Se un cane randagio aggredisce un
passante può essere condannato il Comune, perché
sussiste la violazione del generale principio del
neminem laedere.
Cassazione Sez. III, 23 agosto
2011, n. 17528
(Pres. Morelli)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 12/2/2010 la Corte
d’Appello di Napoli respingeva il gravame interposto
dalla sig. R. P. nei confronti della pronunzia Trib.
Torre Annunziata 14/5/2002 di rigetto della domanda
dalla medesima proposta nei confronti del Comune di Meta
di risarcimento dei danni lamentati a seguito del
sinistro avvenuto il 12/6/1996, allorquando, mentre
percorreva la locale via Caracciolo alla guida del
proprio ciclomotore Honda Vision, veniva aggredita da un
cane randagio che la faceva cadere dal motociclo,
provocandole danni patrimoniali e non patrimoniali.
Avverso la suindicata pronunzia
della corte di merito la P. propone ora ricorso per
cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Comune
di Meta.
Motivi della decisione
Con il 1° motivo la ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
2907 c..c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3,
c.p.c., 112, 113, 163 c.p.c., in riferimento all’art.
360, 1° co. n. 4, c.p.c.,; nonché «contraddittoria,
erronea, insufficiente ed illogica motivazione» su punto
decisivo della controversia, in riferimento all’art.
360, 1° co, n. 5, c.p.c.
Si duole che la corte di merito
abbia erroneamente ritenuto essere stata nel caso
contestata la mancata prevenzione del fenomeno «del
randagismo in sé, con totale avulsione dal fatto
concreto», laddove ha agito per ottenere il risarcimento
dei danni lamentati in conseguenza del subito attacco da
parte del cane randagio, e quindi a causa più
generalmente del mancato controllo del randagismo.
Lamenta che il giudice di merito
«avrebbe dovuto pronunciare su tutta la domanda dopo
aver assolto al potere-dovere di qualificare
giuridicamente l’azione esperita e di attribuire il
nomen iuris al rapporto sostanziale dedotto in giudizio,
anche in difformità rispetto alla prospettazione
giuridica svolta nella domanda» -
Con il 3 motivo la ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 43
c.p., 2051, 2043, c.c, 3, 13, 50 d.lgs. n. 285 del 1992,
2, 4 L. n. 281 del 1991, 1, 5, 11 L. Regione Campania n.
36/93, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.;
nonché «omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione» su punto decisivo della controversia, in
riferimento all’art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c.
Sì duole che la corte di merito
abbia erroneamente limitato l’indagine alla prevenzione
del randagismo da parte del Comune senza alcuna
relazione con la tutela della pubblica incolumità.
Lamenta che i giudici di merito
abbiano «ingiustificatamente separato il fatto-
custodia/condizioni della strada dal fatto-aggressione
del cane randagio», e che la corte di merito abbia
omesso ogni valutazione in merito alla del pari
lamentata «pericolosità del tracciato e del manto
stradale di via Caracciolo» , oltre che della «presenza
del cane». Si duole non essersi considerato che il
Sindaco ha, non già quale ufficiale di governo bensì
come rappresentante del Comune, il potere-dovere di
controllare che le A.S.L. svolga i poteri ad esse
delegati in materia di randagismo.
I motivi, che possono
congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono
fondati nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto modo
di porre in rilievo, la legge quadro in materia di
animali di affezione e prevenzione del randagismo
legge_281/1991 demanda alle Regioni l’istituzione
dell’anagrafe canina e l’adozione di programmi per la
prevenzione ed il controllo del randagismo.
Al riguardo, la legge regionale
Campania n.36/1993 (successivamente abrogata dalla L. n.
16 del 2001, ma nel caso ratione temporis applicabile)
dispone in particolare che alla sua attuazione
«provvedono, nei rispettivi ambiti di competenza, la
Regione, i Comuni e le USL, con la collaborazione di
enti ed associazioni protezionistiche, zoofile e
animalistiche» (art. 1, comma 4). Prevede quindi
l’istituzione dell’anagrafe canina (art. 3), la
realizzazione di vaccinazioni e controlli sanitari (
art. 4 ), la costruzione di «rifugi municipali per cani»
(già canili municipali) (art. 5), il controllo del
randagismo (art. 7), la promozione di iniziative di
informazione e di educazione (art. 10) nonché
l’esplicazione di attività di vigilanza a mezzo (anche)
di guardie zoofile comunali (art. 11).
Orbene, emerge già alla stregua di
tali richiami evidente come compiti di organizzazione,
prevenzione, e controllo (anche) dei cani vaganti (
siano essi «tatuati», e cioè scomparsi o smarriti dai
proprietari, ovvero «non tatuati») spettano (pure) ai
Comuni (non può pertanto condividersi quanto affermato
da Cass., 7/12/2005, n. 27001), tenuti anch’essi, in
correlazione con gli altri soggetti pubblici (e non)
indicati dalla legge, ad adottare concrete iniziative e
assumere provvedimenti volti ad evitare che animali
randagi possano arrecare danni alle persone nel
territorio di competenza (cfr. Cass., 28/4/2010, n.
10190).
