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CONDOMINIO MINIMO-CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 12 ottobre 2011, n.21015-Nel diritto.it

 

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MASSIMA

1. La diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod. civ.

 

2. La disciplina dettata dall’art. 1134 c.c. trova applicazione anche nel caso in cui il condominio non risulti formalmente costituito, con nomina dell'amministratore, atteso che la disciplina del condominio negli edifici opera per il semplice fatto che coesistano in un fabbricato parti di proprietà comune e parti di proprietà esclusiva.

 

 

CASUS DECISUS

Con atto di citazione ritualmente notificato, G.M.F. conveniva in giudizio, dinnanzi al Giudice di pace di Sant'Arcangelo, G.V. , L.R. , G.A. , G.F. , Gu.Fr. e C.G. e, assumendo di essere comproprietaria e condomina di un immobile sito in (omissis) , unitamente ai convenuti, chiedeva la condanna di questi ultimi al pagamento, con vincolo solidale o separatamente, della somma di lire 2.789,250, oltre interessi, assumendo di avere fatto eseguire, previo consenso dei convenuti, lavori di riparazione dell'immobile comune e di avere anticipato la somma relativa ai canoni dell'acqua per il periodo luglio-settembre 2000. Instauratosi il contraddittorio, i convenuti, ad eccezione di G.V. , si costituivano e contestavano la domanda, in quanto i lavori erano stati eseguiti senza il loro consenso e comunque perché si trattava di spese non urgenti. L'adito Giudice di pace, con sentenza depositata il 4 maggio 2002, rigettava la domanda. G.M.F. proponeva appello, sostenendo che il Giudice di pace aveva errato nell'applicare l'art. 1134 cod. civ. e dolendosi della mancata decisione in ordine alle spese relative ai canoni dell'acqua. Si costituivano gli appellati, ad eccezione di G.V. , chiedendo il rigetto del gravame. C.G. reiterava l'eccezione di difetto di legittimazione passiva. Con sentenza depositata il 9 agosto 2004, il Tribunale di Lagonegro, in parziale accoglimento del gravame, condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 19,92 ciascuno, compensando integralmente le spese del doppio grado di giudizio. Il Tribunale, rilevato che correttamente il Giudice di pace aveva fatto applicazione dell'art. 1134 cod. civ., ha poi ritenuto che non fosse stata dimostrata l'urgenza della esecuzione dei lavori, atteso che la denuncia al Comune era stata presentata il 26 gennaio 2000, mentre i lavori erano stati eseguiti nel mese di ottobre 2000, e che dovesse escludersi che gli altri condomini avessero avuto regolare preavviso in ordine ai lavori da eseguire e avessero prestato il loro consenso alla esecuzione delle opere. Il Tribunale riteneva invece fondato il gravame con riferimento alla domanda relativa alla restituzione delle somme versate a titolo di pagamento dei canoni dell'acqua, per un importo documentato di lire 270.000; detta somma doveva quindi essere ripartita tra i sette condomini, con la conseguenza che i convenuti dovevano essere condannati al pagamento ciascuno di Euro 19,92, oltre agli interessi legali. Per la cassazione di questa sentenza G.M.F. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi; hanno resistito, con distinti controricorsi, C.G. , da un lato, e G.A. , G.F. e Gu.Fr. , dall'altro; gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato memoria.

 

 

PRECEDENTI

Conforme           Difforme

Cass. Civ. Sez. Un., n. 2046/2006.

               

 

 

ANNOTAZIONE

Nella sentenza in epigrafe, la seconda sezione della corte di cassazione si occupa della ripartizione tra i condomini delle spese sostenute da uno solo di essi per la conservazione delle cose comuni.

E sul punto, la corte di legittimità richiama quanto enunciato dalle sezioni unite della corte di cassazione a soluzione di un precedente contrasto giurisprudenziale ossia il principio secondo cui “la diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod. civ.” (Cass., S.U., n. 2046 del 2006).

Siffatto principio, aggiungono i giudici di legittimità, trova applicazione anche nel caso in cui il condominio non risulti formalmente costituito, con nomina dell'amministratore, atteso che la disciplina del condominio negli edifici opera per il semplice fatto che coesistano in un fabbricato parti di proprietà comune e parti di proprietà esclusiva.

