N. 00472/2011 REG.PROV.COLL.
N. 03304/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 3304 del 2002, proposto da***
contro***
per l'annullamento
del decreto del Ministero per i
Beni e le Attività culturali del 7.07.00 di
dichiarazione di Pubblica utilità del Parco Archeologico
del sito messapico del Comune di Cavallino, integrato
dal successivo D.M. del 19.12.00 recante l'indicazione
dei termini di inizio e fine della procedura
espropriativa, provvedimenti mai comunicati; di tutti
gli atti della sequela procedimentale successivi ai
decreti ministeriali citati, anch'essi mai comunicati;
del processo verbale di consegna lavori del 2.07.02,
allo stato non avviati, atto mai comunicato e conosciuto
solo in data 15.11.02, sottoscritto dall'impresa
appaltatrice A.T.I. Ing. Mario e Paolo ALFA S.r.l. -
BETA Domus C.G. Srl - DELTA Giovanni da Napoli, dalla
Direzione lavori nonché dal responsabile del
procedimento, nonché di ogni altro atto preliminare
connesso o consequenziale a tale operazione, anche se
allo stato non conosciuto, con espressa riserva di
motivi aggiunti nonché per l'annullamento o comunque per
la declaratoria di illegittimità e/o illiceità
dell'occupazione del fondo denominato "Noce" realizzata
dal Comune di Cavallino, quale attuatore del "Museo
diffuso per il sito arcaico messapico di Cavallino",
nonché dalla Soprintendenza ai Beni archeologici della
Puglia, dall'Università di Lecce, dalla Regione Puglia e
dall'ente appaltatore A.T.I. ETA 2002 S.C.a.r.l..
Visti il ricorso e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in
giudizio di Comune di Cavallino e di Soprintendenza Per
i Beni Amb. Archit. Artis. e Sto.- Puglia e di
Universita' degli Studi di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
giorno 12 gennaio 2011 il dott. Claudia Lattanzi e uditi
per le parti l’avv. Bruni, anche in sostituzione
dell’avv. Pezzuto, per i ricorrenti, l’avv. Bruno, per
il Comune, e l’avv. Libertini, per l’Avvocatura dello
Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO
Il Pontificio Santuario Madonna di
Pompei ha convenuto, con il comune di Cavallino, la
cessione bonaria di alcune aree di sua proprietà oggetto
di una procedura espropriativa iniziata dal Comune.
Con delibera comunale n. 32 del 27
luglio 2001, il Comune ha pertanto acquisito al proprio
patrimonio le aree suddette, approvando altresì lo
schema di contratto di cessione aree tra il Sindaco e
l’ente espropriando.
Successivamente, il 30 luglio 2001,
è stato sottoscritto l’atto definitivo di trasferimento
della proprietà con la corresponsione di un’indennità in
favore del soggetto cedente pari a Lire 173.000.000.
Il Pontificio Santuario, il 4
settembre 2001, ha inviato una nota al sig. Luigi
Ricorrente, conduttore del fondo, con la quale ha
comunicato di aver ceduto la porzione dei fondi.
Il sig. Ricorrente, quindi, ha
chiesto al Comune la liquidazione dell’indennità
prevista dalla legge a favore dei fittavoli dei terreni
espropriati.
Il Comune, con nota del 10 dicembre
2001, ha riscontrato negativamente questa richiesta
ritenendo che lo stesso non possedesse la qualifica di
coltivatore diretto, così come previsto dalla legge ai
fini del riconoscimento dell’indennità richiesta.
In seguito a un incontro tenuto
presso gli uffici comunali, gli eredi del sig.
Ricorrente, che nel frattempo era deceduto, con nota del
5 agosto 2001, hanno evidenziato che la somma richiesta
poteva essere desunta dall’importo liquidato in sede di
cessione bonaria all’Ente proprietario del terreno.
Il Sindaco, il 13 agosto 2002, ha
comunicato la propria disponibilità a raggiungere un
accordo bonario erogando la somma di Euro 1.549,37.
I sig.ri Ricorrente, poi,
constatato che il terreno in questione era stata
recintato, hanno proposto il 7 novembre 2002 istanza di
accesso agli atti.
A seguito dell’accesso agli atti, i
sig.ri Ricorrente hanno proposto il presente ricorso
impugnando il decreto del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali del 7 luglio 2000 di dichiarazione di
pubblica utilità del Parco Archeologico del sito
messapico del comune di Cavallino, integrato dal
successivo D.M. del 19 settembre 2000 recante
l’indicazione dei termini di inizio e fine della
procedura espropriativa,e ha notificato lo steso ricorso
anche all’Università.
