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AFFIDAMENTO CONDIVISO-Coppie di fatto, potestà sui figli estesa al genitore non convivente-Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 10 maggio 2011 n. 10265-Commento-(Guida al Diritto.it)

 

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Sabina Anna Rita Galluzzo (Guida al Diritto)

In materia di filiazione naturale, come in materia di filiazione legittima, prioritario è l’affidamento condiviso dei figli e l’applicazione del principio di bigenitorialità. In assenza pertanto di un provvedimento giudiziale che disponga diversamente il figlio naturale è affidato ad entrambi i genitori anche qualora i due non convivano e persino qualora non abbiano mai convissuto. Questo il principio espresso dalla Cassazione, con la sentenza 10265/2011, che considera implicitamente abrogato dalla legge sull’affido condiviso l’articolo 317-bis del codice civile

 

La vicenda

 

La vicenda si inserisce nel quadro dell’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44 legge 184/1983  lett. b) ossia l’adozione richiesta dal coniuge del genitore del minore. Un uomo ricorreva al Tribunale per i minorenni al fine di adottare la figlia della moglie, nata da una relazione extraconiugale, di cui il ricorrente affermava di essersi da sempre occupato. Il padre naturale peraltro si opponeva all'accoglimento della domanda lamentando di non aver potuto svolgere la sua funzione genitoriale a causa del comportamento della madre, che sempre aveva ostacolato i suoi incontri con la bambina.  La domanda veniva, in prime cure, accolta in quanto i giudici ritenevano l’adozione corrispondente all'interesse della minore. L'opposizione del padre naturale, non veniva reputata rilevante in quanto l’uomo non conviveva con la figlia e non esercitava pertanto la potestà genitoriale sulla stessa.

 

Il provvedimento veniva peraltro riformato in appello in quanto la corte territoriale attribuiva decisiva rilevanza al diniego di consenso al riguardo manifestato dal padre naturale della minore, sulla base della considerazione secondo cui, in forza delle modifiche di cui alla legge 56/2006, lo stesso, pur non avendo mai convissuto con la bambina, non aveva perso l’esercizio della potestà genitoriale. Il suo diniego pertanto precludeva l’adozione. La sentenza viene confermata ed integrata dalla Cassazione.

 

 

 

 

L’adozione in casi particolari

 

Risulta in primis necessario soffermarsi sull’istituto dell’adozione in casi particolari detto anche adozione non legittimante a causa degli effetti che ne scaturiscono, ben diversi da quelli dell’adozione legittimante. L’adottato mantiene infatti lo status di figlio naturale o legittimo che ha riguardo ai genitori biologici ed a questo aggiunge quello di figlio adottivo. Conserva  inalterati i diritti e i doveri rispetto alla famiglia d'origine, della quale mantiene il cognome, cui antepone quello del genitore adottivo. Non sorgono inoltre legami di parentela rispetto ai parenti dell'adottante. Riguardo poi ai diritti successori,  questi sorgono solamente in favore dell'adottato e nei confronti dell'adottante. L'adottante dal canto suo acquista la potestà genitoriale sul minore, e di conseguenza assume l'obbligo di mantenerlo, educarlo e istruirlo.

 

Si tratta di un tipo di adozione, soprattutto per il caso che interessa in questa sede, finalizzato ad inserire il minore in un rapporto familiare non esclusivo, allo scopo di garantirgli l'adeguata assistenza morale e materiale. L’adozione in casi particolari è infatti principalmente volta a consentire al minore di restare nel proprio ambito familiare, nonché a privilegiare un solido rapporto affettivo che si sia maturato nel tempo.

 

A tale finalità la novella del 2001 ha aggiunto una funzione solidaristica introducendo il caso del minore handicappato (lett. c).

 

 

 

Il caso delle famiglie ricomposte

 

L’ipotesi propria del caso in esame, quella di cui alla lettera b), è quella che più frequentemente si riscontra nella prassi a causa dell’aumento delle crisi delle famiglie coniugate o di fatto.  Sono sempre più numerosi infatti i nuclei familiari, le c.d. famiglie ricomposte, formati da un uomo e una donna, con precedenti unioni alle spalle.

 

In nome dell'unità familiare, in questi casi l’ordinamento italiano consente di adottare, in presenza di determinate condizioni, il figlio minorenne del coniuge.  La situazione di fatto che si viene a creare con il secondo matrimonio, quando il figlio è minore di età, può così essere formalizzata dando vita tra il figlio e il nuovo coniuge del genitore ad un legame giuridico accanto a quello quotidiano di convivenza.

 

 

 

La ratio di quest’ipotesi (lett. b), come affermato dalla giurisprudenza, è dunque quella di consentire “al coniuge di un soggetto che sia genitore convivente con il minore un’adozione non legittimante dello stesso, inserendolo in una famiglia nella quale si ricostituiscono le due figure genitoriali, una delle quali è già genitore (legittimo, naturale o adottivo), mentre l'altra, l'adottante, lo diventa a seguito dell'accoglimento della relativa domanda”  (Corte Costituzionale sentenza 20 luglio 2007 n. 315). Tale forma di adozione viene pertanto concepita in considerazione della finalità di attribuire all'adottante la potestà genitoriale sul minore unitamente all'altro genitore con il quale il minore convive.