 

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 12 ottobre 2011, n.21015 - Pres. Triola – est. Petitti

 

 

 

Motivi della decisione

 

 

 

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1134, 1136 e 1139 cod. civ..

 

La ricorrente, dopo aver ricordato il contenuto delle censure rivolte alla sentenza di primo grado, tutte miranti a dimostrare la erronea applicazione, nel caso di specie, dell'art. 1134 cod. civ. in luogo dell'art. 1110 cod. civ., che consente la ripetizione delle spese sostenute dal comproprietario diligente per la esecuzione delle opere di manutenzione del bene comune, si duole del fatto che il Tribunale avrebbe motivato il proprio convincimento esclusivamente argomentando dal rinvio, contenuto nell'art. 1139 cod. civ., alle norme sulla comunione, che è invece norma da interpretare restrittivamente e che mal si adatta all'estensione anche ai diritti reali condominiali, riguardando invece solo quelli personali dei partecipanti, e alla loro organizzazione finalizzata al godimento del bene comune.

 

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla urgenza dell'intervento conservativo eseguito, non avendo il Tribunale tenuto conto della prova testimoniale, dalla quale emergeva invece anche la sussistenza del requisito dell'urgenza. Il Tribunale sarebbe quindi incorso nell'omesso esame delle risultanze istruttorie, essendosi limitato ad esprimere concetti insufficienti e inappropriati in ordine alla indifferibilità della spesa senza danno o pericolo, argomentando sui tempi tra denuncia di inizio attività ed esecuzione dei lavori e trascurando di pronunciarsi sulla provata esistenza del pericolo e della connessa urgenza di ovviarvi, ed omettendo altresì di dare conto del fatto che dalla istruttoria emergeva anche la prova dell'avvenuta comunicazione ai comproprietari della necessità dell'intervento. Il Tribunale, infine, non avrebbe dato conto della richiesta di ammissione di una c.t.u. dalla quale avrebbe potuto attingere elementi caratterizzanti il presupposto della spesa urgente.

 

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia ancora vizio di motivazione e violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., dolendosi della mancata ammissione della richiesta consulenza tecnica d'ufficio.

 

Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1101, 1118, 1123 cod. civ. e 'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sull'obbligo dei comproprietari di contribuire alle spese sostenute per la conservazione della cosa comune; errore di calcolo delle spettanze contributive, non considerate nella loro richiesta quantità, e delle quote a carico dei partecipanti'.

 

La ricorrente si duole del fatto che il Tribunale abbia limitato la condanna per l'anticipazione delle spese relative ai canoni dell'acqua all'importo versato per il periodo luglio settembre 2000, dimenticando che i convenuti avevano anche ammesso nel verbale di udienza del 10 dicembre 2001 di essere debitori, per il medesimo titolo, anche di altri importi. Inoltre, il Tribunale avrebbe errato nel suddividere l'importo dovuto in sette parti, laddove comproprietari dell'immobile erano, oltre a lei, altri due gruppi di convenuti; circostanza, questa, che aveva consentito al Tribunale di ritenere esistente un condominio di sette persone, laddove i comproprietari erano tre e il condominio non era stato costituito, né avrebbe dovuto esserlo. Da ultimo, la ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia fatto decorrere dal momento di esecuzione dei lavori gli oneri reali cadenti sulla cosa comune.

 

Il primo motivo di ricorso è infondato.

 

Il Tribunale ha correttamente e motivatamente ricondotto la fattispecie oggetto di giudizio all'ambito di applicabilità dell'art. 1134 cod. civ.. Tale soluzione è in linea con l'approdo giurisprudenziale costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha affermato il principio secondo cui “la diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento nella considerazione” che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod. civ.” (Cass., S.U., n. 2046 del 2006).

 

Si deve solo aggiungere che correttamente il Tribunale ha ritenuto applicabile la disposizione di cui all'art. 1134 cod. civ., pur se, nella specie, il condominio non risultava formalmente costituito, con nomina dell'amministratore, atteso che la disciplina del condominio negli edifici opera per il semplice fatto che coesistano in un fabbricato, come nella specie, parti di proprietà comune e parti di proprietà esclusiva.