I ricorrenti hanno proposto i
seguenti motivi: 1. Nullità e inefficacia della
dichiarazione di pubblica utilità per violazione
dell’art. 13 l. 2359/1865. Violazione dei principi
generali in materia di dichiarazione di pubblica
utilità. Illegittimità derivata di tutti gli atti della
sequela procedimentale e della disposta occupazione.
Illiceità dell’azione amministrativa per carenza
assoluta di potere. 2. lesione dello jus retentionis di
cui agli artt. 43 e 50 l. 203/1982 nonché dell’art. 17
l. 865/1971. Illiceità dell’azione amministrativa.
Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.
Arbitrarietà e perplessità dell’azione amministrativa.
Carenza assoluta di motivazione. Sviamento di potere. 3.
Violazione degli artt. 7 e ss. l. 241/1990. Mancata
comunicazione di avvio del procedimento di occupazione
del fondo.
Deducono i ricorrenti: che la
dichiarazione di pubblica utilità è illegittima perché
con la stessa non sono stati indicati i termini iniziali
e finali dell’espropriazione; che il successivo d.m. con
cui sono stati fissati i termini non può sanare o
convalidare il provvedimento di dichiarazione di
pubblica utilità; che il ricorrente ha un diritto di
ritenzione del bene per la tutela del credito derivante
dal pregiudizio economico per l’estinzione del rapporto
di affitto del fondo; che non è stato a lui comunicato
l’avvio del procedimento.
Le Amministrazioni statali si sono
costituite con atto del 3 gennaio 2003.
Il comune di Cavallino, con memoria
del 28 gennaio 2003, ha eccepito: la carenza di
legittimazione attiva del ricorrente perché non è stata
fornita alcuna prova che attesti la qualità di
coltivatore diretto rispetto al fondo in questione; la
carenza di legittimazione passiva perché, essendo
intervenuta la cessione bonaria, il ricorrente deve
rivolgersi al proprietario del terreni; la tardività del
ricorso perché il ricorrente, il 28 dicembre 2001, aveva
ottenuto copia degli atti della procedura;
l’inammissibilità del ricorso perché la mancata
previsione dei termini iniziali e finali comporta la
mancanza di interesse all’azione di annullamento.
Nel merito il Comune ha dedotto che
non occorre la comunicazione di avvio del procedimento.
Con memoria del 1° febbraio 2003
l’Università ha chiesto l’estromissione dal giudizio
perché la stessa Università si è limitata all’attività
scientifica di scavo archeologico.
I ricorrenti, con memoria del 31
dicembre 2010, hanno affermato che la conoscenza del
contenuto degli atti impugnati si è avuta il 15 novembre
2002 e hanno dichiarato che l’interesse a essere
reintegrati nel possesso era venuto meno ma persisteva
l’interesse al risarcimento dei danni.
Nella pubblica udienza del 12
gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Deve essere esaminata in primo
luogo la richiesta estromissione dal giudizio da parte
dell’Università.
La dottrina processualcivilistica
ha avuto modo di evidenziare, anche sulla scorta delle
specifiche fattispecie espressamente previste dalla
normativa (artt. 108 e 109 c.p.c.), come l’estromissione
consegua al riscontro del difetto dei presupposti sui
quali deve fondarsi la presenza in giudizio della parte
e in particolare alla mancanza di qualsiasi domanda di
essa o contro di essa.
Nel caso di specie il gravame
risulta proposto avverso un provvedimento del tutto
estraneo alla situazione giuridica soggettiva
dell’Università, né la prospettazione ricorrente
individua qualche particolare o concreta ragione per
giustificare la legittimazione passiva di questa.
Pertanto, la richiesta di
estromissione è fondata.
Sempre in via preliminare deve
essere esaminata l’eccezione di tardività del ricorso
presentata dal Comune.
L’eccezione è fondata, perché, come
risulta dalla documentazione depositata in giudizio, a
seguito di domanda presentata il 21 dicembre 2001 il
ricorrente ha preso visione di tutti gli atti della
procedura espropriativa il 28 dicembre 2001, mentre il
ricorso è stato notificato il 14 dicembre 2002, quindi
ben oltre il termine decadenziale di sessanta giorni.
Il ricorso è quindi tardivo e deve
essere dichiarato irricevibile.
Resta tuttavia da esaminare
l’azione risarcitoria proposta dai ricorrenti, perché,
come ha ritenuto la Corte di cassazione, il risarcimento
del danno da parte del giudice amministrativo, come
forma di tutela dell’interesse legittimo, non presuppone
necessariamente il previo annullamento dell’atto
amministrativo (Sez. Un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e
1360).
