MASSIMA
1. L’ambito naturale di
applicazione dell’art 6 della legge 241/90 è quello
della incompletezza o della erroneità dei documenti che
il privato deve, di consueto, produrre a corredo di
un’istanza rivolta alla p.a. L’integrazione documentale
o la rettifica di dichiarazioni erronee possono avere
luogo quando si è al cospetto di un contegno del privato
immune da deliberata volontà di tacere circostanze
rilevanti, o in casi di incolpevole errore nella
predisposizione di un’istanza . Solo in presenza di
queste condizioni, l’istituto ex art. 6 cit. persegue un
obiettivo di giustizia procedimentale che consente di
sanare l’eventuale irregolarità di una domanda
attraverso la potestà di sollecitarne il completamento e
una corretta ostensione alla p.a procedente
2. Il privato concorrente è
chiamato a rivelare con lealtà la sussistenza di
condanne per reati gravi capaci di minarne la moralità
professionale. Il suo contegno reticente o mendace in
una fase di iniziale contatto con la stazione
appaltante, come quella della compilazione della domanda
di partecipazione alla gara, non può non produrre la
conseguenza, legislativamente prevista, della esclusione
dalla gara medesima, quando il provvedimento sia ancora
giuridicamente possibile; ovvero, quella di legittimare
la stazione appaltante ad avvalersi dei rimedi
contrattuali specificamente pattuiti.
3. Il mancato ripetuto versamento
di ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti
costituisce violazione grave nei confronti della
collettività perché lede il bene giuridico della
sicurezza previdenziale del lavoratore stesso. Di questa
connotazione di particolare antigiuridicità è conscio il
legislatore atteso che lo stesso articolo 38 del d.lgs
163/2006 commina la sanzione della esclusione dalla
gara, alla lettera i) (proprio nei riguardi di coloro
che “hanno commesso violazioni gravi, definitivamente
accertate, alle norme in materia di contributi
previdenziali e assistenziali , secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”).
4. La scelta compiuta dal
legislatore di prevedere che anche la condanna riportata
con decreto penale possa rilevare quale causa di
esclusione dalla gara o di scioglimento del contratto
stipulato finisce con l’esigere un quid pluris di lealtà
nel dichiarante. Si deve ritenere che la valutazione
compiuta dall’interessato in ordine alla gravità del
reato per il quale è stata riportata la condanna debba
orientarsi non tanto in base al parametro della mancata
iscrizione del provvedimento nel certificato del
casellario rilasciato ad istanza dell’interessato (ex
art. 689 c.p.p.) atteso che si tratta di circostanza
inidonea ad illustrare il livello di antigiuridicità
dell’infrazione commessa, quanto, semmai, in relazione
alla oggettività giuridica del reato nel suo
manifestarsi e, dunque, alla percezione di una sua reale
offensività con riguardo alla natura degli interessi
lesi.
5. La previsione, in un contratto
di appalto di servizi, di una clausola risolutiva
espressa destinata ad operare in caso di inesatta e o
mendace autodichiarazione dell’appaltatore contiene a
priori la valutazione circa la gravità
dell’inadempimento posto in essere e giustifica il mero
richiamo, da parte della stazione appaltante che intende
avvalersene, alla verifica compiuta in ordine alla
omissione addebitabile al ricorrente.
TESTO DELLA SENTENZA
TAR PUGLIA di LECCE - SENTENZA 5
ottobre 2011, n.1724 - Pres. Cavallari – est. Dibello
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 1245 del 2010, proposto da:
D&G Autotrasporti Srl,
rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Pasca, Antonio
Degli Atti, con domicilio eletto presso Ladislao Massari
in Lecce, viale dell'Universita', 65/E;
contro
Enel Produzione Spa, rappresentata
e difesa dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con
domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in
Lecce, via 95 Rgt Fanteria, 9;
per l'annullamento
della nota di ENEL Produzione spa,
appresa e conosciuta in data 20 maggio 2010, a mezzo
fax, con la quale è stata disposta la risoluzione del
contratto di appalto di servizi, identificato al n.
8400010305, per la raccolta il trasporto e lo
smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi presso
la centrale Federico II di Brindisi stipulato con il
R.T.I. Ecolevante e quindi con la D&G Autotrasporti,
quale mandante, odierna ricorrente;
nonchè di ogni altro atto
presupposto, connesso e/o consequenziale
Visti il ricorso e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in
giudizio di Enel Produzione Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
giorno 26 gennaio 2011 il dott. Carlo Dibello e uditi
per le parti i difensori Pasca, Sticchi Damiani
Ernesto.;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO
Con nota del 4 dicembre 2009,
comunicata via fax alla società ricorrente il successivo
20 maggio 2010, ENEL Produzione spa ha comunicato la
risoluzione di diritto del contratto di appalto di
servizi avente ad oggetto la raccolta, il trasporto e lo
smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi presso la
centrale Federico II, del quale la ditta ricorrente è
risultata aggiudicataria nella veste di società mandante
di un raggruppamento temporaneo di imprese costituito
dalla Ecolevante quale mandataria dell’ATI.
