– Elena GAMBULI
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Atteso che il diritto di proprietà
si trasferisce solamente con l'atto definitivo, qualora
siano stati stipulati un contratto preliminare di
compravendita e successivamente un contratto definitivo,
l'accertamento dei presupposti dell'azione revocatoria
va compiuto con riferimento alla data del contratto
definitivo. Atteso che il diritto di proprietà si
trasferisce solamente con l'atto definitivo, qualora
siano stati stipulati un contratto preliminare di
compravendita e successivamente un contratto definitivo,
l'accertamento dei presupposti dell'azione revocatoria
va compiuto con riferimento alla data del contratto
definitivo.
Il caso sottoposto all’esame della
Suprema Corte riguardava la compravendita di un opificio
industriale con annessi terreni agricoli, stipulata con
rogito notarile sottoscritto da un imprenditore, poi
fallito, e da una società immobiliare. Il Tribunale,
accogliendo la domanda sollevata dalla Curatela, aveva
dichiarato il detto atto inefficace ai sensi dell'art.
67, I° comma, della Legge Fallimentare, ritenendolo
soggetto a revocatoria fallimentare.
Proposto appello dalla società
acquirente, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza
del 30.06.05, ha dichiarato che, nel caso di revocatoria
fallimentare di una compravendita stipulata in
adempimento di un contratto preliminare, l'accertamento
dei presupposti dell'azione va compiuto con riferimento
alla data del contratto definitivo, con il quale il
bene, uscendo dal patrimonio del fallito, è sottratto
alla garanzia dei creditori ed ha quindi respinto il
gravame.
Avverso tale decisione la società
soccombente, ha presentato ricorso per Cassazione, la
quale ha dichiarato il motivo del ricorso inammissibile,
appoggiando il consolidato indirizzo giurisprudenziale
di legittimità e di merito secondo cui, nel caso di
revocatoria fallimentare di una compravendita stipulata
in adempimento di un contratto preliminare,
l'accertamento dei presupposti dell'azione va compiuta
con riferimento alla data del contratto definitivo.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 6 aprile – 1° settembre 2011, n. 17995
(Presidente Plenteda – Relatore Cristiano)
Svolgimento del processo
La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 30.6.05,
respinse il gravame proposto
dall'Immobiliare Giolica s.p.a. (già Immobiliare Rapezzi
s.p.a.) avverso la sentenza 31.7.02 del
Tribunale che, in accoglimento della domanda svolta dal
Fallimento di P.C. (dichiarato il xxxxxx),
fatta propria, in corso di causa, dall'assuntore del
concordato fallimentare, R..L. , aveva dichiarato
l'inefficacia ex art. 67 1 comma n. 1 L.F. dell'atto a
rogito del notaio Maria P. del 9.4.75, con il quale
l'imprenditore poi fallito aveva venduto alla società
convenuta un opificio industriale con annessi
terreni agricoli al prezzo di 160 milioni delle vecchie
lire.
Per ciò che nella presente sede interessa, la Corte
territoriale, dopo aver rilevato che le parti, col
contratto preliminare stipulato il 30.1.75 (e dunque
anteriormente al c.d. biennio sospetto) avevano
regolato gli assetti sostanziali, non più modificati,
degli interessi in gioco, ritenne di dover
comunque aderire al consolidato indirizzo
giurisprudenziale di legittimità e di merito secondo
cui,
nel caso di revocatoria fallimentare di una
compravendita stipulata in adempimento di un contratto
preliminare, l'accertamento dei presupposti dell'azione
va compiuto con riferimento alla data del
contratto definitivo, con il quale il bene, uscendo dal
patrimonio del fallito, è sottratto alla garanzia
dei creditori; affermò, inoltre, che erano infondati i
rilievi mossi dall'appellante alla ctu, affidata dal
Tribunale ad un dottore commercialista che si era fatto
coadiuvare da un architetto, ed, in
particolare, che il ctu aveva chiarito le ragioni per le
quali si era discostato dalla stima dell'ausiliare,
operando minori detrazioni per vetustà dell'immobile e
per oneri locativi, giungendo, oltretutto, a
conclusioni corrispondenti a quelle del perito penale,
incaricato di valutare il medesimo bene
nell'ambito del processo per ricettazione
prefallimentare svoltosi a carico dell'A.U.
dell'Immobiliare
Giolica e conclusosi con l'assoluzione dell'imputato.