È da aggiungere che il superamento
della pregiudiziale amministrativa è stato anche
positivamente sancito dall’art. 30 del codice del
processo amministrativo (anche se non applicabile
ratione temporis alla presente controversia).
Posto quanto sopra, ai fini
dell’individuazione dell’elemento illecito costituito
dai profili di illegittimità degli atti, rileva la
mancata fissazione nell’atto di avvio del procedimento
espropriativo dei termini di inizio e ultimazione dei
lavori, nonché dell’inizio della procedura
espropriativa, perché la mancata previsione di questi
termini non può essere sanata da atti successivi della
procedura.
La richiesta di risarcimento del
danno è, tuttavia, infondata perché i ricorrenti non
hanno dato alcuna prova in ordine al danno lamentato.
In particolare, i ricorrenti, nelle
conclusioni dell’atto introduttivo, chiedono di essere
reintegrati nel possesso dell’immobile, con condanna dei
resistenti al relativo rilascio, nonché al risarcimento
del danno ingiusto,cioè del danno derivante dal mancato
godimento del fondo come affittuari; non si può ,poi,
ritenere che il risarcimento richiesto attenga alla
mancata percezione dell’equo indennizzo previsto
dall’art. 43 della legge n.203 del 1982, così come
appare dalla memoria del 31 dicembre 2010, sia perché
un’eventuale richiesta in tal senso determinerebbe una
modificazione, non consentita, della domanda,sia perché
la richiesta del risarcimento del danno individuato
nella mancata percezione del citato indennizzo si
risolve nella richiesta dello stesso,richiesta mai
chiaramente formulata.
Pertanto, si deve ritenere che la
richiesta risarcitoria attenga al mancato godimento del
bene come affittuari,cioè all’illegittimo
spossessamento.
Non è stato però indicato alcun
elemento a riprova del danno subito.
Per giurisprudenza consolidata,
dalla quale il Collegio non ha motivo nella specie di
discostarsi, all’azione di risarcimento danni spiegata
dinanzi al giudice amministrativo si applica il
principio dell'onere della prova previsto nell'art. 2697
c.c., in virtù del quale spetta al danneggiato fornire
in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi
della fattispecie risarcitoria, e segnatamente del danno
di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario
(ex multis, C.G.A.R.S. 12 maggio 2010, n. 640; T.A.R.
Lombardia, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 1787; T.A.R.
Cagliari, sez. II, 5 febbraio 2010, n. 126).
Conseguentemente, laddove la domanda di risarcimento
danni si presenti genericamente formulata, e non sia
corredata dalla prova del danno da risarcire, essa deve
essere respinta (C.d.S., sez. VI, 17 luglio 2008, n.
3592).
Nel caso in esame, i ricorrenti non
hanno fornito alcun elemento idoneo a dimostrare nell’an
e nel quantum il pregiudizio del quale si invoca il
ristoro. Di tali elementi non vi è traccia né negli atti
di gravame, né negli altri scritti difensivi depositati
in corso di giudizio. In ogni caso, al di là della
genericità dell’indicazione, le pretese risarcitorie
formulate dalla parte ricorrente devono essere in ogni
caso vagliate alla stregua dell'art. 1227 del c.c..
Infatti, già prima dell’entrata in
vigore del codice del processo amministrativo l’articolo
citato è stato utilizzato dalla giurisprudenza quale
parametro per quantificare il danno e comunque, deve
ritenersi che l’art. 30 cod. proc. amm., per il quale
"Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte
le circostanze di fatto e il comportamento complessivo
delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei
danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria
diligenza, anche attraverso l'esperimento degli
strumenti di tutela previsti", ha valore di canone
interpretativo del fondamentale principio stabilito
dall'art. 1227 c.c. onde lo stesso può applicarsi anche
alle fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore.
Nel caso in esame, la tempestiva
impugnazione del provvedimento illegittimo avrebbe
consentito la reintegra nel possesso del bene da parte
dei ricorrenti con l’eliminazione dei danni oggi
richiesti.
In conclusione, il ricorso deve
essere dichiarato irricevibile per tardività e deve
essere respinta la domanda di risarcimento del danno.
Sussistono giusti motivi per
disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto: a) dichiara
l’estromissione dal giudizio dell’Università, b)
dichiarar il ricorso irricevibile per tardività, c)
respinge la domanda di risarcimento del danno. Spese
compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nelle camere
di consiglio dei giorni 12 gennaio e 9 marzo 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Carlo Dibello, Primo Referendario
Claudia Lattanzi, Referendario,
Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.) |