La Corte di Giustizia, adita da due
domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal
Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia,
Germania) e dal Tribunal de grande instance de Paris, ha
stabilito i seguenti principi: a) che l’art. 5, punto 3,
del regolamento (CE) del Consiglio del 22 dicembre 2000,
n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale,
il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale, deve essere interpretato
nel senso che, in caso di asserita violazione dei
diritti della personalità per mezzo di contenuti messi
in rete su un sito Internet, la persona che si ritiene
lesa ha la facoltà di esperire un’azione di
risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o
dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di
stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti,
o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova
il proprio centro d’interessi; b) che in luogo di
un’azione di risarcimento per la totalità del danno
cagionato, tale persona può altresì esperire un’azione
dinanzi ai giudici di ogni Stato membro sul cui
territorio un’informazione messa in rete sia accessibile
oppure lo sia stata (questi ultimi sono competenti a
conoscere del solo danno cagionato sul territorio dello
Stato membro del giudice adito); c) che l’art. 3 della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8
giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti
giuridici dei servizi della società dell’informazione
(direttiva sul “commercio elettronico”), deve essere
interpretato nel senso che esso non impone un
recepimento in forma di norma specifica di conflitto.
Nondimeno, per quanto attiene all’ambito regolamentato,
gli Stati membri devono assicurare che, fatte salve le
deroghe autorizzate alle condizioni previste dall’art.
3, n. 4, della direttiva 2000/31, il prestatore di un
servizio del commercio elettronico non sia assoggettato
a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal
diritto sostanziale applicabile nello Stato membro in
cui egli è stabilito. In particolare, la Corte ha
osservato che la pubblicazione di contenuti su Internet
si distingue dalla diffusione − circoscritta
territorialmente − di un testo a stampa, in quanto detti
contenuti possono essere consultati istantaneamente da
un numero indefinito di internauti, ovunque nel mondo.
Pertanto la diffusione universale, da una parte, può
aumentare la gravità delle violazioni dei diritti della
personalità e, dall’altra, rende estremamente difficile
individuare i luoghi di concretizzazione del danno
derivante da tali violazioni. Ciò posto, poiché
l’impatto di un’informazione messa in rete sui diritti
della personalità di un determinato soggetto può essere
valutata meglio dal giudice del luogo in cui la vittima
possiede il proprio centro di interessi, la Corte ha
individuato tale giudice come quello competente per la
totalità dei danni causati sul territorio dell’Unione
europea, precisando che il luogo in cui una persona ha
il proprio centro di interessi corrisponde, in via
generale, alla sua residenza abituale.
Testo Completo:
Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee del 25 ottobre 2011
Nei procedimenti riuniti C‑509/09
e C‑161/10,
aventi ad oggetto due domande di
pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi
dell’art. 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Germania) (C‑509/09)
e dal Tribunal de grande instance de Paris (Francia) (C‑161/10)
con decisioni 10 novembre 2009 e 29 marzo 2010,
pervenute in cancelleria rispettivamente il 9 dicembre
2009 e il 6 aprile 2010, nelle cause
eDate Advertising GmbH
contro
X
e
Olivier Martinez,
Robert Martinez
contro
MGN Limited,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris,
presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues,
K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, U. Lõhmus e M. Safjan
(relatore), presidenti di sezione, dai sigg. E. Levits,
A. Ó Caoimh, L. Bay Larsen e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig. P. Cruz
Villalón
cancelliere: sig. B. Fülöp,
amministratore
vista la fase scritta del
procedimento e in seguito all’udienza del 14 dicembre
2010,
considerate le osservazioni
presentate:
– per l’eDate Advertising GmbH,
dagli avv.ti H. Graupner e M. Dörre, Rechtsanwälte;
– per il sig. X, dall’avv. A.
Stopp, Rechtsanwalt;
– per la MGN Limited, dall’avv. C.
Bigot;
– per il governo tedesco, dal sig.
J. Möller e dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di
agenti;
– per il governo francese, dal sig.
G. de Bergues e dalla sig.ra B. Beaupère-Manokha, in
qualità di agenti;
– per il governo danese, dal sig.
C. Vang, in qualità di agente;
– per il governo ellenico, dalla
sig.ra S. Chala, in qualità di agente;
– per il governo italiano, dalla
sig.ra W. Ferrante, in qualità di agente;
– per il governo lussemburghese,
dal sig. C. Schiltz, in qualità di agente;
– per il governo austriaco, dalla
sig.ra C. Pesendorfer e dal sig. E. Riedl, in qualità di
agenti;
– per il governo del Regno Unito,
dalla sig.ra F. Penlington, in qualità di agente,
assistita dalla sig.ra J. Stratford, QC;
– per la Commissione europea, dal
sig. M. Wilderspin, in qualità di agente,
sentite le conclusioni
dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29
marzo 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia
pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 5,
punto 3, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre
2000, n. 44/2001, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L
12, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»), nonché
dell’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE,
relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della
società dell’informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno («direttiva sul
commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1; in prosieguo:
la «direttiva»).
2 Tali domande sono state
presentate nell’ambito di due controversie che vedono
contrapposti rispettivamente, da un lato, il sig. X e
l’eDate Advertising GmbH (in prosieguo: l’«eDate
Advertising») e, dall’altro, i sigg. Olivier e Robert
Martinez e la MGN Limited (in prosieguo: la «MGN»), in
merito alla responsabilità civile dei predetti convenuti
per informazioni e foto pubblicate su Internet.
