MASSIMA
1. Il reato di interruzione di un
ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, di
cui all'art. 340 c.p., è reato di evento la cui
consumazione richiede un pregiudizio effettivo (e non
necessariamente di particolare rilievo) nella continuità
o nella regolarità di un servizio pubblico o di pubblica
necessità.
2. Ai fini della integrazione
dell'elemento oggettivo del reato previsto dall'art. 340
c.p., non ha rilievo che l’interruzione sia stata
temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento
nel regolare svolgimento dell'ufficio o del servizio,
atteso che la predetta fattispecie incriminatrice tutela
non solo l'effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero
di un servizio pubblico o di pubblica necessità, ma
anche il suo ordinato e regolare svolgimento.
3. Il reato di cui all’art. 340
c.p. si realizza anche se l'interruzione o il turbamento
della regolarità dell'ufficio o del servizio siano
temporalmente limitati e coinvolgano solamente un
settore e non la totalità delle attività pertanto, anche
la condotta che determini una temporanea alterazione,
purché oggettivamente apprezzabile, nella regolarità
dell'ufficio o del servizio, è idonea a realizzare
l’azione esecutiva del delitto in questione.
CASUS DECISUS
Il Procuratore generale presso la
Corte di appello di Napoli ricorreva avverso la sentenza
della Corte di appello di Napoli, la quale, in parziale
riforma della pronuncia di primo grado, che aveva
condannato una dottoressa per il reato ex art. 340 c.p.,
assolveva l'imputata, ritenendo che la condotta della
donna, recatasi in ambulatorio con due ore di ritardo,
non fosse idonea ad integrare un danno rilevante
all'andamento del servizio.
ANNOTAZIONE
di Patrizia Trunfio
La Corte Suprema con la sentenza in
rassegna, ritenendo fondate le doglianze mosse dal
Procuratore generale presso la Corte di appello di
Napoli avverso la sentenza della Corte di appello di
Napoli, la quale aveva assolto una dottoressa dal reato
di cui all'art. 340 c.p. con la formula “perché il fatto
non sussiste”, sostiene che la condotta della donna,
recatasi in ambulatorio con due ore di ritardo, sia
idonea ad integrare un danno rilevante all'andamento del
servizio. Nell’occasione il Collegio sottolinea che il
reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico
o di pubblica necessità, di cui all'art. 340 c.p., è
reato di evento la cui consumazione richiede un
pregiudizio effettivo (e non necessariamente di
particolare rilievo) nella continuità o nella regolarità
di un servizio pubblico o di pubblica necessità.
Pertanto, ai fini della integrazione dell'elemento
oggettivo del reato previsto dall'art. 340 c.p., non ha
rilievo che l’interruzione sia stata temporanea o che si
sia trattato di un mero turbamento nel regolare
svolgimento dell'ufficio o del servizio, atteso che la
predetta fattispecie incriminatrice tutela non solo
l'effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero di un
servizio pubblico o di pubblica necessità, ma anche il
suo ordinato e regolare svolgimento. Il reato de quo si
realizza anche se l'interruzione o il turbamento della
regolarità dell'ufficio o del servizio siano
temporalmente limitati e coinvolgano solamente un
settore e non la totalità delle attività, ne consegue
che anche la condotta che determini una temporanea
alterazione, purché oggettivamente apprezzabile, nella
regolarità dell'ufficio o del servizio, è idonea a
realizzare l’azione esecutiva del delitto in questione.
Alla luce dei suesposti principi è dunque evidente che
il ritardo dell’imputata possa essere ricondotto
nell’alveo del reato di interruzione di pubblico
servizio. Tuttavia, pur essendo il ricorso del P.M.
ammissibile in rito e fondato nel merito, la sentenza
deve essere annullata senza rinvio perché il reato è
estinto per intervenuta prescrizione.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE
- SENTENZA 6 ottobre 2011, n.36253 - Pres. Mannino –
est. Lanza
Ritenuto in fatto e considerato in
diritto
Il Procuratore generale presso la
Corte di appello di Napoli ricorre avverso la sentenza
26 febbraio 2010 della Corte di appello di Napoli, la
quale, in parziale riforma della sentenza 9 giugno 2008
del Tribunale di Torre Annunziata (che aveva condannato
C. G., per il reato ex art. 340 c.p., ha assolto
l'imputata dal reato di cui all'art. 340 c.p. perché il
fatto non sussiste, ritenendo che il ritardo realizzato
e consistito nell'essersi la dr.ssa recata in
ambulatorio (attivo sin dalle ore 8 del mattino) alle
10, dopo essersi presentata al lavoro alle ore 9,06, non
fosse idoneo ad integrare un danno rilevante
all'andamento del servizio.
2) i motivi di impugnazione e le
ragioni della decisione di questa Corte.
Con un unico motivo di impugnazione
il Procuratore generale prospetta violazione o erronea
applicazione dell'art. 340 c.p., contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, nonché
travisamento della prova.
Rileva la parte pubblica:
a) che la Corte di appello,
accogliendo un generico motivo di gravame della difesa,
ha assolto l'imputata rilevando che la stessa era scesa
all'ambulatorio, aperto dalle ore 08.00, solo alle ore
10.00 ma che tale ritardo non era temporalmente
apprezzabile e che l'andamento del servizio non aveva
subito danno rilevante;
b) che con tale motivazione la
corte distrettuale ha ignorato il significato della
norma incriminatrice, nella costante interpretazione
della giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra
il reato di interruzione di un pubblico ufficio o
servizio la condotta di colui che cagioni allo
svolgimento del servizio anche un semplice ritardo,
purché apprezzabile sul piano temporale e su quello del
suo regolare andamento (si cita in proposito: Cass. Sez.
