Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

Misure di sicurezza non detentiva: sopravvenuta infermità mentale-Corte di Cassazione Sezioni Unite Penali, sentenza del 15 settembre 2011, n. 34091-Commento e testo sentenza-Lex 24.it

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

Luca Raponi (Studio Patti) 

In ragione della loro attitudine ad incidere significativamente sui diritti fondamentali dell’individuo, le misure di sicurezza sono sottoposte al principio di legalità sancito dal codice penale e confermato dall’art. 25, comma terzo, della Costituzione.

 

 

 

Alla perentoria affermazione di tale principio corrisponde, tuttavia, un impianto normativo che non sembra del tutto coerente rispetto ad esso.

 

Già nella fase applicativa, infatti, si registra una evidente flessione in punto di tassatività con riguardo al presupposto soggettivo delle misure di sicurezza di cui all’art. 202 c.p. Non può sfuggire, innanzitutto, come l’accertamento della “pericolosità sociale” si risolva in un giudizio prognostico sul rischio di recidiva che non appare coperto da adeguate leggi scientifiche. Del resto, il legislatore non ha elaborato degli indici alla stregua dei quali indurre la conoscenza dello stato di pericolosità né ha dato al giudice degli strumenti appropriati per accertarne l’esistenza dovendosi ritenere, a tal fine, insufficienti i parametri dell’art. 133 c.p., cui espressamente rinvia il secondo comma dell’art. 203 c.p.; resta, invece, sbarrata, a mente dell’art. 220 c.p.p., la possibilità di avvalersi di perizie criminologiche. La carenza appena evidenziata, probabilmente, non è sfuggita ai codificatori del 1930 che, però, ritennero di colmarla, almeno parzialmente, con la previsione delle fattispecie di pericolosità presunta, juris et de jure, di cui all’art. 204 c.p., poi abrogate nel 1986 perché inconciliabili con le necessarie garanzie individuali così come affermato a più riprese dalla Corte Costituzionale. Permangono, invece, nel sistema, tre ipotesi di pericolosità c.d. speciale da accertarsi in concreto e corrispondenti ai tre tipi criminologici del delinquente abituale, professionale e per tendenza.

 

 

 

In ogni caso, consapevole del rischio di accertamenti arbitrari della pericolosità, il legislatore ha affiancato ad essa il presupposto oggettivo, costituito dalla previa commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato da parte del soggetto da sottoporre alle misure di sicurezza. Ciò stride con la funzione specialpreventiva delle misure giacché ne aggancia l’applicabilità ad eventi passati tanto che la dottrina valorizza il pregresso reato quale indice rivelatore della pericolosità con una lettura che, seppur autorizzata dalla “circolarità” degli articoli 202 e 203 c.p., finisce per ibridare il presupposto soggettivo con quello oggettivo. Quest’ultimo, poi, si rivela inidoneo a svolgere compiutamente una funzione di garanzia ed anzi presta il fianco ad applicazioni “a maglie larghe” giacché può essere integrato anche da quasi reati o da fatti che, qualora commessi da soggetti non imputabili, devono essere tipici ed antigiuridici senza necessità, però, che siano anche colpevoli.

 

 

 

Neppure può essere sottovalutato il fatto che, pur prevedendone tassativamente i tipi, il legislatore ha talvolta omesso di predeterminare i contenuti concreti delle misure di sicurezza; ciò è vero, in primis, per la libertà vigilata visto che il codice non contiene l’elencazione delle possibili prescrizioni a carico del soggetto pericoloso né possono supplire ad esse i limiti “negativi” imposti dall’art. 190 disp. att. c.p.p. Del pari, la legge non specifica in cosa consistano esattamente le misure che, rivolte agli infermi di mente, coniugano la componente custodiale con quella terapeutica; ciò ha spinto il legislatore ad escludere la competenza del giudice ad adottare provvedimenti in punto di trattamento della malattia psichica che, se presi in caso di indifferibile urgenza ex art. 73 c.p.p., sono, comunque, destinati a caducarsi, se non alternativi alla custodia in carcere, una volta che il soggetto pericoloso sia stato preso in carico dalle competenti autorità sanitarie.

 

Se il principio di legalità non sembra compiutamente rispettato dalle norme che disciplinano l’applicazione delle misure di sicurezza, neppure può dirsi totalmente soddisfatto con riguardo alle modalità della loro esecuzione.

 

 

 

Innanzitutto, in questa seconda fase, appare compresso il principio di irretroattività giacché, a mente dell’art. 200 c.p., se la legge del tempo in cui la misura fu applicata è diversa da quella del tempo in cui deve essere eseguita, si applica quest’ultima. Anche volendo dare una lettura costituzionalmente orientata della norma, limitandone al minimo la portata, non si può escludere la possibilità di veder eseguita una misura di sicurezza, già prevista ed applicata ad un certo soggetto, con modalità assolutamente nuove e, in ipotesi, più sfavorevoli a chi vi è sottoposto, quand’anche maggiormente efficaci sotto il profilo della prevenzione.

 

 

 

L’esecuzione delle misure di sicurezza è, poi, condizionata, in maniera determinante, dal fatto che la pericolosità altro non è che un modo di essere del soggetto che vi soggiace così che essa è, assieme a lui, in continuo divenire e può evolvere in forme più acute o, al contrario, regredire fino a scomparire del tutto. Le misure di sicurezza debbono necessariamente adeguarsi a questa mutevole realtà quand’anche ciò comporti il ridimensionamento di alcuni principi di garanzia; così accade, ad esempio, riguardo al ne bis in idem che, pur applicabile in linea generale nel procedimento di sorveglianza, si traduce in una preclusione da giudicato attenuata giacché quest’ultimo opera, qui, rebus sic stantibus così che non impedisce, una volta esauriti i propri effetti, di procedere ad una rivalutazione della pericolosità del soggetto ed alla conseguente applicazione di una nuova misura. Va da se che, per questa via, si svuota di contenuto la garanzia rappresentata dalla c.d. “giurisdizionalizzazione” del processo di sicurezza voluta dalla Corte Costituzionale proprio per compensare la parziale perdita di legalità che caratterizza la disciplina delle misure specialpreventive.