Contesto normativo
Il regolamento
3 L’undicesimo ‘considerando’ del
regolamento così recita :
«Le norme sulla competenza devono
presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi
intorno al principio della competenza del giudice del
domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni
ipotesi salvo in alcuni casi rigorosamente determinati,
nei quali la materia del contendere o l’autonomia delle
parti giustifichi un diverso criterio di collegamento.
Per le persone giuridiche il domicilio deve essere
definito autonomamente, in modo da aumentare la
trasparenza delle norme comuni ed evitare i conflitti di
competenza».
4 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, del
regolamento, contenuto nel capo II («Competenza») di
quest’ultimo, sezione 1, intitolata «Disposizioni
generali»:
«Salve le disposizioni del presente
regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un
determinato Stato membro sono convenute, a prescindere
dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato
membro».
5 L’art. 3, n. 1, del medesimo
regolamento così dispone:
«Le persone domiciliate nel
territorio di uno Stato membro possono essere convenute
davanti ai giudici di un altro Stato membro solo in base
alle norme enunciate nelle sezioni da 2 a 7 del presente
capo».
6 Al capo II, sezione 2, intitolata
«Competenze speciali», l’art. 5, punto 3, è formulato
nei seguenti termini :
«La persona domiciliata nel
territorio di uno Stato membro può essere convenuta in
un altro Stato membro:
(…)
3) in materia di illeciti civili
dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui
l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire».
La direttiva
7 La quarta frase del ventiduesimo
‘considerando’ della direttiva ha il seguente tenore:
«Inoltre, per garantire
efficacemente la libera circolazione dei servizi e la
certezza del diritto per i prestatori e i loro
destinatari, questi servizi devono in linea di principio
essere sottoposti alla normativa dello Stato membro nel
quale il prestatore è stabilito».
8 Il ventitreesimo ‘considerando’
della direttiva sancisce quanto segue:
«La presente direttiva non è volta
a introdurre norme supplementari di diritto
internazionale privato sui conflitti di leggi, né tratta
della competenza degli organi giurisdizionali. Le
disposizioni della legge applicabile in base alle norme
del diritto internazionale privato non limitano la
libertà di fornire servizi della società
dell’informazione come stabilito dalla presente
direttiva».
9 Il venticinquesimo ‘considerando’
della direttiva precisa quanto segue:
«Le giurisdizioni nazionali, anche
civili, chiamate a dirimere controversie di diritto
privato possono adottare provvedimenti per derogare alla
libertà di fornire servizi della società
dell’informazione conformemente alle condizioni
stabilite nella presente direttiva».
10 Conformemente al suo art. 1, n.
1, la direttiva mira «a contribuire al buon
funzionamento del mercato garantendo la libera
circolazione dei servizi della società dell’informazione
tra Stati membri».
11 L’art. 1, n. 4, della direttiva
è redatto nei seguenti termini:
«La presente direttiva non
introduce norme supplementari di diritto internazionale
privato, né tratta delle competenze degli organi
giurisdizionali».
12 Ai termini dell’art. 2, lett.
h), sub i), della direttiva :
«[L]’ambito regolamentato riguarda
le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per
quanto concerne:
– l’accesso all’attività di servizi
della società dell’informazione, quali ad esempio le
prescrizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di
autorizzazione o notifica;
– l’esercizio dell’attività di
servizi della società dell’informazione, quali ad
esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del
prestatore, la qualità o i contenuti del servizio,
comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e
ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore».
13 L’art. 3, nn. 1 e 2, della
direttiva così dispone:
«1. Ogni Stato membro provvede
affinché i servizi della società dell’informazione,
forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio,
rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto
Stato membro nell’ambito regolamentato.
2. Gli Stati membri non possono,
per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato,
limitare la libera circolazione dei servizi [della]
società dell’informazione provenienti da un altro Stato
membro».
14 L’art. 3, n. 4, della direttiva
precisa le condizioni in presenza delle quali gli Stati
membri possono adottare provvedimenti in deroga al n. 2,
per quanto concerne un determinato servizio della
società dell’informazione.
Cause principali e questioni
pregiudiziali
Causa C‑509/09
15 Nel 1993 il sig. X, domiciliato
in Germania, è stato condannato da un giudice tedesco
all’ergastolo, assieme a suo fratello, per l’omicidio di
un attore famoso. Nel gennaio 2008, egli è stato ammesso
alla liberazione condizionale.
16 L’eDate Advertising, stabilita
in Austria, gestisce un portale Internet accessibile
all’indirizzo «www.rainbow.at». Nella rubrica
«Info-news», sulle pagine riservate alle notizie meno
recenti, fino al 18 giugno 2007 la convenuta ha
mantenuto accessibile, ai fini della sua consultazione,
una notizia risalente al 23 agosto 1999, in cui si
diceva, citando segnatamente il sig. X nonché suo
fratello, che essi avevano entrambi presentato un
ricorso avverso la loro condanna dinanzi al
Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale)
di Karlsruhe (Germania). Oltre ad una breve descrizione
dei fatti commessi nel 1990, veniva citato l’avvocato
incaricato dai due condannati, a detta del quale essi
intendevano provare che, nel corso del processo, molti
dei principali testimoni dell’accusa non avrebbero
dichiarato il vero.