 

 

 

Il genitore che non esercita la potestà genitoriale

 

Il problema che maggiormente si è posto in giurisprudenza è quello dell’opposizione dell’altro genitore (Cassazione, sentenza 26 ottobre 1992 n. 11604). Se infatti l’adozione del figlio del coniuge può determinare situazioni semplici e lineari quando il genitore è vedovo, qualche problema può sorgere nel momento in cui il primo matrimonio si è sciolto con un divorzio o la precedente convivenza si è interrotta, o addirittura, come nel caso in esame, il figlio è il frutto di una breve relazione senza convivenza.

 

La legge richiede, in questo caso, che il genitore che non convive con il figlio acconsenta all’adozione (articolo 46 legge 184/1983). Peraltro il suo mancato assenso, nell’ipotesi in cui si tratti del genitore non esercente la potestà genitoriale, non può avere effetto impeditivo in quanto il tribunale, ove ritenga il rifiuto ingiustificato e contrario all’interesse dell’adottando può pronunciare ugualmente l’adozione.

 

 

 

In tal senso si è espressa la giurisprudenza ritenendo spesso il diniego del genitore non esercente la potestà ingiustificato e pertanto superabile. In particolare si è in proposito sostenuto che la valutazione dell'interesse del minore che il giudice è chiamato a svolgere, deve ricomprendere le esigenze fondamentali dello stesso, prescindendo dai desideri ed aspettative degli adulti che al minore si rapportano. Si sottolinea inoltre che questo tipo di adozione, non lede in alcun modo il legame genitore-figlio sotto il profilo giuridico mentre nei fatti solo il comportamento dei soggetti interessati, e specificamente del genitore, nei confronti del figlio, può promuovere l'intensificazione del loro legame affettivo ed umano (Corte di Appello di Genova, sentenza  9 luglio 2003). Al contrario peraltro è stata respinta la domanda di adozione in casi particolari ex articolo 44 lett. b) legge 184/1983 basata, secondo l’organo giudicante, “semplicemente sul desiderio di soddisfare la necessità di normalità del minore attraverso l'omogenizzazione dei cognomi, […] che si tradurrebbe sostanzialmente nella cancellazione della figura del padre biologico” (Tribunale dei Minori di Sassari, sentenza 14 novembre 2002). È invece necessario che vi sia “un forte legame affettivo costruito consapevolmente, dall’adottante, poiché solo ricorrendo simile presupposto può ritenersi non solo sussistente l'interesse del minore all'adozione, ma anche presumibile che costui possa realmente ricevere dal nuovo nucleo familiare tutta quell'assistenza materiale e morale di cui necessita” (Tribunale dei Minori di Perugia, sentenza 19 gennaio 2010 n. 5).

 

 

 

Il genitore esercente la potestà genitoriale

 

La situazione è ben diversa quando ad opporsi all’adozione è il genitore esercente la potestà genitoriale. In questo caso il rifiuto del genitore non è in alcun modo superabile (Cassazione 20 luglio 2000, n. 9795). Tale differenza di situazioni non costituisce, secondo la giurisprudenza della Cassazione, disparità di trattamento (Cassazione, sentenza 26 ottobre 1992 n. 11604). A tal fine, si precisa, non ha rilevanza il fatto che, in capo al genitore non esercente la potestà in quanto non affidatario, non sia stata pronunziata sospensione o decadenza dalla potestà, “l’unico elemento discriminante è l’esercizio della potestà stessa”  (Cassazione, sentenza 5 agosto 1996 n. 7137).

 

 

 

L’affidamento del figlio naturale

 

Essenziale è dunque ai fini della fattispecie in esame capire se il genitore naturale che non convive con i figli e che, come nella specie, non vi ha mai convissuto eserciti o meno la potestà genitoriale. La risposta della Cassazione è affermativa.

 

La motivazione della sentenza in esame si fonda essenzialmente sulla legge 54/2006 e su come tale legge abbia inciso nella disciplina dell’affidamento del figlio naturale. La Corte sottolinea, in primo luogo, la maggiore centralità assunta con la legge sull’affido condiviso dall'interesse della prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rapporto di coppia. La novella infatti prevede, com’è noto, in caso di affido condiviso, che è una scelta prioritaria, l'esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori, con condivisione delle decisioni di maggiore importanza.  Ciò comporta una più intensa e comune attribuzione di responsabilità nell'educazione dei figli che “prescinde, quando non ne subisca in misura rilevante le conseguenze negative, dalla crisi coniugale”. L'istituto della potestà genitoriale viene così, in tale ordine di idee, considerato, non più come esercizio di “un diritto-dovere in una posizione di supremazia, ma nel senso di una comune e costante assunzione di responsabilità nell'interesse esclusivo della prole”.

