MASSIMA
1. La diversa disciplina dettata
dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso
delle spese sostenute dal partecipante per la
conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella
comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il
relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli
altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più
stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento
nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni
costituiscono l'utilità finale del diritto dei
partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo
scioglimento, possono decidere di provvedere
personalmente alla loro conservazione, mentre nel
condominio i beni predetti rappresentano utilità
strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la
legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che
il singolo possa interferire nella loro amministrazione.
Ne discende che, istaurandosi il condominio sul
fondamento della relazione di accessorietà tra i beni
comuni e le proprietà individuali, poiché tale
situazione si riscontra anche nel caso di condominio
minimo, cioè di condominio composto da due soli
partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di
essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i
requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod. civ.
2. La disciplina dettata dall’art.
1134 c.c. trova applicazione anche nel caso in cui il
condominio non risulti formalmente costituito, con
nomina dell'amministratore, atteso che la disciplina del
condominio negli edifici opera per il semplice fatto che
coesistano in un fabbricato parti di proprietà comune e
parti di proprietà esclusiva.
CASUS DECISUS
Con atto di citazione ritualmente
notificato, G.M.F. conveniva in giudizio, dinnanzi al
Giudice di pace di Sant'Arcangelo, G.V. , L.R. , G.A. ,
G.F. , Gu.Fr. e C.G. e, assumendo di essere
comproprietaria e condomina di un immobile sito in
(omissis) , unitamente ai convenuti, chiedeva la
condanna di questi ultimi al pagamento, con vincolo
solidale o separatamente, della somma di lire 2.789,250,
oltre interessi, assumendo di avere fatto eseguire,
previo consenso dei convenuti, lavori di riparazione
dell'immobile comune e di avere anticipato la somma
relativa ai canoni dell'acqua per il periodo
luglio-settembre 2000. Instauratosi il contraddittorio,
i convenuti, ad eccezione di G.V. , si costituivano e
contestavano la domanda, in quanto i lavori erano stati
eseguiti senza il loro consenso e comunque perché si
trattava di spese non urgenti. L'adito Giudice di pace,
con sentenza depositata il 4 maggio 2002, rigettava la
domanda. G.M.F. proponeva appello, sostenendo che il
Giudice di pace aveva errato nell'applicare l'art. 1134
cod. civ. e dolendosi della mancata decisione in ordine
alle spese relative ai canoni dell'acqua. Si
costituivano gli appellati, ad eccezione di G.V. ,
chiedendo il rigetto del gravame. C.G. reiterava
l'eccezione di difetto di legittimazione passiva. Con
sentenza depositata il 9 agosto 2004, il Tribunale di
Lagonegro, in parziale accoglimento del gravame,
condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro
19,92 ciascuno, compensando integralmente le spese del
doppio grado di giudizio. Il Tribunale, rilevato che
correttamente il Giudice di pace aveva fatto
applicazione dell'art. 1134 cod. civ., ha poi ritenuto
che non fosse stata dimostrata l'urgenza della
esecuzione dei lavori, atteso che la denuncia al Comune
era stata presentata il 26 gennaio 2000, mentre i lavori
erano stati eseguiti nel mese di ottobre 2000, e che
dovesse escludersi che gli altri condomini avessero
avuto regolare preavviso in ordine ai lavori da eseguire
e avessero prestato il loro consenso alla esecuzione
delle opere. Il Tribunale riteneva invece fondato il
gravame con riferimento alla domanda relativa alla
restituzione delle somme versate a titolo di pagamento
dei canoni dell'acqua, per un importo documentato di
lire 270.000; detta somma doveva quindi essere ripartita
tra i sette condomini, con la conseguenza che i
convenuti dovevano essere condannati al pagamento
ciascuno di Euro 19,92, oltre agli interessi legali. Per
la cassazione di questa sentenza G.M.F. ha proposto
ricorso sulla base di quattro motivi; hanno resistito,
con distinti controricorsi, C.G. , da un lato, e G.A. ,
G.F. e Gu.Fr. , dall'altro; gli altri intimati non hanno
svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato
memoria.
