Il Comune
risarcisce i danni
Quando capitano
temporali improvvisi e di notevole entità, si hanno
sovente allagamenti che danneggiano immobili. Allorché
gli allagamenti e i danni connessi sono causati dalla
cattiva manutenzione dei tombini, il Comune è
responsabile e risarcisce i danni. Lo ha ribadito la
Corte di Cassazione con l’
Ordinanza n. 22479/2011. Il caso in esame riguarda
la pronuncia, emessa dalla Corte di Appello di Brescia,
che, riformando quella del Tribunale locale, ha accolto
la domanda di risarcimento dei danni per l’allagamento
dell’immobile di una società, osservando che a fronte
del nesso causale tra la fuoriuscita dell’acqua dal
tombino, cosa in custodia del Comune e l’allagamento,
l’amministrazione non aveva dimostrato la sussistenza,
del caso fortuito.
In particolare, rispetto
al dedotto fenomeno atmosferico, un violento nubifragio,
spettava al Comune dimostrare di aver tenuto in buono
stato manutentivo il tombino e che il nubifragio avesse
effettivamente raggiunto un carattere eccezionale,
assolutamente imprevedibile per la stagione a per il
luogo, mentre di tali prove non vi era traccia negli
atti di causa, rappresentando una mera valutazione, non
avente efficacia di fede privilegiata, la qualificazione
del fenomeno “violento nubifragio” contenuta nella
prodotta comunicazione del Vigile urbano del luogo. Il
Comune promuove ricorso per Cassazione. Il ricorrente
deduce la violazione dell’art. 2051 c.c., danno
cagionato da cose in custodia e contesta il mancato
accertamento delle effettive cause dell’evento dannoso,
assumendo di aver dedotto prova per dimostrare la
corretta manutenzione del tombino. Ma, il ricorso viene
rigettato. Il ricorso per Cassazione, ribadisce la
Corte, deve contenere, a pena di inammissibilità, i
motivi per i quali si richiede la cassazione di una
sentenza, aventi caratteri di specificità, completezza e
riferibilità alla decisione impugnata. Tale principio
comporta, in particolare, tra l’altro che è
inammissibile il motivo nel quale non venga precisata la
violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la
pronuncia di merito, non essendo al riguardo sufficiente
un’affermazione apodittica non seguita da alcuna
dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di
legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni
in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza
impugnata. Quando nel ricorso per Cassazione, pur
denunciandosi violazione e falsa applicazione della
legge, con richiamo di specifiche disposizioni
normative, non siano indicate le affermazioni in diritto
contenute nella sentenza gravata che si assumono in
contrasto con le disposizioni indicate, o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla
giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente
dottrina, il motivo è inammissibile, perché non consente
alla Corte di Cassazione di adempiere il compito
istituzionale di verificare il fondamento della
denunciata violazione. Nella specie, il ricorrente, pur
denunziando “violazione”, da parte della sentenza
gravata, dell’art. 2051 c.c, si astiene dall’indicare
specificamente quale sia la lettura data dal giudice del
merito di tale disposizione e le ragioni per cui la
stessa non possa essere accettata, In buona sostanza, la
censure si risolve in una critica alla sentenza di
appello, perché ha disatteso quanto ritenuto dal primo
Giudice. Quanto ai dedotti vizi motivazionali, non
vengono specificati errori logici ma semplicemente
criticati accertamenti di fatto e valutazioni di merito,
sia in ordine agli obblighi di manutenzione del custode,
sia in ordine alla quantificazione del danno. Insomma
censure generiche. Il Comune paga.
Anna Teresa Paciotti
Corte di Cassazione – Ordinanza n.
22479/2011
Violento nubifragio l’acqua
fuoriesce da un tombino e allaga un immobile - Il Comune
risarcisce i danni
Corte di Cassazione Sez. Sesta Civ.
- Ord. del 27.10.2011, n. 22479
In fatto e in diritto
Nella causa indicata in premessa é
stata depositata la seguente relazione:
“1 - La sentenza impugnata (App.
