Corte di Cassazione Civile n.
19413/2011, sez. lavoro del 23/9/2011
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 18
settembre 2007, R.F. riassumeva il giudizio, ex art. 392
c.p.c., a seguito della sentenza 9 ottobre 2006 n. 21652
di questa Corte (che aveva cassato con rinvio la
sentenza della corte d'appello di Bologna del 25
settembre 2001, confermativa del rigetto di ogni sua
pretesa diretta a riconoscimento - alle dipendenze di
Bimer Banca S.p.A., poi Cassa di Risparmio in Bologna
s.p.a. - della qualifica di quadro dal gennaio 1986, con
le relative differenze retributive ed accessori, e del
risarcimento del danno per essere stato demansionato dal
settembre 1990 fino alla cessazione del rapporto).
Al riguardo con il ricorso ex art.
392 c.p.c., il R., deducendo che la pronuncia della
Suprema Corte aveva affidato al giudice del rinvio il
compito di una rinnovata e più approfondita indagine
circa l'esistenza nel caso concreto dei requisiti per
l'attribuzione della qualifica di quadro a norma della
L. n. 190 del 1985, reiterava la sua richiesta di
riforma della sentenza del Tribunale e concludeva quindi
per l'accoglimento di tutte le sue originarie domande,
precisando che le differenze retributive connesse alla
superiore qualifica e maturate fino alla data del
pensionamento (15 ottobre 2000), ammontavano
complessivamente a
34.433,59 Euro, mentre il danno per
demansionamento, a suo dire, poteva essere ragguagliato
e liquidato in via equitativa in misura pari alle
retribuzioni del periodo (Euro 209.212,11) o in quella
risultante di giustizia. La Banca convenuta in
riassunzione, ora Cassa di Risparmio di Bologna S.p.A.,
concludeva per il rigetto di ogni pretesa e dunque per
la implicita conferma della sentenza del Tribunale. In
proposito, la Cassa contestava che il R. avesse mai
svolto; pur anche in base alla semplice applicazione
della citata L. n. 190 del 1985, mansioni di quadro;
negava comunque che egli fosse stato demansionato ed
avesse sofferto un danno risarcibile ex art. 2103 cod.
civ..
Con sentenza del 16 maggio 2008, la
Corte d'appello di Firenze condannava la Cassa di
Risparmio al pagamento, in favore del R., di Euro
34.433,59 per differenze retributive, oltre accessori, e
di ulteriori Euro 52.000,00 a titolo risarcitorio anche
non patrimoniale.
Avverso tale sentenza propone
ricorso per cassazione la Banca, affidato ad unico
motivo, poi illustrato con memoria.
Resiste il R. con controricorso.
Motivi della decisione
Con unico motivo la Banca
ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell'art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., per avere la
corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente una
domanda attorea di risarcimento di danni non
patrimoniali, e per avere comunque liquidato tali danni
in assenza di una valida prova degli stessi.
Formulava il prescritto quesito di
diritto.
Il motivo è infondato.
Come correttamente osservato dalla
corte di merito non vi è infatti dubbio che, avendo il
R. richiesto, come riportato nello stesso odierno
ricorso, il "risarcimento del danno alla figura e
capacità professionale del ricorrente" (pag. 15 ricorso
introduttivo), lamentando una "umiliazione subita per
anni" (pag.
13), abbia inteso non solo
richiedere il danno patrimoniale inerente il mancato
riconoscimento della categoria quadri, ma anche il danno
non patrimoniale conseguente il prolungato
demansionamento.
La ricorrente non spiega
adeguatamente perchè tale domanda dovesse intendersi
come limitata solo alla prima posta di danno. Quanto al
danno non patrimoniale ed alla sua prova, va premesso
che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte
(per tutte, Cass. sez. un. 24 marzo 2006 n. 6572), il
demansionamento è fonte non solo di danno patrimoniale,
ma anche di danno non patrimoniale inerente la persona
del lavoratore complessivamente intesa, indicando
altresì i parametri probatori, anche presuntivi, cui il
giudice di merito può attenersi.
La corte
territoriale ha adeguatamente e
congruamente valutato, in linea con la citata pronuncia
(cui adde, Cass. n. 15915 del 2009, Cass. n. 29832 del
2008, Cass. n. 13877 del 2007, Cass. n. 19965 del 2006),
la mancata predisposizione di adeguate iniziative di
aggiornamento per il personale che, come il R., essendo
ultracinquantenne si riteneva prossimo alla pensione; i
vari periodi di inoperosità in cui i ricorrente fu
lasciato presso la Banca; il lunghissimo (circa dieci
anni) demansionamento, pervenendo così alla liquidazione
del danno non patrimoniale riferita e nel quantum non
contestata.
La Cassa ricorrente si limita
infatti a lamentare l'assenza di prova, ed anzi un
riconoscimento del danno non patrimoniale in re ipsa,
che invece la corte di merito non ha compiuto, prendendo
correttamente in considerazione -ed a tal scopo
richiamando - i concordanti elementi presuntivi di cui
sopra, in linea con la giurisprudenza citata.
Il ricorso deve pertanto
respingersi.
Le spese di causa seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro
50,00, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali,
I.V.A. e C.P.A..
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