PRECEDENTI
Conforme Difforme
Cass. Civ. Sez. Un., n. 2046/2006.
ANNOTAZIONE
Nella sentenza in epigrafe, la
seconda sezione della corte di cassazione si occupa
della ripartizione tra i condomini delle spese sostenute
da uno solo di essi per la conservazione delle cose
comuni.
E sul punto, la corte di
legittimità richiama quanto enunciato dalle sezioni
unite della corte di cassazione a soluzione di un
precedente contrasto giurisprudenziale ossia il
principio secondo cui “la diversa disciplina dettata
dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso
delle spese sostenute dal partecipante per la
conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella
comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il
relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli
altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più
stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento
nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni
costituiscono l'utilità finale del diritto dei
partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo
scioglimento, possono decidere di provvedere
personalmente alla loro conservazione, mentre nel
condominio i beni predetti rappresentano utilità
strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la
legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che
il singolo possa interferire nella loro amministrazione.
Ne discende che, istaurandosi il condominio sul
fondamento della relazione di accessorietà tra i beni
comuni e le proprietà individuali, poiché tale
situazione si riscontra anche nel caso di condominio
minimo, cioè di condominio composto da due soli
partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di
essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i
requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod.
civ.” (Cass., S.U., n. 2046 del 2006).
Siffatto principio, aggiungono i
giudici di legittimità, trova applicazione anche nel
caso in cui il condominio non risulti formalmente
costituito, con nomina dell'amministratore, atteso che
la disciplina del condominio negli edifici opera per il
semplice fatto che coesistano in un fabbricato parti di
proprietà comune e parti di proprietà esclusiva.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE
- SENTENZA 12 ottobre 2011, n.21015 - Pres. Triola –
est. Petitti
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
1134, 1136 e 1139 cod. civ..
La ricorrente, dopo aver ricordato
il contenuto delle censure rivolte alla sentenza di
primo grado, tutte miranti a dimostrare la erronea
applicazione, nel caso di specie, dell'art. 1134 cod.
civ. in luogo dell'art. 1110 cod. civ., che consente la
ripetizione delle spese sostenute dal comproprietario
diligente per la esecuzione delle opere di manutenzione
del bene comune, si duole del fatto che il Tribunale
avrebbe motivato il proprio convincimento esclusivamente
argomentando dal rinvio, contenuto nell'art. 1139 cod.
civ., alle norme sulla comunione, che è invece norma da
interpretare restrittivamente e che mal si adatta
all'estensione anche ai diritti reali condominiali,
riguardando invece solo quelli personali dei
partecipanti, e alla loro organizzazione finalizzata al
godimento del bene comune.
Con il secondo motivo, la
ricorrente denuncia il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in ordine alla urgenza
dell'intervento conservativo eseguito, non avendo il
Tribunale tenuto conto della prova testimoniale, dalla
quale emergeva invece anche la sussistenza del requisito
dell'urgenza. Il Tribunale sarebbe quindi incorso
nell'omesso esame delle risultanze istruttorie,
essendosi limitato ad esprimere concetti insufficienti e
inappropriati in ordine alla indifferibilità della spesa
senza danno o pericolo, argomentando sui tempi tra
denuncia di inizio attività ed esecuzione dei lavori e
trascurando di pronunciarsi sulla provata esistenza del
pericolo e della connessa urgenza di ovviarvi, ed
omettendo altresì di dare conto del fatto che dalla
istruttoria emergeva anche la prova dell'avvenuta
comunicazione ai comproprietari della necessità
dell'intervento. Il Tribunale, infine, non avrebbe dato
conto della richiesta di ammissione di una c.t.u. dalla
quale avrebbe potuto attingere elementi caratterizzanti
il presupposto della spesa urgente.
Con il terzo motivo, la ricorrente
denuncia ancora vizio di motivazione e violazione di
legge, ai sensi dell'art. 360, nn. 4 e 5, cod. proc.
civ., dolendosi della mancata ammissione della richiesta
consulenza tecnica d'ufficio.