VI,. 26934/200S; 334/2009; sez.V, 919/2009), escludendo
che un ritardo di ben due ore nell'apertura
dell'ambulatorio di ortopedia, gestito esclusivamente
dall'imputata, avesse integrato un significativo
disservizio;
c) che con una tale illogica e
carente motivazione sono state altresì travisate tutte
le prove testimoniali raccolte dal primo giudice ed
analiticamente esposte nella sentenza del 9 giugno 2008,
che evidenziavano una situazione di disagio ed allarme
creatasi nel pubblico in attesa, così come chiaramente
riferito dai testi P. D., guardia giurata in servizio
all'ospedale, e S. M., agente di polizia allertato dai
pazienti in attesa presso il medesimo nosocomio.
Il motivo è per più profili
fondato.
Va in proposito premesso che il
reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico
o di pubblica necessità, di cui all'art. 340 c.p., è
reato di evento la cui consumazione richiede un
pregiudizio effettivo (e non necessariamente di
particolare rilievo) nella continuità o nella regolarità
di un servizio pubblico o di pubblica necessità (Cass.
pen. sez. 6, 29351/2006 Rv. 235089).
Su tali premesse va quindi
conseguentemente ribadito:
I) che ai fini della integrazione
dell'elemento oggettivo del reato previsto dall'art. 340
c.p., non ha rilievo che l’interruzione sia stata
temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento
nel regolare svolgimento dell'ufficio o del servizio,
atteso che la predetta fattispecie incriminatrice tutela
non solo l'effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero
di un servizio pubblico o di pubblica necessità, ma
anche il suo ordinato e regolare svolgimento (Cass. pen.
sez. 6, 35071/2007 Rv. 238025);
II) che il reato de quo si realizza
anche se l'interruzione o il turbamento della regolarità
dell'ufficio o del servizio siano temporalmente limitati
e coinvolgano solamente un settore e non la totalità
delle attività (Cass. pen. sez. 6, 334/2008 Rv. );
III) che, pertanto, anche la
condotta che determini una temporanea alterazione,
purché oggettivamente apprezzabile, nella regolarità
dell'ufficio o del servizio, è idonea a realizzare
l’azione esecutiva del delitto in questione (Cass. pen.
sez. 5, 27919/2009 Rv. 44337).
Orbene in relazione a tali tre
standards probatori non v'è dubbio che la motivazione,
che ha supportato la decisione di assoluzione della
Corte di appello, sia affetta dai vizi indicati
nell'impugnazione del Procuratore generale di Napoli.
Conclusione da assumersi avuto
riguardo al quadro complessivo della condotta attribuita
alla dr.ssa C., che aveva indotto i pazienti in attesa a
ricorrere all'intervento dell'agente di Polizia del
“Drappello ospedaliero”, e tenuto altresì conto che
nella specie dalla stessa sentenza di proscioglimento
risulta un ritardo pari a due ore, che si prospetta
erroneamente come giustificabile “per prassi”, in
relazione a generici altri impegni di reparto.
Va invero rilevato in punto di
“prassi” che in tema di reati contro la P.A. non può
essere affermata la carenza dell'elemento soggettivo
allorquando una prassi diffusa si sia inserita in un
contesto giuridico amministrativo, sicuramente incerto
in ordine é la possibilità di realizzare l'attività
contestata, dovendo l'agente astenersi dal porre in
essere comportamenti di incerta rilevanza ed acquisire
dai competenti organi amministrativi le necessarie
informazioni ed assicurazioni circa la legittimità
dell'attività svolta, in modo da adempiere a quell'onere
informativo che potrebbe rendere scusabile l'errore
sulla legge penale (cfr. in termini Cass. pen. sezione
VI, 35813/07, R.V. 237767).
Nella specie, a fronte di un orario
del Pronto soccorso di ortopedia che decorreva dalle ore
8, cui è corrisposta una presenza della C. solo alle ore
10.
La “prassi di impegni altri', dopo
la marcatura dell'ingresso (nella specie avvenuta alle
9,06), a parte ogni altra considerazione, era in tale
contesto sicuramente discutibile, avuto riguardo alla
urgenza ed improcrastinabilità del servizio, appunto di
“pronto soccorso” ed imponeva l'astensione da
comportamenti diversi da quelli dovuti e corrispondenti
alla gestione del servizio di pronto soccorso stesso.
Il ricorso del P.M. risulta quindi
ammissibile in rito e fondato nel merito con conseguente
annullamento senza rinvio dell'impugnata senten.za per
intervenuta prescrizione.
Per risalente giurisprudenza (Cass.
pen. sez. 4, 243/1966 Rv. 101276), formatasi già nella
vigenza dell'art. 152 c.p.p. abrogato, ove nelle more
del giudizio per cassazione venga a maturarsi il termine
di estinzione del reato per prescrizione, la sentenza
assolutoria con formula piena emessa dal giudice di
appello non costituisce la prova richiesta dall’art. 129
capoverso c.p.p. e non vale quindi ad escludere
l'applicazione della causa estintiva, nei casi in cui,
come quello di specie, il ricorso del P.M. risulti
rituale e non manifestamente infondato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza
rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
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