La
sentenza pronunziata dalla Corte di Giustizia europea
prende spunto da una controversia tra l’Amministrazione
fiscale belga e gli eredi di due contribuenti
a domanda
di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione
dell’articolo 63 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea ed è stata avanzata nell’ambito di
una controversia proposta dagli eredi di due cittadini
di nazionalità belga, marito e moglie, in merito ai
diritti di successione dovuti su azioni nominative di
un’impresa la cui sede della direzione effettiva non si
trova in Belgio.
L’origine della controversia
I genitori
dei ricorrenti nella causa principale, infatti,
decedevano contemporaneamente nel dicembre 2003 in
Belgio. Tra il 2004 e il 2005 i ricorrenti versavano
all’Amministrazione fiscale belga circa 20 milioni di
euro, a titolo di anticipo sui diritti di successione.
In seguito, sempre nel 2005, i ricorrenti presentavano,
presso l’Amministrazione tributaria di Lovanio, una
dichiarazione di successione per il padre e un’altra per
la madre. La dichiarazione comprendeva in entrambi i
casi, la metà indivisa di più di due milioni di azioni
nominative della società Carrefour SA, la cui sede
sociale, all’epoca dei fatti nella causa principale, si
trovava a Levallois‑Perret in Francia. I ricorrenti
nella causa principale hanno valutato il valore delle
azioni nominative a 28,31 euro per ogni azione, ossia il
loro valore quotato in Borsa, alla data del decesso dei
genitori, con una diminuzione di circa il 35% rispetto a
quelle che erano allora le quotazioni attuali delle
azioni. Successivamente, l’Amministrazione fiscale di
Lovanio inviava una comunicazione agli eredi con cui
comunicava loro che l’Amministrazione centrale di
Bruxelles aveva deciso che le azioni in questione
dovevano essere valutate a 43,55 euro ciascuna.
Il
ricorso al giudice nazionale
Gli eredi
dei cittadini belgi decidevano allora di impugnare la
determinazione del fisco, presentando ricorso dinanzi al
tribunale competente e invocando, in via principale, la
prescrizione dell’azione dell’Amministrazione tributaria
belga per constatare la sottovalutazione delle azioni
nominative e in subordine, il valore di queste ultime,
come calcolato dalla stessa Amministrazione. In merito,
il giudice belga ha innanzitutto rilevato che, dal
combinato disposto degli artt. 111 e 137, primo comma,
n. 2, del codice sui diritti di successione, emerge che
la perizia delle azioni nominative contemplata da tale
articolo 111 è possibile purché siano detenute in una
società situata in Belgio. Le azioni sono considerate
come collocate in tale Stato membro qualora la sede
della direzione effettiva della società interessata sia
ivi situata. Il termine di prescrizione per la
valutazione delle azioni, in tal caso, è di due anni.
Tuttavia, per azioni detenute in una società la cui
direzione effettiva sia stabilita al di fuori del
territorio belga, una tale perizia non è possibile e
detto termine è di dieci anni.
Il
rinvio alla Corte di Giustizia
Ritenendo,
poi, che la soluzione della causa principale concerna
questioni d’interpretazione del diritto dell’Unione, il
giudice belga ha deciso di sospendere il giudizio per
domandare essenzialmente alla Corte se l’articolo 137,
primo comma, n. 2, del codice belga sulle successioni,
in combinato disposto con l’art. 111, sia compatibile
con gli artt. 26 49 63 e 65 del TFUE. E questo tenendo
presente che il termine di prescrizione per i diritti di
successione dovuti per le azioni nominative è di due
anni, se la sede della direzione effettiva della società
si trova in Belgio, mentre lo stesso termine è di dieci
anni se la sede della direzione effettiva della società
non si trova in Belgio.
La
normativa comunitaria
Secondo
l’articolo 1, n. 1, della direttiva del Consiglio del 24
giugno 1988, 88/361/CEE, gli Stati membri sopprimono le
restrizioni ai movimenti di capitali effettuati tra le
persone residenti negli Stati membri. Tra i movimenti di
capitali di cui alla citata direttiva l’allegato I della
stessa menziona, alla rubrica XI, intitolata «Movimenti
di capitali a carattere personale», proprio le
successioni e i legati. per ciò che riguarda invece la
normativa belga in materia, l’articolo 1, n. 1, del
codice nazionale sui diritti di successione, istituito
con regio decreto 31 marzo 1936, n. 308, dispone che un
diritto di successione sia calcolato in base al valore,
previa deduzione dei debiti, dell’intero asse ereditario
raccolto nella successione del defunto dai suoi eredi.
Il successivo articolo 111 prevede che per accertare la
sottovalutazione dell’insieme o di parte dei beni
ereditati che si trovano nel territorio nazionale e
vengono dichiarati per il loro valore di vendita,
l’Amministrazione fiscale può chiedere una perizia per i
beni in questione, mentre l’articolo 137, primo comma,
n. 2, del codice prevede che la domanda di perizia per
beni soggetti a siffatto controllo e dei diritti,
interessi e penali, in caso di sottovalutazione dei
beni, si prescriva dopo due anni mentre quella dei
diritti, interessi e penali, in caso di sottovalutazione
di beni non soggetti a perizia, dopo dieci anni. Detti
termini decorrono dal giorno della presentazione della
dichiarazione.
