che con l'impugnata sentenza fu
confermata la condanna di M. I. alla pena di giorni
trenta di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in
favore della costituita parte civile A.V. per il reato
di violenza privata, consistito, secondo l'accusa,
nell'avere essa imputata, intenzionalmente parcheggiando
la propria autovettura all'interno del cortile
condominiale in modo tale da impedire l'uscita di quella
dell' A. e quindi omettendo, nonostante le ripetute
sollecitazioni, di rimuovere detta autovettura,
costretto la persona offesa a restare a lungo sul posto
anzichè allontanarsi, come essa avrebbe voluto, con il
proprio automezzo;
- che avverso detta sentenza ha
proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputata
denunciando inosservanza ed erronea applicazione di
legge unitamente a vizio di motivazione sull'assunto, in
sintesi e nell'essenziale, che:
1) indebitamente la corte
d'appello, sulla base di una mera presunzione, avrebbe
dato per provata l'originaria intenzione dell'imputata
di parcheggiare la propria autovettura in modo da
impedire l'uscita - di quella - dell' A. ed altrettanto
indebitamente avrebbe poi disatteso, ignorando la
deposizione della figlia della stessa imputata, presente
ai fatti, la versione difensiva secondo la quale il
ritardò nel rimuovere il veicolò dalla posizione
d'intralcio sarebbe dipeso solo dal fatto che non era
stato possibile, nell'immediato, nonostante le affannose
ricerche, reperire le chiavi;
2) la pena sarebbe stata
determinata in misura ingiustificatamente eccessiva;
3) quanto alle statuizioni civili:
- 3/a) non sarebbe stato in alcun modo dimostrato il
nesso di causalità tra la condotta attribuita
all'imputata ed il malore accusato dalla persona offesa,
il relazione al quale era stata pronunciata condanna, al
risarcimento dei danni: - 3/b) si sarebbe dovuta ridurre
l'entità del risarcimento, atteso l'intervenuta
assoluzione, in sede di appello, del marito della
ricorrente, di, cui era sta affermata, in primo grado,
la penale responsabilità a titolo di concorso nel
medesimo reato; - 3/c) indebitamente sarebbe stata
subordinata la sospensione condizionale della pena al
pagamento della provvisionale provvisoriamente
esecutiva, quando la Sentenza di primo grado l'aveva
subordinata al pagamento della somma fissata a titolo di
risarcimento entro sei mesi dal passaggio in giudicato
della decisione...
A CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MARASCA Gennaro -
Presidente -
Dott. DUBOLINO Pietr - rel.
Consigliere -
Dott. BEVERE Antonio -
Consigliere -
Dott. DE BERARDINIS Silvana -
Consigliere -
Dott. FUMO Maurizio -
Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
M.I. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n.
3910/2007 CORTE APPELLO di ROMA, del 25/03/2009;
visti gli atti, la sentenza e il
ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del
01/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott.
PIETRO DUBOLINO;
Udito il Procuratore Generale in
persona del Dott. Delehaye che ha concluso per
l'inammissibilità senza rinvio per prescrizione;
Udito il difensore Avv.ssa (Ndr:
testo originale non comprensibile)
la quale ha insistito per
l'accoglimento del ricorso.
Fatto
che con l'impugnata sentenza fu
confermata la condanna di M. I. alla pena di giorni
trenta di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in
favore della costituita parte civile A.V. per il reato
di violenza privata, consistito, secondo l'accusa,
nell'avere essa imputata, intenzionalmente parcheggiando
la propria autovettura all'interno del cortile
condominiale in modo tale da impedire l'uscita di quella
dell' A. e quindi omettendo, nonostante le ripetute
sollecitazioni, di rimuovere detta autovettura,
costretto la persona offesa a restare a lungo sul posto
anzichè allontanarsi, come essa avrebbe voluto, con il
proprio automezzo;
- che avverso detta sentenza ha
proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputata
denunciando inosservanza ed erronea applicazione di
legge unitamente a vizio di motivazione sull'assunto, in
sintesi e nell'essenziale, che:
1) indebitamente la corte
d'appello, sulla base di una mera presunzione, avrebbe
dato per provata l'originaria intenzione dell'imputata
di parcheggiare la propria autovettura in modo da
impedire l'uscita - di quella - dell' A. ed altrettanto
indebitamente avrebbe poi disatteso, ignorando la
deposizione della figlia della stessa imputata, presente
ai fatti, la versione difensiva secondo la quale il
ritardò nel rimuovere il veicolò dalla posizione
d'intralcio sarebbe dipeso solo dal fatto che non era