17 Il sig. X ha ingiunto all’eDate
Advertising di smettere di riportare una simile notizia
e di assumersi un obbligo di non fare mediante
un’apposita dichiarazione. L’eDate Advertising non ha
risposto alla suddetta lettera, ma, in data 18 giugno
2007, essa ha eliminato dal proprio sito Internet
l’informazione contestata.
18 Con il suo ricorso dinanzi ai
giudici tedeschi, il sig. X chiede all’eDate Advertising
di non riportare più notizie che lo concernono,
indicando il suo nome per esteso in relazione all’atto
commesso. L’eDate Advertising ha contestato
principalmente la competenza internazionale dei giudici
tedeschi. Poiché il ricorso ha avuto esito positivo nei
due gradi di giudizio inferiori, la medesima rinnova,
dinanzi al Bundesgerichtshof, le proprie conclusioni
volte al rigetto del ricorso.
19 Il Bundesgerichtshof rileva che
l’esito di tale ricorso dipende dalla questione se i
giudici dei gradi inferiori abbiano, a giusto titolo,
riconosciuto la propria competenza internazionale per
dirimere la controversia conformemente all’art. 5, punto
3, del regolamento.
20 Ove venga accertata la
competenza internazionale dei giudici tedeschi, si
porrebbe la questione se sia applicabile il diritto
tedesco o il diritto austriaco. Ciò dipenderebbe
dall’interpretazione dell’art. 3, nn. 1 e 2, della
direttiva.
21 Da un lato, il principio del
paese d’origine potrebbe costituire un correttivo sul
piano del diritto sostanziale. L’esito giuridico
sostanziale, previsto dal diritto dichiarato applicabile
in base alle norme di conflitto dello Stato del foro,
verrebbe, nel caso concreto, modificato a livello
contenutistico e ridotto alle prescrizioni meno rigorose
del diritto del paese d’origine. Secondo questa
interpretazione, il principio del paese d’origine non
inciderebbe sulle norme nazionali sul conflitto di leggi
dello Stato del foro e – al pari delle libertà
fondamentali enunciate nel Trattato CE – interverrebbe
solo nell’ambito di una comparazione concreta, tra costi
e benefici, sul piano del diritto sostanziale.
22 D’altro lato, l’art. 3 della
direttiva potrebbe sancire un principio generale in
materia di norme di conflitto che comporti la sola
applicazione del diritto vigente nel paese d’origine,
con esclusione delle norme nazionali sul conflitto di
leggi.
23 Il Bundesgerichtshof evidenzia
che, qualora si consideri il principio del paese
d’origine come un ostacolo all’applicazione del diritto
sul piano sostanziale, troverebbe applicazione il
diritto internazionale privato tedesco e occorrerebbe
annullare la decisione impugnata e respingere
definitivamente il ricorso, poiché non si potrebbe
riconoscere al ricorrente una pretesa inibitoria fondata
sul diritto tedesco. Per contro, se si riconosce al
principio del paese d’origine il carattere di una norma
di conflitto, la pretesa inibitoria del sig. X andrebbe
valutata in base al diritto austriaco.
24 Ciò premesso, il
Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se, per l’ipotesi di
(minacciata) violazione di diritti della personalità
attraverso contenuti di un sito Internet, la locuzione
“luogo in cui l’evento dannoso può avvenire” di cui
all’art. 5, punto 3, del regolamento (...) debba essere
interpretata nel senso che
l’interessato può esercitare
un’azione inibitoria contro il gestore del sito
Internet, indipendentemente dallo Stato membro di
stabilimento del gestore, anche dinanzi ai giudici di
ogni Stato membro in cui il sito Internet può essere
consultato,
oppure
la competenza dei giudici di uno
Stato membro, in cui il gestore del sito Internet non è
stabilito, presuppone che, oltre alla mera accessibilità
tecnica a tale sito, sussista uno specifico collegamento
dei contenuti controversi o del sito Internet con lo
Stato del foro.
2) Qualora sia richiesto un
siffatto collegamento con lo Stato del foro:
secondo quali criteri esso vada
riscontrato;
se assume rilievo il fatto che il
sito Internet cui si riferisce l’azione inibitoria si
rivolga, alla luce delle scelte del gestore, (anche)
agli utenti di Internet nello Stato del foro, o se sia
sufficiente che le informazioni accessibili sul sito
presentino un collegamento oggettivo con lo Stato del
foro, nel senso che, secondo le circostanze del caso
concreto ed in particolare in base al contenuto del sito
controverso, un conflitto tra interessi contrapposti –
l’interesse del ricorrente al rispetto dei propri
diritti della personalità e l’interesse del gestore ad
impostare discrezionalmente il proprio sito e a fornire
informazione – possa essersi verificato o potrà
verificarsi nello Stato del foro;
se, al fine del riscontro di tale
collegamento con lo Stato del foro, sia determinante il
numero di accessi al sito Internet controverso operati
da detto Stato.