 

 

 

Comunque sia, risultano chiaramente informate alla dinamica della pericolosità, per esempio, le norme relative alla durata delle singole misure che, proprio per questo, non contemplano un limite massimo. L’adattamento della misura applicata alla situazione di fatto conosce, però, la sua più evidente realizzazione nelle norme che ne disciplinano la sostituzione e la trasformazione; il riferimento è, in particolare, agli art. 212, 231 e 232 c.p. di cui si sono fatte interpreti le SS.UU. della Suprema Corte al fine di stabilire entro quali limiti essi abilitino il giudice al mutamento della misura stessa così da evitare un ulteriore superamento del principio di legalità e della sua funzione di garanzia.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite penale
Sentenza 15 settembre 2011, n. 34091

Inizio modulo

Fine modulo

Integrale

MISURE DI SICUREZZA - PERSONALI

logo banca dati

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPO Ernesto - Presidente

Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere

Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere

Dott. MILO Nicola - rel. Consigliere

Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere

Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere

Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Se. Fr. , nato a (OMESSO);

avverso l'ordinanza del 01/07/2010 del Tribunale di sorveglianza di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Nicola Milo;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Delehaye Enrico, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di sorveglianza di Ancona, con ordinanza del 1 luglio 2010, rigettava l'appello proposto da Se. Fr. avverso il provvedimento adottato, il precedente 14 aprile, dal Magistrato di sorveglianza di Macerata, che aveva disposto l'aggravamento della misura di sicurezza della liberta' vigilata alla quale il predetto Se. , dopo alternative vicende, era sottoposto, sostituendola con quella del ricovero in casa di cura e custodia.

Il Tribunale chiariva che il Se. , gia' in data 14 giugno 2006, era stato sottoposto alla misura di sicurezza della liberta' vigilata, perche' dichiarato delinquente abituale, ai sensi degli articoli 103 e 109 c.p..

Il Magistrato di sorveglianza di Ancona, pero', con provvedimento del successivo 10 ottobre, preso atto delle plurime violazioni delle prescrizioni inerenti all'esecuzione della misura di sicurezza non detentiva, ritenuto inoltre che detti comportamenti erano ascrivibili ad una evidente patologia psichiatrica di cui il soggetto era portatore ed erano indice di nuove manifestazioni della sua pericolosita' sociale, aveva disposto, a norma dell'articolo 232 c.p., comma 3, l'aggravamento della misura, sostituendola con quella del ricovero in casa di cura e custodia.

Entrambi i provvedimenti da ultimo citati, a seguito di appello proposto dal Se. , erano stati confermati dal Tribunale, con ordinanza del 25 gennaio 2007, e il successivo ricorso per cassazione contro quest'ultimo provvedimento era stato rigettato, con sentenza di questa Corte in data 3 ottobre 2007.

Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, infine, con ordinanza del 24 novembre 2009, decidendo sull'appello avverso la proroga - disposta in data 3 settembre 2009 - della misura contentiva, aveva ripristinato la liberta' vigilata ed aveva affidato il Se. alla comunita' terapeutica "(OMESSO)" di (OMESSO), misura questa ritenuta adeguata alla ridotta pericolosita' del predetto.

Era poi accaduto che, durante la permanenza in tale Comunita', il Se. aveva posto in essere, la notte del (OMESSO), un tentativo di violenza sessuale ai danni di una operatrice della struttura; e per tale fatto egli era stato arrestato e gli era stata applicata la custodia cautelare in carcere.

Il Tribunale rilevava, per quanto qui interessa, che il Se. era "incontestabilmente affetto da disturbi psichiatrici", come dimostravano la sua lunga permanenza in casa di cura e custodia e la certificazione in data (OMESSO) dell'ospedale psichiatrico giudiziario di (OMESSO), che attestava una "dipendenza da sostanze e farmaci in disturbo della personalita' ed antisociale"; ravvisava nell'episodio della tentata violenza sessuale una nuova manifestazione di tale patologia psichiatrica, che imponeva, analogamente a quanto avvenuto nell'(OMESSO) e senza la necessita' di dovere disporre un accertamento peritale, la trasformazione della liberta' vigilata nel ricovero in casa di cura e custodia anziche', come previsto dall'articolo 231 c.p., nella casa di lavoro o nella colonia agricola, misura quest'ultima applicabile alle persone sane di mente; sottolineava che - per un verso - la misura non detentiva era inidonea a contenere la pericolosita' del soggetto e - per altro verso - il mantenimento della medesima misura non era comunque piu' praticabile, avendo la comunita' "(OMESSO)" revocato la propria disponibilita' a ospitare il Se. e non essendo stata prospettata alcun'altra "sistemazione" presso analoga struttura di assistenza sociale.

2. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, il Se. , sollecitando l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

Con un primo motivo, il ricorrente deduce la carenza di motivazione sulla ritenuta riconducibilita' del fatto commesso il (OMESSO) alla asserita patologia psichiatrica, non confortata - peraltro - da una perizia specialistica, benche' espressamente sollecitata: la patologia certificata nel (OMESSO) dall'o.p.g. di (OMESSO), infatti, era generica, "aproblematica" e risalente nel tempo; il tentativo di violenza sessuale posto in essere non evidenziava dati oggettivi sintomatici del suo radicamento nella patologia attribuitagli, ma era riconducibile occasionalmente ad una imprevedibile "defaillance della terapia farmacologia" alla quale egli era sottoposto, che avrebbe determinato una caduta dei freni inibitori, cosi' come accertato dal consulente di parte, il cui elaborato non era stato neppure preso in considerazione dal Tribunale di sorveglianza.

Con un secondo motivo, lamenta l'omessa ovvero l'illogica motivazione in ordine al carattere necessitato del ricovero in struttura contentiva, che, per le sue gravi e drammatiche carenze e la sua diversita' dal carcere, non poteva comunque scongiurare il reiterarsi di episodi analoghi; sottolinea, inoltre, che la stessa giurisprudenza costituzionale aveva qualificato il ricovero in casa di cura e custodia come misura "segregante", alla quale poteva farsi ricorso solo come extrema ratio e che incombeva al Tribunale di sorveglianza ricercare strutture adeguate a somministrare trattamenti alternativi in regime di liberta' vigilata.

3. Con ordinanza del 23 novembre 2010, la Prima Sezione penale, assegnatala del ricorso ratione materiae, ne ha rimesso la decisione - ex articolo 618 c.p.p. - alle Sezioni Unite, al fine di prevenire un potenziale contrasto di giurisprudenza in ordine all'interpretazione dell'articolo 232 c.p..

La Sezione rimettente rileva, infatti, che, con sentenza n. 39498 del 03/10/2007, la stessa Sezione, decidendo sul ricorso proposto nell'interesse del Se. avverso - tra l'altro - il precedente provvedimento di sostituzione della liberta' vigilata con il ricovero in casa di cura e custodia, aveva sostenuto, sulla base della disposizione di cui all'articolo 232 c.p., ritenuta norma speciale rispetto al precedente articolo 231, la legittimita' di tale sostituzione, perche' giustificata dalle gravi violazioni degli obblighi imposti con la misura di sicurezza non detentiva, indicative di conclamate e serie turbe psichiche sopravvenute alle condanne che avevano determinato la dichiarazione di abitualita' nel reato e l'applicazione dell'originaria misura di sicurezza. Sostanzialmente analoga la soluzione adottata da Sez. 1, n. 2274 del 22/12/1976, dep. 01/03/1977, Fornelli, che, in una ipotesi di reato impossibile, aveva ritenuto legittima, sempre in base alla peculiare regola posta dall'articolo 232 c.p., l'applicazione al prosciolto, rivelatosi anche affetto da infermita' psichica, della misura di sicurezza detentiva in luogo della liberta' vigilata, anche se quest'ultima non era sostitutiva della prima prevista in via principale.

