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REQUISITO DELLA MORALITA’ PROFESSIONALE-TAR PUGLIA di LECCE - SENTENZA 5 ottobre 2011, n.1724-Neldiritto.it

 

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MASSIMA

1. L’ambito naturale di applicazione dell’art 6 della legge 241/90 è quello della incompletezza o della erroneità dei documenti che il privato deve, di consueto, produrre a corredo di un’istanza rivolta alla p.a. L’integrazione documentale o la rettifica di dichiarazioni erronee possono avere luogo quando si è al cospetto di un contegno del privato immune da deliberata volontà di tacere circostanze rilevanti, o in casi di incolpevole errore nella predisposizione di un’istanza . Solo in presenza di queste condizioni, l’istituto ex art. 6 cit. persegue un obiettivo di giustizia procedimentale che consente di sanare l’eventuale irregolarità di una domanda attraverso la potestà di sollecitarne il completamento e una corretta ostensione alla p.a procedente

 

2. Il privato concorrente è chiamato a rivelare con lealtà la sussistenza di condanne per reati gravi capaci di minarne la moralità professionale. Il suo contegno reticente o mendace in una fase di iniziale contatto con la stazione appaltante, come quella della compilazione della domanda di partecipazione alla gara, non può non produrre la conseguenza, legislativamente prevista, della esclusione dalla gara medesima, quando il provvedimento sia ancora giuridicamente possibile; ovvero, quella di legittimare la stazione appaltante ad avvalersi dei rimedi contrattuali specificamente pattuiti.

 

3. Il mancato ripetuto versamento di ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti costituisce violazione grave nei confronti della collettività perché lede il bene giuridico della sicurezza previdenziale del lavoratore stesso. Di questa connotazione di particolare antigiuridicità è conscio il legislatore atteso che lo stesso articolo 38 del d.lgs 163/2006 commina la sanzione della esclusione dalla gara, alla lettera i) (proprio nei riguardi di coloro che “hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali , secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”).

 

4. La scelta compiuta dal legislatore di prevedere che anche la condanna riportata con decreto penale possa rilevare quale causa di esclusione dalla gara o di scioglimento del contratto stipulato finisce con l’esigere un quid pluris di lealtà nel dichiarante. Si deve ritenere che la valutazione compiuta dall’interessato in ordine alla gravità del reato per il quale è stata riportata la condanna debba orientarsi non tanto in base al parametro della mancata iscrizione del provvedimento nel certificato del casellario rilasciato ad istanza dell’interessato (ex art. 689 c.p.p.) atteso che si tratta di circostanza inidonea ad illustrare il livello di antigiuridicità dell’infrazione commessa, quanto, semmai, in relazione alla oggettività giuridica del reato nel suo manifestarsi e, dunque, alla percezione di una sua reale offensività con riguardo alla natura degli interessi lesi.

 

5. La previsione, in un contratto di appalto di servizi, di una clausola risolutiva espressa destinata ad operare in caso di inesatta e o mendace autodichiarazione dell’appaltatore contiene a priori la valutazione circa la gravità dell’inadempimento posto in essere e giustifica il mero richiamo, da parte della stazione appaltante che intende avvalersene, alla verifica compiuta in ordine alla omissione addebitabile al ricorrente.

 

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

TAR PUGLIA di LECCE - SENTENZA 5 ottobre 2011, n.1724 - Pres. Cavallari – est. Dibello

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 1245 del 2010, proposto da:

D&G Autotrasporti Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Pasca, Antonio Degli Atti, con domicilio eletto presso Ladislao Massari in Lecce, viale dell'Universita', 65/E;

 

contro

 

Enel Produzione Spa, rappresentata e difesa dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Lecce, via 95 Rgt Fanteria, 9;

 

per l'annullamento

 

della nota di ENEL Produzione spa, appresa e conosciuta in data 20 maggio 2010, a mezzo fax, con la quale è stata disposta la risoluzione del contratto di appalto di servizi, identificato al n. 8400010305, per la raccolta il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi presso la centrale Federico II di Brindisi stipulato con il R.T.I. Ecolevante e quindi con la D&G Autotrasporti, quale mandante, odierna ricorrente;

 

nonchè di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale

 

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Enel Produzione Spa;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Carlo Dibello e uditi per le parti i difensori Pasca, Sticchi Damiani Ernesto.;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

 

FATTO

 

Con nota del 4 dicembre 2009, comunicata via fax alla società ricorrente il successivo 20 maggio 2010, ENEL Produzione spa ha comunicato la risoluzione di diritto del contratto di appalto di servizi avente ad oggetto la raccolta, il trasporto e lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi presso la centrale Federico II, del quale la ditta ricorrente è risultata aggiudicataria nella veste di società mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla Ecolevante quale mandataria dell’ATI.