Con il quarto motivo, la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
1101, 1118, 1123 cod. civ. e 'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione sull'obbligo dei
comproprietari di contribuire alle spese sostenute per
la conservazione della cosa comune; errore di calcolo
delle spettanze contributive, non considerate nella loro
richiesta quantità, e delle quote a carico dei
partecipanti'.
La ricorrente si duole del fatto
che il Tribunale abbia limitato la condanna per
l'anticipazione delle spese relative ai canoni
dell'acqua all'importo versato per il periodo luglio
settembre 2000, dimenticando che i convenuti avevano
anche ammesso nel verbale di udienza del 10 dicembre
2001 di essere debitori, per il medesimo titolo, anche
di altri importi. Inoltre, il Tribunale avrebbe errato
nel suddividere l'importo dovuto in sette parti, laddove
comproprietari dell'immobile erano, oltre a lei, altri
due gruppi di convenuti; circostanza, questa, che aveva
consentito al Tribunale di ritenere esistente un
condominio di sette persone, laddove i comproprietari
erano tre e il condominio non era stato costituito, né
avrebbe dovuto esserlo. Da ultimo, la ricorrente lamenta
che il Tribunale non abbia fatto decorrere dal momento
di esecuzione dei lavori gli oneri reali cadenti sulla
cosa comune.
Il primo motivo di ricorso è
infondato.
Il Tribunale ha correttamente e
motivatamente ricondotto la fattispecie oggetto di
giudizio all'ambito di applicabilità dell'art. 1134 cod.
civ.. Tale soluzione è in linea con l'approdo
giurisprudenziale costituito dalla sentenza delle
Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha affermato il
principio secondo cui “la diversa disciplina dettata
dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso
delle spese sostenute dal partecipante per la
conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella
comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il
relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli
altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più
stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento
nella considerazione” che, nella comunione, i beni
comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei
partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo
scioglimento, possono decidere di provvedere
personalmente alla loro conservazione, mentre nel
condominio i beni predetti rappresentano utilità
strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la
legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che
il singolo possa interferire nella loro amministrazione.
Ne discende che, istaurandosi il condominio sul
fondamento della relazione di accessorietà tra i beni
comuni e le proprietà individuali, poiché tale
situazione si riscontra anche nel caso di condominio
minimo, cioè di condominio composto da due soli
partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di
essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i
requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod.
civ.” (Cass., S.U., n. 2046 del 2006).
Si deve solo aggiungere che
correttamente il Tribunale ha ritenuto applicabile la
disposizione di cui all'art. 1134 cod. civ., pur se,
nella specie, il condominio non risultava formalmente
costituito, con nomina dell'amministratore, atteso che
la disciplina del condominio negli edifici opera per il
semplice fatto che coesistano in un fabbricato, come
nella specie, parti di proprietà comune e parti di
proprietà esclusiva.
La ricorrente, con il primo motivo
di ricorso, del resto, si limita a ripetere le
argomentazioni svolte a sostegno della impugnazione
della sentenza di primo grado e non censura
specificamente le ragioni addotte dal Tribunale in
ordine alla ritenuta applicabilità dell'art. 1134 cod.
civ..
Infondato è altresì il secondo
motivo, con il quale la ricorrente denuncia vizio di
motivazione in ordine alla valutazione circa la
affermata insussistenza dell'urgenza, all'accertamento
della quale soltanto, ai sensi dell'art. 1134 cod. civ.,
è subordinato il diritto del condomino ad ottenere la
restituzione di quanto anticipato per i lavori eseguiti
sulle parti comuni. Il Tribunale, infatti, ha dato conto
delle ragioni in base alle quali ha ritenuto
insussistente la urgenza dei lavori, e segnatamente ha
rilevato come, in relazione ai lavori in questione, la
denuncia di inizio dei lavori fosse stata presentata al
Comune il 26 gennaio 2000, mentre i lavori avevano avuto
inizio solo nel mese di ottobre, e ha trovato conferma
della insussistenza dell'urgenza nelle deposizioni
assunte nel corso del giudizio di primo grado.
