MASSIMA
1. Il divieto del patto
commissorio, sancito dall'art. 2744 c.c., si estende a
qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente
lecito, che venga impiegato per conseguire il concreto
risultato, vietato dall'ordinamento, di assoggettare il
debitore all'illecita coercizione da parte del
creditore, sottostando alla volontà del medesimo di
conseguire il trasferimento della proprietà di un suo
bene, quale conseguenza della mancata estinzione di un
debito.
2. La vendita con patto di riscatto
o di retrovendita, anche quando sia previsto il
trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata
per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa
di scambio), nell'ambito della quale il versamento del
danaro, da parte del compratore, non costituisca
pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo, ed il
trasferimento del bene serva solo per costituire una
posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a
seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di
restituire le somme ricevute. La predetta vendita,
infatti, in quanto caratterizzata dalla causa di
garanzia propria del mutuo con patto commissorio,
piuttosto che dalla causa di scambio propria della
vendita, pur non integrando direttamente un patto
commissorio vietato dall'art. 2744 c.c., costituisce un
mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime,
perciò, una causa illecita che rende applicabile,
all'intero contratto, la sanzione dell'art. 1344 c.c..
CASUS DECISUS
Con atto di citazione notificato il
17-4-1993 C.S. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma
I.M., per sentir dichiarare la nullità dell'atto di
compravendita per notaio Perrotta del 5-8-2007, perché
simulato e illecito, in quanto volto ad eludere il
divieto del patto commissorio. L'attore chiedeva altresì
che venisse riconosciuto il suo diritto di proprietà
sull'appartamento oggetto del predetto contratto,
invocando in via subordina il riconoscimento in suo
favore del relativo acquisto per usucapione, in virtù
del possesso continuato e indisturbato per oltre venti
anni. Nel costituirsi, la convenuta contestava la
fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto. Il
Tribunale adito, con sentenza depositata il 16-1-2003,
rigettava la domanda. Con sentenza depositata il
3-3-2010 la Corte di Appello di Roma, in accoglimento
dell'appello proposto da C.D. , C.T. , C.M. e B.I. ,
quali eredi di C.S. , nei confronti di I.C. , erede di
I.M. , dichiarava la nullità dell'atto di compravendita
per notaio Perrotta del 5-8-2007 e, conseguentemente,
dichiarava gli appellanti, nella qualità, proprietari
dell'immobile oggetto di tale contratto. Per la
cassazione di tale sentenza ricorre I.C. , sulla base di
un unico motivo. C.D. , C.T. , C.M. e B.I. resistono con
controricorso.
PRECEDENTI
Conforme Difforme
Quanto alla massima n.1, v., tra le
tante, Cass. 12-1-2009 n. 437; Cass. 11-6-2007 n. 13621;
Cass. 19-5-2004 n. 9466; Cass. 2, 20-7-1999 n. 7740.
Quanto alla massima n. 2, Cass. 4-3-1996 n. 1657; Cass.
20-7-2001 n. 9900; Cass. 8-2-2007 n. 2725.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE. SEZ. VI CIVILE
- SENTENZA 12 ottobre 2011, n.20956 - Pres. Bucciante –
est. Matera
[omissis]
Rileva in diritto
Con l’unico motivo il ricorrente,
denunciando la violazione degli artt. 2744 e 1963 c.c.,
l'erronea valutazione della prova ex art. 116 c.p.c. e
l'insufficienza, contraddittorietà ed erroneità della
motivazione su fatti decisivi della controversia,
sostiene che nella specie, contrariamente a quanto
ritenuto dalla Corte di Appello, non si è in presenza di
un contratto simulato, ma di una vera compravendita con
patto di riscatto, nella quale il venditore si è
riservato il diritto di riavere la proprietà del bene
alienato mediante la restituzione del prezzo, delle
spese e degli interessi. Fa altresì presente che,
contestualmente alla vendita, tra le parti è stato
stipulato un contratto di locazione che ha consentito al
C. di continuare ad abitare nello stesso immobile
alienato all'I. , dietro pagamento di un canone.
Il ricorso è inammissibile.
La Corte di Appello, sulla base
degli elementi acquisiti, ha accertato, con
apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di
legittimità, che il contratto di compravendita
dell’appartamento per cui è causa, pur se ad effetti
apparentemente immediati, è stato stipulato a scopo di
garanzia, con il fine specifico di attribuire l’immobile
al creditore acquirente soltanto nel caso
d'inadempimento, da parte del debitore venditore,
dell'obbligazione di restituire la somma prestatagli.