3) Ove, ai fini della sussistenza
della competenza giurisdizionale, non sia necessario
alcuno specifico collegamento con lo Stato del foro
oppure tale collegamento si presuma qualora le
informazioni controverse presentino un collegamento
oggettivo con lo Stato del foro, nel senso che un
conflitto tra contrapposti interessi, alla luce delle
circostanze del caso concreto ed in particolare in base
al contenuto del sito Internet controverso, possa
essersi verificato o potrà verificarsi in detto Stato e
la presunzione di tale collegamento non presupponga il
riscontro di un numero minimo di accessi al sito
Internet controverso dallo Stato del foro:
se l’art. 3, nn. 1 e 2, della
direttiva (...) debba essere interpretato nel senso che
alle menzionate disposizioni va
attribuito carattere di norme di conflitto, nel senso
che esse, anche nell’ambito del diritto civile,
prescrivono la sola applicazione del diritto vigente nel
paese d’origine, con esclusione delle norme di conflitto
nazionali,
oppure
tali disposizioni costituiscono un
correttivo rilevante sul piano giuridico materiale,
attraverso il quale l’esito giuridico sostanziale del
diritto individuato come applicabile dalle norme di
conflitto nazionali viene modificato a livello
contenutistico e ridotto alle prescrizioni normative
dello Stato d’origine.
Per il caso in cui i nn. 1 e 2
dell’art. 3 della direttiva (...) abbiano carattere di
norme di conflitto:
se le disposizioni citate si
limitino a prescrivere la sola applicazione del diritto
sostanziale del paese d’origine o prescrivano anche
l’applicazione delle norme di conflitto ivi in vigore,
con la conseguenza che resti possibile il rinvio da
parte del diritto dello Stato di origine al diritto
dello Stato del foro».
Causa C‑161/10
25 Dinanzi al Tribunal de grande
instance di Parigi, l’attore francese Olivier Martinez e
suo padre, Robert Martinez, lamentano violazioni della
loro vita privata e del diritto all’immagine di Olivier
Martinez, che sarebbero avvenute tramite la messa in
rete, sul sito Internet accessibile all’indirizzo
«www.sundaymirror.co.uk», di un testo redatto in lingua
inglese, datato 3 febbraio 2008 ed intitolato, secondo
la traduzione francese non contestata, depositata in
udienza, «Kylie Minogue è di nuovo con Olivier
Martinez», unitamente a dettagli relativi al loro
incontro.
26 In base all’art. 9 del codice
civile francese, il quale dispone che «ciascuno ha
diritto al rispetto della propria vita privata», è stata
intentata un’azione contro la società di diritto inglese
MGN, editrice del sito del quotidiano britannico Sunday
Mirror. Tale società eccepisce l’incompetenza del
Tribunal de grande instance di Parigi per insussistenza
di un collegamento sufficiente tra la pubblicazione on
line controversa e il presunto danno sul territorio
francese, mentre i ricorrenti ritengono al contrario che
un siffatto collegamento non sia necessario e che, in
ogni caso, esso sussista.
27 Il giudice del rinvio rileva che
un evento dannoso, il cui supporto è costituito dalla
rete Internet, può essere considerato come prodottosi
sul territorio di uno Stato membro soltanto qualora
sussista un nesso sufficiente, sostanziale o
significativo, che lo colleghi con detto territorio.
28 Il giudice del rinvio ritiene
che la soluzione della questione della competenza del
giudice di uno Stato membro a conoscere di una
violazione dei diritti della personalità commessa sulla
rete Internet, a partire da un sito edito da una persona
domiciliata in un altro Stato membro ed essenzialmente
destinato al pubblico di quest’altro Stato, non emerge
chiaramente dal tenore letterale degli artt. 2 e 5,
punto 3, del regolamento.
29 In tale contesto, il Tribunal de
grande instance di Parigi ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente
questione pregiudiziale:
«Se gli artt. 2 e 5, [punto 3,] del
regolamento (...) debbano essere interpretati nel senso
che riconoscono la competenza del giudice di uno Stato
membro a decidere in merito ad un’azione per una
violazione dei diritti della personalità commessa
mediante la pubblicazione di informazioni e/o fotografie
su un sito Internet edito in un altro Stato membro da
una società stabilita in detto secondo Stato (oppure in
un terzo Stato membro, in ogni caso diverso dal primo):
– alla mera condizione che tale
sito Internet possa essere consultato a partire dal
primo Stato, oppure
– solamente qualora tra l’evento
dannoso e il territorio del primo Stato sussista un
collegamento sufficiente, sostanziale e significativo e,
in questa seconda ipotesi, se il collegamento possa
derivare:
– dalla quantità di connessioni
alla pagina controversa provenienti dal primo Stato
membro, in valore assoluto o relativo al numero totale
di connessioni alla pagina,
– dalla residenza o dalla
nazionalità della persona che lamenta la violazione dei
propri diritti della personalità o, più in generale,
dalla residenza o dalla nazionalità delle persone
interessate,
– dalla lingua in cui è diffusa
l’informazione controversa o da qualunque altro elemento
idoneo a dimostrare la volontà dell’editore del sito
Internet di rivolgersi specificamente al pubblico del
primo Stato,
– dal luogo in cui sono avvenuti i
fatti lamentati e/o dove sono state effettuate le
riprese fotografiche eventualmente pubblicate in linea,
– da altri criteri».
30 Con ordinanza 29 ottobre 2010,
il presidente della Corte di giustizia ha deciso, ai
sensi dell’art. 43 del regolamento di procedura della
Corte, di riunire i procedimenti C-509/09 e C-161/10 ai
fini della trattazione orale e della sentenza.