 

Una disciplina così strutturata, continuano i giudici, deve essere uniformemente applicata alla filiazione legittima e a quella naturale. Ciò discende direttamente dall’articolo l’articolo 4 della legge 54/2006 che, com’è noto, estende i nuovi principi e criteri sulla potestà genitoriale e sull'affidamento anche ai figli di genitori non coniugati.

 

La ormai “quasi” piena equiparazione fra le posizioni dei figli legittimi e di quelli naturali richiede infatti un modello unitario di genitorialità. Di conseguenza l'esercizio della potestà non può più dipendere da circostanze del tutto estrinseche ed eventuali, quali la sussistenza di una crisi di coppia, in quanto ciò contrasterebbe con la rilevanza assunta dall'interesse della prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rapporto di coppia, nonché con la necessità dei figli di mantenere significativi e costanti rapporti con ciascuno dei genitori.

 

Alla luce di questo la Cassazione non reputa la norma di cui all’articolo 317-bis, riferita in particolare all’esercizio della potestà genitoriale, compatibile con la nuova disciplina relativa all’affidamento dei minori.

 

 

 

L’abrogazione tacita dell’articolo 317-bis

 

Viene infatti in rilievo la sopravvivenza, in seguito alla legge sull’affido condiviso dell’articolo 317 -bis.  Si riscontrano, in merito, come spiega la stessa Corte, opinioni discordanti:

 

- la nuova disciplina si applica anche nel caso di coppia non coniugata che però sia convivente al momento della nascita del bambino, per cui il genitore che non ha mai convissuto con il figlio (come nella specie) non esercita la potestà genitoriale;

 

- le nuove regole e principi si estendono ai figli naturali solo se vi è un procedimento giudiziale, in caso contrario la potestà è esercitata, conformemente a quanto previsto dall’articolo 317-bis, dal solo genitore convivente;

 

- la norma di cui all’articolo 317-bis è stata tacitamente abrogata dalle disposizioni in materia di affido condiviso, tranne nella parte in cui prevede che i genitori conviventi con il figlio esercitano la potestà genitoriale.

 

Quest’ultima opinione è quella accolta dalla Cassazione che sottolinea come siano ormai separate l’esercizio della potestà genitoriale dall’affidamento e pertanto come in caso di filiazione naturale "la cessazione della convivenza tra i genitori non conduce più alla cessazione dell'esercizio della potestà”. In proposito la Corte richiama la sua precedente ordinanza n. 8362 del 2007 secondo la quale “la potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi i genitori”, salva la possibilità per il giudice di attribuire a ciascuno dei due il potere di assumere singolarmente decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione. Il principio della bigenitorialità pertanto modifica il contenuto dell’articolo 317-bis, pur, si precisa, non interferendo sulla competenza del Tribunale per i minorenni, eliminando così ogni difformità nella regolamentazione dei rapporti genitori - figli, tra i figli naturali e i figli legittimi.

 

In assenza dunque, continuano i giudici, di un provvedimento giudiziale, anche nel caso di famiglia naturale, in forza del fondamentale principio della bigenitorialità la potestà genitoriale, o meglio come definita dal regolamento CE n. 2201/2003 la responsabilità genitoriale, è esercitata da entrambi i genitori. E ciò vale anche nell’ipotesi in cui tra madre e padre non vi sia mai stata convivenza. La tesi contraria viene infatti reputata, dalla Cassazione, intrinsecamente contraddittoria.

 

 

 

Le conseguenze

 

Prima immediata conseguenza di tale orientamento è che qualora, come nella specie, il genitore naturale, si opponga all’adozione non legittimante del minore, richiesta dal coniuge dell’altro genitore, il giudice non potrà procedere all’adozione. Ciò anche nel caso in cui il genitore naturale non abbia mai convissuto con il figlio.

 

Permanendo infatti l'esercizio della potestà genitoriale nelle ipotesi di cui all'articolo 317-bis del Cc,  il rifiuto dell'assenso all'adozione da parte del genitore naturale, pur se non convivente con la prole, ha efficacia preclusiva dell’adozione, ai sensi dell'articolo 46 della legge 4 maggio 1983, n. 184.

 

 

 

LA MASSIMA

 

Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 10 maggio 2011 n. 10265

 

In materia di filiazione naturale si applicano, ai sensi dell’articolo 4 della legge 54/2006, i principi dell’affido condiviso. Pertanto anche in caso separazione di una coppia di fatto la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e non solamente da quello con cui il figlio convive. L’articolo 317-bis infatti è stato implicitamente abrogato dalle disposizioni in materia di affido condiviso, tranne nella parte in cui prevede che i genitori conviventi con il figlio esercitano la potestà genitoriale. Di conseguenza in ipotesi di adozione in casi particolari, richiesta dal coniuge del genitore ai sensi dell’articolo 44 lett. b) della legge 184/1983, il dissenso manifestato dall’altro genitore naturale, pur se non convivente, preclude l’adozione. E ciò anche nel caso in cui tra il genitore ed il minore non vi sia mai stata convivenza.

 

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