La Sezione rimettente, quindi, dopo avere ricostruito il sistema delle misure di sicurezza delineato dal codice penale e avere evidenziato l'evoluzione scientifica e normativa, a partire dalla Legge 13 maggio 1978, n. 180, in tema di assistenza ai malati di mente, con conseguenti e inevitabili riflessi sul contemperamento tra esigenze special-preventive legittimanti le misure di sicurezza e le necessita' terapeutiche della persona interessata, offre una diversa lettura dell'articolo 232 c.p. rispetto a quella proposta dai richiamati precedenti giurisprudenziali.

In particolare, sottolinea che tale disposizione "si riferisce nel titolo e nelle sue varie previsioni, per quanto interessa in questa sede, agli infermi psichici in stato di liberta' vigilata e di infermita' psichica: letta in combinato con l'articolo 212 c.p., appare chiaramente volta a disciplinare le situazioni in cui l'infermita' psichica preesiste all'applicazione della misura e ne costituisce la ragione, non gia' quelle in cui, applicata la misura per altro titolo di pericolosita', l'infermita' sopraggiunga. Ipotesi queste in cui (...) l'articolo 212 c.p., comma 2, consente la "sostituzione", a causa di una infermita' sopravvenuta, della misura imposta per altre ragioni con l'o.p.g. o la casa di cura e custodia, solo ove quella in atto sia gia' una misura detentiva. D'altronde, l'articolo 232 non collega affatto la sostituzione o l'imposizione della casa di cura e custodia a violazioni delle prescrizioni della liberta' vigilata, limitandosi al comma 3 a prescrivere l'aggravamento quando la persona in stato di infermita' psichica si riveli "di nuovo" pericolosa". In sostanza, la portata della norma e' circoscritta, secondo l'ordinanza di rimessione, alle sole ipotesi in cui occorra rivedere il giudizio di pericolosita', che aveva consentito di applicare la misura gradata della liberta' vigilata all'infermo di mente, e tale conclusione trova conferma nei seguenti rilievi: a) l'analoga previsione dell'articolo 232, comma 3, riferita al minore finirebbe altrimenti per costituire mera ripetizione di quella contenuta nell'articolo 231, comma 2, relativa all'aggravamento della liberta' vigilata a causa della violazione delle prescrizioni imposte; b) l'omesso riferimento, per l'infermo di mente, alle violazioni delle prescrizioni della liberta' vigilata trova spiegazione nel principio, ispiratore anche della norma di cui all'articolo 214 c.p., comma 2, che l'inosservanza della misura di sicurezza da parte dell'infermo di mente non comporta, per costui, sanzione; c) l'articolo 232 non prevede la sostituzione della liberta' vigilata con l'ospedale psichiatrico giudiziario, perche', nel momento in cui la norma venne scritta, la liberta' vigilata non poteva mai essere applicata in luogo dell'o.p.g..

4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta del 5 aprile 2011, dopo avere premesso di condividere la lettura dell'articolo 232 c.p. proposta dalla prima Sezione penale, sostiene che la questione sollevata non avrebbe alcun rilievo nel caso in esame, i cui dati fattuali sarebbero coerenti con detta lettura: l'infermita' psichica del Se. , infatti, preesisteva all'applicazione della misura di sicurezza e ne costituiva la ragione; l'ordinanza impugnata, in stretta aderenza alla lettera dell'articolo 232 c.p., si era limitata a ripristinare, a seguito della constatata riacutizzazione della infermita' psichica di cui il Se. soffriva, la misura di sicurezza detentiva del ricovero in casa di cura e custodia, gia' in precedenza applicata in occasione di una analoga situazione venutasi a determinare, con provvedimento 10 ottobre 2006 del Magistrato di Sorveglianza, confermato in sede di appello il 25 gennaio 2007 e divenuto irrevocabile il 3 ottobre successivo per effetto della sentenza in pari data della Suprema Corte; ne conseguiva che la legittimita' della ripristinata misura di sicurezza contenitiva non poteva piu' essere posta in discussione. Rileva ancora il P.g. che la questione non era stata neppure dedotta con il ricorso, in quanto i motivi di doglianza in esso articolati attengono esclusivamente al vizio di motivazione sul merito della vicenda. Conclude, quindi, nei termini in epigrafe precisati.

5. Con memoria depositata il 21 aprile 2011, il difensore del ricorrente, in replica alla richiesta di inammissibilita' del ricorso formulata dal P.g., precisa: a) le doglianze prospettate nell'atto d'impugnazione non si risolvono in non consentite censure in fatto all'apparato argomentativo dell'ordinanza impugnata, ma colgono reali carenze di questa in punto di motivazione; b) il titolo per il quale il Se. era stato sottoposto alla misura di sicurezza, individuata originariamente nella liberta' vigilata, era la dichiarazione di delinquenza abituale, che prescinde da qualsivoglia minorazione psichica; c) la liberta' vigilata, gia' trasformata - con dubbia legittimita' - nel ricovero in casa di cura e custodia, era stata ripristinata nel novembre 2009; d) "inconferente" era il richiamo del P.g. alla asserita preclusione del giudicato, che sarebbe insito nella precedente applicazione della misura di sicurezza detentiva, considerato che le decisioni in tale materia vengono adottate rebus sic stantibus e sono suscettibili, in quanto "colgono una realta' in divenire", di successive modificazioni.

6. Il Primo Presidente, con decreto del 25 febbraio 2011, ha assegnato il ricorso, ex articolo 618 c.p.p., alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza camerale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale il ricorso e' stato rimesso alle Sezioni Unite e' la seguente: "se la misura di sicurezza della liberta' vigilata applicata in conseguenza della dichiarazione di abitualita' nel reato possa essere sostituita, per sopravvenuta infermita' psichica, con la misura del ricovero in casa di cura e custodia".

2. Preliminare all'esame della quaestio iuris e' la verifica della sussistenza o meno, nel caso di specie, della preclusione del giudicato, che, a parere del Procuratore generale, sarebbe determinata dalla precedente sostituzione, ritenuta legittima con la succitata sentenza 3 ottobre 2007 di questa Suprema Corte, della liberta' vigilata, originariamente applicata al Se. , con il ricovero in casa di cura e custodia.