Essa ha dato un'adeguata e logica motivazione di tale
convincimento, ponendo in evidenza una serie di indizi
(quali la mancata prova del versamento del prezzo da
parte dell’acquirente; la sostanziale ammissione resa in
sede d'interrogatorio formale da I.M. circa il prestito
elargito al C. , per la cui concessione quest'ultimo era
stato costretto a stipulare con immediatezza il
contratto di compravendita della sua casa di abitazione;
la mancata richiesta di verificazione, da parte della
convenuta, della sottoscrizione apposta sul contratto di
locazione prodotto in giudizio, disconosciuta
dall'attore, e la conseguente inutilizzabilità di tale
atto; la mancata dimostrazione, da parte dell'attore,
del pagamento di canoni di locazione da parte del C. ,
rimasto nella disponibilità dell'appartamento)
sintomatici della esclusiva finalità di garanzia
dell'adempimento dell'obbligazione contratta dal C. nei
confronti dell'I. , perseguita dalle parti attraverso la
stipulazione dell'atto pubblico di vendita e della
contestuale sottoscrizione di una convenzione avente ad
oggetto il patto di retrocessione.
Correttamente, pertanto, la
sentenza impugnata ha ritenuto la nullità del contratto
in questione, in quanto posto in essere in violazione
del divieto del patto commissorio sancito dall'art. 2744
c.c. e, conseguentemente, affetto da causa illecita.
Secondo il consolidato orientamento
di questa Corte, infatti, il divieto del patto
commissorio, sancito dall'art. 2744 c.c., si estende a
qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente
lecito, che venga impiegato per conseguire il concreto
risultato, vietato dall'ordinamento, di assoggettare il
debitore all'illecita coercizione da parte del
creditore, sottostando alla volontà del medesimo di
conseguire il trasferimento della proprietà di un suo
bene, quale conseguenza della mancata estinzione di un
debito (v., tra le tante, Cass. 12-1-2009 n. 437; Cass.
11-6-2007 n. 13621; Cass. 19-5-2004 n. 9466; Cass. 2,
20-7-1999 n. 7740).
In particolare, è stato
puntualizzato che la vendita con patto di riscatto o di
retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento
effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa
di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio),
nell'ambito della quale il versamento del danaro, da
parte del compratore, non costituisca pagamento del
prezzo ma esecuzione di un mutuo, ed il trasferimento
del bene serva solo per costituire una posizione di
garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che
il debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le
somme ricevute. La predetta vendita, infatti, in quanto
caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo
con patto commissario, piuttosto che dalla causa di
scambio propria della vendita, pur non integrando
direttamente un patto commissorio vietato dall'art. 2744
c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma
imperativa ed esprime, perciò, una causa illecita che
rende applicabile, all'intero contratto, la sanzione
dell'art. 1344 c.c. (Cass. 4-3-1996 n. 1657; Cass.
20-7-2001 n. 9900; Cass. 8-2-2007 n. 2725).
Nel caso in esame la Corte
territoriale ha accertato la sussistenza di una
fattispecie rispondente allo schema negoziale indiretto
sopra descritto, avendo dato atto che il versamento del
denaro da parte dell'acquirente non aveva costituito il
pagamento del prezzo, ma l'adempimento di un mutuo, e il
trasferimento del bene era stato previsto in funzione di
garanzia, per il caso di mancata restituzione della
somma mutuata. Sussistendo, pertanto, l'illiceità
dell'operazione negoziale, che si è risolta nella
sovrapposizione e sostituzione, alla funzione di scambio
tipica del contratto di compravendita, di quella di
garanzia dell'adempimento dell'obbligazione pecuniaria,
legittimamente è stata ritenuta la nullità del
contratto.
La validità delle conclusioni cui è
pervenuto il giudice di appello non può essere inficiata
dalle deduzioni svolte dal ricorrente, con le quali, in
buona sostanza, vengono proposte mere censure di merito,
basate su una ricostruzione della vicenda alternativa
rispetto a quella posta a base della decisione
impugnata. In tal modo, si sollecita a questa Corte una
diversa valutazione in fatto delle emergenze
processuali, estranea alla natura ed alle finalità del
giudizio di legittimità. L'accertamento della effettiva
volontà delle parti e della concreta portata dell'atto
dalle stesse posto in essere, infatti, è compito
esclusivo del giudice di merito, che nella specie ha
fondato il proprio giudizio su argomentazioni esaustive
ed immuni da vizi logici.
Il ricorso può essere trattato in
camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376,
380 bis e 375 c.p.c.'.
La relazione è stata comunicata al
Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.
Il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378
c.p.c..
Osserva in diritto
Il Collegio, all'esito della
discussione, condivide i motivi in fatto e in diritto
esposti nella relazione, ai quali non sono stati opposti
validi argomenti nella memoria difensiva depositata dal
ricorrente.
Il ricorso, pertanto, deve essere
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di Cassazione,
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che
liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per
esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
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