La risoluzione di diritto del
contratto di appalto è stata resa nota a seguito
dell’acquisizione dei certificati del Casellario
Giudiziale relativi ai soggetti di cui all’art 38, comma
1 , lettera C , D.lgs 163/2006, dall’esame dei quali “
sono risultati a loro carico condanne per reati gravi la
cui sussistenza è stata completamente omessa
nell’autodichiarazione presentata in sede di gara”.
Enel prosegue affermando che “
consegue da quanto sopra la mancanza in capo a codesta
ATI dei necessari requisiti di ordine generale per la
partecipazione alla gara e, conseguentemente, per
l’aggiudicazione della stessa e per la stipula del
contratto”.
La società ricorrente è insorta ed
ha impugnato la nota in questione articolando i seguenti
motivi di ricorso:
-violazione di legge. Violazione
del principio del favor partecipationis ex art.97 Cost;
violazione del dovere di soccorso ex art.74, comma V
d.lgs 163/2006 ed ex art. 6 legge 241/90;
-Violazione del principio
dell’affidamento e della massima partecipazione .eccesso
di potere. Mancata e/o omessa comunicazione di preavviso
di esito negativo del procedimento
-violazione e falsa applicazione
dell’art 38 e 46 del d.lgs 163/2006; violazione e falsa
applicazione dell’art 460, comma 5 c.p.p.; eccesso di
potere per travisamento , errore nei presupposti di
fatto e di diritto. Carenza e/o mancanza di istruttoria
.Carenza, erroneità, irragionevolezza e
contraddittorietà della motivazione. Illogicità
manifesta del provvedimento;
-violazione di legge . violazione e
erronea applicazione dei canoni di correttezza e buona
fede ex art.97 Cost. responsabilità precontrattuale e
contrattuale. risarcimento danni.
Si è costituita in giudizio l’Enel
spa per resistere al ricorso del quale ha chiesto il
respingimento siccome infondato nel merito.
La controversia è passata in
decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011
.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di ricorso la
società ricorrente lamenta la violazione del dovere di
soccorso che incomberebbe in capo alla amministrazione
resistente la quale, in presenza di istanze ritenute
erronee od incomplete , avrebbe dovuto adottare ogni
misura per l’adeguato e sollecito svolgimento
dell’istruttoria, in particolare, richiedendo il
rilascio di dichiarazioni e la rettifica di
dichiarazioni o istanze erronee o incomplete , così come
previsto dall’art 6 della legge 241/90, piuttosto che
determinarsi alla drastica scelta della risoluzione di
diritto del contratto di appalto.
La stazione appaltante avrebbe, per
tal via, violato il principio di massima collaborazione
e il dovere di soccorso che su di essa incombe ,
ignorando la possibilità di avvalersi della
regolarizzazione documentale contemplata dalle norme
invocate.
La censura non può condividersi.
L’ambito naturale di applicazione
dell’art 6 della legge 241/90 è quello della
incompletezza o della erroneità dei documenti che il
privato deve ,di consueto ,produrre a corredo di
un’istanza rivolta alla P.a..
Ma è agevole comprendere che
l’integrazione documentale o la rettifica di
dichiarazioni erronee possono avere luogo quando si è al
cospetto di un contegno del privato immune da deliberata
volontà di tacere circostanze rilevanti , o in casi di
incolpevole errore nella predisposizione di un’istanza .
Solo in presenza di queste
condizioni, l’istituto invocato dalla società ricorrente
persegue un obiettivo di giustizia procedimentale che
consente di sanare l’eventuale irregolarità di una
domanda attraverso la potestà di sollecitarne il
completamento e una corretta ostensione alla P.a
procedente
La fattispecie concreta che il
Giudicante è chiamato a valutare attiene, invece , più
propriamente alla portata del principio di
autoresponsabilità del privato nell’ambito di un
procedimento ad evidenza pubblica diretto
all’aggiudicazione di un appalto di servizi.
Al principio di autoresponsabilità
si collega , come sembra inoppugnabile, l’istituto della
autocertificazione attraverso il quale, in un’ottica di
semplificazione ma anche di leale collaborazione tra
privato e P.a., si consente a chi partecipa ad una gara
di rendere dichiarazioni in ordine al possesso dei
requisiti di ordine generale contemplati dall’art. 38
del codice appalti, ivi compresa la sussistenza, a
proprio carico, di condanne penali .
