Solo l’accettazione del
contraddittorio consente al contribuente di contestare
gli accertamenti fatti in base a parametri standard.
La necessità del confronto con
l’Agenzia - La Corte di cassazione, con la sentenza
20680 afferma la necessità di “affrontare” l’ente
impositore in un confronto in sede amministrativa per
negare l’esistenza dei maggiori ricavi, “accertati”
dall’Agenzia delle entrate ricorrendo a criteri
prefissati o agli studi di settore. Sistemi di
presunzione semplice – specifica il Supremo collegio –
che non hanno validità ex lege ma che diventare
attendibili nel caso il contribuente si sottragga al
contraddittorio che l’Agenzia ha l’obbligo di attivare
pena la nullità della verifica fiscale. Un onere della
prova contraria che il ricorrente non ha assolto finendo
per avallare le conclusioni dell’erario.
Il parere divergente della Ctr -
Gli ermellini danno dunque ragione al fisco e ribaltano
il verdetto della Commissione tributaria del Lazio che
si era schierata dalla parte del contribuente malgrado
la sua “latitanza”. Secondo la Ctr il semplice
richiamo ai parametri fissati dal Dpcm del 29 gennaio
1996 non era idoneo a fondare l’atto impositivo,
mancando gli elementi essenziali che consentono, oltre
che al cittadino anche al giudice tributario di
valutarne la correttezza.
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