La sentenza è stata impugnata dall'Immobiliare Giolica
s.p.a. con ricorso per cassazione affidato a
due motivi. R..L. ha resistito con controricorso ed ha
proposto ricorso incidentale, con il quale ha
eccepito l'inammissibilità del ricorso per incertezza
assoluta circa l'identificazione della parte
ricorrente, che non ha mai indicato il proprio codice
fiscale né quello di iscrizione al R.E.A. e che si
sarebbe trasformata in una s.r.l. Entrambe le parti
hanno depositato memorie
ex
art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Il ricorso principale e quello incidentale vanno
riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
1) In ordine logico, deve essere in primo luogo
esaminato il ricorso incidentale proposto da R..L.,
che è infondato e deve essere respinto.
Non ricorre, infatti, alcuna incertezza in ordine alla
denominazione ed al tipo sociale della società
soccombente in grado d'appello, e perciò legittimata a
proporre il ricorso per cassazione (Cass. n.
16983/06), non essendo in contestazione che la sentenza
impugnata (così come quella di primo
grado) siano state emesse nei confronti dell'Immobiliare
Giolica s.p.a., identificata attraverso il
nominativo dei suoi legali rappresentanti e
l'indicazione della sede sociale.
2) Con il primo motivo di ricorso, l'Immobiliare Giolica
denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 112 c.p.c., 67 L.F. 1362,1363, 1470 c.c.,
nonché vizio di motivazione della sentenza
impugnata in ordine ad un punto decisivo della
controversia. Deduce a riguardo: che in sede
d'appello essa aveva lamentato l'erroneità del capo
della sentenza di primo grado che, identificato
l'atto di compravendita nel rogito notarile stipulato
nel biennio anteriore alla dichiarazione di
fallimento della Piantini Arredamenti, l’aveva ritenuto
temporalmente assoggettabile a revocatoria,
ai sensi dell'art. 67 1 comma L.F., senza considerare
che il trasferimento della proprietà
dell'immobile era già avvenuto a seguito della
sottoscrizione fra le parti, il 30.1.75, di un atto che,
benché denominato "compromesso", conteneva in realtà
tutti gli elementi del contratto definitivo,
poi formalmente riprodotti nel successivo atto pubblico;
che dunque alla Corte di merito era stato
richiesto, attraverso il motivo di gravame, di
interpretare il "compromesso", proprio al fine di
stabilire se potesse essergli attribuita la natura di
vero e proprio contratto di vendita, non revocabile
in quanto stipulato anteriormente al c.d. periodo
sospetto; che la Corte l'ha invece respinto con
argomentazioni non inerenti alla questione sottoposta al
suo esame.
2.1) Va preliminarmente rilevato che il presente
giudizio (introdotto con citazione del 31.5.77) è
soggetto al rito anteriore alla riforma di cui alla l.
n. 353/90, nel quale, ai sensi dell'allora vigente
comma 2 dell'art. 345 c.p.c., era consentito alle parti
di proporre nuove eccezioni in appello.
Pertanto, contrariamente a quanto eccepito da R..L. nel
controricorso, le questioni illustrate nel
motivo, volte a paralizzare la domanda di revocatoria,
non possono essere dichiarate tardive (e
dunque inammissibili) solo perché prospettate per la
prima volta dall'Immobiliare Giolica in sede di
impugnazione della sentenza di primo grado.
2.2) È invece inammissibile l'ulteriore eccezione
sollevata dal controricorrente, di inopponibilità al
Fallimento del contratto preliminare, siccome privo di
data certa, che non risulta essere stata dedotta
nelle precedenti fasi di merito.
2.3) Ciò premesso, il motivo di ricorso in esame va
dichiarato inammissibile.
La Corte fiorentina, pur avendo dato atto che "nella
specie è col contratto preliminare (del 30.1.75
e, in quanto tale stipulato anteriormente al periodo
sospetto) che le parti diedero l’assetto
sostanziale, non più modificato, degli interessi in
gioco", ha respinto il motivo d'appello affermando
di non potersi discostare "dal consolidato indirizzo
giurisprudenziale di legittimità e di merito
secondo cui, nel caso di revocatoria fallimentare di una
compravendita stipulata in adempimento di
un contratto preliminare, l'accertamento dei presupposti
dell'azione va compiuta con riferimento alla
data del contratto definitivo". Attraverso
l'argomentazione posta a sostegno della statuizione di
rigetto, la Corte ha dunque, sia pur in maniera
assiomatica, inteso escludere che alla scrittura del
30.1.75 potesse essere attribuita la natura di contratto
definitivo.