Il privato concorrente è dunque
chiamato, in forza di questa disposizione, a rivelare
con lealtà la sussistenza di condanne per reati gravi
capaci di minarne la moralità professionale .
Il suo contegno reticente o mendace
in una fase di iniziale contatto con la Stazione
appaltante, come quella della compilazione della domanda
di partecipazione alla gara, non può non produrre la
conseguenza, legislativamente prevista ,della esclusione
dalla gara medesima, quando il provvedimento sia ancora
giuridicamente possibile ; ovvero, quella di legittimare
la stazione appaltante ad avvalersi dei rimedi
contrattuali specificamente pattuiti, come è avvenuto
nel caso.
Erra, pertanto, il ricorrente nel
ritenere che l’art 6 possa fare da sfondo alla
“correzione” postuma di una dichiarazione resa dal
partecipante ad una gara pubblica in ordine alla
sussistenza di condanne gravi ; prima di tutto perché si
tratta di requisiti la cui sussistenza esula dalla sfera
di controllo o anche solo di disponibilità del privato e
che , pertanto, non essendo reperibili o integrabili
aliunde o sussistono o non sussistono ; in secondo
luogo, perché la legge esige, come già si è notato, fin
dal primo momento , uno sforzo di lealtà da parte del
privato a motivo della particolare rilevanza che nel
nostro ordinamento rivestono le procedure di affidamento
di servizi pubblici .
Con il secondo gruppo di censure la
ricorrente si duole della violazione della garanzia
partecipativa di cui all’art 10 bis della legge 241/90.
La mancata comunicazione dei motivi
ostativi alla prosecuzione del contratto avrebbe
impedito di fatto alla ricorrente l’esercizio di un
diritto riconosciuto dal nostro legislatore, vale a dire
quello di presentare osservazioni e documenti in grado
di rimuovere gli ostacoli e le perplessità sollevatisi
in corso di verifica dei requisiti dichiarati e
richiesti dal bando , così evitando l’adozione di un
atto simile a quello oggetto di impugnazione .
Anche questa censura non può essere
accolta con favore.
Il preavviso di rigetto previsto
dall’art 10 bis della legge 241/90 non trova
applicazione con riguardo alle procedure concorsuali ,
così come la stessa disposizione stabilisce nel dettare
l’area di esenzione dal precetto.
Ma se anche si ammettesse per un
istante la possibilità di applicare la norma in esame
alla fattispecie concreta ,si dovrebbe privilegiare la
tesi del vizio non invalidante, a norma dell’art 21
octies della stessa legge sul procedimento
amministrativo .
In altri termini, quand’anche la
società ricorrente avesse prodotto osservazioni dopo la
comunicazione dei motivi ostativi alla prosecuzione del
contratto di appalto, il contenuto dispositivo del
provvedimento non sarebbe mutato trattandosi di
conseguenza non solo legislativamente prevista,
dovendosi ritenere che le cause di esclusione dalla
partecipazione si convertano in altrettanti motivi di
risoluzione del contratto, ma finanche oggetto di
specifica clausola risolutiva espressa pattuita dalle
parti
Si sostiene, con il terzo gruppo di
motivi di gravame, che sarebbe stata travisata la
lettera dell’art 38 del codice appalti, precetto
normativo che sancirebbe un obbligo di autodichiarazione
a cura del partecipante solo ove quest’ultimo abbia
subito condanne per reati gravi ( tali potendo
considerarsi esclusivamente le tipologie delittuose che
in quanto tali sono connotate da un’offensività idonea
ad incidere sulla moralità professionale del soggetto
partecipante ).
La tesi verrebbe avvalorata alla
luce di quella giurisprudenza incline a ritenere
irrilevanti anche le condanne penali estinte ex art.
445, comma 2 c.p.p con conseguente non necessità della
loro indicazione in sede di dichiarazioni ex art. 38
lettera c del d.lgs 163/2006.
Aggiungasi che i rappresentanti
legali delle aziende coinvolte nel RTI presentano una
posizione giuridica che non avrebbe potuto legittimare
la risoluzione di diritto , trattandosi di soggetto ( la
trattazione difensiva è circoscritta al Digennaro) nei
cui confronti è stato emesso decreto penale di condanna
alla pena della multa di € 1.050,00, per il reato di
omesso versamento delle ritenute previdenziali operate
sulle retribuzioni dei dipendenti , relative al periodo
da luglio 2005 a febbraio 2007, ex art. 81 cpv, 2 ,
comma 1 bis legge 638/83 ; per reati quindi “ di
particolare tenuità , risalenti nel tempo, unitamente
alla circostanza che la condanna è relativa ad un
decreto penale non opposto, per il quale è stata
comminata la sanzione sostitutiva della sola pena
pecuniaria , ex lege 689/81 .