Sulla ricevibilità
31 Il governo italiano considera
che le questioni poste nel procedimento C‑509/09
devono essere dichiarate irricevibili per difetto di
rilevanza nella causa principale. L’azione inibitoria
costituirebbe uno strumento giurisdizionale d’urgenza e
presupporrebbe quindi l’attualità del comportamento
dannoso. Dall’esposizione dei fatti di causa
risulterebbe, nondimeno, che la condotta assunta come
lesiva non era più attuale al momento della proposizione
della domanda inibitoria, in quanto il gestore del sito
aveva già eliminato la notizia controversa prima
dell’inizio del giudizio.
32 A tal riguardo occorre
rammentare che, secondo costante giurisprudenza,
nell’ambito di un procedimento ex art. 267 TFUE, spetta
soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la
controversia e che deve assumersi la responsabilità
dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla
luce delle particolari circostanze della causa, sia la
necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in
grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza
delle questioni che sottopone alla Corte. Di
conseguenza, se le questioni sollevate riguardano
l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in
via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v. sentenza
17 febbraio 2011, causa C‑52/09,
TeliaSonera Sverige, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).
33 Il rifiuto, da parte della
Corte, di pronunciarsi su una domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è,
infatti, possibile soltanto qualora appaia in modo
manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione
richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva
o l’oggetto della causa principale, in particolare
qualora la questione sia di tipo ipotetico (v. sentenza
TeliaSonera Sverige, cit., punto 16).
34 Orbene, non sembra che, nella
causa principale, l’azione inibitoria sia divenuta priva
di oggetto per il fatto che il gestore del sito avesse
già rimosso la notizia controversa prima dell’inizio del
procedimento. Infatti, come ricordato al punto 18 della
presente sentenza, l’azione inibitoria ha avuto esito
favorevole nei due gradi di giudizio inferiori.
35 Ad ogni modo, la Corte ha già
statuito che, alla luce del suo tenore letterale, l’art.
5, punto 3, del regolamento non presuppone la
sussistenza attuale di un danno (v., in tal senso,
sentenza 1° ottobre 2002, causa C‑167/00,
Henkel, Racc. pag. I‑8111,
punti 48 e 49). Ne consegue che rientra nell’ambito di
applicazione di tale disposizione un’azione diretta ad
impedire che si riproduca un comportamento considerato
illecito.
36 Pertanto, la domanda di
pronuncia pregiudiziale deve essere considerata
ricevibile.
Sulle questioni pregiudiziali
Sull’interpretazione dell’art. 5,
punto 3, del regolamento
37 Con le sue prime due questioni
nel procedimento C‑509/09
e con la sua questione unica nel procedimento C‑161/10,
che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del
rinvio chiedono sostanzialmente alla Corte come debba
essere interpretata la locuzione «luogo in cui l’evento
dannoso è avvenuto o può avvenire», di cui all’art. 5,
punto 3, del regolamento, in caso di asserita lesione di
diritti della personalità attraverso contenuti messi in
rete su un sito Internet.
38 Per risolvere dette questioni
occorre ricordare che, da un lato, secondo una costante
giurisprudenza, le disposizioni del regolamento vanno
interpretate in modo autonomo, alla luce del loro
sistema generale e delle loro finalità (v., in
particolare, sentenza 16 luglio 2009, causa C‑189/08,
Zuid-Chemie, Racc. pag. I‑6917,
punto 17 e giurisprudenza ivi citata).
39 D’altro lato, poiché il
regolamento ha sostituito, nei rapporti tra Stati
membri, la Convenzione 27 settembre 1968 concernente la
competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale (GU 1972, L
299, pag. 32), come modificata dalle successive
convenzioni relative all’adesione dei nuovi Stati membri
a tale Convenzione (in prosieguo: la «Convenzione di
Bruxelles»), l’interpretazione fornita dalla Corte con
riferimento alle disposizioni di tale Convenzione vale
anche per quelle del citato regolamento, quando le
disposizioni di tali atti comunitari possono essere
qualificate come equivalenti (sentenza Zuid-Chemie,
cit., punto 18).
40 Secondo costante giurisprudenza,
la norma sulla competenza speciale enunciata all’art. 5,
punto 3, del regolamento, in deroga al principio della
competenza dei giudici del domicilio del convenuto,
trova il suo fondamento nell’esistenza di un
collegamento particolarmente stretto tra una data
controversia e i giudici del luogo in cui l’evento
dannoso è avvenuto, che giustifica un’attribuzione di
competenza a questi ultimi giudici ai fini della buona
amministrazione della giustizia e dell’economia
processuale (v. sentenza Zuid-Chemie, cit., punto 24 e
giurisprudenza ivi citata).
41 Va altresì ricordato che la
locuzione «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto» si
riferisce sia al luogo del fatto generatore del danno
sia a quello in cui il danno si è concretato. Questi due
luoghi possono costituire un significativo collegamento
dal punto di vista della competenza giurisdizionale,
dato che ciascuno di essi può, a seconda della
circostanze, fornire un’indicazione particolarmente
utile dal punto di vista della prova e dello svolgimento
del processo (sentenza 7 marzo 1995, causa C‑68/93,
Shevill e a., Racc. pag. I‑415,
punti 20 e 21).
