sentenza ricorre M. A. sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso P.G..
Motivi della decisione
1. - Con l'unico motivo di ricorso,
si deduce la nullità della sentenza impugnata e del
procedimento ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.
Essendo stata la signora Pa.Te., terza chiamata nel
giudizio di primo grado, dichiarata fallita con sentenza
del Tribunale di Bari del 2 settembre 1995, l'atto di
appello avrebbe dovuto essere notificato al curatore
della fallita, non avendo più costei la capacità di
agire e non potendo assumere personalmente la veste di
parte processuale. Della situazione fallimentare della
Pa. - si osserva nel ricorso - erano sicuramente al
corrente sia l'appellante P. sia il suo difensore: solo
tale conoscenza spiegherebbe l'accanimento nei confronti
dell'agente immobiliare senza che venisse data
esecuzione alla sentenza di primo grado che aveva
condannato la Pa. alla restituzione della somma di L.
20.000.000. Si rileva ancora nel ricorso che, quanto
meno, il processo si sarebbe dovuto interrompere non
appena il precedente difensore della Pa. aveva reso noto
ai giudici di secondo grado l'intervenuta dichiarazione
di fallimento, circostanza riportata nel verbale di
udienza del 16 gennaio 2002, anche se lo stesso
difensore, essendo spogliato di poteri, non poteva più
costituirsi nel giudizio di appello. Del resto,
dell'avvenuta dichiarazione dell'intervenuta sentenza di
fallimento vi sarebbe anche la prova documentale,
costituita dalla rinnovazione dell'atto di appello ex
artt. 330 e 291 c.p.c. del procuratore dell'appellante,
datato 9 aprile 2002, che risulta notificato, oltre che
all'attuale ricorrente, anche al curatore del Fallimento
Pa.Te.. Al riguardo, si sottolinea che La Corte
d'appello non aveva autorizzato la rinnovazione della
citazione ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., nè
aveva fissato all'appellante un termine perentorio per
rinnovare l'atto di appello notificato fuori termine ed
irregolarmente, nè aveva rilevato alcun difetto di
notifica: sicchè a rinnovazione dell'atto di appello fu
solo un atto proditorio del difensore dell'appellante,
non autorizzato e comunque intempestivo.
Il processo era stato semplicemente
rinviato ed era successivamente proseguito fino alla
emanazione della sentenza poi impugnata, anzichè essere
interrotto di diritto ai sensi dell'art. 299 cod. proc.
civ. Stante la contumacia di entrambi gli appellati in
grado di appello, la notifica dell'atto di appello
sarebbe affetta da nullità non sanata.
2.1. - La censura è immeritevole di
accoglimento.
2.2. - Invero, a prescindere dal
carattere apodittico, rilevato dalla controricorrente,
delle affermazioni dell' A. in ordine alla conoscenza,
da parte della stessa, della intervenuta dichiarazione
di fallimento della Pa. prima ancora della prima udienza
innanzi alla Core d'appello - circostanza che, per vero,
sembrerebbe oggettivamente smentita dalla intera vicenda
processuale successiva alla data del fallimento, vicenda
che vide l'odierno ricorrente chiamare in causa la Pa.
nel giudizio di primo grado, e questa essere difesa in
quella fase - , risulta decisiva, ai fini della
esclusione della fondatezza della tesi dell' A., la
considerazione che lo stesso, peraltro non costituitosi
nel giudizio di secondo grado, non aveva, come non ha,
alcuna legittimazione a dedurre lai circostanza della
mancata interruzione del processo per effetto della
intervenuta dichiarazione di fallimento dell'altra
appellata Pa..
Detta conclusione consegue alla
considerazione che, essendo le norme sull'interruzione
del processo volte a tutelare la parte nei confronti
della quale si sia verificato detto evento e che dallo
stesso può essere pregiudicata, questa è la sola
legittimata a valersi della mancata interruzione (v.,
tra le altre, Cass., sentenze n. 25641 del 2010, n.
24762 del 2007).
La suesposta conclusione è
confermata, con riguardo, in particolare, alla ipotesi
di fallimento della parte, dal rilievo che la perdita
della capacità processuale del fallito a seguito della
dichiarazione di fallimento non è assoluta, ma relativa
alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per
essa al curatore - è concesso eccepirla (v., tra le
altre, Cass., sentenze n. 15713 del 2010, n. 17418 del
2004).
3. - il ricorso deve, pertanto,
essere rigettato. In ossequio al principio della
soccombenza, il ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano
come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio, che liquida in complessivi Euro 1200,00, di
cui Euro 1000,00 per onorari. |