A fronte di tale specifico e
congruo accertamento compiuto dal giudice di appello,
le, peraltro generiche, censure svolte dalla ricorrente
si risolvono, in sostanza, nella richiesta di un diverso
apprezzamento in punto esistenza o no dell'urgenza dei
lavori, il che non è consentito in sede di legittimità.
È noto, infatti, che “il vizio di omessa o insufficiente
motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art.
360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla
sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente
esame di punti decisivi della controversia e non può
invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle
prove in senso difforme da quello preteso dalla parte,
perché la citata norma non conferisce alla Corte di
legittimità il potere di riesaminare e valutare il
merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto
il profilo logico-formale e della correttezza giuridica,
l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al
quale soltanto spetta di individuare le fonti del
proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le
prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e
scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione” (v., da
ultimo, Cass. 18 marzo 2011, n. 6288).
Per le considerazioni svolte in
ordine al secondo motivo, deve ritenersi infondato anche
il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente
si duole del fatto che il giudice di appello non abbia
dato corso alla richiesta di consulenza tecnica
d'ufficio. In presenza, infatti, di elementi che
positivamente inducevano ad escludere la esistenza
dell'urgenza dei lavori, la mancata ammissione di una
consulenza tecnica d'ufficio, dal carattere
evidentemente esplorativo, appare implicitamente, ma non
per questo insufficientemente, motivata.
Il quarto motivo di ricorso è
inammissibile sotto tutti i profili nei quali esso si
articola. Con riferimento al fatto che il Tribunale
abbia limitato il diritto della ricorrente unicamente
alla restituzione, pro quota, delle spese sostenute per
il pagamento della fattura dell'acqua per il trimestre
luglio - settembre 2000, e non lo abbia invece esteso ai
trimestri successivi, il ricorrente avrebbe dovuto
dimostrare che una domanda siffatta, era stata
ritualmente e tempestivamente introdotta in giudizio e
poi dolersi della mancata pronuncia sul punto da parte;
dei giudici di merito. Al contrario, la ricorrente si è
limitata a riferire di avere chiesto la condanna al
pagamento “di ogni somma dovuta”, senza dedurre di avere
formulato a titolo di restituzione delle spese sostenute
per l'acqua nei trimestri successivi una specifica
domanda, e ha poi denunciato un vizio di omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione; denuncia,
questa, che non consente al Collegio di accedere
all'esame degli atti processuali e di verificare se una
simile specifica domanda fosse stata proposta o no.
Con riferimento alla doglianza
concernente il fatto che il Tribunale ha ripartito
l'importo della fattura in sette parti, addebitando il
pagamento delle singole quote a ciascuna delle parti
convenute, si deve rilevare, da un lato, che la
ricorrente si è limitata ad allegare che l'esistenza di
tre gruppi di condomini, ma non ha in alcun modo
documentato tale asserzione; da un altro lato, che la
medesima ricorrente difetta di interesse sostanziale
alla proposta censura atteso che la detta ripartizione -
non oggetto di impugnazione incidentale - opera a suo
favore, atteso che ella potrà beneficiare della
restituzione di somme superiori a quella che, con il
diverso criterio, le sarebbero spettate; da un altro
lato ancora, che la censura relativa alla omessa
pronuncia “sul momento di insorgenza dell'obbligo di
pagamento degli oneri reali cadenti sulla cosa comune al
partecipante che ha acquistato l'appartamento, da
fissarsi nel momento in cui vendono eseguiti i lavori”,
risulta priva di oggetto, atteso che è mancante la
statuizione rispetto alla quale potrebbe porsi un
problema di individuazione del momento di decorrenza del
pagamento.
In conclusione, il ricorso deve
essere rigettato, con conseguente condanna della
ricorrente, in applicazione del principio della
soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di
ciascun gruppo di controricorrenti, in complessivi Euro
700,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre alle spese
generali e agli accessori di legge.
|