 

La risoluzione di diritto del contratto di appalto è stata resa nota a seguito dell’acquisizione dei certificati del Casellario Giudiziale relativi ai soggetti di cui all’art 38, comma 1 , lettera C , D.lgs 163/2006, dall’esame dei quali “ sono risultati a loro carico condanne per reati gravi la cui sussistenza è stata completamente omessa nell’autodichiarazione presentata in sede di gara”.

 

Enel prosegue affermando che “ consegue da quanto sopra la mancanza in capo a codesta ATI dei necessari requisiti di ordine generale per la partecipazione alla gara e, conseguentemente, per l’aggiudicazione della stessa e per la stipula del contratto”.

 

La società ricorrente è insorta ed ha impugnato la nota in questione articolando i seguenti motivi di ricorso:

 

-violazione di legge. Violazione del principio del favor partecipationis ex art.97 Cost; violazione del dovere di soccorso ex art.74, comma V d.lgs 163/2006 ed ex art. 6 legge 241/90;

 

-Violazione del principio dell’affidamento e della massima partecipazione .eccesso di potere. Mancata e/o omessa comunicazione di preavviso di esito negativo del procedimento

 

-violazione e falsa applicazione dell’art 38 e 46 del d.lgs 163/2006; violazione e falsa applicazione dell’art 460, comma 5 c.p.p.; eccesso di potere per travisamento , errore nei presupposti di fatto e di diritto. Carenza e/o mancanza di istruttoria .Carenza, erroneità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione. Illogicità manifesta del provvedimento;

 

-violazione di legge . violazione e erronea applicazione dei canoni di correttezza e buona fede ex art.97 Cost. responsabilità precontrattuale e contrattuale. risarcimento danni.

 

Si è costituita in giudizio l’Enel spa per resistere al ricorso del quale ha chiesto il respingimento siccome infondato nel merito.

 

La controversia è passata in decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011

 

.

 

DIRITTO

 

Il ricorso è infondato.

 

Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione del dovere di soccorso che incomberebbe in capo alla amministrazione resistente la quale, in presenza di istanze ritenute erronee od incomplete , avrebbe dovuto adottare ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria, in particolare, richiedendo il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete , così come previsto dall’art 6 della legge 241/90, piuttosto che determinarsi alla drastica scelta della risoluzione di diritto del contratto di appalto.

 

La stazione appaltante avrebbe, per tal via, violato il principio di massima collaborazione e il dovere di soccorso che su di essa incombe , ignorando la possibilità di avvalersi della regolarizzazione documentale contemplata dalle norme invocate.

 

La censura non può condividersi.

 

L’ambito naturale di applicazione dell’art 6 della legge 241/90 è quello della incompletezza o della erroneità dei documenti che il privato deve ,di consueto ,produrre a corredo di un’istanza rivolta alla P.a..

 

Ma è agevole comprendere che l’integrazione documentale o la rettifica di dichiarazioni erronee possono avere luogo quando si è al cospetto di un contegno del privato immune da deliberata volontà di tacere circostanze rilevanti , o in casi di incolpevole errore nella predisposizione di un’istanza .

 

Solo in presenza di queste condizioni, l’istituto invocato dalla società ricorrente persegue un obiettivo di giustizia procedimentale che consente di sanare l’eventuale irregolarità di una domanda attraverso la potestà di sollecitarne il completamento e una corretta ostensione alla P.a procedente

 

La fattispecie concreta che il Giudicante è chiamato a valutare attiene, invece , più propriamente alla portata del principio di autoresponsabilità del privato nell’ambito di un procedimento ad evidenza pubblica diretto all’aggiudicazione di un appalto di servizi.

 

Al principio di autoresponsabilità si collega , come sembra inoppugnabile, l’istituto della autocertificazione attraverso il quale, in un’ottica di semplificazione ma anche di leale collaborazione tra privato e P.a., si consente a chi partecipa ad una gara di rendere dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale contemplati dall’art. 38 del codice appalti, ivi compresa la sussistenza, a proprio carico, di condanne penali .

