" la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a
Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il
termine di ragionevole durata. Tali principi vanno
confermati in questa sede, con la precisazione che il
suddetto parametro va osservato in relazione ai primi
tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece
aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di
Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che
l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta
un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;
2010/819)."
Svolgimento del processo
Il Ministero dell’Economia e delle
Finanze ricorre per cassazione, sulla base di quattro
motivi, avverso il decreto in data 29 maggio 2009, con
il quale la Corte di appello di Roma lo ha condannato al
pagamento in favore di G.C. e altri della somma di Euro
6.500,00 ciascuno, oltre agli interessi legali a
decorrere dalla data del decreto, a titolo di equo
indennizzo per la violazione del termine ragionevole di
durata di un giudizio promosso davanti al Tar Lazio il
30 luglio 1997 e definito con sentenza del 13 novembre
2006.
Gli intimati non hanno svolto
difese.
Motivi della decisione
Con i quattro motivi di ricorso,
che possono essere esaminati congiuntamente in quanto
attinenti a questioni strettamente connesse, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze si duole che la
Corte d’appello abbia determinato in Euro 1.000,00 per
ogni anno di ritardo il criterio di computo dell’equo
indennizzo, in misura superiore al parametro applicato
dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e senza
tener conto delle specifiche caratteristiche e delle
modalità concrete di svolgimento del giudizio
presupposto.
Il ricorso è fondato. Il parametro
per indennizzare la parte del danno non patrimoniale
subito in detto giudizio va individuato nell’importo non
inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla
stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa
Corte n. 16086 del 2009. Secondo tale pronuncia, in tema
di equa riparazione per violazione del diritto alla
ragionevole durata del processo e in base alla
giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo
(sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e
nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal
giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono
essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a
condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti
con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del
paese interessato”, e purché detti importi non risultino
irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole
una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la
Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante
l’esigenza di offrire un’interpretazione della legge 24
marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di
calcolo non incida negativamente sulla complessiva
attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro
per la lesione del diritto alla ragionevole durata del
processo, evitando il possibile profilarsi di un
contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come
interpretata dalla Corte di Strasburgo), la
quantificazione del danno non patrimoniale deve essere,
di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di
ritardo eccedente il termine di ragionevole durata. Tali
principi vanno confermati in questa sede, con la
precisazione che il suddetto parametro va osservato in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli
successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di
ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata
eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento
del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819).
Il decreto impugnato deve essere
dunque cassato e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c.
In particolare, determinata in sei
anni e quattro mesi la durata non ragionevole del
giudizio presupposto, alla stregua dell’accertamento
compiuto dalla Corte di merito e non censurato dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel caso di
specie si deve, riconoscere a ciascuno dei ricorrenti
l’indennizzo di Euro 5.600,00, oltre agli interessi
legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve
essere condannato il menzionato Ministero.
Le spese del giudizio di merito e
quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza
e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle
tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano
con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass.
2008/23397; 2008/25352) e tenuto conto della pluralità
di ricorrenti, che però nel giudizio presupposto avevano
agito unitariamente (cfr. Cass. 2010/10634), con
distrazione delle prime in favore del procuratore dei
ricorrenti, avv. P. L., dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa
il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna
il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento
in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro
5.600,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.
Condanna il Ministero soccombente
al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del
giudizio di merito, che si liquidano in Euro 3.080,00,
di cui Euro 1.940,00 per competenze ed Euro 100,00 per
esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge,
con distrazione in favore del procuratore dei
ricorrenti, avv. P. L., dichiaratosi antistatario.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore
del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese
del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro
1.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Depositata in Cancelleria il
07.10.2011 |