Non ricorrendo, pertanto, il lamentato vizio di omessa
pronuncia della sentenza (ed avendo la
ricorrente solo astrattamente prospettato la violazione
delle norme che presiedono
all'interpretazione dei contratti), la censura potrebbe
essere apprezzata unicamente sotto il profilo di
cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. Sennonché, sotto tale
profilo, essa difetta del requisito dell'
autosufficienza, in quanto l'Immobiliare Giolica ha
omesso di trascrivere nel ricorso il testo della
citata scrittura, della quale non ha neppure riportato
le clausole maggiormente indicative
dell'effettiva volontà delle parti, in tal modo
impedendo a questa Corte di esercitare il dovuto
controllo sulla decisività delle circostanze non
valutate, o insufficientemente valutate, dal giudice
d'appello nel pervenire all'accertamento contestato (fra
molte, Cass. 12988/010, 14938/09,
15952/07).
3) Con il secondo motivo, l'Immobiliare Giolica,
denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e 67 L.F., nonché vizio di
omessa pronuncia e di omessa o insufficiente
motivazione, lamenta che la Corte di merito abbia
confermato la sentenza di primo grado nella parte
in cui ha ritenuto provato il requisito della notevole
sproporzione fra le prestazioni contrattuali.
La ricorrente osserva che il Tribunale aveva fondato la
propria decisione sulle immotivate
conclusioni del ctu - che aveva stimato (al netto
dell'azienda agricola) in oltre 186 milioni delle
vecchie lire il valore di mercato del capannone
industriale alla data della compravendita - mentre
non aveva tenuto in alcun conto quelle assunte
dall'architetto coadiutore, che aveva attribuito
all'immobile un valore di circa 140 milioni; che essa
aveva debitamente denunciato, in sede di
gravame, l'erroneità e l'incompletezza della ctu; che la
Corte fiorentina, anziché rispondere alle sue
critiche, si è limitata ad una tralaticia e generica
condivisione dell'elaborato peritale, senza
affrontare la questione del contrasto esistente fra la
stima eseguita dall'incaricato dell'indagine e
quella del suo coadiutore e senza chiarire le ragioni
per le quali ha ritenuto di dare prevalenza alla
valutazione del primo.
Il motivo è in parte infondato ed in parte
inammissibile. La Corte territoriale ha motivato il
rigetto,
sul punto, dell'appello osservando che le determinazioni
del ctu andavano condivise sia perché
esaustive ed immuni da vizi logici, sia perché davano
conto delle ragioni per le quali si
discostavano da quelle dell'ausiliare in ordine alla
stima del capannone (non contemplando, a
differenza di queste ultime, abbattimenti per vetustà e
per locazione dell'immobile), sia, infine,
perché erano pressoché coincidenti con quelle cui era
pervenuto il perito penale, nominato nel corso
del processo che aveva visto imputato l'A.U. della
società acquirente. Più avanti, in altro passo della
sentenza, la Corte ha poi rilevato che la valutazione
dei beni operata dal ctu era particolarmente
prudenziale, se non addirittura riduttiva, in quanto
dagli atti del diverso giudizio promosso
dall'Immobiliare Giolica contro un terzo occupante
l'immobile, e dalla sentenza pronunciata al suo
esito (gli uni e l'altra prodotti dall'appellata),
emergeva che il valore dell'opificio industriale era
superiore a quello accertato dal ctu.
Il giudice dell'appello ha dunque chiaramente enunciato
le ragioni di adesione alle conclusioni del
ctu, per ciò stesso escludendo che potessero essere
condivise quelle assunte dal coadiutore.
La ricorrente, d'altro canto, si è limitata a dedurre
nel motivo la sussistenza di un contrasto fra i due
tecnici, ma non ha specificato (così come avrebbe
dovuto, in ossequio al principio
dell'autosufficienza del ricorso) né quali critiche
avesse in concreto mosso all'elaborato del ctu, né
sotto quali aspetti avesse prospettato la maggiore
attendibilità della valutazione dell'ausiliario,
impedendo ancora una volta a questa Corte di verificare
la decisività delle circostanze asseritamente
non valutate nella sentenza impugnata; non ha, infine,
in alcun modo contrastato l'affermazione
della Corte di merito circa un presunto maggior valore
dell'immobile, desumibile dagli atti del
processo instaurato dalla stessa acquirente contro terzi
occupanti, che costituisce ragione di per sé
sufficiente a sorreggere la decisione impugnata.
Le spese del giudizio seguono la sostanziale soccombenza
e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale; condanna la ricorrente
principale a pagare a R..L. le spese del giudizio, che
liquida in Euro 5.200, di cui Euro 500 per
esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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