Il procedimento di sorveglianza e' indubbiamente assoggettato alle regole proprie di ogni altro procedimento giurisdizionale, ivi compresa quella che disciplina la definitivita' dei provvedimenti in caso di esaurimento dell'iter delle impugnazioni ovvero di mancata impugnazione da parte dei soggetti legittimati. In sostanza, il principio del ne bis in idem trova applicazione, in linea generale, anche in tale procedimento, in forza del richiamo che l'articolo 678 c.p.p., fa al precedente articolo 666, il cui comma 2 sancisce l'inammissibilita' della successiva richiesta, se fondata sui medesimi presupposti di fatto e sulle stesse ragioni di diritto di quella precedente, gia' rigettata con provvedimento non piu' impugnabile.

Tuttavia, considerata la peculiarita' del procedimento di sorveglianza in tema di misure di sicurezza, le quali sono ancorate ad una realta' - per cosi' dire - in divenire, la preclusione del giudicato e' attenuata rispetto all'irrevocabilita' delle sentenze e dei decreti penali, nel senso che opera rebus sic stantibus e non impedisce la rivalutazione della pericolosita' e dell'adeguatezza della misura, alla luce di nuovi elementi sopravvenuti ovvero preesistenti e non considerati, che offrano una mutata piattaforma di valutazione ed abbiano comunque una diretta incidenza sulla posizione della persona interessata, fino a coinvolgere diritti fondamentali della medesima.

Cio' posto, non si puo' prescindere dal dato di fatto che la misura di sicurezza non detentiva applicata al Se. nel giugno 2006 trova titolo nella dichiarazione di delinquenza abituale ex articolo 103 c.p., con gli effetti di cui al successivo articolo 109 c.p..

La trasformazione, disposta nell'ottobre 2006 e avallata dalla sentenza 3 ottobre 2007 di questa Corte, della liberta' vigilata nel ricovero in casa di cura e custodia non ha determinato un mutamento del titolo di legittimazione della misura, individuato sempre nella dichiarazione di delinquenza abituale.

Tale trasformazione, ritenuta legittima, era stata decisa sulla base della situazione di fatto all'epoca presa in considerazione e, mutata questa a seguito della sua evoluzione dinamica, aveva esaurito ogni suo effetto.

Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, infatti, con provvedimento 24 novembre 2009, non impugnato dal pubblico ministero, aveva ripristinato la liberta' vigilata, ritenendola adeguata alla persistente pericolosita' sociale del Se. , connessa sempre ed esclusivamente alla sua posizione di delinquente abituale e non di soggetto affetto da malattia mentale.

E' in questa nuova e mutata situazione di fatto che si inserisce l'adozione da parte del Magistrato di sorveglianza di Macerata del nuovo provvedimento del 14 aprile 2010 di ricovero in casa di cura e custodia, confermato in appello e oggetto del ricorso per cassazione.

Si e' di fronte, quindi, ad un nuovo e autonomo procedimento di sorveglianza, che, in quanto attivato sulla base della nuova situazione fattuale venutasi a determinare, non e' precluso, perche' non basato sui medesimi elementi, dall'esito del precedente procedimento, che, come si e' detto, aveva gia' esaurito i suoi effetti.

La decisione di questa Corte che definiva la pregressa procedura, affermando il principio della legittimita' della sostituzione della liberta' vigilata, in caso di gravi violazioni delle relative prescrizioni e di manifestazione di conclamate turbe psichiche, con il ricovero in casa di cura e custodia, rappresenta solo un precedente giurisprudenziale, che non puo' condizionare la presente decisione e che, per le ragioni di seguito esposte, non puo' essere condiviso.

Conclusivamente deve essere enunciato sul punto, in applicazione dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 3, il seguente principio di diritto: "la preclusione del giudicato, nel procedimento di sorveglianza in materia di misure di sicurezza, opera rebus sic stanti bus e non impedisce, una volta esauriti gli effetti della precedente decisione, la rivalutazione della pericolosita' del soggetto e la conseguente individuazione di un'eventuale nuova misura da applicare sulla base di ulteriori elementi non valutati, perche' palesatisi successivamente all'adozione del provvedimento divenuto definitivo o, pur preesistenti, non presi da questo in considerazione".

3. La questione controversa consiste, come si e' detto, nella possibilita' o meno di sostituire la misura di sicurezza della liberta' vigilata, applicata in conseguenza della dichiarazione di abitualita' nel reato, con la misura del ricovero in casa di cura e custodia per sopravvenuta infermita' psichica.

Tale sostituzione o piu' esattamente trasformazione risulta essere stata adottata nel caso in esame, come testualmente si evince dall'ordinanza impugnata, "all'esito di procedimento ex articolo 231 c.p.", ossia a seguito della rilevata trasgressione degli obblighi imposti, avendo sia il Magistrato di sorveglianza che il Tribunale di sorveglianza evidenziato il grave episodio di tentata violenza sessuale posto in essere dal Se. in danno di un'operatrice della struttura in cui era ospitato e avendo ritenuto conseguentemente l'inidoneita' della liberta' vigilata a contenere la pericolosita' del predetto; il ricovero in casa di cura e custodia risulta essere stato prescelto, in luogo dell'assegnazione ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola previste dal richiamato articolo 231 c.p., in considerazione della patologia psichiatrica di cui il Se. era portatore e in applicazione dell'articolo 232 c.p., comma 3, "norma speciale" rispetto alla prima.

Si impone, quindi, una sia pure sintetica ricostruzione del sistema delle misure di sicurezza delineato dal codice, al fine di individuare la corretta soluzione del caso, alla luce del corrispondente quadro normativo di riferimento.

4. Il legislatore del 1930, mediando tra le opposte posizioni della Scuola positiva e della Scuola classica, ha inserito nel codice penale il cosi' detto sistema dualistico o del doppio binario, affiancando alla sanzione penale tradizionale la misura di sicurezza, la cui funzione e' quella di neutralizzare la pericolosita' sociale di ben individuate categorie di soggetti.

Lo scopo delle misure di sicurezza e' quello di potenziare la difesa sociale mediante la prevenzione del pericolo di reiterazione del reato da parte del soggetto ritenuto pericoloso.

La pena assolve funzioni di retribuzione e di prevenzione generale, la misura di sicurezza persegue una funzione special-preventiva, che mira a neutralizzare, curare e rieducare la persona socialmente pericolosa, per scongiurarne le spinte soggettive verso l'atto criminale.

L'applicazione delle misure di sicurezza richiede l'esistenza di due presupposti: uno oggettivo, integrato dalla previa commissione di un reato o di un fatto dalla legge ad esso equiparato; l'altro soggettivo, costituito dall'accertamento della pericolosita' sociale del reo.

L'articolo 202 c.p., comma 1, infatti, testualmente recita: "le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato". Il comma 2 dello stesso articolo prevede un'eccezione a tale principio, aggiungendo che "la legge penale determina i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato"; tali ipotesi, che si concretano in situazioni equiparabili al reato (c.d. quasi reato), sono tassativamente individuate dalla legge nel reato impossibile (articolo 49 c.p., comma 2) e nell'accordo criminoso non eseguito o nell'istigazione, non accolta, a commettere un delitto (articolo 115 c.p.).