Risulta allora non corretta la
limitazione della domanda nel caso operata dalla corte
di merito al mero «dovere istituzionale di ogni
amministrazione comunale di prevenire il randagismo»,
nonché alla rilevanza del fenomeno alla mera attività di
«accalappiamento dei cani randagi»; come del pari non
corretta è l’affermazione secondo cui all’epoca del
sinistro de qua in base al quadro normativo all’epoca
vigente siffatta «funzione pubblica» spettava «in via
esclusiva» all’unità sanitaria locale territorialmente
competente», non potendo pertanto avallarsi la ravvisata
irrilevanza della verifica circa la configurabilità
della responsabilità del Comune di Meta in merito al
sinistro de qua.
Atteso che risulta in effetti
erronea ed apodittica la limitazione della disamina al
mero profilo della «funzione pubblica» svolta dalla
P.A., atteso che la stessa corte di merito da atto in
motivazione come l’oggetto della pretesa della odierna
ricorrente sia costituito dal risarcimento dei danni
lamentati in conseguenza del sinistro, dalla
considerazione anche di tale ( aspetto della ) domanda
non può dunque prescindersi, spettando ai giudici di
merito dare la corretta qualificazione dell’ipotesi di
responsabilità nel caso ricorrente, se quella generale
ex art. 2043 c.c. ovvero un’ipotesi di responsabilità
speciale aggravata ex art. 2051 c.c. o art. 2052 c.c., a
tale stregua compiendo quella valutazione nella specie
adombrata ma poi in effetti non compiuta, in ragione
della -come detto- ravvisata relativa irrilevanza ai
fini della decisione.
Va al riguardo osservato che in
caso di ravvisata integrazione dell’ipotesi generale di
responsabilità aquiliana non può prescindersi dal
rilievo che, come da questa Corte anche recentemente
precisato, la P.A. è responsabile per i danni
causalmente riconducibili alla violazione dei
comportamenti dovuti, i quali costituiscono limiti
esterni alla sua attività discrezionale e integrano la
norma primaria del neminem laedere di cui all’art. 2043
c.c. (cfr., con riferimento a diversa ipotesi, Cass.,
27/4/2011, n. 9404 ).
In presenza di obblighi normativi
la discrezionalità amministrativa invero si arresta, e
non può essere invocata per giustificare le scelte
operate nel peculiare settore in considerazione.
Va altresì posto in rilievo che il
modello di condotta cui la P.A. è tenuta postula
l’osservanza di un comportamento informato a diligenza
particolarmente qualificata, specificamente in relazione
all’impiego delle misure e degli accorgimenti idonei ai
fini del relativo assolvimento, essendo essa tenuta ad
evitare o ridurre i rischi connessi all’attività di
attuazione della funzione attribuitale.
Comportamento cui la P.A. è d’altro
canto tenuta già in base all’obbligo di buona fede o
correttezza, quale generale principio di solidarietà
sociale -che trova applicazione anche in tema di
responsabilità extracontrattuale- in base al quale il
soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di
relazione un comportamento leale, specificantesi in
obblighi di informazione e di avviso nonché volto alla
salvaguardia dell’utilità altrui -nei limiti
dell’apprezzabile sacrificio-, dalla cui violazione
conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi
affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi
( cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 27/10/2006, n.
23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n.
8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n.
22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056. Da ultimo
cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404 ).
Condotta che ove tardiva, carente o
comunque inidonea provoca o non impedisce la lesione di
quei diritti ed interessi la cui tutela è propriamente
rimessa al corretto e tempestivo esercizio dei poteri
‘attribuiti per l’assolvimento della funzione (cfr.
Cass., 25/2/2009, n. 4587. V. anche Cass., Sez. Un.,
27/7/1998, n. 7339).
A tale stregua, in caso di
concretizzazione del rischio che la norma violata tende
a prevenire, la considerazione del comportamento dovuto
e della condotta mantenuta assume allora decisivo
rilievo, e il nesso di causalità che i danni conseguenti
a quest’ultima astringe rimane invero presuntivamente
provato (Ct r. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584;
Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E, da ultimo, Cass.,
27/4/2011, n. 9404).
Alla fondatezza -nei suindicati
termini- dei motivi consegue, assorbiti gli altri, con i
quali la ricorrente denunzia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2909 cc., 101, 190, 281 quater,
342, 343, 345 c.p.c.., in riferimento all’art. 360, 1°
Co. n. 3, c.p.c., nullità del procedimento per
violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art.
360, 1° co. n. 4, c.p.c., nonché «fittizia, omessa,
contraddittoria, erronea, insufficiente ed illogica
motivazione» su punto decisivo della controversia, in
riferimento all’art. 360, 1° co. 5, c.p.c. ( 2° motivo
); violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 100,
101, 159, 82, 83, 85, 88, 167, 168, 180, 182 c.pc., in
riferimento all’art. 360, 1° Co. n. 3, c.p.c., nullità
dei procedimenti e delle sentenze di 1° e 2 grado, in
riferimento all’art. 360, 1° co. n. 4, c.p.c. 4° motivo
); violazione e falsa applicazione degli artt. 88, 91,
92 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3,
c.p.c., nullità del procedimento per violazione
dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 1°
Co. n. 4, c.p.c., nonché omessa motivazione su punto
decisivo della controversia, in riferimento all’art.
360, 1° cc. n. 5, c.p.c. ( 5° motivo ), l’accoglimento
in relazione del ricorso, con rinvio alla Corte
d’Appello di Napoli che, in diversa composizione
procederà a nuovo esame, facendo dei suesposti principi
applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà
anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il 1° ed il 3°
motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa in
relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le
spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello
di Napoli, in diversa composizione.
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