Enrico O. dipendente della S.p.A.
Poste Italiane è stato sottoposto a procedimento
disciplinare e licenziato con l'addebito di avere tenuto
"comportamenti aggressivi al limite dall'ingiuria nei
confronti di superiori e colleghi". Egli ha impugnato il
licenziamento davanti al Tribunale di Pescara sostenendo
che quando aveva tenuto i comportamenti addebitatigli si
trovava, senza colpa, in condizione patologica di
"abnorme reattività nei confronti di situazioni e
sollecitazioni idonee a provocare le sue reazioni
ansiose" . Sia il Tribunale che, in grado di appello, la
Corte dell'Aquila hanno ritenuto legittimo il
licenziamento. In particolare la Corte abruzzese ha
ritenuto sussistente un giustificato motivo oggettivo di
licenziamento da ravvisarsi nella condizione patologica
del lavoratore e nella sua conseguente inidoneità
psico-fisica all'attività lavorativa. Enrico O. ha
proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza
della Corte d'Appello per vizi di motivazione e
violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n.
17405 del 19 agosto 2011, Pres. Lamorgese, Rel. Tria) ha
accolto il ricorso affermando i seguenti principi: a) il
linea generale, in materia di licenziamento vige il
principio dell'immutabilità della causa del
licenziamento, che preclude al datore di lavoro di
licenziare per altri motivi, diversi da quelli
contestati; b) il suddetto principio comporta che il
recesso del datore di lavoro non possa fondarsi su fatti
diversi da quelli addotti a motivazione del
licenziamento stesso, quale enunciata all'atto della sua
intimazione; consegue che il licenziamento, intimato per
eccessiva morbilità, non può essere giudizialmente
dichiarato legittimo per la sopravvenuta inidoneità
fisico-psichica del lavoratore a svolgere le sue
mansioni, che non sia stata enunciata nell'intimazione
del licenziamento; c) il principio dell'immutabilità
della causa di licenziamento comporta che il recesso del
datore di lavoro non possa fondarsi su fatti diversi da
quelli addotti a motivazione del licenziamento stesso;
ne consegue che un licenziamento intimato
(esclusivamente) per superamento del periodo di comporto
non può essere giudizialmente dichiarato legittimo in
relazione ad una ipotizzabile (o anche effettivamente
sopravvenuta) inidoneità psico-fisica del lavoratore a
svolgere le mansioni affidategli; d) la sopravvenuta
inidoneità fisica o psichica del lavoratore, a causa di
malattia, anche se non è stato superato il periodo di
comporto, giustifica la risoluzione del rapporto di
lavoro, costituendo un caso di giustificato motivo
oggettivo di licenziamento, purché la sopravvenuta
incapacità fisica abbia carattere definitivo e manchi un
apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future
prestazioni lavorative (ridotte) del dipendente, senza
che necessitino modifiche dell'assetto aziendale.
Nella specie, la sentenza impugnata
si è del tutto discostata dai suddetti principi, in
particolare confondendo tra licenziamento per giusta
causa e per giustificato motivo soggettivo (entrambi
rientranti nella categoria del licenziamento
disciplinare, sia pure a diverso titolo) e quello per
giustificato motivo oggettivo, invece assimilabile al
licenziamento per superamento del periodo di comporto e,
come tale, di natura profondamente diversa rispetto al
licenziamento disciplinare. |