42 Per quanto riguarda
l’applicazione di questi due criteri di collegamento ad
azioni dirette al risarcimento di un danno immateriale
asseritamente causato da una pubblicazione diffamatoria,
la Corte ha considerato che, in caso di diffamazione
mediante un articolo di stampa diffuso in più Stati
contraenti, la vittima può esperire nei confronti
dell’editore un’azione di risarcimento sia dinanzi ai
giudici dello Stato contraente del luogo ove è stabilito
l’editore della pubblicazione diffamatoria, i quali sono
competenti a pronunciarsi sul risarcimento dei danni
derivanti dalla diffamazione nella loro integralità, sia
dinanzi ai giudici di ciascuno Stato contraente in cui
la pubblicazione è stata diffusa e in cui la vittima
assume aver subìto una lesione della sua reputazione, i
quali sono competenti a conoscere dei soli danni
cagionati nello Stato del giudice adito (sentenza
Shevill e a., cit., punto 33).
43 A tal riguardo, la Corte ha
parimenti precisato che, nonostante gli inconvenienti
derivanti dalla limitazione della competenza dei giudici
dello Stato di diffusione ai soli danni cagionati nello
Stato del foro, l’attore ha pur sempre la facoltà di
esperire l’azione nel suo complesso dinanzi al giudice
sia del domicilio del convenuto, sia del luogo dove è
stabilito l’editore della pubblicazione diffamatoria
(sentenza Shevill e a., cit., punto 32).
44 Come evidenziato dall’avvocato
generale al paragrafo 39 delle sue conclusioni, tali
considerazioni possono essere applicate anche ad altri
mezzi e supporti di comunicazione e possono coprire
un’ampia gamma di violazioni dei diritti della
personalità conosciute dai vari ordinamenti giuridici,
come quelle lamentate dai ricorrenti nella causa
principale.
45 Tuttavia, come rilevato tanto
dai giudici del rinvio quanto dalla maggioranza delle
parti e degli interessati che hanno presentato
osservazioni alla Corte, la messa in rete di contenuti
su un sito Internet si distingue dalla diffusione
circoscritta territorialmente di un mezzo di
comunicazione quale una stampa, giacché, in via di
principio, essa mira all’ubiquità di detti contenuti.
Questi possono essere consultati istantaneamente da un
numero indefinito di internauti, ovunque al mondo,
indipendentemente da qualsiasi intenzione del loro
emittente in ordine alla loro consultazione al di là del
proprio Stato membro di stabilimento e al di fuori del
proprio controllo.
46 Sembra dunque che Internet
riduca l’utilità del criterio inerente alla diffusione,
poiché la portata della diffusione di contenuti messi in
rete, in linea di principio, è universale. Inoltre, sul
piano tecnico è tuttora impossibile quantificare tale
diffusione con certezza ed attendibilità rispetto ad un
determinato Stato membro e, di conseguenza, valutare il
danno causato esclusivamente in tale Stato membro.
47 Le difficoltà di attuazione, nel
contesto di Internet, di detto criterio della
concretizzazione del danno, sancito nella citata
sentenza Shevill e a., contrastano, come rilevato
dall’avvocato generale al paragrafo 56 delle sue
conclusioni, con la gravità della lesione che può subire
il titolare del diritto della personalità, il quale
constata che un’informazione lesiva di suddetto diritto
è disponibile in qualunque parte del mondo.
48 I criteri di collegamento
ricordati al punto 42 della presente sentenza vanno
quindi adeguati nel senso che la vittima di una lesione
di un diritto della personalità per mezzo di Internet
può adire un foro, a seconda del luogo di
concretizzazione del danno cagionato da detta lesione
nell’Unione europea, per la totalità di tale danno.
Poiché l’impatto, sui diritti della personalità di un
soggetto, di un’informazione messa in rete può essere
valutata meglio dal giudice del luogo in cui la presunta
vittima possiede il proprio centro di interessi,
l’attribuzione di competenza a tale giudice corrisponde
all’obiettivo di una buona amministrazione della
giustizia, ricordato al punto 40 della presente
sentenza.
49 Il luogo in cui una persona ha
il proprio centro di interessi corrisponde, in via
generale, alla sua residenza abituale. Tuttavia, una
persona può avere il proprio centro di interessi anche
in uno Stato membro in cui non risiede abitualmente, ove
altri indizi, quali l’esercizio di un’attività
professionale, possano dimostrare l’esistenza di un
collegamento particolarmente stretto con tale Stato.
50 La competenza del giudice del
luogo in cui la presunta vittima ha il proprio centro di
interessi è conforme all’obiettivo della prevedibilità
delle norme sulla competenza (v. sentenza 12 maggio
2011, causa C‑144/10,
BVG, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33)
anche nei confronti del convenuto, poiché chi emette
l’informazione lesiva, al momento della messa in rete
della stessa, è in condizione di conoscere i centri
d’interessi delle persone che ne formano oggetto.
Occorre dunque considerare che il criterio del centro
d’interessi consente, al contempo, all’attore di
individuare agevolmente il giudice al quale può
rivolgersi e al convenuto di prevedere ragionevolmente
dinanzi a quale giudice può essere citato (v. sentenza
23 aprile 2009, causa C‑533/07,
Falco Privatstiftung e Rabitsch, Racc. pag. I‑3327,
punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
51 Peraltro, in luogo di un’azione
di risarcimento per la totalità del danno, il criterio
della concretizzazione del danno, sancito nella citata
sentenza Shevill e a., conferisce competenza ai giudici
di ciascuno Stato membro sul cui territorio
un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo
sia stata. Questi sono competenti a conoscere del solo
danno causato sul territorio dello Stato membro del
giudice adito.