La previsione del presupposto oggettivo, in seno ad un istituto giuridico con chiara finalita' di prevenzione e quindi proiettato a scongiurare reati futuri piuttosto che a occuparsi di quelli gia' commessi, e' indice della preoccupazione del legislatore di evitare eventuali arbitri nell'accertamento della pericolosita' sociale, requisito - questo - dai molteplici significati potenziali e percio' agevolmente manipolabile, e di ancorare la misura di sicurezza ad un dato di fatto non suscettibile di plurime interpretazioni, appunto il reato o il quasi reato, ritenuto di per se' sintomo di pericolosita' sociale gia' concretamente manifestatasi.

Nell'ambito di un diritto penale a base oggettivistica, incentrato cioe' sui principi garantistici di materialita'-offensivita' e non a base soggettivistica-preventiva, non e' compito del giudice penale applicare le misure di sicurezza a scopo esclusivamente terapeutico-risocializzativo, prescindendo dalla commissione di un reato o di un fatto ad esso equiparato.

E' sulla base di tale dato oggettivo che deve innestarsi la valutazione del giudice in ordine alla sussistenza del presupposto soggettivo della pericolosita' sociale, la cui nozione e' data dall'articolo 203 c.p.: "agli effetti della legge penale, e' socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell'articolo precedente, quando e' probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati".

La qualita' di persona socialmente pericolosa deve essere desunta dagli indici tipizzatori di cui all'articolo 133 c.p., utilizzati in funzione della prognosi criminale, vale a dire del profilo di difesa preventiva in una proiezione futura.

Le misure di sicurezza efficacemente sono state definite dalla dottrina come misure di prevenzione post delictum, per differenziarle dalle misure di prevenzione ante o praeter delictum. Il presupposto soggettivo (pericolosita') e la finalita' di prevenzione del crimine sono comuni ad entrambe le categorie, che si differenziano soltanto nel presupposto oggettivo: le prime, diversamente dalle seconde, per la cui applicazione e' sufficiente la qualita' di soggetto socialmente pericoloso, richiedono la previa commissione di un reato.

5. L'applicazione delle misure di sicurezza, espressamente previste dalla Costituzione, che, pur non imponendolo, recepisce il sistema del doppio binario, e' presidiata dal principio di legalita'.

L'articolo 25 Cost., comma 3, dispone: "Nessuno puo' essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge". E' cosi' costituzionalizzato il detto principio, gia' sancito a livello legislativo dall'articolo 199 c.p., per il quale: "Nessuno puo' essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi dalla legge stessa preveduti".

E' la legge, quindi, che deve indicare tassativamente i casi in cui puo' essere applicata la misura di sicurezza e determinare il tipo di misura applicabile, anche con riferimento alle ipotesi di sostituzione o di trasformazione della misura medesima.

6. Plurimi e autonomi sono i titoli che legittimano l'applicazione delle misure di sicurezza personali, espressamente tipizzate in relazione al dato personologico che connota la pericolosita' da arginare in via preventiva.

In sostanza, il tipo di pericolosita' e' strettamente connesso agli indici su cui esso concretamente si fonda, varia secondo i fattori che di volta in volta assumono valore sintomatico e orienta - di conseguenza - la scelta della misura di sicurezza normativamente prevista nel caso specifico.

Dalla disciplina codicistica sono enudeabili diversi titoli di pericolosita', sulla cui base, pero', questa deve essere accertata in concreto, essendo stato innovato, sulla scia dell'orientamento assunto dalla Corte costituzionale con numerose sentenze (sentt. n. 1 del 1971; n. 139 del 1982; n. 249 del 1983; n. 1102 del 1988) e dei radicali mutamenti normativi conseguenti alla Legge 10 ottobre 1986, n. 663, articolo 31, e, per cosi' dire, stabilizzati con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (articolo 679), l'originario impianto del codice penale, che prevedeva ipotesi di pericolosita'presunta dalla legge.

Tali titoli possono essere cosi' individuati: a) dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza (articolo 216 c.p.); b) proscioglimento per infermita' psichica o per intossicazione cronica da alcool o stupefacenti ovvero per sordomutismo (articolo 222 c.p.); c) condanna ad una pena diminuita per ragione di infermita' psichica, di cronica intossicazione da alcool o stupefacenti ovvero di sordomutismo (articolo 219 c.p.); d) condanna per delitti commessi in stato di ubriachezza abituale o sotto l'azione di stupefacenti all'uso dei quali l'imputato sia dedito (articolo 221 c.p.); e) condanna per delitti di per se' "spregevoli" o di particolare allarme sociale, secondo l'espressa previsione delle varie norme di riferimento; f) la qualita' di straniero o di cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, ove ricorrano determinati presupposti espressamente previsti dalla legge (articolo 235 c.p.); g) la non imputabilita' per minore eta' o la condanna del minore imputabile, in presenza di determinate condizioni (articoli 224, 225 e 226 c.p.).

7. Con specifico riferimento alle ipotesi, rilevanti in questa sede, della pericolosita' qualificata del delinquente abituale e di quella dipendente da infermita' o seminfermita' psichica, osserva la Corte che la prima, legata alla reiterazione di una serie di fatti criminosi (articolo 103 c.p.), si differenzia nettamente dalla seconda, diverse essendo la genesi e le connotazioni strutturali delle due situazioni, con la conseguenza che l'applicazione, il mantenimento e l'eventuale trasformazione delle misure di sicurezza devono conformarsi alle corrispondenti previsioni normative.

Alla persona affetta da parziale o totale infermita' psichica puo' essere applicata, a norma degli articoli 219 e 222 c.p., rispettivamente la misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia ovvero quella del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, fatta salva l'eventuale scelta alternativa di una diversa misura, alla luce di quanto statuito dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 253 del 2003 e n. 208 del 2009. L'applicazione di tali misure presuppone l'accertamento giudiziale della commissione di un reato, dell'infermita' psichica dell'agente e della pericolosita' da infermita' di costui, pur ritenendo scemata l'imputabilita' o escludendola del tutto.

Le stesse misure non sono applicabili al delinquente abituale (o professionale o per tendenza), la cui pericoiosita deriva dalla notevole attitudine al crimine e non gia' da una infermita' psichica.

Che il legislatore del 1930 abbia tenuto ben distinti i due titoli di pericolosita' emerge dai seguenti rilievi: a) l'inclinazione al delitto originata dall'infermita' preveduta dagli articoli 38 e 89 c.p. e' diversa da quella che trova la sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole e non consente, secondo l'espressa previsione dell'articolo 108 c.p., comma 2, l'applicazione della disposizione di cui al primo comma dello stesso articolo, vale a dire la dichiarazione di pericolosita' qualificata dalla tendenza a delinquere, ossia da una sorta di "follia morale", che compromette la sola sfera dei sentimenti e non quella intellettiva o volitiva dell'agente; b) l'unica ipotesi di trasformazione della misura di sicurezza applicata a persona imputabile in misura di sicurezza correlata a infermita' psichica e' prevista dall'articolo 212 c.p., comma 2.