 

Il privato concorrente è dunque chiamato, in forza di questa disposizione, a rivelare con lealtà la sussistenza di condanne per reati gravi capaci di minarne la moralità professionale .

 

Il suo contegno reticente o mendace in una fase di iniziale contatto con la Stazione appaltante, come quella della compilazione della domanda di partecipazione alla gara, non può non produrre la conseguenza, legislativamente prevista ,della esclusione dalla gara medesima, quando il provvedimento sia ancora giuridicamente possibile ; ovvero, quella di legittimare la stazione appaltante ad avvalersi dei rimedi contrattuali specificamente pattuiti, come è avvenuto nel caso.

 

Erra, pertanto, il ricorrente nel ritenere che l’art 6 possa fare da sfondo alla “correzione” postuma di una dichiarazione resa dal partecipante ad una gara pubblica in ordine alla sussistenza di condanne gravi ; prima di tutto perché si tratta di requisiti la cui sussistenza esula dalla sfera di controllo o anche solo di disponibilità del privato e che , pertanto, non essendo reperibili o integrabili aliunde o sussistono o non sussistono ; in secondo luogo, perché la legge esige, come già si è notato, fin dal primo momento , uno sforzo di lealtà da parte del privato a motivo della particolare rilevanza che nel nostro ordinamento rivestono le procedure di affidamento di servizi pubblici .

 

Con il secondo gruppo di censure la ricorrente si duole della violazione della garanzia partecipativa di cui all’art 10 bis della legge 241/90.

 

La mancata comunicazione dei motivi ostativi alla prosecuzione del contratto avrebbe impedito di fatto alla ricorrente l’esercizio di un diritto riconosciuto dal nostro legislatore, vale a dire quello di presentare osservazioni e documenti in grado di rimuovere gli ostacoli e le perplessità sollevatisi in corso di verifica dei requisiti dichiarati e richiesti dal bando , così evitando l’adozione di un atto simile a quello oggetto di impugnazione .

 

Anche questa censura non può essere accolta con favore.

 

Il preavviso di rigetto previsto dall’art 10 bis della legge 241/90 non trova applicazione con riguardo alle procedure concorsuali , così come la stessa disposizione stabilisce nel dettare l’area di esenzione dal precetto.

 

Ma se anche si ammettesse per un istante la possibilità di applicare la norma in esame alla fattispecie concreta ,si dovrebbe privilegiare la tesi del vizio non invalidante, a norma dell’art 21 octies della stessa legge sul procedimento amministrativo .

 

In altri termini, quand’anche la società ricorrente avesse prodotto osservazioni dopo la comunicazione dei motivi ostativi alla prosecuzione del contratto di appalto, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato trattandosi di conseguenza non solo legislativamente prevista, dovendosi ritenere che le cause di esclusione dalla partecipazione si convertano in altrettanti motivi di risoluzione del contratto, ma finanche oggetto di specifica clausola risolutiva espressa pattuita dalle parti

 

Si sostiene, con il terzo gruppo di motivi di gravame, che sarebbe stata travisata la lettera dell’art 38 del codice appalti, precetto normativo che sancirebbe un obbligo di autodichiarazione a cura del partecipante solo ove quest’ultimo abbia subito condanne per reati gravi ( tali potendo considerarsi esclusivamente le tipologie delittuose che in quanto tali sono connotate da un’offensività idonea ad incidere sulla moralità professionale del soggetto partecipante ).

 

La tesi verrebbe avvalorata alla luce di quella giurisprudenza incline a ritenere irrilevanti anche le condanne penali estinte ex art. 445, comma 2 c.p.p con conseguente non necessità della loro indicazione in sede di dichiarazioni ex art. 38 lettera c del d.lgs 163/2006.

 

Aggiungasi che i rappresentanti legali delle aziende coinvolte nel RTI presentano una posizione giuridica che non avrebbe potuto legittimare la risoluzione di diritto , trattandosi di soggetto ( la trattazione difensiva è circoscritta al Digennaro) nei cui confronti è stato emesso decreto penale di condanna alla pena della multa di € 1.050,00, per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti , relative al periodo da luglio 2005 a febbraio 2007, ex art. 81 cpv, 2 , comma 1 bis legge 638/83 ; per reati quindi “ di particolare tenuità , risalenti nel tempo, unitamente alla circostanza che la condanna è relativa ad un decreto penale non opposto, per il quale è stata comminata la sanzione sostitutiva della sola pena pecuniaria , ex lege 689/81 .