52 Di conseguenza, le prime due
questioni nel procedimento C‑509/09
e la questione unica nel procedimento C‑161/10
vanno risolte dichiarando che l’art. 5, punto 3, del
regolamento deve essere interpretato nel senso che, in
caso di asserita violazione dei diritti della
personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un
sito Internet, la persona che si ritiene lesa ha la
facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la
totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello
Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che
ha emesso tali contenuti, o dinanzi ai giudici dello
Stato membro in cui si trova il proprio centro
d’interessi. In luogo di un’azione di risarcimento per
la totalità del danno cagionato, tale persona può
altresì esperire un’azione dinanzi ai giudici di ogni
Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in
rete sia accessibile oppure lo sia stata. Questi ultimi
sono competenti a conoscere del solo danno cagionato sul
territorio dello Stato membro del giudice adito.
Sull’interpretazione dell’art. 3
della direttiva
53 Con la sua terza questione nel
procedimento C‑509/09,
il Bundesgerichtshof intende sapere se le disposizioni
di cui all’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva abbiano
carattere di norme di conflitto, nel senso che esse
prescrivono anche in materia civile l’applicazione
esclusiva, per i servizi della società
dell’informazione, del diritto in vigore nel paese
d’origine con esclusione della norme nazionali sul
conflitto di leggi, oppure se esse costituiscano un
correttivo al diritto dichiarato applicabile secondo le
norme nazionali sul conflitto di leggi, per modificarne
il contenuto conformemente alle prescrizioni del paese
d’origine.
54 Si devono analizzare tali
disposizioni tenendo conto non soltanto della lettera
delle stesse, ma anche del loro contesto e degli scopi
perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (v.
sentenze 19 settembre 2000, causa C‑156/98,
Germania/Commissione, Racc. pag. I‑6857,
punto 50; 7 dicembre 2006, causa C‑306/05,
SGAE, Racc. pag. I‑11519,
punto 34, nonché 7 ottobre 2010, causa C‑162/09,
Lassal, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49).
55 In tal senso, il dispositivo di
un atto dell’Unione è indissociabile dalla sua
motivazione e deve essere pertanto interpretato, se
necessario, tenendo conto dei motivi che hanno portato
alla sua adozione (sentenze 29 aprile 2004, causa C‑298/00
P, Italia/Commissione, Racc. pag. I‑4087,
punto 97 e giurisprudenza ivi citata, nonché Lassal,
cit., punto 50).
56 La direttiva, adottata in base
agli artt. 47, n. 2, CE, 55 CE e 95 CE, ai sensi del suo
art. 1, n. 1, mira a contribuire al buon funzionamento
del mercato interno garantendo la libera circolazione
dei servizi della società dell’informazione tra gli
Stati membri. Il suo quinto ‘considerando’ elenca, quali
ostacoli giuridici al buon funzionamento del mercato
interno in tale settore, le divergenze tra le normative
nazionali, nonché l’incertezza sul diritto nazionale
applicabile a tali servizi.
57 Orbene, per la maggior parte
degli aspetti del commercio elettronico, la direttiva
non prevede un’armonizzazione delle norme sostanziali,
bensì definisce un «ambito regolamentato», in cui il
meccanismo previsto dall’art. 3 deve consentire, secondo
il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva in
parola, di sottoporre, Error! Not a valid link.i servizi
della società dell’informazione alla normativa dello
Stato membro in cui è stabilito il prestatore.
58 A tal riguardo va rilevato, da
una parte, che la normativa dello Stato membro di
stabilimento del prestatore comprende l’ambito del
diritto civile, il che emerge, in particolare, dal
venticinquesimo ‘considerando’ della direttiva, nonché
dalla circostanza che l’allegato di quest’ultima elenca
i diritti e gli obblighi di natura civilistica ai quali
non si applica il meccanismo di cui all’art. 3. D’altra
parte, l’applicazione del medesimo alla responsabilità
dei prestatori è espressamente prevista dall’art. 2,
lett. h), sub i), secondo trattino, della direttiva.
59 La lettura dell’art. 3, nn. 1 e
2, della direttiva, alla luce delle disposizioni e degli
obiettivi summenzionati, dimostra che il meccanismo
delineato dalla direttiva dispone, anche in diritto
civile, l’osservanza delle prescrizioni del diritto
sostanziale vigente nel paese di stabilimento del
prestatore. Invero, in mancanza di disposizioni
vincolanti di armonizzazione, adottate a livello
dell’Unione, soltanto il riconoscimento del carattere
vincolante della normativa nazionale, al quale il
legislatore ha deciso di sottoporre i prestatori e i
lori servizi, può garantire la piena efficacia della
libera prestazione dei medesimi servizi. L’art. 3, n. 4,
della direttiva può corroborare siffatta lettura in
quanto precisa le condizioni alle quali gli Stati membri
possono derogare al n. 2 dell’articolo in parola,
condizioni da considerarsi esaustive.
60 Orbene, l’interpretazione
dell’art. 3 della direttiva deve anche tenere conto del
suo art. 1, n. 4, secondo cui essa non introduce norme
supplementari di diritto internazionale privato relative
al conflitto di leggi.