stato possibile, nell'immediato, nonostante le affannose
ricerche, reperire le chiavi;
2) la pena sarebbe stata
determinata in misura ingiustificatamente eccessiva;
3) quanto alle statuizioni civili:
- 3/a) non sarebbe stato in alcun modo dimostrato il
nesso di causalità tra la condotta attribuita
all'imputata ed il malore accusato dalla persona offesa,
il relazione al quale era stata pronunciata condanna, al
risarcimento dei danni: - 3/b) si sarebbe dovuta ridurre
l'entità del risarcimento, atteso l'intervenuta
assoluzione, in sede di appello, del marito della
ricorrente, di, cui era sta affermata, in primo grado,
la penale responsabilità a titolo di concorso nel
medesimo reato; - 3/c) indebitamente sarebbe stata
subordinata la sospensione condizionale della pena al
pagamento della provvisionale provvisoriamente
esecutiva, quando la Sentenza di primo grado l'aveva
subordinata al pagamento della somma fissata a titolo di
risarcimento entro sei mesi dal passaggio in giudicato
della decisione;
- che, nelle more, trattandosi di
fatto commesso il 2 marzo 2002, è maturato il termine di
prescrizione del reato, da individuarsi in anni sette, e
mesi otto, tenuto conto delle interruzioni e della
sospensione di gg. 60 (così determinati ex art. 159
c.p., comma 1, n. 3), dovuta a rinvio del dibattimento
dal 4 marzo 2005 al 25 maggio 2005 su richiesta della
difesa per impedimento del coimputato dell'attuale
ricorrente.
Diritto
- che, in assenza delle condizioni
di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2, l'impugnata
sentenza va annullata senza rinvio con riguardo alle
statuizioni penali, per estinzione del reato dovuta
all'intervenuta prescrizione; il che rende superati i
motivi di ricorso;
- che, dovendosi decidere, ai sensi
dell'art. 578 c.p.p., sui residui motivi di ricorso, ai
fini civili, gli stessi non appaiono meritevoli di
accoglimento, in quanto:
a) con riguardo alla ritenuta
configurabilità del reato a carico dell'imputata, le
proposte doglianze, ad onta dell'encomiabile impegno
profuso dalla difesa, non toccano l'essenziale della
motivazione sulla quale si basa l'impugnata sentenza,
costituito dal rilievo che non solo sulla base di quanto
si afferma "concordemente riferito dai testi", ma anche
sulla base di quanto "da lei stessa ammesso" l'imputata
avrebbe lasciato trascorre circa un'ora "senza scendere
o anche solo affacciarsi per spiegare di aver smarrito
le chiavi"; atteggiamento, questo, più che
ragionevolmente ritenuto quindi, dalla corte di merito,
indicativo di una volontà tesa ad impedire all' A.,
almeno per un certo tempo, di allontanarsi, come ella
avrebbe voluto, con la propria autovettura, senza che,
al riguardo, possa validamente contrapporsi, in questa
sede, quella che nello stesso atto di gravame viene
prospettata come semplice ipotesi alternativa, tale da
non potersi "escludere a priori", secondo cui
l'atteggiamento dell'imputata sarebbe dipeso dal suo
convincimento che il marito e il padre, presenti sul
posto, avessero provveduto ad informare del momentaneo
smarrimento delle chiavi la persona offesa;
b) con riguardo alle confermate
statuizioni civili: b/1) la sussistenza dei nesso di
causalità tra la condotta dell'imputata ed il malore
che, ad un certo punto, era stato accusato dalla persona
offesa non può certo dirsi irragionevolmente ritenuta
dalla corte di merito, la cui valutazione, sul punto,
non appare quindi censurabile in questa sede, attesa
l'assenza, nel ricorso, di alcun riferimento a-
specifici elementi atti ad inficiarla, essendosi la
difesa limitata alla semplice e generica prospettazione
di "eventuali cause preesistenti o successive atte a
cagionare il predetto stato", senza alcuna specifica
indicazione della loro natura e delle ragioni per le
quali se ne sarebbe dovuta quanto meno sospettare la
presenza; - b/2) il "quantum" risarcibile dev'essere
determinato, come appare del tutto ovvio, sulla base
della ritenuta, obiettiva gravità del danno subito dalla
persona offesa e non del numero dei soggetti tenuti al
risarcimento, di tal che non si vede per quale ragione
l'intervenuta assoluzione, in appello, del marito della
ricorrente, condannato in primo grado come concorrente
nel medesimo reato, avrebbe dovuto dar luogo ad una
riduzione dei suddetto "quantum".
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio, agli
effetti penali, la sentenza impugnata perchè il reato è
estinto per intervenuta prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti
civili.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio
2011.
Depositato in Cancelleria il 28
febbraio 2011 |