 

La ricorrente avrebbe , per di più, proceduto ad una regolarizzazione della posizione contributiva definendo il pagamento della cartella esattoriale portante il credito vantato dall’INPS.

 

La tesi non è convincente.

 

Giova, intanto, sottolineare che la valutazione di tenuità della violazione ascritta al rappresentante legale della ricorrente non può essere condivisa.

 

Il mancato ripetuto versamento di ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti costituisce violazione grave nei confronti della collettività perché lede il bene giuridico della sicurezza previdenziale del lavoratore stesso .

 

Di questa connotazione di particolare antigiuridicità è conscio il legislatore atteso che lo stesso articolo 38 del d.lgs 163/2006 commina la sanzione della esclusione dalla gara , alla lettera i ) proprio nei riguardi di coloro che “ hanno commesso violazioni gravi , definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali , secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”

 

La responsabilità del rappresentante della società ricorrente è stata accertata con decreto penale di condanna ; si tratta, com’è noto, di provvedimento giurisdizionale che, pur non avendo attitudine ad acquisire la medesima forza del giudicato , propria della sentenza di condanna, è , tuttavia, suscettibile di divenire irrevocabile a seguito di mancata opposizione nei termini.

 

Si tratta, peraltro, di provvedimento che la stessa norma di cui all’art 38 del codice appalti accomuna alla sentenza di condanna passata in giudicato ai fini della comminatoria di esclusione dalla gara.

 

Sotto tale profilo, contrariamente a quanto è stato sostenuto dalla giurisprudenza che la parte ricorrente ha citato a sostegno della tesi difensiva, si deve notare che la scelta compiuta dal legislatore di prevedere che anche la condanna riportata con decreto penale possa rilevare quale causa di esclusione dalla gara o di scioglimento del contratto stipulato finisce con l’esigere un quid pluris di lealtà nel dichiarante.

 

Si deve, cioè, ritenere che la valutazione compiuta dall’interessato in ordine alla gravità del reato per il quale è stata riportata la condanna debba orientarsi non tanto in base al parametro della mancata iscrizione del provvedimento nel certificato del casellario rilasciato ad istanza dell’interessato ( ex art.689 c.p.p.) atteso che si tratta di circostanza inidonea ad illustrare il livello di antigiuridicità dell’infrazione commessa, quanto , semmai, in relazione alla oggettività giuridica del reato nel suo manifestarsi ( ad. Es. il fatto che la violazione si sia protratta nel tempo dando luogo ad una ipotesi di reato continuato ex art.81 cpv. c.p.) e, dunque, alla percezione di una sua reale offensività con riguardo alla natura degli interessi lesi.

 

Né può giovare la circostanza che si sia proceduto al pagamento della cartella esattoriale notificata dall’Istituto previdenziale titolare del relativo credito perché si tratta di circostanza priva di peso ai fini del giudizio sulla responsabilità penale del rappresentante legale della ricorrente, il quale , per sua ammissione, non ha esercitato neanche la facoltà processuale di promuovere opposizione al decreto penale di condanna.

 

Da ultimo si deduce che la condotta della stazione appaltante sarebbe risultata non conforme alla buona fede e alla correttezza .

 

La censura non è fondata.

 

La stazione appaltante ha, invero, fatto corretta applicazione non solo dell’art 38 del d.lgs 163/2006, ma anche della clausola risolutiva espressa contemplata nel contratto di appalto intercorso con la società ricorrente.

 

Sul punto , si osserva che , la previsione , in un contratto di appalto di servizi, di una clausola risolutiva espressa destinata ad operare in caso di inesatta e o mendace autodichiarazione dell’appaltatore contiene a priori la valutazione circa la gravità dell’inadempimento posto in essere e giustifica il mero richiamo, da parte della stazione appaltante che intende avvalersene, alla verifica compiuta in ordine alla omissione addebitabile al ricorrente

 

Il ricorso va conclusivamente respinto .

 

Sussistono ragioni per procedere alla compensazione delle spese di giudizio

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima

 

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge .

 

Spese compensate.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

 

 

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