S'impone una piu' dettagliata illustrazione di questo secondo aspetto.

8. Secondo la disposizione di cui all'articolo 212 c.p., comma 2, se nel corso dell'esecuzione di una misura di sicurezza detentiva sopravviene un'infermita' psichica dell'internato, il giudice deve sostituire alla misura precedentemente disposta (la colonia agricola o la casa di lavoro) quella dell'ospedale psichiatrico giudiziario o della casa di cura e custodia. Cessata l'infermita' psichica, il giudice deve accertare ex novo, ai sensi del comma terzo del richiamato articolo, la persistenza della pericolosita' connessa agli indici su cui essa si fonda e ripristinare, in caso di esito positivo, la precedente misura di sicurezza, a meno che non ritenga piu' opportuno, per la constatata attenuazione della pericolosita', applicare la liberta' vigilata.

L'esecuzione di una misura di sicurezza non detentiva cessa nel caso in cui la persona, colpita da infermita' psichica, e' ricoverata nello spazio psichiatrico di un ospedale civile per essere sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio, venendosi in tal caso a determinare "condizioni di fatto manifestamente incompatibili" (cfr. Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, parte 1, pag. 262). Anche in tale caso, cessato il ricovero ospedaliere, il giudice procede al riesame della pericolosita' sulla base degli originari indici di valutazione, attualizzati in relazione anche all'evoluzione dinamica della situazione, e, in caso di accertamento positivo, applica una misura di sicurezza personale non detentiva (articolo 212 c.p., comma 4). E' agevole desumere a contrariis che, ove la persona imputabile, gia' sottoposta a misura di sicurezza non detentiva (liberta' vigilata) e colpita, durante l'esecuzione di questa, da infermita' psichica, non venisse ricoverata in ospedale, la misura in oggetto continuerebbe ad operare regolarmente.

Si coglie chiaramente nelle disposizioni, di carattere generale, della norma codicistica esaminata l'autonomia del titolo su cui riposano tanto la dichiarazione di pericolosita' della persona imputabile quanto l'applicazione ad essa della corrispondente misura di sicurezza, la quale - di norma - non puo' essere trasformata in altra misura che si collega all'eventuale infermita' psichica sopravvenuta.

L'eccezione prevista dal comma secondo dell'articolo 212 c.p. rimane isolata ed e' giustificata dal fatto che l'infermita' colpisce un soggetto gia' internato, anche se l'automatismo della previsione appare - oggi - assai discutibile e scarsamente coordinato con l'evoluzione scientifica e normativa in materia di assistenza e cura ai malati di mente. Sarebbe auspicabile, de iure condendo, che il sopravvenire di un'infermita' psichica, anziche' giustificare un'automatica e superficiale applicazione del ricovero in struttura psichiatrica giudiziaria, imponesse piu' coerentemente una rivalutazione dei precedenti indici di pericolosita', onde verificarne l'eventuale perdita di significato.

La diversa regolamentazione, coerente col sistema generale delineato in materia, del caso di infermita' sopravvenuta alla persona (imputabile) sottoposta a misura di sicurezza non detentiva trova significativa spiegazione nella citata Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, ove testualmente si afferma che «dare facolta' al giudice di disporre il ricovero in un manicomio giudiziario o in una casa di cura e di custodia sarebbe stato eccessivo, e, d'altro canto, occorreva preoccuparsi della necessita' pratica di non ingombrare eccessivamente gli stabilimenti. Il progetto, pertanto, lascia, in questo campo, che agisca l'Autorita' amministrativa di polizia o che in altro modo si provveda, ad es., a cura dei parenti dell'infermo, ai sensi della legge sui manicomi" (parte 1, pag. 262).

Non va sottaciuto che l'impianto codicistico risente della disciplina della legge manicomiale del 1904, improntata ad una logica custodialistica per il trattamento del malato di mente, e mal si concilia con la Legge 13 maggio 1978, n. 180, che privilegia invece l'intervento terapeutico erogato sul territorio e riduce quello sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera ad intervento del tutto eccezionale, se imposto dalla necessita' di garantire il diritto individuale alla salute mentale.

Il legislatore del 1988, intervenendo sul piano processuale, ha implicitamente tenuto conto dell'evoluzione scientifica e normativa in tema di assistenza e cura agli infermi psichici ed ha conseguentemente circoscritto entro confini molto ristretti la competenza del giudice penale in relazione ai provvedimenti da adottare nei confronti di persone che vengano a trovarsi in tale condizione, stabilendo il principio che detto giudice non e' - di regola -autorizzato ad intervenire sul trattamento della malattia mentale (Relazione al progetto preliminare, pag. 32).

Esemplificativamente, l'articolo 73 c.p.p. impone al giudice (o al p.m. nel corso delle indagini preliminari) l'obbligo di informare, con il mezzo piu' rapido, della probabile necessita' di sottoporre l'imputato (o l'indagato) a cure psichiatriche "l'autorita' competente per l'adozione delle misure previste dalle leggi sul trattamento sanitario per malattie mentali"; e solo se vi sia "pericolo nel ritardo", e' consentito al giudice adottare provvedimenti di urgenza, fino al ricovero provvisorio dell'imputato in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, avvisando gli organi competenti, il cui provvedimento, non appena eseguito, fara' perdere efficacia a quello interinale del giudice. Detto ricovero ovviamente non e' soggetto agli effetti risolutivi di interventi esterni soltanto nel caso in cui sia disposto come misura alternativa della custodia in carcere.

In conclusione, l'articolo 212 c.p. regolamenta il caso della persona che, sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva o non detentiva, perche' dichiarata pericolosa in forza di un titolo diverso dalla infermita' psichica, sia colpita da tale patologia durante l'esecuzione della misura. La norma si pone nella stessa logica che ispira l'articolo 148 c.p., che disciplina il caso dell'infermita' psichica sopravvenuta al condannato prima dell'esecuzione o durante l'esecuzione di una pena restrittiva della liberta' personale.

9. Passando ad esaminare, per quanto qui interessa, la misura di sicurezza personale non detentiva della liberta' vigilata, deve premettersi che la stessa consiste nell'imposizione al soggetto che vi e' sottoposto di una serie di prescrizioni limitative della sua liberta' personale, non specificamente indicate dal legislatore ma affidate all'ampio margine di discrezionalita' del giudice in sede di applicazione della misura (articoli 228 c.p.), al fine di adeguare dette prescrizioni alle condizioni personali, familiari e ambientali dell'interessato, onde allontanarlo da occasioni di nuovi reati e promuovere il suo reinserimento sociale, anche attraverso interventi di sostegno e di assistenza da parte del servizio sociale (articolo 55 Ord. Pen.).