La ricorrente avrebbe , per di più,
proceduto ad una regolarizzazione della posizione
contributiva definendo il pagamento della cartella
esattoriale portante il credito vantato dall’INPS.
La tesi non è convincente.
Giova, intanto, sottolineare che la
valutazione di tenuità della violazione ascritta al
rappresentante legale della ricorrente non può essere
condivisa.
Il mancato ripetuto versamento di
ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti
costituisce violazione grave nei confronti della
collettività perché lede il bene giuridico della
sicurezza previdenziale del lavoratore stesso .
Di questa connotazione di
particolare antigiuridicità è conscio il legislatore
atteso che lo stesso articolo 38 del d.lgs 163/2006
commina la sanzione della esclusione dalla gara , alla
lettera i ) proprio nei riguardi di coloro che “ hanno
commesso violazioni gravi , definitivamente accertate,
alle norme in materia di contributi previdenziali e
assistenziali , secondo la legislazione italiana o dello
Stato in cui sono stabiliti”
La responsabilità del
rappresentante della società ricorrente è stata
accertata con decreto penale di condanna ; si tratta,
com’è noto, di provvedimento giurisdizionale che, pur
non avendo attitudine ad acquisire la medesima forza del
giudicato , propria della sentenza di condanna, è ,
tuttavia, suscettibile di divenire irrevocabile a
seguito di mancata opposizione nei termini.
Si tratta, peraltro, di
provvedimento che la stessa norma di cui all’art 38 del
codice appalti accomuna alla sentenza di condanna
passata in giudicato ai fini della comminatoria di
esclusione dalla gara.
Sotto tale profilo, contrariamente
a quanto è stato sostenuto dalla giurisprudenza che la
parte ricorrente ha citato a sostegno della tesi
difensiva, si deve notare che la scelta compiuta dal
legislatore di prevedere che anche la condanna riportata
con decreto penale possa rilevare quale causa di
esclusione dalla gara o di scioglimento del contratto
stipulato finisce con l’esigere un quid pluris di lealtà
nel dichiarante.
Si deve, cioè, ritenere che la
valutazione compiuta dall’interessato in ordine alla
gravità del reato per il quale è stata riportata la
condanna debba orientarsi non tanto in base al parametro
della mancata iscrizione del provvedimento nel
certificato del casellario rilasciato ad istanza
dell’interessato ( ex art.689 c.p.p.) atteso che si
tratta di circostanza inidonea ad illustrare il livello
di antigiuridicità dell’infrazione commessa, quanto ,
semmai, in relazione alla oggettività giuridica del
reato nel suo manifestarsi ( ad. Es. il fatto che la
violazione si sia protratta nel tempo dando luogo ad una
ipotesi di reato continuato ex art.81 cpv. c.p.) e,
dunque, alla percezione di una sua reale offensività con
riguardo alla natura degli interessi lesi.
Né può giovare la circostanza che
si sia proceduto al pagamento della cartella esattoriale
notificata dall’Istituto previdenziale titolare del
relativo credito perché si tratta di circostanza priva
di peso ai fini del giudizio sulla responsabilità penale
del rappresentante legale della ricorrente, il quale ,
per sua ammissione, non ha esercitato neanche la facoltà
processuale di promuovere opposizione al decreto penale
di condanna.
Da ultimo si deduce che la condotta
della stazione appaltante sarebbe risultata non conforme
alla buona fede e alla correttezza .
La censura non è fondata.
La stazione appaltante ha, invero,
fatto corretta applicazione non solo dell’art 38 del
d.lgs 163/2006, ma anche della clausola risolutiva
espressa contemplata nel contratto di appalto intercorso
con la società ricorrente.
Sul punto , si osserva che , la
previsione , in un contratto di appalto di servizi, di
una clausola risolutiva espressa destinata ad operare in
caso di inesatta e o mendace autodichiarazione
dell’appaltatore contiene a priori la valutazione circa
la gravità dell’inadempimento posto in essere e
giustifica il mero richiamo, da parte della stazione
appaltante che intende avvalersene, alla verifica
compiuta in ordine alla omissione addebitabile al
ricorrente
Il ricorso va conclusivamente
respinto .
Sussistono ragioni per procedere
alla compensazione delle spese di giudizio
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge .
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
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