 

La ricorrente, con il primo motivo di ricorso, del resto, si limita a ripetere le argomentazioni svolte a sostegno della impugnazione della sentenza di primo grado e non censura specificamente le ragioni addotte dal Tribunale in ordine alla ritenuta applicabilità dell'art. 1134 cod. civ..

 

Infondato è altresì il secondo motivo, con il quale la ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla valutazione circa la affermata insussistenza dell'urgenza, all'accertamento della quale soltanto, ai sensi dell'art. 1134 cod. civ., è subordinato il diritto del condomino ad ottenere la restituzione di quanto anticipato per i lavori eseguiti sulle parti comuni. Il Tribunale, infatti, ha dato conto delle ragioni in base alle quali ha ritenuto insussistente la urgenza dei lavori, e segnatamente ha rilevato come, in relazione ai lavori in questione, la denuncia di inizio dei lavori fosse stata presentata al Comune il 26 gennaio 2000, mentre i lavori avevano avuto inizio solo nel mese di ottobre, e ha trovato conferma della insussistenza dell'urgenza nelle deposizioni assunte nel corso del giudizio di primo grado.

 

A fronte di tale specifico e congruo accertamento compiuto dal giudice di appello, le, peraltro generiche, censure svolte dalla ricorrente si risolvono, in sostanza, nella richiesta di un diverso apprezzamento in punto esistenza o no dell'urgenza dei lavori, il che non è consentito in sede di legittimità. È noto, infatti, che “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (v., da ultimo, Cass. 18 marzo 2011, n. 6288).

 

Per le considerazioni svolte in ordine al secondo motivo, deve ritenersi infondato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello non abbia dato corso alla richiesta di consulenza tecnica d'ufficio. In presenza, infatti, di elementi che positivamente inducevano ad escludere la esistenza dell'urgenza dei lavori, la mancata ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio, dal carattere evidentemente esplorativo, appare implicitamente, ma non per questo insufficientemente, motivata.

 

Il quarto motivo di ricorso è inammissibile sotto tutti i profili nei quali esso si articola. Con riferimento al fatto che il Tribunale abbia limitato il diritto della ricorrente unicamente alla restituzione, pro quota, delle spese sostenute per il pagamento della fattura dell'acqua per il trimestre luglio - settembre 2000, e non lo abbia invece esteso ai trimestri successivi, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che una domanda siffatta, era stata ritualmente e tempestivamente introdotta in giudizio e poi dolersi della mancata pronuncia sul punto da parte; dei giudici di merito. Al contrario, la ricorrente si è limitata a riferire di avere chiesto la condanna al pagamento “di ogni somma dovuta”, senza dedurre di avere formulato a titolo di restituzione delle spese sostenute per l'acqua nei trimestri successivi una specifica domanda, e ha poi denunciato un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; denuncia, questa, che non consente al Collegio di accedere all'esame degli atti processuali e di verificare se una simile specifica domanda fosse stata proposta o no.

 

Con riferimento alla doglianza concernente il fatto che il Tribunale ha ripartito l'importo della fattura in sette parti, addebitando il pagamento delle singole quote a ciascuna delle parti convenute, si deve rilevare, da un lato, che la ricorrente si è limitata ad allegare che l'esistenza di tre gruppi di condomini, ma non ha in alcun modo documentato tale asserzione; da un altro lato, che la medesima ricorrente difetta di interesse sostanziale alla proposta censura atteso che la detta ripartizione - non oggetto di impugnazione incidentale - opera a suo favore, atteso che ella potrà beneficiare della restituzione di somme superiori a quella che, con il diverso criterio, le sarebbero spettate; da un altro lato ancora, che la censura relativa alla omessa pronuncia “sul momento di insorgenza dell'obbligo di pagamento degli oneri reali cadenti sulla cosa comune al partecipante che ha acquistato l'appartamento, da fissarsi nel momento in cui vendono eseguiti i lavori”, risulta priva di oggetto, atteso che è mancante la statuizione rispetto alla quale potrebbe porsi un problema di individuazione del momento di decorrenza del pagamento.

 

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascun gruppo di controricorrenti, in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

 

 

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