Quanto alle possibili "mutazioni" della liberta' vigilata in altra misura, rileva la Corte che devono essere prese in considerazione le disposizioni speciali di cui agli articoli 231 e 232 c.p., per coglierne la reale portata e la sfera di rispettiva operativita'.

9.1. La prima norma disciplina, come si evince dallo stesso titolo, la "trasgressione degli obblighi imposti", valutata come una possibile nuova manifestazione della pericolosita' sociale precedentemente ritenuta, con i conseguenti effetti sanzionatori dalla stessa norma previsti.

Tali effetti consistono, eccettuato il caso previsto dalla prima parte dell'articolo 177 c.p., nell'imposizione della cauzione di buona condotta in aggiunta alla liberta' vigilata (comma 1); oppure, tenuto conto della particolare gravita' della violazione o del ripetersi di essa o della mancata prestazione della cauzione, nella sostituzione della liberta' vigilata con l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di un minore, con il ricovero in un riformatorio giudiziario (comma 2), da eseguirsi eventualmente nelle forme del collocamento in comunita' (Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448).

Anche l'articolo 231 c.p. ha chiaramente come destinatari quei soggetti dichiarati pericolosi in forza di un titolo diverso dalla infermita' o seminfermita' psichica e sottoposti alla misura di sicurezza non detentiva della liberta' vigilata, i quali ne violano le relative prescrizioni.

9.2. La norma di cui all'articolo 232 c.p. detta, invece, alcune regole per il caso in cui la liberta' vigilata abbia come destinatari soggetti di eta' minore ovvero infermi psichici, ritenuti pericolosi per tale loro condizione.

La norma parte dal presupposto che costoro, per il proprio stato di immaturita' o di incapacita', non sarebbero in grado di provvedere a se' stessi e di realizzare compiutamente l'afflittivita' delle prescrizioni connesse alla liberta' vigilata, stabilendo quindi, al comma primo, come condizione per la stessa applicabilita' della misura, la necessita' di affidare tali soggetti, durante l'esecuzione della misura medesima, ad una persona o ad un ente che vigili su di loro.

Il comma 2 della disposizione in esame stabilisce, inoltre, che sia ordinato o mantenuto il ricovero in riformatorio (fatta salva la disciplina ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 36) per il minore e nella casa di cura e custodia per l'infermo di mente, ove l'affidamento di costoro ai soggetti indicati nel comma 1 non sia "possibile" od "opportuno".

Il comma 3, infine, prevede che, "Se, durante la liberta' vigilata, il minore non da prova di ravvedimento o la persona in stato di infermita' psichica si rivela di nuovo pericolosa", la misura non detentiva in atto deve essere sostituita rispettivamente con il ricovero in un riformatorio o in una casa di cura e custodia.

Quest'ultima disposizione, pertanto, opera ove si accerti un aggravamento della pericolosita' sociale gia' manifestata in ragione della minore eta' o dell'infermita' psichica e posta a fondamento dell'applicazione della liberta' vigilata.

Contrariamente a quanto sostenuto da Sez. 1, n. 39498 del 03/10/2007, Se. (e implicitamente da Sez. 1, n, 2274 del 22/12/1976, dep. 01/03/1977, Fornelli), la disposizione non si pone in rapporto di specialita' rispetto alla norma di cui all'articolo 231 c.p. e ai casi ivi disciplinati.

Le due norme hanno autonomi campi operativi: l'articolo 231 c.p. attiene, come si e' detto, alla trasgressione degli obblighi inerenti alla liberta' vigilata da parte del soggetto che vi e' sottoposto, perche' dichiarato pericoloso per ragioni diverse dalla infermita' psichica; l'articolo 232 c.p., comma 3, che e' disposizione speciale rispetto alla norma generale di cui all'articolo 212 c.p. (relativa al caso di infermita' psichica sopravvenuta in soggetto sano) e non gia' a quella di cui all'articolo 231 c.p., non collega affatto la trasformazione della liberta' vigilata nel ricovero in casa di cura e custodia a violazioni delle prescrizioni imposte con la prima misura, ma prevede tale trasformazione in quanto la persona, gia' dichiarata pericolosa per infermita' psichica, manifesta nuovi e piu' allarmanti segni di tale pericolosita', si da imporre l'adozione della piu' rigorosa misura contenitiva.

Tale interpretazione dell'articolo 232 c.p., comma 3, circoscritto alle sole ipotesi in cui occorre rivedere il giudizio di pericolosita' che aveva consentito l'applicazione della misura non detentiva, trova conferma, come incisivamente sottolineato dall'ordinanza di rimessione, nei seguenti rilievi: a) con riferimento alla posizione del minore che "non da prova di ravvedimento", la previsione della disposizione in esame, se interpretata nel senso di cui all'ordinanza impugnata e ai richiamati precedenti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, sarebbe mera e irragionevole duplicazione della disposizione di cui al comma secondo dell'articolo 231 c.p., relativa all'aggravamento, per trasgressione degli obblighi imposti, della liberta' vigilata applicata al minore; b) nessun riferimento la disposizione in esame fa alla violazione delle prescrizioni della liberta' vigilata, ma considera solo il fatto che "il minore non da prova di ravvedimento o la persona in stato di infermita' psichica si rivela di nuovo pericolosa", evidenziando cosi' soltanto l'accentuato grado di pericolosita'; c) la disposizione non prevede la sostituzione della liberta' vigilata con l'ospedale psichiatrico giudiziario per la ragione che, all'epoca in cui la norma venne scritta, la misura non detentiva non poteva mai essere applicata in luogo di quella detentiva.

10. All'esito dell'analisi logico-sistematica della normativa esaminata, devono enunciarsi, in ossequio al disposto dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 3, i seguenti principi di diritto:

- "il giudizio di pericolosita', in quanto strettamente connesso agli indici di salutazione su cui esso di volta in volta di fonda, trova la sua ragion d'essere in titoli diversi e comporta, in forza del principio di legalita', l'applicazione o la sostituzione o il mantenimento o la trasformazione della misura di sicurezza prevista dalle corrispondenti norme di riferimento";

- "l'articolo 212 c.p. disciplina il caso della persona che, sottoposta a misura di sicurezza detentiva o non detentiva per un titolo diverso dalla infermita' psichica, sia colpita da tale patologia durante l'esecuzione della misura";

- "l'articolo 231 c.p. regolamenta gli effetti che conseguono alla trasgressione degli obblighi imposti al libero vigilato, dichiarato pericoloso per un titolo diverso dalla infermita' psichica";

- "l'articolo 232 c.p. non e' norma speciale rispetto all'articolo 231 c.p. e disciplina - tra l'altro - la diversa ipotesi della persona che, dichiarata pericolosa per infermita' psichica e sottoposta alla liberta' vigilata per tale titolo, manifesta, in corso di esecuzione della misura, nuovi sintomi di una piu' accentuata pericolosita', si' da rendere inadeguata la misura non detentiva in atto e da legittimarne la sostituzione con il ricovero in casa di cura e custodia";

- "la misura di sicurezza della liberta' vigilata applicata per effetto della dichiarazione di abitualita' nel reato non puo' essere sostituita, per sopravvenuta infermita' psichica, con la misura del ricovero in casa di cura e custodia, non operando in tale ipotesi la disposizione di cui all'articolo 232 c.p., comma 3".