La
posizione della Corte di Giustizia
Chiamata a
pronunciarsi sulla questione, la Corte Ue ha
innanzitutto rilevato come scopo della normativa
nazionale in esame è fissare il termine entro cui si può
procedere alla valutazione delle azioni nominative
detenute in una società la cui sede della direzione
effettiva sia stabilita al di fuori del territorio belga
e trasferite tramite successione. In merito, dalla
giurisprudenza comunitaria, si evince che le
successioni, consistenti in una trasmissione a una o più
persone del patrimonio lasciato da una persona deceduta,
che ricadono nell’ambito di applicazione della rubrica
XI dell’allegato I della direttiva 88/361, costituiscono
movimenti di capitali (articolo 63 TFUE) ad eccezione
dei casi in cui gli elementi che le costituiscono si
trovino all’interno di un solo Stato. Ed una situazione,
come quella di cui trattasi nella causa principale, in
cui le azioni sono detenute da un residente belga in una
società la cui sede della direzione effettiva si trova
in Francia, non costituisce affatto una situazione
puramente interna.
Sulla
effettiva sussistenza di una restrizione alla libera
circolazione dei capitali apportata dalla normativa
belga va ricordato, ha continuato la corte, che le
misure vietate dall’articolo 63, n. 1, TFUE, in quanto
restrizioni ai movimenti di capitali, comprendono, in
particolare, quelle che sono idonee a dissuadere i non
residenti dal fare investimenti in uno Stato membro o
dal mantenere siffatti investimenti.
La
normativa belga sulle successioni
La
disciplina sulle successioni prevede una
differenziazione per quanto riguarda il termine di
prescrizione per la valutazione di azioni nominative, ai
fini dell’imposizione fiscale di una successione, in
funzione dell’ubicazione della sede della direzione
effettiva dell’impresa emittente. Infatti il termine di
prescrizione per la valutazione delle azioni emesse da
una società con sede della direzione effettiva in Belgio
è biennale, mentre se le azioni sono detenute in una
società con sede in un altro Stato membro, il termine di
prescrizione è decennale. I giudici sovranazionali hanno
rilevato come l’applicazione di un siffatto termine di
prescrizione superiore agli eredi detentori di azioni in
una società la cui sede della direzione effettiva sia
stabilita in uno Stato membro diverso dal Regno del
Belgio può avere come conseguenza di dissuadere i
residenti belgi dall’investire o dal mantenere
investimenti inattivi situati al di fuori di tale Stato
membro, posto che i loro eredi si troveranno più a lungo
nell’incertezza in ordine alla possibilità di essere
oggetto di una rettifica fiscale. Una tale normativa
nazionale configura dunque una chiara restrizione alla
libera circolazione dei capitali, secondo quanto
previsto dall’articolo 63, n. 1, Tfue.
Le
ragioni alla base della normativa belga
Per quanto
concerne le possibili giustificazioni volte a mantenere
una siffatta normativa nazionale da una giurisprudenza
costante della Corte emerge che esistono ragioni
imperative di interesse generale idonee a giustificare
una restrizione dell’esercizio delle libertà di
circolazione garantite dal Trattato FUE. In particolare
l’obiettivo di lotta alla frode e la necessità di
garantire l’efficacia dei controlli fiscali, così come
asserito dal governo belga a difesa della propria
normativa.
Tuttavia,
hanno precisato i magistrati lussemburghesi, una
restrizione alla libera circolazione dei capitali può
essere ammessa a tale titolo solo a condizione che essa
sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo
perseguito senza eccedere quanto necessario per
raggiungerlo. Ebbene, hanno proseguito, anche ammettendo
che la normativa nazionale belga e sia idonea a
conseguire gli obiettivi relativi alla necessità di
garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di
contrastare la frode fiscale, sicuramente eccede quanto
necessario per la realizzazione dei medesimi obiettivi.
L’applicazione di un termine decennale per valutare le
azioni detenute in una società la cui sede di direzione
effettiva si trovi in uno Stato membro diverso dal Regno
del Belgio non risulta infatti giustificata, poiché
l’applicazione generale di un siffatto termine non è
affatto in funzione del lasso di tempo necessario per
ricorrere utilmente a meccanismi di assistenza reciproca
o ad ulteriori mezzi che consentono di indagare sul
valore di tali azioni.
Le
conclusioni della Corte
Per tutto
quanto ora visto, la Corte ha reso la propria pronuncia
pregiudiziale affermando “l’art. 63 del Tfue deve essere
interpretato nel senso che osta alla normativa di uno
Stato membro, come quella in esame nella causa
principale, che, in materia di diritti di successione,
preveda un termine di prescrizione decennale per la
valutazione di azioni nominative di una società di cui
il defunto era azionista e la cui sede della direzione
effettiva è stabilita in un altro Stato membro, mentre
questo stesso termine è biennale qualora la sede della
direzione effettiva si trovi nel primo Stato membro”.
Corte
di Giustizia UE - sentenza del 15.9.2011– procedimento
C-132/10
Mauro Di
Biasi
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