61 A tal riguardo va rilevato, da
un lato, che un’interpretazione della norma relativa al
mercato interno, di cui all’art. 3, n. 1, della
direttiva, nel senso che essa conduce all’applicazione
del diritto sostanziale vigente nello Stato membro di
stabilimento, non determina la sua qualificazione come
norma di diritto internazionale privato. Infatti, tale
paragrafo impone principalmente agli Stati membri
l’obbligo di provvedere affinché i servizi della società
dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito
sul loro territorio, rispettino le disposizioni
nazionali applicabili in tali Stati membri, rientranti
nell’ambito regolamentato. L’imposizione di un obbligo
siffatto non presenta le caratteristiche di una norma di
conflitto, destinata a dirimere un conflitto specifico
tra più diritti applicabili.
62 D’altra parte, l’art. 3, n. 2,
della direttiva contiene un divieto per gli Stati membri
di limitare, per motivi che rientrano nell’ambito
regolamentato, la libera circolazione dei servizi della
società dell’informazione provenienti da un altro Stato
membro. Per contro, dall’art. 1, n. 4, della direttiva,
letto alla luce del ventitreesimo ‘considerando’ della
medesima, emerge che, in linea di principio, gli Stati
membri ospitanti sono liberi di designare, in base al
loro diritto internazionale privato, le norme
sostanziali applicabili, purché non ne derivi una
restrizione della libera prestazione dei servizi del
commercio elettronico.
63 Ne consegue che l’art. 3, n. 2,
della direttiva non impone un recepimento in forma di
norme specifiche di conflitto di leggi.
64 Occorre tuttavia interpretare le
disposizioni di cui all’art. 3, nn. 1 e 2, della
direttiva in modo da garantire che l’approccio
coordinativo prescelto dal legislatore dell’Unione
consenta effettivamente di assicurare la libera
circolazione dei servizi della società dell’informazione
tra gli Stati membri.
65 A tale proposito va ricordato
che la Corte ha già statuito che le disposizioni
imperative di una direttiva, necessarie per la
realizzazione degli obiettivi del mercato interno,
devono potersi applicare anche nonostante una scelta
legislativa diversa (v., in tal senso, sentenze 9
novembre 2000, causa C‑381/98,
Ingmar, Racc. pag. I‑9305,
punto 25, nonché 23 marzo 2006, causa C‑465/04,
Honyvem Informazioni Commerciali, Racc. pag. I‑2879,
punto 23).
66 Orbene, per quanto riguarda il
meccanismo di cui all’art. 3 della direttiva, occorre
considerare che la sottoposizione dei servizi del
commercio elettronico alla normativa dello Stato membro
di stabilimento dei rispettivi prestatori, in forza
dell’art. 3, n. 1, non consentirebbe di garantire
pienamente la libera circolazione di tali servizi
qualora, in definitiva, i prestatori dovessero
rispettare, nello Stato membro ospitante, prescrizioni
più rigorose di quelle loro applicabili nel proprio
Stato membro di stabilimento.
67 Ne consegue che, fatte salve le
deroghe autorizzate secondo le condizioni di cui al
suddetto art. 3, n. 4, l’art. 3 della direttiva osta a
che il prestatore di un servizio del commercio
elettronico sia soggetto a prescrizioni più rigorose di
quelle previste dal diritto sostanziale in vigore nello
Stato membro di stabilimento di tale prestatore.
68 Alla luce di quanto precede, la
terza questione nel procedimento C‑509/09
deve essere risolta dichiarando che l’art. 3 della
direttiva deve essere interpretato nel senso che esso
non impone un recepimento in forma di norma specifica di
conflitto. Nondimeno, per quanto attiene all’ambito
regolamentato, gli Stati membri devono assicurare che,
fatte salve le deroghe autorizzate alle condizioni
previste dall’art. 3, n. 4, della direttiva, il
prestatore di un servizio del commercio elettronico non
sia assoggettato a prescrizioni più rigorose di quelle
previste dal diritto sostanziale applicabile nello Stato
membro di stabilimento di tale prestatore.
Sulle spese
69 Nei confronti delle parti nella
causa principale il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui
spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute
da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte
non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande
Sezione) dichiara:
1) L’art. 5, punto 3, del
regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n.
44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso
che, in caso di asserita violazione dei diritti della
personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un
sito Internet, la persona che si ritiene lesa ha la
facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la
totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello
Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che
ha emesso tali contenuti, o dinanzi ai giudici dello
Stato membro in cui si trova il proprio centro
d’interessi. In luogo di un’azione di risarcimento per
la totalità del danno cagionato, tale persona può
altresì esperire un’azione dinanzi ai giudici di ogni
Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in
rete sia accessibile oppure lo sia stata. Questi ultimi
sono competenti a conoscere del solo danno cagionato sul
territorio dello Stato membro del giudice adito.
2) L’art. 3 della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000,
2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei
servizi della società dell’informazione, in particolare
il commercio elettronico, nel mercato interno
(«direttiva sul commercio elettronico»), deve essere
interpretato nel senso che esso non impone un
recepimento in forma di norma specifica di conflitto.
Nondimeno, per quanto attiene all’ambito regolamentato,
gli Stati membri devono assicurare che, fatte salve le
deroghe autorizzate alle condizioni previste dall’art.
3, n. 4, della direttiva 2000/31, il prestatore di un
servizio del commercio elettronico non sia assoggettato
a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal
diritto sostanziale applicabile nello Stato membro di
stabilimento di tale prestatore. |