Brescia 16.3. 2010) riformando quella del Tribunale di
Brescia, ha, per quanto qui rileva, accolto la domanda
di risarcimento dei danni per l’allagamento
dell’immobile della società intimata, osservando che a
fronte del nesso causale fra la fuoriuscita dell’acqua
dal tombino (cosa in custodia del Comune) e
l’allagamento, l’amministrazione non aveva dimostrato la
ricorrenza, del caso fortuito. In particolare, rispetto
al dedotto fenomeno atmosferico (violento nubifragio)
spettava al Comune dimostrare di aver tenuto in buono
stato manutentivo il tombino e che il nubifragio avesse
effettivamente raggiunto un carattere eccezionale,
assolutamente imprevedibile per la stagione a per il
luogo, mentre di tali prove non vi era traccia negli
atti di causa, rappresentando una mera valutazione, non
avente efficacia di fede privilegiata, la qualificazione
del fenomeno violento nubifragio contenuta nella
prodotta comunicazione del Vigile urbano del luogo.
2. - Ricorre per cassazione il
Comune, con due motivi; la società resiste con
controricorso.
3. - Il ricorso denuncia: 1.
Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto,
in particolare dell’art. 2051 c.c. ; 2. Omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su punto
decisivo.
Nell’ unica ed indifferenziata
trattazione delle censure, l’ente ricorrente contesta il
mancato accertamento delle effettive cause dell’evento
dannoso, assume che aveva dedotto prova per dimostrare
la corretta manutenzione del tombino; contesta, infine,
le modalità di quantificazione e liquidazione del danno
3. 1. Le censure - che possono
trattarsi congiuntamente, data l’intima connessione si
rivelano manifestamente prive di pregio, in conformità,
in particolare, a una giurisprudenza più che consolidata
di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde
parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente
ribadirsi, secondo la quale il ricorso per Cassazione
deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per
i quali si richiede la Cassazione, aventi caratteri di
specificità, completezza e riferibilità alla decisione
impugnata.
Tale principio comporta, in
particolare, tra l’altro che è inammissibile il motivo
nel quale non venga precisata la violazione di legge
nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non
essendo al riguardo sufficiente un’affermazione
apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo
il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di
orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si
ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15
febbraio 2003, n. 2312). Quando nel ricorso per
Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa
applicazione della legge, con richiamo di specifiche
disposizioni normative, non siano indicate le
affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata
che si assumono in contrasto con le disposizioni
indicate - o con l’interpretazione delle stesse fornita
dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente
dottrina -il motivo è inammissibile, perché non consente
alla Corte di Cassazione di adempiere il compito
istituzionale di verificare il fondamento della
denunziata violazione (Cass. 28 ottobre 2002, n. 15177:
Cass. 16 luglio 2002, n. 10276) .Nella specie, il
ricorrente, pur denunziando “violazione”, da parte della
sentenza gravata, dell’art. 2051 c.c, si astiene
dall’indicare specificamente quale sia la lettura data
dal giudice del merito di detta disposizione e le
ragioni per cui la stessa non possa essere accettata
(perché in contrasto con l’insegnamento di questa Corte
o con quanto ritenuto dalla dottrina in argomento).
Risolvendosi la censura in una critica alla sentenza di
appello, perché ha disatteso quanto ritenuto - dal primo
Giudice e di palmare evidenza che la stessa deve essere
dichiarata inammissibile, perché non conforme al modello
voluto, a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c.
n. 4. Quanto ai dedotti vizi motivazionali, non vengono
specificati errori logici ma semplicemente criticati
accertamenti di fatto e valutazioni di merito (sia in
ordine agli obblighi di manutenzione del custode, sia in
ordine alla quantificazione del danno) La sentenza
impugnata., invece, ha congruamente spiegato le ragioni
della propria decisione.
4. Il relatore propone la
trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi
degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello
stesso”.
La relazione è stata comunicata al
Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti
costituite.
Le parti non hanno presentato
memorie.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul
ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso
i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;
che il ricorso deve perciò essere rigettato, essendo
manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod.
proc. civ.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, che liquida in Euro 2.000,00 d1 cui Euro
1.800,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori
di legge.
Depositata in Cancelleria il
27.10.2011 |