11. L'ordinanza impugnata, confermativa di quella del 14 aprile 2010 del Magistrato di sorveglianza di Macerata, si pone in aperto contrasto con gli enunciati principi, in quanto privilegia la tesi secondo cui le norme di, cui agli articoli 231 e 232 c.p. si integrerebbero tra loro, nel senso che la seconda sarebbe in rapporto di specialita' rispetto alla prima e, quindi, legittimerebbe, per l'accertata trasgressione degli obblighi imposti con la liberta' vigilata e per il constatato peggioramento della patologia psichiatrica di cui il Se. era portatore, la sostituzione della misura di sicurezza non detentiva con quella del ricovero in casa di cura e custodia.

L'ordinanza, cosi' argomentando, confonde i differenziati aspetti che contraddistinguono le diverse e autonome ipotesi di mutazione della liberta' vigilata in corso di esecuzione (violazione delle relative prescrizioni, nuova e piu' grave manifestazione di pericolosita'), non tiene conto del titolo per il quale il Se. era stato sottoposto a misura di sicurezza, costituito esclusivamente dalla pericolosita' connessa alla dichiarazione di delinquenza abituale, e da rilievo, invece, all'asserita infermita' psichica pregressa del predetto, evidenziatasi ulteriormente in occasione dell'episodio verificatosi la notte del (OMESSO) presso la comunita' "(OMESSO)", omettendo pero' di considerare che tale presunto stato patologico, contrariamente a quanto sembra sostenere anche in questa sede il P.g. nella sua requisitoria scritta del 5 aprile 2011, non era stato mai giudizialmente accertato come titolo di pericolosita' legittimante la misura di sicurezza.

Erroneamente, quindi, l'ordinanza in verifica, nell'avallare sostanzialmente la linea argomentativa del provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza, riconduce il caso in esame nella previsione di cui all'articolo 232 c.p., comma 3, disposizione riferibile invece, come si e' detto, alle persone dichiarate pericolose per infermita' psichica, sottoposte, per tale ragione, a liberta' vigilata e rivelatesi di nuovo pericolose.

Anche a volere ammettere, pur non essendo stato espletato - nonostante le pertinenti allegazioni difensive - alcun serio e approfondito accertamento al riguardo (perizia psichiatrica), che il Se. sia stato colpito, mentre era sottoposto a liberta' vigilata perche' dichiarato delinquente abituale, da infermita' psichica, non per questo il Magistrato di sorveglianza avrebbe potuto sostituire la misura non detentiva in atto con quella del ricovero in casa di cura e custodia, non consentendolo l'articolo 212 c.p., comma 4, che disciplina tale ipotesi.

La pericolosita' sociale di natura psichiatrica, che eventualmente va a sovrapporsi e ad assorbire quella derivante da altro titolo e fronteggiata con misura di sicurezza non detentiva, comporta certamente una commistione di istanze terapeutiche e di neutralizzazione della pericolosita'. Tale situazione, pero', se non connessa alla commissione di un reato, non puo' essere affidata alle valutazioni della psichiatria forense ma a quelle della psichiatria clinica, che, nello spirito della Legge n. 180 del 1978, deve privilegiare le esigenze di cura e adottare gli interventi terapeutici ritenuti piu' opportuni, anche ricorrendo eventualmente al trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.

Nel caso specifico, tuttavia, non puo' ignorarsi che il Se. , in relazione al fatto di cui si rese protagonista la notte del (OMESSO), fu tratto in arresto e pende a suo carico procedimento penale per il reato di tentata violenza sessuale. Ammettendo che tale illecito fu commesso in stato di infermita' o seminfermita' psichica, indice della pericolosita' dell'agente, compete al giudice procedente verificare in concreto, sulla base di una approfondita indagine, tale pericolosita' e applicare eventualmente, anche in via provvisoria, in aderenza a quanto statuito dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 367 del 2004, la misura di sicurezza ritenuta piu' adeguata ex articolo 206 c.p. e articolo 312 c.p.p..

Il provvedimento adottato, all'esito del procedimento di sorveglianza, nei confronti del Se. , sottoposto alla liberta' vigilata per titolo diverso dalla infermita' psichica, non e' in sintonia con le previsioni di cui all'articolo 212 c.p., comma 4, articolo 231 c.p., comma 2, e articolo 232 c.p., comma 3, e si pone, quindi, in palese contrasto con il principio di legalita' che permea l'intera disciplina delle misure di sicurezza, considerato che queste vanno tenute distinte in relazione al titolo di pericolosita' e che la fungibilita' tra i diversi tipi di misura, anche in sede di sostituzione o di trasformazione, e' soggetta a criteri tassativi predeterminati dal legislatore e non puo' essere affidata alla libera scelta del giudice, che non ha poteri di supplenza, rispetto agli organi a cio' preposti, nel trattamento della malattia mentale.

12. E' il caso di precisare che la questione esaminata, anche se non esplicitata nel ricorso, deve ritenersi implicitamente sollevata con il motivo che contesta la legittimita' del disposto ricovero in casa di cura e custodia, motivo ripreso e piu' ampiamente sviluppato nella memoria difensiva del 21 aprile 2011.

Non puo', inoltre, essere sottaciuto che la riscontrata violazione del principio di legalita' delle misure di sicurezza (articolo 199 c.p. e articolo 25 Cost., comma 3), incidendo negativamente - tra l'altro - su diritti fondamentali della persona, quali quello alla salute (articolo 32 Cost.) e alla liberta' (articolo 13 Cost.), e' comunque rilevabile d'ufficio anche nell'ambito del giudizio di cassazione.

13. L'ordinanza impugnata e quella in data 14 aprile 2010 del Magistrato di sorveglianza di Macerata devono, pertanto, essere annullate senza rinvio, con l'effetto che rivive - allo stato - la misura di sicurezza della liberta' vigilata assistita, imposta al Se. con il provvedimento del 24 novembre 2009 del Tribunale di sorveglianza di Bologna, fatte salve logicamente le ulteriori ed eventuali determinazioni del competente Magistrato di sorveglianza ovvero del giudice competente nell'ambito del procedimento penale a carico del Se. per il reato di tentata violenza sessuale.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e quella in data 14 aprile 2010 del Magistrato di sorveglianza di Macerata.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p..

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici